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All my wolves begin to howl

La chiamano consapevolezza,
ma a volte è una rinascita.
~ Grazyetta ~

Izuku osservava il vapore che si arricciava e danzava sopra la sua tazza di caffelatte, perdendosi nei residui di un sonno fin troppo tranquillo, le palpebre ancora pesanti e uno sbadiglio ad ogni boccone di croissant che faceva.

«Buono?».

La voce gentile di Mitsuki lo ridestò dal suo stato catatonico. «Mh-m.», annuì lui con la bocca piena, prendendo poi un sorso di caffelatte per deglutire meglio.

«È della pasticceria qui di fronte!», aggiunse lei, carezzandogli i ricci verdi con tocco lieve, sistemandogli qualche ciuffo ribelle. «Quando ti va puoi andare a prendere ciò che ti piace... Noi abbiamo un conto aperto!», e ridacchiò, sedendosi di peso accanto a lui, concedendogli una spallata lieve e giocosa.

Non poté fare a meno di paragonare quel continuo tocco gentile di Mitsuki a quello che sua madre gli aveva riservato, tanto tempo prima.
Era un tratto universale delle madri, si chiedeva, questa innata capacità di confortare e nutrire?

«Buongiorno!», anche Masaru interruppe i suoi pensieri, accomodandosi di fronte a Izuku con un sorriso. «Non hai chiamato, stanotte. Deduco tu abbia dormito bene...»

L'uomo gli aveva chiesto di tenere la porta della camera aperta quella notte e, contrariamente a quanto pensava all'inizio, questa cosa gli aveva fatto un gran bene. La scusa era stata quella del sonno leggero di Masaru, che in realtà voleva solo che Izuku si sentisse al sicuro con loro.

E la fiducia che sentiva che quei due adulti riponevano in lui, aveva riempito Izuku di così tanto calore e gratitudine da farlo dormire come un moccioso. Si era sentito accolto, come se appartenesse per davvero a quello spazio sicuro.

La gentilezza dimostrata dalla famiglia Bakugō si era infiltrata nelle sue ossa, garantendogli un senso di sicurezza che non provava da molto tempo.

«Sì... Sì ho dormito bene.», balbettò, con le guance arrossate dall'imbarazzo per essere ancora una volta al centro immeritato dell'attenzione. «A-apprezzo molto quello che state facendo per me.»

Il sorriso dell'uomo di fronte a lui era genuino e arrivava perfino a illuminargli gli occhi. «Non ringraziarci. Sei della famiglia, o-»

«Masaru!» Il grido acuto di Mitsuki fece sobbalzare Izuku sulla sedia, mentre abbassava lo sguardo appena in tempo per vedere l'uomo che mancava la tazza e il caffè gli sporcava irrimediabilmente cravatta e camicia, mentre la donna si alzava a recuperare un canovaccio per tamponare a quel disastro.

«Mi dispiace, cara...», mormorò, con il viso arrossato dall'imbarazzo. «Non volevo...».

«Non importa.», sospirò Mitsuki: «Vai a cambiarti immediatamente e a mettere in ammollo i vestiti! Non voglio fare tardi al lavoro proprio oggi!»

«Giusto, giusto!», concordò Masaru, allontanandosi in fretta dal tavolo, un'occhiata di scuse a Izuku prima di scomparire oltre la porta della cucina.

«Ragazzi...», mormorò Mitsuki sottovoce, scuotendo la testa, prendendo un lungo sorso di caffè nero. «Sempre così goffo...».

Izuku non poté fare a meno di ridere alla scena, anche se sentiva uno strano mix di ansia ed eccitazione che gli pulsava nelle vene: sarebbe stato il giorno in cui Katsuki l'avrebbe portato al lavoro con lui e per lui era un'opportunità per saperne di più su quel ragazzo, per capire meglio il mondo in cui viveva. Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi scoraggiato dalla prospettiva che quella fosse solo una facciata, che lui servisse solo di rappresentanza in quella giornata.

«Sei pronto?».

Il ragazzo oggetto di quei fugaci pensieri apparve sulla porta della cucina, la sua voce era secca, ma non scortese. Izuku lo osservò versarsi del caffè nero in una tazza e trangugiarlo in poche sorsate, senza versarne neppure una goccia.

Il biondino dalla lingua velenosa era tranquillo, come se si fosse riposato per bene anche lui.

Izuku, con la porta aperta della propria stanza e in un momento di dormiveglia l'aveva sentito rincasare a notte fonda. Aveva avuto anche l'impressione che lui si fosse fermato sulla soglia della sua stanza e che lo osservasse nella penombra. O, forse, si era trattato solo di un sogno, una sensazione dovuta alla stanchezza mentale.

«Quanto ci metti a vestirti?», gli chiese poi, depositando un bacio frettoloso tra i capelli profumati di Mitsuki.

«Cinque minuti?».

«Vedi di muoverti, allora.», e il biondino andò via dalla cucina come una meteora, con la stessa velocità con cui era arrivato, portandosi dietro un tenue profumo di sandalo e di qualcosa di fresco, che a Izuku parvero agrumi.

Mitsuki ridacchiò a vederlo annusare l'aria come un cucciolo perso che cerca disperatamente il suo padrone. «Lo sai che non lo devi far aspettare?».

La sedia strisciò sul pavimento mentre il ragazzo si affrettava a lasciare a sua volta la cucina, salendo le scale in fretta per potersi rifugiare in bagno, darsi un'ultima sciacquata e vestirsi per quella mattinata impegnativa.

Il nodo alla cravatta gli prese più tempo del previsto e quasi si stava dimenticando la museruola sul letto prima di scendere al piano di sotto, dove Katsuki lo aspettava con impazienza alla fine delle scale.

Indossava un completo scuro, dal tessuto lucido con dei riflessi color cioccolato. La camicia chiara aveva il primo bottone slacciato e lui si stava sistemando i polsini affinché fuoriuscissero leggermente dalle maniche della giacca, lasciata volutamente sbottonata.

Non gli servì chiamarlo, perché uno dei gradini cigolò sotto il suo peso e il biondo girò la testa nella sua direzione, un accenno di sorriso su quel viso affilato e perfetto.

Le viscere gli si contrassero a quella vista, e il tenue odore di menta selvatica si spanse attorno a lui.

«Guardati! Ci manca solo che scodinzoli!», disse Katsuki, allungando una mano ad afferrargli la museruola, mentre un sorrisino di scherno gli alzava l'angolo sinistro delle labbra. «Abbassati.».

Ma Izuku fu inamovibile a quel comando, rimanendo fermo davanti a lui, il volto impassibile e gli occhi fissi in quelli di Katsuki.

«Ho detto: abbassati, Alpha. Non farmi perdere tempo e pazienza.».

Izuku strinse i denti e si sporse in avanti quanto bastava per rendere agevole allacciare la museruola alla nuca e al collare.

«Fai un altro scherzo del genere oggi...».

«Cosa?», ribatté Izuku, tirandosi di nuovo con la schiena dritta. «Vuoi punirmi?».

«Non ho tempo né voglia dei tuoi giochetti del cazzo.», berciò Katsuki, agganciando anche il guinzaglio sul davanti, sistemandogli il collare perché non sgualcisse troppo il tessuto della camicia. «Siamo già in ritardo. Verrai in macchina con me.».

•••

Il sole del mattino era fastidioso e Izuku cercava in tutti i modi di ripararsi con le mani, pur rimanendo quasi spalmato contro il finestrino per non perdersi alcun fotogramma di quel paesaggio in movimento.

Il guinzaglio era arrotolato stretto attorno alla mano sinistra di Katsuki, posata sul cambio. La strada e la città viste da davanti erano tutt'altro spettacolo.

Ogni tanto lanciava una fugace occhiata alla sua destra, al profilo di Katsuki, concentrato sulla guida, un'imprecazione costantemente stretta tra i denti per il traffico congestionato del centro di Musutafu e a Izuku tornò in mente quella mezza conversazione avuta con Mitsuki sul divano, dopo cena.

Izuku era sdraiato sul divano, con la testa poggiata in grembo a Mitsuki, mentre l'Omega gli accarezzava delicatamente i capelli. Le immagini del televisore proiettavano una luce soffusa nella stanza buia, illuminando i loro volti mentre guardavano un film insieme. L'odore tenue di Mitsuki, di pane appena sfornato, aleggiava nell'aria attorno a loro, aggiungendo un'atmosfera accogliente, che rilassava Izuku e, a tratti, gli faceva pure chiudere gli occhi.

«Va meglio, tesoro?», chiese Mitsuki, tracciando con le dita dei cerchi sul cuoio capelluto di quel giovane uomo che era disteso contro di lei.

«Sì... Molto...», rispose Izuku, con un sospiro di soddisfazione che gli sfuggva dalle labbra. Questo lato della sua famiglia adottiva non se l'era minimamente aspettato e provò un forte sentimento di gioia e gratitudine, uno di quelli che riescono a sopraffare tutto il resto e a farti piangere solo perché non sai esprimere a parole cone ti senti. Ma per quanta gioia provasse per il calore e l'accoglienza che gli avevano offerto, allo stesso modo avvertiva sempre una profonda tristezza, perché la sua mente continuava a fare raffronti col passato, un contrato che strideva con quanto gli stava capitando.

«Finirà, vero?».

Mitsuki prese il telecomando e mise in muto il film. «Come?».

«Finirà questo... Questa pace... Finirà quando sarò solo con lui, non è vero?».

Mitsuki prese un profondo respiro e tornò a carezzargli i ricci verdi, morbidi e setosi, mentre un fastidioso sentore di erba marcia si levava da qual giovane Alpha. «Spero tanto di no, tesoro.», ma a quell'affermazione udì una lieve risata, intervallata da singhiozzi e da un tirare su col naso insistente.

«Immaginavo...», e si accoccolò di più su quelle ginocchia che profumavano di casa e di sicurezza. «Scemo io a costruirmi castelli in aria...».

Le carezze sulla sua testa non si fermarono, ma divennero più lente, indugiando sulle orecchie, sulle guance umide di lacrime, sulle spalle e le braccia, un conforto silenzioso e discreto che lo faceva sentire amato e voluto come non si sentiva da molto tempo.

«Sei parte della famiglia. Non c'è motivo perché lui ti riporti indietro finito questo periodo di transizione con noi. Lo sai.».

Izuku annuì piano, gli occhi che guardavano le immagini sullo schermo senza però davvero vederle, complici anche le lacrime agli angoli degli occhi. Sapeva che Katsuki non si era unito a loro per cena, ma era uscito. Sapeva che era stata in parte colpa sua. Ciononostante, non poté fare a meno di sentirsi grato per la sua assenza che gli aveva permesso di vivere quella serata in tranquillità, assaporando il calore vero di una famiglia.

«Izuku?», disse Mitsuki, asciugando col palmo una lacrima dalla guancia del ragazzo. «Posso farti promettere solo una cosa?».

«Qualsiasi cosa...», promise Izuku, voltando di poco la testa e guardando negli occhi premurosi di Mitsuki.

«Promettimi che, una volta soli, ti prenderai cura del mio Katsuki.».

I suoi lineamenti si indurirono e perfino Mitsuki lo sentì irrigidirsi a quella richiesta: «Perché dovrei? Sono qui solo da oggi e mi disprezza come se avesse imparato a farlo da tutta una vita...».

«Non lo fa di proposito, credimi...», la voce era bassa e le carezze più lente: «È solo un modo che usa per proteggersi. Ma non è un ragazzo cattivo. Io... Io lo vedo solo come una persona tanto fragile, che ha le sue paure, i suoi mostri, proprio come te, o come me, o come altri miliardi di persone...». Le mani della donna gli presero le guance e il tono sembrava supplichevole: «Per favore cerca di andare al di là dei modi bruschi che può avere e promettimi che ti prenderai cura di lui. E anche di te. Ne hai passate tante e non voglio vederti soffrire. Voglio che tu sia felice, perché so che sei un bravo ragazzo.».

Izuku, con il cuore che si gonfiava per la fiducia e per la determinazione, annuì e promise di fare ciò che lei gli stava chiedendo, ignaro forse dell'impegno che ci sarebbe voluto, inconsapevole delle difficoltà, perché un po' incosciente lo era, di fondo, mentre lei gli stampava un bacio rumoroso sulla fronte e se lo stringeva contro in un abbraccio goffo, che lo mise in imbarazzo solo per il fatto di trovarsi troppo vicino a quel seno caldo e morbido che gli premeva su orecchio e guancia sinistri, lasciandolo interdetto una volta che quella strana conversazione era finita, pentendosi già della promessa fatta.

«Bravo cucciolo!» lo lodò Mitsuki, dandogli un nuovo bacio in fronte. «Adesso torniamo al film, che ne dici?».

Izuku annuì piano, un gesto affermativo prima che si rigirasse in quell'abbraccio confortante.

Ma, mentre continuavano a guardare il film, non poté fare a meno di pensare a ciò che lei gli aveva detto e, per la prima volta in questa sua nuova vita da reietto, si ritrovò a pensare a Katsuki e a cosa l'avesse portato ad essere così ostile nei confronti degli Alpha.

Il sole brillava sull'imponente grattacielo di vetro, proiettando un caleidoscopio di colori sulla strada sottostante. Izuku rimase impietrito, incapace di distogliere lo sguardo dall'enormità dell'edificio sotto cui l'auto s'era fermata.

Non aveva mai pensato a un futuro.

Aveva avuto dei sogni, certo, come tutti i bambini.

Ricordava di aver sognato di fare il medico. O il poliziotto, talvolta. Ma tutto s'era sgretolato al Rifugio, anche se lui era bravo e studiava, mettendo la sua curiosità in tutto ciò che faceva. Però le aspirazioni le aveva perse, frantumate, spezzettate, giorno dopo giorno, mese dopo mese.

Che aspirazioni poteva avere un Alpha come lui?

Non poteva solo sperare? Sognare solo di avere una libertà non era riduttivo?

Di fronte a lui, quell'edificio imponente, stava a ricordargli, una volta di più che tutti i sogni e le aspirazioni che aveva sempre nutrito nella sua breve esistenza libera, per qualcuno erano realtà. E quel qualcuno non era lui.

«Muoviti, idiota! O faremo tardi!». La voce tagliente di Katsuki lo riportò alla realtà, le sue mani afferrarono saldamente il guinzaglio. Il ricordo della sua posizione di sottomesso lo pungeva, ma mise da parte il risentimento che ribolliva dentro di lui e si concentrò sul compito da svolgere.

Sii bravo. Sii bravo e riceverai la tua ricompensa.

«A-arrivo!», mormorò Izuku, togliendo i piedi dalla loro posizione ferma e seguendo Katsuki a passo svelto. Il cuore batteva forte per l'attesa di qualcosa di ignoto e non poté fare a meno di dare un'occhiata al suo riflesso nella superficie specchiata dell'edificio. L'abito grigio che indossava gli stava davvero così bene come Mitsuki aveva affermato?

Quando entrarono nel sontuoso atrio e attraversarono il pavimento di marmo lucido, Izuku non poté fare a meno di provare un misto di stupore e ansia. Sapeva che il mondo in cui stava per entrare era molto diverso da tutto ciò che aveva sperimentato prima. Da tutto ciò che aveva anche solo immaginato.

«Smettila di sembrare così perso.», disse piano Katsuki, notando la sua esitazione mentre le porte dell'ascensore si chiudevano dietro le loro schiene con uno scampanellio. «Non sei più un patetico randagio, quindi non comportarti come tale!».

Le deboli note della musica classica riempivano l'aria, creando un netto contrasto con l'atmosfera tesa tra di loro. Mentre salivano, Izuku non poté fare a meno di lanciare occhiate furtive a Katsuki, che sembrava assorto nei suoi pensieri.

Nonostante le dure parole del biondino, Izuku non poté fare a meno di notare come quello assomigliasse tanto a un raro momento di gentilezza che lui gli mostrava solo quando erano da soli, quando nessuno li vedeva. Ipotizzò che stesse combattendo con se stesso, cercando di mantenere il suo aspetto duro e allo stesso tempo di volersi prendere cura di lui, anche se in maniera tanto dura e particolare. E questa cosa lo confondeva, ma Izuku non poteva negare la piccola scintilla di speranza che gli si era accesa dentro, così come il fugace sorriso che gli tirava le labbra.

Erano "assieme" da un solo giorno, non si conoscevano affatto, ma almeno a Izuku non sembrava poi così mal disposto, anche se era un Alpha.

L'ascensore fermò la sua corsa ad un piano indefinito, inghiottendo altre quattro persone, costringendo i due ragazzi ad avvicinarsi, con Katsuki di fronte a lui, di schiena, come a volerlo proteggere dal resto della gente che, impaziente, attendeva di arrivare a destinazione.

«Sembri contento.», mormorò il biondo, voltando di poco la testa per catturare l'espressione del ragazzo dai capelli verdi con la coda dell'occhio.

«Non posso esserlo?»

«Mh.». Il tallone di Katsuki toccò la punta della scarpa di Izuku. «Non ho detto questo.».

L'Alpha si sporse di poco verso il biondo, solo per arrivare a sussurrargli più vicino all'orecchio la sua risposta. «Sono fuori dal Rifugio. Basta questo a farmi contento.».

Katsuki annuì, distanziandosi da lui quando un paio di persone uscirono all'ascensore, mettendosi poi a fronteggiarlo, il guinzaglio arrotolato attorno alla mano destra, le unghie corte che grattavano sul cuoio. Si umettò le labbra, alla ricerca delle parole giuste e pacate per esprimersi. «Oggi c'è un incontro importante per i miei vecchi. Saremo con persone che io non sopporto e sappi che sto facendo uno sforzo enorm-».

«Una pentola a pressione.»

I loro sguardi s'incrociarono per un momento, mentre Katsuki stringeva saldamente il guinzaglio tanto da avere le nocche quasi bianche. Un lieve ghigno fece sfuggire uno dei suoi piccoli canini appuntiti, che premette sul labbro inferiore, attirando l'attenzione di Izuku in quel punto morbido e arrossato. «Ci hai preso. Più o meno.». Il tono era più lieve, anche se qualcuno l'aveva spinto per entrare e lui aveva dovuto appoggiarsi con il palmo libero al centro del petto di Izuku per mantenere l'equilibrio.

Il calore di quella mano sembrava passare la barriera dei vestiti e Izuku si ritrovò a fissargli le vene sul dorso, le pieghette delle falangi...

«Stammi vicino.»

«Ah?».

«Dopo, in sala riunioni, stammi vicino.»

Gli occhi verdi di Izuku si piantarono in quelli rossi di Katsuki, l'espressione mortalmente seria su quel volto perfetto. Un leggero sentore di bruciato gli arrivò alle narici e fu per lui istintivo trattenere la mano del biondo sul proprio petto mentre prometteva: «Va bene.» e un lieve profumo di buono di prato fresco appena tagliato veniva rilasciato in quello spazio ristretto.

La gente uscì dall'ascensore, lasciandoli da soli per gli ultimi cinque piani, che scorrevano, inesorabili, sull'indicatore a led posto sopra la porta scorrevole.

Katsuki avrebbe potuto staccarsi, allontanarsi, ma non lo fece.

«Qualsiasi cosa succeda con quegli stronzi... Non mollarmi un secondo. Intesi?» e Izuku annuì, uno strano presentimento negativo che gli intorpidiva lo stomaco mentre la mano di Katsuki lasciava il suo corpo con parole semplici, ma pesanti come macigni: «...e fingi, se necessario.»

Non ci fu bisogno di ulteriore silenzio, perché le porte scorrevoli si aprirono con uno scampanellio e Katsuki fu il primo a mettere piede nell'atrio del quarantesimo piano, trascinandosi appresso il proprio accompagnatore nel labirinto di cubicoli e piccole sale conferenze dalle vetrate tirate a lucido.

Alla fine, salirono una breve scala di legno e metallo, che conduceva a una sorta di piano rialzato su cui un paio di battenti di legno massiccio davano l'accesso ad una sala vetrata su tre lati, ricca di vegetazione all'esterno, con un lungo tavolo ovale in radica a cui erano accostate una dozzina di comode sedie girevoli dai sedili in pelle.

Il paesaggio urbano brillava oltre le finestre a tutta altezza, proiettando un bagliore argenteo sul tavolo da conferenza lucido. Izuku raddrizzò la postura e fece un respiro profondo, ammirando la meticolosa disposizione di blocchi per appunti e penne davanti a ogni sedia.

L'aria profumava di vaniglia e Katsuki si allontanò verso un tavolino basso su cui era posta una macchinetta per l'espresso con le capsule. «Vuoi?», chiese a Izuku, senza neppure degnarsi di guardarlo, attendendo solo che il guinzaglio perdesse di tensione, segno che l'altro ragazzo si stava avvicinando.

«No, grazie.», e Izuku attese che il gorgogliare meccanico terminasse per provare a placare per un po' la propria curiosità, mentre Katsuki sorseggiava con calma il caffè, osservando fuori dalle vetrate gli alti palazzi che circondavano quel grattacielo, nel distretto commerciale di Musutafu.

Izuku non poté fare a meno di dare un'occhiata all'espressione assorta di Katsuki, chiedendosi quali pensieri si nascondessero dietro quegli occhi infuocati.

«Ho qualcosa in faccia?», chiese il biondo con stizza, incrociando ancora una volta lo sguardo di smeraldo dell'altro ragazzo.

«Uh, no...», balbettò Izuku, con il calore che gli saliva alle guance. «Sono solo...».

«Solo?»

«...curioso... Sei uscito ieri sera, vero?», azzardò con esitazione, con quel sentimento di interesse che gli prudeva in gola. «Hai incontrato qualche amico o qualcosa del genere?»

Gli occhi di Katsuki si spostarono brevemente verso di lui, il suo sguardo era freddo e guardingo. «Non credo siano affari tuoi.».

Izuku si morse il labbro, rimproverandosi per aver fatto una domanda così indiscreta. Tuttavia, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che il comportamento serio di Katsuki fosse in qualche modo legato alla loro situazione attuale. Tornò con la mente a quella mattina, ricordando lo sguardo intenso che lui le aveva rivolto, uno sguardo che la diceva lunga sulle sue aspettative e sul peso della responsabilità che gravava sulle sue spalle.

«Perché credevo di averti offeso in qualche modo e volevo scusarmi.», aggiunse poi. «Mi sembrava troppo strano, tutto qua... Coincid-».

«Fai lavorare di meno quel cervello bacato che hai.», tagliò corto il biondo. «E poi te lo ripeto: non sono affari tuoi.»

Poi, come se percepisse lo sconforto dell'Alpha, Katsuki sospirò pesantemente, accartocciando il bicchierino vuoto e gettandolo nel cestino accanto alla macchinetta, passandosi poi una mano a ravvivarsi i capelli. «Senti... Non importa dove mi trovavo, va bene?», e gli si avvicinò di nuovo, una mano allungata verso il collo dell'Alpha, incerta. «Ora, per favore, concentrati solo su ciò che ti ho chiesto. Abbiamo una lunga mattinata davanti a noi!».

E così dicendo, il moschettone che legava il guinzaglio al collare scattò, lasciando Izuku improvvisamente libero e incredulo, mentre Katsuki gli sistemava il nodo della cravatta e gli lisciava un paio di pieghe della giacca.

Izuku si ritrovò ad annuire con forza in risposta, gli occhi che si inumidivano; avrebbe dimostrato di essere più di un mansueto Alpha, e forse, così facendo, avrebbe potuto guadagnarsi il rispetto e la fiducia di Katsuki, che si era voltato di nuovo, penieroso, verso le grandi vetrate, quando entrambi udirono un vociare sommesso provenire dall'esterno.

Masaru aprì con cura i battenti della porta, che si mosse silenziosa sui cardini, mentre la risata argentina di Mitsuki rompeva la quiete di quella sala. «Eccoci!», annunciò con enfasi e con un gesto plateale del braccio a mostrare la raffinatezza di quella sala riunioni così anticonvenzionale.

«Non eravamo mai stati quassù.», espresse stupore un uomo imponente, dalla voce profonda e lo sguardo arcigno, di un celeste profondo in netto contrasto con i capelli rosso fuoco, mentre osservava quella stanza compiaciuto.

«Questa è una delle piccole perle della Bakugō Corporation!», lo scortò Masaru, ponendogli una mano sulla spalla, invitandolo ad accomodarsi sulla curva più lunga del tavolo ovale. «L'ho voluta e arredata io.».

«Deve esserne orgoglioso Masaru-san!», disse una giovane donna, che si avvicinava all'omaccione con passo leggero, avvolta da un vestito a fiori leggero e da una nuvola di tenue profumo di gelsomino.

Katsuki si avvicinò al tavolo, tendendo una mano verso l'uomo, che trasalì a vedersi accanto quel giovane taciturno. «Siamo onorati di averla qui, Todoroki-san.».

L'uomo saettò lo sguardo dal ragazzo alla coppia che aveva di fronte. «Nostro figlio...», disse la donna con un sorriso pieno e l'orgoglio nella voce.

«Bakugō Katsuki. È un piacere per me incontrarla di persona.».

L'uomo afferrò e strinse con decisione la mano del ragazzo. «Finalmente conosco il ragazzo prodigio!», rispose con tono gioviale. «Devi avere l'età di mio figlio, giusto Mitsuki?».

Mentre la donna annuiva, un ragazzo si avvicinò a loro con passo lieve e sguardo indecifrabile, allungando una mano nella direzione di Katsuki. «Shōto.»

La stretta era debole e fredda e a Katsuki venne un moto di fastidio che dovette sopprimere con un sorrisino di circostanza.

«Io sono Fuyumi!», si allungò la ragazza, una Beta dallo sguardo gentile, mentre gli occhiali le scivolavano lungo il naso e li tirava su con un gesto rapido della mano libera. «È un piacere incontrarti!»

«Anche per me.».

«Vuoi un caffè Enji?», chiese Masaru. «Qualcuno vuole del caffè?».

Sembrava una festa, non certo un meeting di lavoro. O, meglio, a Izuku non sembrava affatto un meeting di lavoro, se non fosse per i vestiti più eleganti o ricercati, come quello che aveva quel tale dai capelli bicolori, un completo blu cobalto con dei riflessi intricati e particolari.

«E lui?», chiese con voce argentina e tono curioso Fuyumi, pur facendo mezzo passo indietro quando s'era accorta della presenza i un Alpha dietro al biondino.

Izuku poteva sentire l'inquietudine rotolare via da lui a ondate, riempiendo la stanza di un'energia palpabile.

«Ah, lui? È Izuku. Il mio Alpha.».

A quella frase il ragazzo s'irrigidì sul posto, osservando Katsuki che sfoggiava un'espressione stranamente calma e serena.

«Bu- buongiorno.» riuscì a dire, deglutendo nervosamente mentre allungava la mano verso i Todoroki. Fu accolta con fredda indifferenza da Shōto, mentre la stretta di mano di Fuyumi fu ferma, ma cortese. Mentre le loro mani si sfioravano, Izuku notò lo sguardo fugace dell'Omega indugiare sul suo viso, con la curiosità che balenava dietro i suoi occhi eterocromatici.

«Un Alpha senza guinzaglio...» Shōto rifletté, con tono tranquillo. «Devo dire che è abbastanza inaspettato.».

«È un problema?». Katsuki scattò, irritato da quella constatazione.

Izuku era oggettivamente rimasto affascinato dai bei lineamenti, dal portamento e dai gesti aggraziati di Shōto, perché c'era qualcosa di enigmatico in lui che sembrava attirarlo.

«Certo che no!», intervenne Fuyumi, lanciando al fratello un'occhiata di avvertimento, mentre agitava le mani per distogliere l'attenzione dei due Omega l'uno dall'altro. «Siamo felici che anche voi siate una famiglia progressista, proprio come la nostra! Natsuo ormai è abituato a girare senza guinzaglio...» e il suo sguardo si spostò verso il padre, accanto al quale stava, immobile come una statua, un giovane uomo, più o meno della stessa stazza del padre, i capelli così chiari da risultare bianchi e due occhi grigi e taglienti, che saettarono nella loro direzione, gelando sul posto chiunque lo stesse osservando. Solo Fuyumi lo salutò con un movimento delicato delle dita, ricevendo un sorriso pieno da dietro la museruola nera, perfettamente in tinta col completo che l'Alpha indossava con disinvoltura.

«Che ne dite?», proruppe Enji Todoroki, gettando il bicchiere di carta nel cestino. «Cominciamo?».

Era un Omega di spicco che lavorava nel campo sportivo, possedendo un paio di squadre di football e detenendo partecipazioni in altrettante squadre di baseball negli Stati Uniti. Il suo contegno, tornato serio e arcigno, non lasciava dubbi sul fatto che sarebbe stato lui a condurre la conversazione.

I suoi figli si mossero nel seguirlo, e il taciturno Omega dai capelli bicolori lanciò un ultimo sguardo fugace a Izuku, un attimo prima di accomodarsi al tavolo.

Gli occhi di Izuku si soffermarono invece su Natsuo, mentre la sua mente correva, piena di domande, con il cuore che rallentava nel petto. Poteva sentire il peso degli occhi di Katsuki addosso, ma non riusciva a scrollarsi di dosso quell'invidia malevola che iniziava a consumarlo pian piano.

Sembrava che i posti a quel tavolo fossero già assegnati e Izuku si ritrovò a prendere posto alla sinistra di Katsuki, che lo invitava a sedersi accanto a lui battendo la mano sullo schienale della poltroncina.

Di fronte a lui, i tre figli dei Todoroki, col maggiore che se ne stava a braccia conserte in piedi, dietro il padre, a proiettare un'ombra cupa sul genitore e sul tavolo.

«Come hanno fatto...», sussurrò Izuku ad un tratto, non osando distogliere lo sguardo dagli occhi chiari di Natsuo.

Katsuki si sporse, sentendo quel borbottio sommesso divenire più fastidioso del blaterare di sua madre che presentava la nuova collezione di divise da football. «Mh?».

Anche Izuku si inclinò per meglio sussurrare all'orecchio di Katsuki: «Hanno un figlio Alpha. Come hanno fatto a non doverlo rinchiudere?».

Katsuki si mosse appena, un gesto speculare rispetto a quello di Izuku, sussurrando a sua volta una risposta, troppo dura: «Soldi e potere.», tagliò corto il biondo, fingendo un'espressione di cortesia, restando vicino all'Alpha che gli era seduto accanto. «Chi ha l'influenza e i soldi ottiene tutto. E i figli Alpha stanno a casa se la famiglia ha abbastanza denaro per aggirare la legge o per piegarla a proprio vantaggio.»

Un misto di shock e indignazione inondò le vene di Izuku mentre elaborava le parole di Katsuki. L'ingiustizia di tutto ciò gli bruciava nel petto, minacciando di riversarsi in un torrente di rabbia, mentre abbassava il capo ad osservare quel cordone di cuoio che era il suo guinzaglio, arrotolato stretto sotto il tavolo tra le mani nervose di Katsuki.

Mentre si crogiolava nella sua disperazione, sentì un calore inaspettato sulla sua coscia. Abbassò lo sguardo e vide la mano di Katsuki appoggiata lì, che lo accarezzava delicatamente. Anche se si era preparato per un rimprovero o un'osservazione sarcastica da parte dell'Omega, fu invece accolto con una tenerezza sorprendente.

Fu quel gesto inaspettato a farlo calmare. E parole non dolci, ma comunque confortanti.

«È ingiusto, lo capisco.», gli disse piano Katsuki, sporgendosi per cercare il suo sguardo, una mano che lasciava il guinzaglio e si posava piano sulla coscia di Izuku. «Ma non lasciare che questa cosa ti tocchi.».

«La fai facile...», concluse, mettendosi di nuovo composto, una scrollata alla gamba destra per fare in modo che Katsuki togliesse la mano dalla sua coscia.

Sapeva che il biondino lo stava guardando, probabilmente pure con una buona dose di astio, ma non gli importava.

Fece scattare il pulsante della penna che aveva di fronte, aprendo il blocco di appunti, il foglio immacolato sotto i suoi occhi. Doveva distrarsi, perché tanto non gliene fregava nulla di ciò che stavano discutendo.

Mosse la penna, poche righe sulla carta, appena accennate, a dare struttura a una figura. Gli occhi verdi saettavano dal foglio alla figura di Mitsuki, in piedi, che illustrava con ampi gesti ciò che tutti avrebbero potuto tranquillamente osservare proiettato su un pannello bianco montato su un cavalletto.

Quelle poche linee sul foglio, spigolose, diedero vita a un ritratto stilizzato della donna, avvolta in un tailleur elegante color crema.

Una madre.

Ecco cosa aveva disegnato. Cosa stava abbozzando di quel volto appassionato, non accorgendosi di due paia di occhi che invece osservavano i suoi occhi inumidirsi e il movimento aggraziato di quella penna sul foglio.

Katsuki allontanò la sedia dal tavolo, alzandosi con noncuranza, una mano posata velocemente tra i ricci verdi di Izuku, in una specie di carezza, un invito a volgere la sua attenzione ad altro. «Vieni.».

Izuku ci mise qualche secondo per obbedire e alzarsi, il capo ancora abbassato, mentre seguiva Katsuki, che era andato semplicemente a versarsi un bicchiere d'acqua e a prendersi un caffè.

Masaru li osservò, un mezzo sorriso sulle labbra e uno sguardo fugace alla moglie: «Pausa?». Era innocente il tono dell'uomo, che venne accolto con mezza risata anche da Todoroki, che, con la stessa cadenza e gli occhi azzurri che saettavano verso il giovane Bakugō: «Caffè?».

La risata dei due uomini fece voltare Izuku nella direzione del tavolo, lo sguardo intristito rivolto tutto verso Natsuo Todoroki, che conversava amabilmente con la sorella, accucciato di fronte a lei, al suo livello, occhi negli occhi.

La mente di Izuku arrotolava i pensieri attorno all'ingiustizia del mondo in cui vivevano. Non poteva fare a meno di provare un misto di rabbia e tristezza, sapendo che persone come Natsuo Todoroki erano in grado di sfuggire alla dura realtà che gli altri affrontavano, semplicemente perché nati nella parte giusta di quella società, quella che grazie alla ricchezza e allo status, poteva permettersi ogni cosa.

«Non credere che siano così perfetti.», parlò piano Katsuki, mentre gli porgeva il bicchiere d'acqua fresca.

«Non lo sono?», ma la voce era atona e, anche se prese distrattamente il bicchiere, non ne bevve neppure un sorso, cosa che neppure Katsuki fece col proprio caffè, lasciandolo a intiepidirsi nel bicchiere.

«Izuku, giusto?».

Entrambi trasalirono e si voltarono quando udirono la domanda di Shōto, che si era accostato a loro per farsi un caffè.

Una lieve gomitata lo colpì al braccio, mentre Katsuki decideva finalmente di bersi il suo caffè, gli occhi rossi assottigliati a osservare quel damerino in completo damascato.

«S-sì.».

«Perdonami, ma ho dato una sbirciata al tuo disegno, Izuku.», disse Shōto mentre mescolava la bustina di zucchero nel caffè con movimenti lenti e misurati, la sua voce che portava un calore che sembrava avvolgere Izuku come una cosa tangibile, assieme a quel profumo soave, dolce, ma non stucchevole, rinfrancante e rasserenante. Fresco. «Hai del talento.»

Izuku sbatté le palpebre, colto alla sprovvista da quel complimento che sembrava più intimo di quanto avrebbe dovuto. Cercò di trovare le parole, ma si persero nell'improvviso bagliore di fastidio che si accese accanto a lui.

«Stronzate.», ringhiò Katsuki, il cartoncino del bicchiere torturato tra i denti, mentre li fulminava entrambi con lo sguardo. «Non ha bisogno che tu gli lecchi così il culo.»

Le parole del biondino bruciavano, dure e piene di quel tipo di veleno che solo Katsuki sapeva infondere in una singola frase.

La bocca di Izuku fece per aprirsi, ma prima che potesse parlare, Shōto si fece avanti, il tono pacato e misurato, mentre i suoi occhi eterocromatici non smettevano di fissare il volto lentigginoso di quel ragazzo dagli occhi verdi e l'espressione tanto triste.

«Katsuki la tua aggressività è inutile. Stavo semplicemente riconoscendo i talenti di Izuku, che sono, francamente, più che degni di nota

Izuku guardò prima l'uno e poi l'altro, con il cuore che gli batteva forte nel petto, combattendo il brivido che gli voleva far accapponare la pelle delle braccia e della nuca, mentre quei due erano chiaramente intenzionati a mantenere le loro posizioni: uno infuriato, l'altro calmo come l'acqua morta. Si sentiva preso in mezzo, ma stranamente protetto dalla presenza composta e dalle parole di Shōto.

Era una strana sensazione, essere difeso, e Izuku non era sicuro se intervenire o lasciare che il momento si svolgesse come avrebbe dovuto.

Abbassò lo sguardo solo quando qualcosa gli afferrò il fianco: la mano sinistra di Katsuki lo stava obbligando, con tocco deciso, a mettersi dietro di lui, l'odore di qualcosa di troppo cotto che sottolineava quel comando non verbale.

«Ti ringrazio, Shōto.», disse con un sorriso abbozzato., obbedendo all'Omega biondo. «Mi sono solo esercitato per molto tempo.».

Ed era vero. Ma il gorgoglio basso che percepì provenire da Katsuki fermò qualsiasi altra sua parola.

Come se nulla fosse accaduto, Shōto si versò un bicchiere d'acqua con una lentezza disarmante.

«Mi piace il tratto deciso che hai.», e bevve un sorso, puntando di nuovo lo sguardo su Izuku, abbozzando un sorriso. «Hai mai pensato di fare dei ritratti?».

Il ragazzo raddrizzò il collo e osservò l'Omega con curiosità.

Aveva fatto dei ritratti, sì. Ma era il modo che lui aveva per ricordarsi i volti di Alpha che, come lui, erano rinchiusi nel Rifugio. O per avere razioni di dolce in più in mensa, quando disegnava per qualcuna delle guardie.

Non sapeva cosa rispondere e s'irrigidì quando Katsuki fece mezzo passo verso l'altro Omega. «Taglia corto. Che vuoi? Che ti faccia un ritratto?».

Shōto inclinò la testa, lo sguardo che passava dall'uno all'altro, svogliato, annoiato. «E se fosse? Vuoi che ti chieda un permesso in carta bollata?», lo schernì, abbozzando poi un sorriso verso Izuku. «Vorrei che facessi dei disegni per me. Non mi servono dei veri e propri ritratti. Solo... Bozzetti.». Passò poi ad osservare Katsuki, dritto in quei suoi occhi di rubino. «Riusciresti a fargli creare un portfolio?».

«E per cosa?».

«Una campagna pubblicitaria. Vuoi i dettagli adesso?».

Katsuki schioccò la lingua sul palato. Un fugace sguardo ai genitori, che ancora stavano chiacchierando vicino al tavolo. «Ti costerà. Parecchio.».

Il ragazzo alzò le spalle, uno sguardo veloce all'Alpha dietro il biondino: «Dimmi un prezzo.».

A Izuku si fermò la saliva nella gola e il cuore sembrò battere così lentamente che ebbe il timore che si fermasse. Una sensazione di gelo gli percorse le membra e fece mezzo passo dietro a Katsuki, un uggiolio sommesso che gli uscì dalla gola e fece voltare nella loro direzione Mitsuki.

«Ci ragiono, principino. Adesso smettila di metterlo in difficoltà.».

Shōto sbatté più volte le palpebre, l'espressione fintamente offesa e una giustificazione inutile rilasciata a labbra dischiuse. «Perdonami, sono stato forse inopportuno, Izuku?».

"...e fingi, se necessario."

Il ragazzo interpellato mosse la testa in diniego, abbozzando un sorriso: «No-non preoccuparti. Se poi hai qualche idea più precisa, basta che tu me lo faccia sapere, Shōto.».

Il modo in cui quell'Alpha strascicò le lettere del suo nome portò a far sorridere l'Omega, più di quanto tutti avessero potuto vedere in quella giornata.

Ed era uno spettacolo da vedere, con gli occhi che si socchiudevano un poco, gli zigomi perfetti che si sollevavano.

«Andiamo a finire questa riunione.», scandì Katsuki con un ringhio, afferrando il braccio di Izuku e tirandoselo dietro, mentre la risata fastidiosa di Todocoso arrivava alle orecchie, facendogli ribollire il sangue.

«T-ti fermi?», piagnucolò sottovoce Izuku, che venne seduto a forza sulla sedia girevole.

«Facciamo i conti dopo.», mormorò il biondino di rimando, prendendogli il blocco da disegno da sotto il naso e chiudendolo con stizza. «Stupido Alpha.»

Izuku deglutì, cercando di mantenere la postura e il contegno che aveva assunto fino a qual momento, pregando che nessun altro si fosse accorto di quello scambio di battute sussurrate.

Ma così non fu e, con il passare dei minuti e delle ore, Izuku si ritrovò ad essere sempre più annoiato e distratto dalla presenza di Natsuo e di Shōto.

L'uno perché la sua espressione stoica e il suo atteggiamento impassibile e inamovibile dietro le spalle del padre gli facevano venire i brividi e i suoi pensieri, ciclicamente tornavano a farlo interrogare sul tipo di vita che conduceva quella famiglia. L'altro perché quegli occhi freddi e magnetici continuavano ad osservarlo, una punta di compiacimento nello sguardo.

Mentre la conversazione proseguiva, non poté fare a meno di ricambiare quelle occhiate occasionali a Shōto, stuzzicato comunque dal suo comportamento enigmatico. Si chiese quali pensieri si nascondessero dietro quegli occhi di ghiaccio. Si domandò se anche su di lui gravasse il peso delle aspettative per quella giornata. Perché lo vedeva così calmo e sicuro di sé, perfetto nel ruolo di rampollo di una grande famiglia.

"Non credere che siano così perfetti."

Non lo erano forse? Benedetti dalla genetica, baciati dalla fortuna. Avevano tutto ciò che un essere umano potesse desiderare: fascino, soldi, onore, potere. Si chiese come sarebbe stato crescere in una famiglia così, anche da Alpha. Forse Natsuo non lo trattavano male. Lo vedeva da come parlava con la sorella, come la ascoltava con gli occhi spalancati, quanta dolcezza lei ci mettesse nel toccargli anche solo la spalla o un braccio.

Invidiava quel rapporto, che lui non aveva mai avuto con nessuno, neppure prima di scoprire il secondo, maledetto, genere.

Nel bel mezzo delle sue riflessioni, Izuku si rese conto di aver perso più un punto cruciale della riunione. Fece scorrere rapidamente gli occhi sull'ultima slide, sforzandosi di prestare attenzione all'argomento di discussione.

In fondo, anche stare attenti equivaleva a fare belle figura, no?

Quando l'incontro volse finalmente al termine, Izuku sentì un'improvvisa ondata di sollievo travolgerlo. Nonostante la pesantezza nel suo cuore, non poteva negare il piccolo senso di realizzazione che derivava dall'aver superato quella prova, come se fosse un piccolo debutto in società.

"Il mio Alpha."

Aveva detto questo Katsuki giusto? L'aveva detto con quel tono calmo da fargli annodare lo stomaco. Sarebbe mai stato vero?

Avrebbe mai potuto davvero essere considerato il suo Alpha? Non perché gli piacesse (aveva un carattere di merda, ma solo perché non riusciva a trovare un sinonimo), ma perché si sentisse accettato da qualcuno.

Perché nella sua testa, per quanto Mitsuki e Masaru l'avessero accolto a casa loro e nelle loro vite e questo gli riempisse il cuore, con Katsuki sarebbe stato diverso.

Avrebbero dovuto essere compagni, con tutto ciò che questo termine per legge implicava. Ma Katsuki l'avrebbe mai accolto davvero? O avrebbe continuato a sbandierare che lui era il suo Alpha solo per mettere in chiaro le cose? Solo per mantenere le apparenze?

«Sei stato bravo, tesoro!», mormorò Mitsuki, aggrappandosi alla sua spalla per tirarlo alla sua altezza, lasciandogli un bacio lieve sulla fronte, cogliendolo di sorpresa. Mentre la donna usciva, affiancata da Fuyumi e seguita a ruota dal padre di quest'ultima e da Masaru, nella sala riunioni furono proprio Natsuo e Shōto ad attardarsi per salutare gli altri due giovani partecipanti alla riunione.

L'Alpha dai capelli bianchi non si prese neppure la briga di stringere la mano che Izuku gli porgeva, preferendo salutarlo con una poderosa pacca sulla spalla che lo fece quasi vacillare. «Spero di rivederti presto, Dōshi*! E vedi di mettere su qualche muscolo, mi raccomando.».

Il giovane rimase un po' interdetto da quell'affermazione, che gli sapeva tanto da presa in giro, quasi quanto il sorriso che tirava le labbra di Shōto mentre lui lo salutava con una calorosa stretta di mano.

«Mi piacerebbe che fissassimo un incontro per parlare di quella cosa

«Scordatelo.», berciò Katsuki, facendo un passo di lato a coprire in parte la figura di Izuku.

«Suvvia, Bakugō. Non mi dirai che sei così retrogrado da non lasciare che il tuo Alpha esprima al meglio i suoi talenti!», lo canzonò il bicolore, per il puro gusto di provocarlo, di vederlo contrarre la mascella dalla rabbia.

Non gli andava a genio quel damerino. Non gli andavano a genio i suoi modi né come aveva continuato a guardare l'Alpha dietro di lui per tutto il tempo.

«Te l'ho detto. Fissa un prezzo.», e i suoi occhi chiari saettarono di nuovo verso il volto di Izuku, che ora stava osservando solo il suo Omega, non sapendo bene cosa fare per calmarlo né per evitare che la cosa degenerasse, anche solo verbalmente.

Forse dargli sostegno a parole non sarebbe servito e ipotizzò che, come lui aveva fatto prima, così poteva fare altrettanto: allungò una mano, le dita a sfiorargli delicatamente i capelli corti sulla nuca, per poi posare il palmo sul suo collo e rilasciare un po' di odore. Poco, quel che bastava per fargli arrivare alle narici un fresco profumo di erba umida.

Quello che risultò inatteso, anche per Shōto che stava a osservarli, fu la reazione di Katsuki che si irrigidì e trattenne il respiro, le narici aperte, gli occhi spalancati di un terrore puro. A vedere quelle iridi rosse che progressivamente si coloravano di scuro, con la pupilla che inghiottiva quasi tutto il colore, Natsuo ringhiò, prendendo il fratello per un braccio ed allontanandolo di qualche passo. «Meglio se andiamo via, Sho'.»

Nello stesso istante, anche Izuku lasciò la presa, un passo indietro, infastidito da un forte odore di bruciato. Fu questione di un secondo, che bastò tuttavia per fargli gelare il sangue nelle vene.

Lanciò una fugace occhiata ai due Todoroki che, seppur incuriositi, stavano lasciando a passo svelto la sala.

«Katsuki?».

Il cuore gli affondava nel petto all'idea di aver fatto tutto sbagliato, di aver tirato troppo la corda, di aver infranto ciò che gli aveva promesso solo poche ore prima.

Il biondo riprese a respirare, un debole affanno che lo portò a muoversi, veloce, verso il tavolo, poggiare le mani sullo schienale morbido di una sedia e chinare il capo per riprendere una parvenza di umanità.

«Ka-atsuki? Ho sbagliato qualcosa?».

Il ragazzo si girò lentamente verso l'Alpha, gli occhi assottigliati e uno sguardo furioso, che fece tremare Izuku per l'intensità della paura che stava provando e per quel fastidioso odore di caramello bruciato che si stava espandendo nell'aria. «Se hai sbagliato qualcosa, mi chiedi?», gli ringhiò contro Katsuki, il volto arrossato dalla collera. «Ti avevo chiesto di fingere!».

«Ma se è quello che ho fatto!».

«Ah sì? Anche tutto il tempo che sei stato a fissarlo era una finta?».

«Ero curioso!»

«Di cosa? Di quella faccetta da cazzo?», Katsuki alzò il tono di voce e si staccò dal tavolo, un paio di passi e un dito puntato contro il petto di Izuku, gli occhi cremisi in quelli verdi e increduli dell'Alpha. «Ho visto bene come ti fissava quel damerino di merda!»

«Non è che gli ho chiesto di fissarmi in quel modo!», Izuku strinse i pugni, con un misto di frustrazione e ansia che lo continuava ad attraversare.

«Smettila di essere così imbranato, Deku!», sbottò Katsuki, chiaramente irritato dal comportamento di Izuku arrivando anche ad offenderlo. «Come se non sapessi chiaramente cosa volesse da te!».

Tornò verso il tavolo, aprì il blocco e prese il foglio disegnato senza neppure guardarlo, sventolandoglielo in faccia appena fu di nuovo davanti a lui. «Vivi ancora nel mondo dei sogni, ah? Svegliati fuori, idiota! Ritratti e disegnini di merda? Questo credi che volesse?». E accartocciò il foglio tra le mani, gettandolo poi a terra.

«Ti ho già avvisato: stai lontano da persone di quel tipo. E tu che fai? Gli dai corda!», urlò. Ancora più infuriato.

«Mi ha chiesto un disegno! Cosa dovevo fare?».

«Dire di no! Dire che non eri interessato. Tirare fuori i coglioni che evidentemente non hai e dire che non c'è un prezzo per te!».

Izuku sbatté le palpebre, stranito dalla piega che stava prendendo quel discorso. Per cosa era così infastidito? Per la richiesta di Todoroki? Per il fatto che non aveva rifiutato palesemente?

«Cosa stai cercando di dirmi, scusa? Che ti ha infastidito il suo interesse nei miei confronti?». Katsuki era incazzato perché era... «Sei geloso di me per caso?», gli chiese, esitante, con un pizzico di sarcasmo che si insinuava nella sua voce, nonostante i suoi migliori sforzi per reprimerlo.

Quella parola restò sospesa nell'aria, carica e pesante. Il cuore di Katsuki gli martellava contro le costole, un feroce diniego era sulla punta della sua lingua.

«Geloso?» chiese Katsuki con uno sbuffo di scherno e, preso nel fuoco incrociato delle sue stesse emozioni, lottò per trovare le parole che avrebbero allargato il divario tra loro.

«Geloso?», ripeté, facendosi beffe di lui, con le sopracciglia che si alzavano incredule. «Non me ne frega un cazzo se ti vuoi far davvero trattare come una puttana!».

«Katsuki, stavo solo cercando di supportarti. Pensavo che avrebbe aiutato ad allentare la tensione...».

«Ammettilo, almeno. Ammetti che ti piaceva come ti guardava! Alla fine, sei solo come tutti gli altri...».

Izuku sentì un misto di vergogna e indignazione sgorgare dentro di lui. Poteva anche essere un misero Alpha, uguale a tanti altri in un mondo di Omega, ma era stanco di essere trattato come una persona di seconda scelta.

«Forse perché Shōto sembrava interessato a conoscermi mentre tu hai solo finto una premura che non hai!» Izuku alzò la voce e fece un passo avanti, gonfiando il petto, incapace di fermarsi, mentre Katsuki stava cercando di mantenere le distanze. Sembrava che, per quanto volesse il contrario, ci sarebbero sempre state delle barriere tra loro due.

«Finiscila di dire stronzate!».

Il cuore di Izuku si strinse quando Katsuki lo fissò, con gli occhi ardenti come braci e il disprezzo nello sguardo. «Ascoltami attentamente, Deku.», sibilò il biondo a denti stretti, con le dita che, nella tasca dei pantaloni, giocherellavano col comando del suo collare. «Non ci sarà una prossima volta con quello stronzo.».

«Perché?».

Un passo avanti di Izuku.

«Perché lo dico io.»

Un passo indietro di Katsuki, profondamente a disagio per quell'avvicinamento.

Izuku fece un timido passo avanti, con le mani alzate in un gesto di pace: «Parlami. Dimmi cosa sta succedendo veramente...», piagnucolò, seguendolo solo per farsi spiegare. Bastava un motivo, uno futile. Se anche avesse ammesso la sua minima gelosia per una cosa di sua proprietà gli sarebbe bastato

«Stai distante.».

Voleva che andasse bene.

Era stufo delle urla, stufo di essere preso a male parole.

Non gli bastava che fossero solo stronzi.

E aveva così tante domande in testa che quasi non pensava più lucidamente a ciò che faceva.

«Stammi lontano!». La voce di Katsuki era tagliente, una punta di odore acre dettato dalla paura fendeva l'aria mentre il ragazzo inciampò all'indietro. Il suo tallone si sbatté contro la base di una sedia, facendolo finire contro il pesante tavolo, impedendogli la ritirata e intrappolandolo sul posto. Il legno massiccio premeva contro il suo sedere, gli occhi saettavano per cercare una via di fuga, l'odore fastidioso di bruciato che si espandeva a seguito del suo stato di allarme.

Izuku si rese subito conto dello sguardo atterrito che lo fissava, e dell'improvviso blocco che tutto il corpo del biondo aveva subito.
«Katsuki... Non ti faccio del male, calmati...», assicurò, con le mani che si libravano esitanti, come se avesse paura di rompere una fragile tregua.

«Non toccarmi!».

Le parole di Katsuki erano un ringhio gutturale, i suoi pugni serrati lungo i fianchi. Il suo petto si sollevava con respiri rapidi, gli occhi che guizzavano alla ricerca di una via di fuga che per lui non esisteva. L'odore della sua angoscia riempì la stanza, un miscuglio pungente.

La porta si spalancò con uno schianto, e la voce di Mitsuki squarciò la tensione come un coltello. «Izuku, fermati!» Il suo comando portava il peso dell'autorità e della preoccupazione di una madre per suo figlio.

Ma il suo avvertimento arrivò forse troppo tardi: il dolore attraversò Izuku mentre una scossa elettrica percorreva il suo corpo dal collo fino alle dita dei piedi. Gridò, crollando sul pavimento, accartocciato su se stesso, con ogni muscolo che si tendeva e spasimava in modo incontrollabile. Con gli occhi pieni di lacrime, alzò lo sguardo verso Katsuki, alla ricerca di un briciolo di pietà o rimorso, ma non ne trovò.

«Mitsuki! Fallo smettere!».

L'arrivo di Masaru fu per lui una salvezza: vide i suoi occhi, spalancati in allarme, mentre, senza esitazione, si inginocchiava accanto a Izuku e Mitsuki toglieva dalle mani del figlio il telecomando del collare, spegnendolo.

Il silenzio cadde come una coperta soffocante, punteggiato solo dal suono aspro del respiro irregolare di Katsuki e dai rantoli dolorosi di Izuku mentre giaceva contorcendosi sul pavimento, con le scosse di assestamento della corrente elettrica che ancora lo attraversavano.

«Calma adesso, Izuku...», mormorò Masaru, la sua voce faceva da dolce contrappunto al ronzio fastidioso che percepiva nelle orecchie; le sue mani si muovevano in deboli carezze sui suoi capelli e sulle braccia contratte nel tentativo di calmare gli spasmi delle scosse.

Dall'altra parte della stanza, le mani di Mitsuki erano ferme mentre stringevano il viso di Katsuki, distogliendo lo sguardo da quella vista angosciante. I suoi pollici asciugarono la lucentezza delle lacrime sulle sue guance, il suo tocco era dolce come il suo odore, mentre cercava di rassicurarlo silenziosamente. L'odore acuto della paura di Katsuki persisteva, ma sotto di esso, Mitsuki rilevava le deboli tracce di qualcosa di zuccherino. Gli sussurrò di calmarsi, di fare respiri profondi, anche se gli occhi del ragazzo non lasciavano mai la forma rannicchiata di Izuku.

Per un momento il tempo sembrò fermarsi, l'aria carica di tensione e paure inespresse. Gli occhi di Mitsuki incontrarono quelli di Masaru in una conversazione silenziosa che scorreva come acqua placida tra loro.

Le loro sopracciglia si aggrottarono in una preoccupazione speculare, entrambi profondamente consapevoli della fragilità della situazione che si stava svolgendo di fronte a loro.

La mano di Masaru si spostò sulla spalla di Izuku, offrendo una stretta gentile intesa a ancorare il ragazzo al presente, mentre l'abbraccio di Mitsuki attorno a Katsuki si strinse per ricordargli la sicurezza, la famiglia. E mentre i tremori cominciavano a placarsi e i respiri si facevano meno affannosi, la stanza si riempì della cauta speranza che il peggio fosse passato.

Per ora.

I been waitin' all my life
To live, when I've only been dreaming
Get love when I've only been stealing
Can't let time keep passing me by
Run down what I've always been chasing
Black out every fear I've been facing
~ The Score ~





     

*Compagno, in senso politico

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