Capitolo 8: Sulla strada e fino a Brea
Ignaro degli eventi che stavano accadendo nel resto della Terra di Mezzo, Frodo stava attraversando le strade della Gente Alta, fuori dalla Contea.
Con lui c'era il fidato Sam, e al duo si erano uniti Merry e Pipino, per il piacere della compagnia.
I due erano all'oscuro del vero scopo di quel viaggio, ma Frodo li aveva accolti comunque, ben convinto che le cose sarebbero andate lisce e tranquille.
Dopotutto, avrebbero incontrato Gandalf a Brea, alla taverna del Puledro Impennato, e tutto si sarebbe risolto.
Stavano camminando allegramente, con Merry che suonava uno zufolo e Pipino che raccoglieva funghi chiodini dal lato della strada, mentre gli uccellini cinguettavano e il Sole filtrava tra le fronde.
Chissà se anche Bilbo si era sentito così, quando Gandalf l'aveva reclutato per la sua avventura, anni addietro.
Frodo stava quindi camminando, riflettendo distrattamente sui racconti di Bilbo, quando si accorse di qualcosa di strano.
Qualcosa di innaturale.
Che fine avevano fatto i cinguettii degli uccelli?
Perché il Sole sembrava meno luminoso, come oscurato da nubi che pure non erano presenti?
Come mai i fruscii, gli scricchiolii, tutti i suoni tipici della foresta, sembravano amplificati, quasi stessero strisciando come tentacoli verso di loro, come nelle storie che raccontavano loro da bambini, sul perché fosse pericoloso giocare da soli in riva al fiume, o allontanarsi nel bosco, lontano dagli sguardi dei genitori?
Le ombre avevano sostanza.
"Allontaniamoci..." sussurrò ai suoi amici.
"Come hai detto?" chiese Pipino, esaminando un porcino di dimensioni ragguardevoli che aveva trovato nella sua ricerca di chiodini.
"Allontaniamoci!"
Si tuffarono in un fosso coperto ai lati della strada, rifugiandosi in una conca sotto il sentiero, da cui udirono qualcosa.
Un grosso cavallo, di sicuro non un pony Hobbit, spinto al galoppo.
Se si fossero sporti, avrebbero visto una figura ammantata di nero, con guanti e stivali d'armatura chiodata, dirigersi verso di loro su un grosso stallone nero come la pece.
C'era il vuoto sotto il suo cappuccio, il buio più oscuro, da cui proveniva un sibilo raspante e sinistro.
Tuttavia, nè i quattro Hobbit nè il Cavaliere Nero sapevano di essere osservati da un'altra figura.
----------------
Una figura intabarrata in un semplice manto marrone, che nascondeva le sue sembianze.
La sua vista soprannaturale, straordinariamente acuta, teneva d'occhio la situazione.
Vide Frodo tentato di mettersi l'Anello al dito, mentre il Cavaliere si faceva sempre più vicino, quasi sentisse l'afrore del piccolo cerchietto di metallo.
Proprio quando stava per intervenire, Frodo resistette alla tentazione, nascondendo ancora una volta l'Anello, e il Cavaliere montò nuovamente a cavallo, allontanandosi.
------------
La figura intabarrata sorrise, e si dileguò nella foresta.
C'era del potenziale, in quei giovani Hobbit.
------------
Poche ore dopo, quando il buio della sera cominciava già a calare, portando con sè la propria frescura, il quartetto di amici giunse in vista di Brea: riuscivano a vedere, dalla cima della collina boscosa su cui si trovavano, il fumo che usciva dai comignoli della cittadina, e la Gente Alta affaccendata nei suoi viavai quotidiani.
Fu quando, durante la discesa, giunsero in una piccola radura, che accadde l'incredibile.
Piccoli esseri, alti poco più della metà di loro, li circondarono, apparendo dal nulla in quelli che sembravano sbuffi di fumo.
Avevano arti gracili, e la testa sproporzionatamente grossa, con occhi gialli luminosi che permettevano di intuire una bocca seghettata, simile ad una tagliola.
Con uno strano rumore squittente, gli Shadow balzarono in aria e si gettarono all'attacco, puntando Frodo come dei cani da caccia.
Lo schiacciarono a terra con tutto il loro peso, cercando di ghermire l'Anello con le piccole dita artigliate, mentre Merry e Pipino urlavano, paralizzati dal terrore e dalla sorpresa, e Frodo si divincolava, cercando di togliersi quelle bestiacce di dosso.
Venne alleggerito dal peso che lo opprimeva per merito di un rumore metallico, e quando un'altra di quelle creature gli venne rimossa dalla faccia, vide il fido Sam colpire come una furia con una padella e un batticarne da tre etti e mezzo.
"Indietro!" urlò Sam, calciando uno Shadow via, a dissolversi contro un albero "Lasciate stare Padron Frodo!"
A vedere Sam all'opera per difendere l'amico, Merry e Pipino si riscossero e, raccolti dei grossi rami nodosi da terra, si unirono alla lotta, allontanando gli Shadow da Frodo per poi finirli a sassate.
In pochi istanti era tutto finito, ma i quattro Hobbit, non abituati alla violenza e al combattimento, avevano comunque il fiatone e il cuore che batteva all'impazzata.
"Cosa... cos'erano quelle cose?" domandò Merry, preoccupato.
Di sicuro non s'era mai visto qualcosa di simile, nella Contea.
"Forse..." azzardò Pipino "forse gli Orchetti o i Goblin delle storie di Bilbo e Gandalf?"
Frodo non ascoltò la discussione che ne scaturì, un'ombra pesava sul suo animo.
Come facevano quegli esseri a sapere dell'Anello?
Perché lo cercavano?
Come mai Gandalf non l'aveva messo in guardia?
Questi e altri pensieri si affollavano nella mente del giovane Hobbit, mentre il gruppetto riprendeva il cammino verso Brea.
Giunsero entro le mura di Brea che era ormai sera inoltrata, e l'acquazzone che era scoppiato riusciva a infradiciarli pur sotto i mantelli di tela cerata con cui si erano coperti.
Era davvero strana, la Gente Alta: a dispetto del nome, chi apparteneva a quella stirpe aveva le stazze più disparate, e molti non erano rotondi come gli Hobbit, al contrario.
Alcuni uomini avevano la pelle scura e scottata, e Frodo riflettè che dovevano essere la gente di mare di Umbar, di cui aveva sentito nei racconti di Gandalf.
C'erano i pallidi uomini del lontando Khand, e perfino Haradrim, che si coprivano con pelli di animali, senza dubbio per combattere il freddo a cui erano poco avvezzi.
Uno di loro, con una collana di denti di un qualche animale, di certo più grosso di un lupo, sedeva dietro ad una bancarella, coperta da una tenda per riparare la merce dalla pioggia.
Parlava, seppur con un forte accento tipico delle sue terre, la Lingua Corrente, e appena vide i quattro Hobbit, fece loro cenno di avvicinarsi.
"Venite, venite pure, fatevi avanti!" sorrise, mostrando una dentatura di un bianco smagliante e battendosi una mano sul pancione "Vedete qualcosa che può forse interessarvi, piccoli signori? È la prima volta che ho degli Hobbit come clienti, per cui posso promettervi fin da subito uno sconto in cambio di qualche bella storia tipica delle vostre terre!"
Cominciò a squadrarli, come cercando di capire cosa potesse fare al caso loro, fino a quando adocchiò la canna della pipa di Merry, che sporgeva dalla bisaccia.
"Ah, vedo che lei è un cultore del fumo, signor...?" domandò, cominciando a frugare sotto la bancarella.
"Brandibuck." rispose Merry, abbastanza guardingo "Meriadoc Brandibuck."
"Credo di avere quello che fa per lei, signor Brandibuck..." disse il mercante, sempre sorridendo, e mettendo sulla bancarella una scatoletta "Nelle mie terre non cresce l'Erba-Pipa di qui, ma abbiamo questa mistura, per quando vogliamo fumare qualcosa di aromatico: cardo e resina in polvere, insaporite con miele."
Aprì la scatoletta, e un profumo dolce raggiunse le narici dei quattro; Frodo sorrise, e Merry e Pipino si avvicinarono ulteriormente, ma Sam fu più prudente.
"Padron Frodo..." mormorò al suo datore di lavoro "ricordatevi di cosa dobbiamo fare... ci aspettano al Puledro Impennato."
"Oh, un uomo di un certo lignaggio!" rise il mercante, battendo le mani "Tanto da avere un fedele servitore."
"Sam è più che un servo." lo corresse Frodo "È un amico."
Il giardiniere Hobbit sorrise con modestia.
"Chiedo venia per la mia maleducazione." rispose il mercante con un breve inchino, prima di estrarre da sotto la bancarella una corta spada ricurva "E per meglio scusarmi, vi offro questa a prezzo ancor più scontato. Non è elfica, o nanica, ma è un'ottima arma per un principiante... specie per un principiante che ha un padrone e un amico da proteggere." terminò, facendo l'occhiolino a Sam.
"Smettila con i tuoi traffici!" disse all'improvviso una voce.
Gli Hobbit si voltarono, trovandosi di fronte ad un uomo poco più alto di loro, dal naso a patata e rubicondo per il bere, i denti storti e guizzanti occhi acquosi, ben visibili sotto i capelli lunghi, unti e stopposi.
L'uomo, guardando il mercante in cagnesco, fece cenno agli Hobbit di seguirlo, e quando esitarono, sorrise.
"Ho sentito che state cercando la locanda del Puledro Impennato." disse "Le voci corrono, e non si dica che Billy Felci non aiuti dei visitatori in difficoltà!"
Frodo riflettè per qualche istante: non conoscevano quel Felci, neanche di fama, ma se si fossero tenuti sulla strada maestra della città, non avrebbe tentato nulla di criminoso.
Fece cenno agli amici di seguirlo, e videro gente strana che salutava Billy al suo passaggio: persone che non sembravano anziane, ma erano comunque in un certo strano qual modo grinzose, dalla pelle olivastra e dagli occhi a volte troppo grandi e a volte piccoli e porcini.
"Lasciate che vi metta in guardia." disse Billy Felci a Frodo in particolare "Mai fidarsi di uno dell'Harad. Ladri, truffatori e tagliagole, dal primo all'ultimo, che non aspettano altro che ficcare un pugnale nella schiena di qualche ingenuo viaggiatore Hobbit appena uscito dalla Contea."
Pochi minuti dopo, erano davanti alla locanda del Puledro Impennato: a quanto pare, quel Felci era un tipo di parola.
"Chiedete di me ai miei amici, se vi servono dei buoni cavalli." disse Felci, con un sorriso sghembo, primo di accomiatarsi con un breve inchino, lasciando gli Hobbit ad entrare nella taverna.
L'aria all'interno della locanda era calda e accogliente, asciutta ma non secca, e piena dell'odore di buon cibo, di birra e di Erba-Pipa.
Dietro al bancone si trovava un uomo grassoccio e barbuto, dall'aria gioviale e onesta, con un grembiule sporco per l'uso.
Appena si accorse di loro, l'uomo allargò ulteriormente il sorriso.
"Oh, benvenuti al Puledro Impennato, gentilissimi Hobbit! Omorzo Cactaceo, al vostro servizio!"
Fece loro cenno di entrare e di accomodarsi.
"Prego, prego, venite, scegliete pure un tavolo. Abbiamo dell'ottima birra ad alto contenuto di malto, carne grigliata e pane fresco di giornata, adatto al tipico appetito Hobbit. Ho anche delle stanze libere al piano terra che, spero, non vi faranno sentire troppo la mancanza delle vostre colline."
Mentre pasteggiavano, non poterono fare a meno di accorgersi di un duo abbastanza sospetto che li fissava: un uomo incappucciato, dalla barba sfatta illuminata dal fuoco vicino a cui sedeva e dalla brace della sua pipa, e un altro con una camicia azzurra e la sola mano destra coperta da un guanto d'armatura.
"Chi sono quei due?" domandò Frodo a Omorzo, quando l'oste arrivò a portare loro il rifornimento di birra.
"L'incappucciato è un Ramingo, un guerriero e cacciatore vagabondo delle Terre Selvagge. Nessuno sa il suo vero nome, ma è abilissimo con l'arco, la spada e i pugnali. La sua capacità di marciare a lungo, senza perdere le energie, la via o la preda, gli è valsa il soprannome di "Grampasso", che è come lo chiamano tutti, da queste parti."
"Grampasso..." ripetè Frodo, sentendosi come perforato da parte a parte dallo sguardo del Ramingo, che non sembrava intenzionato a nascondere il suo interesse "E... e l'altro?"
"Mistero." rispose Omorzo, con aria da cospiratore "Sappiamo solo che è apparso dalla foresta qualche settimana fa, e ha cominciato a guadagnarsi da vivere come cacciatore. Grampasso gli ha fatto da guida per ambientarsi qui a Brea, cosa che, potrete ben immaginare, ha cominciato a far girare strane voci su di lui. Specie dopo che qualcuno l'ha seguito e l'ha visto usare armi strane e misteriose, che nessuno ha mai visto prima. Una spada ruggente dall'impugnatura simile ad una testa di martello, e un bastone magico che sputa fuoco e fragore. Quello che non spende in vitto e alloggio lo usa per comprare metallo, nafta e legno. Costruisce strani alambicchi, con cui prepara misteriose pozioni e delle specie di strani oggettini simili a ditali. Se volete il mio consiglio, meglio non averci a che fare."
-----------
E così, il tempo passò.
Complici l'atmosfera accogliente della locanda, e la birra bevuta per non pensare al fatto che Gandalf non si fosse ancora fatto vedere, fatto sta che, quando Omorzo chiese a Frodo di intrattenere il resto degli ospiti, i quattro Hobbit si guardarono a vicenda con ampi sorrisi, e cominciarono a cantare e ballare sul tavolo, al ritmo di un'allegra canzone della Contea.
Fu allora che avvenne.
Frodo in qualche modo scivolò e, nel cadere a terra, senza che lui riuscisse a capire come, quasi non fosse stata una sua scelta, si ritrovò con l'Anello al dito.
Sparì immediatamente alla vista, e cominciò a vedere il mondo attraverso occhi nuovi.
Tutto ciò che lo circondava era sfocato, come visto sia attraverso la nebbia che da sott'acqua, ma qualcosa attirò la sua attenzione.
Ombre pallide e lattiginose si stavano radunando da lontano, dirigendosi verso Brea a cavallo, spronando le cavalcature e spingendole al limite, e dietro di loro, una presenza dalla forza possente e bruciante.
Un occhio.
Quando finalmente Frodo di tolse l'anello, vide che l'intera locanda lo fissava bisbigliando e additandolo, quando qualcosa, simile ad un tuono al coperto, distolse l'attenzione di tutti.
Il compare di Grampasso teneva sopra la testa uno strano bastone, simile a due tubi di metallo, e da uno di essi proveniva un filo di fumo.
"Sentitemi bene, idioti primitivi." disse l'uomo, agitando l'oggetto "Questo... è il mio Bastone di Tuono!"
Frodo era talmente stupefatto da quello strano oggetto, che si accorse solo all'ultimo della figura imponente di Grampasso che gli si era avvicinata alle spalle, silenziosa come un'ombra, e l'aveva afferrato per la collottola.
"Credevo che Gandalf vi avesse messo in guardia da quell'Anello, signor Baggins..." sibilò il Ramingo, trascinando Frodo verso le scale che portavano al piano superiore, presto seguito dal resto della combriccola Hobbit.
-----------
"Tu... conosci Gandalf?" domandò Frodo, una volta nella stanza di Grampasso.
"Siamo amici di vecchia data." sorrise il Ramingo, mettendosi a sedere su uno sgabello "Su suo ordine, ho inseguito una creatura con cui tu, tra tutti, dovresti avere una certa familiarità, almeno per sentito dire. Gollum"
Frodo deglutì: il Ramingo doveva saperla più lunga di quanto facesse intendere, se aveva avuto a che fare con Gollum.
D'un tratto, la porta della stanza venne spalancata da Sam, armato di forchettone da braciola e dell'inseparabile padella, e da Merry, che brandiva un grosso sgabello.
"Giù le mani da Padron Frodo, pennellone!" latrò Sam, pronto a vendere cara la pelle.
"Calmo, Sam..." lo tranquillizzò Frodo "Non credo che sia un nemico. Dopotutto, se volesse l'Anello, potrebbe facilmente prendercelo con la forza qui ed ora, no?"
Sam, restando guardingo, abbassò le armi improvvisate, ma non smise di fissare in cagnesco il Ramingo.
"Sei sveglio, giovane Baggins." sorrise Grampasso "Ma non basterà, contro chi vi dà la caccia."
"Di cosa parli?" domandò Merry.
"I Cavalieri Neri." rispose semplicemente Grampasso "Sono convinto che ne abbiate già incontrato uno. Non si dimentica la paura innaturale che si spande da sotto i loro cappucci come una nebbia velenosa..."
Frodo si rese conto solo allora di un dettaglio.
Un dettaglio preoccupante.
"Dov'è Pipino?"
"Ha detto che dopo tutta la birra che ha bevuto, aveva bisogno di una boccata d'aria fresca, ed è uscito..." rispose Merry, prima di rendersi conto di cosa ciò potesse significare.
"Oh, no..."
---------------------
Nella foresta, l'orso gigante noto come Akakabuto osservava il suo avversario, annusando l'aria e ringhiando.
Era una bestia colossale, alta oltre dodici metri quando ritta sulle zampe posteriori, nonostante la postura ingobbita tipica degli orsi, e pesava oltre cinque tonnellate: le poche femmine che sopravvivevano all'accoppiamento con lui, non uscivano vive anche dalla nascita dei suoi quasi altrettanto mostruosi figli.
Tuttavia, molti di essi, almeno tre dozzine, erano morti in battaglia, contro tre soli, miserabili esseri umani.
Già solo quello era abbastanza da riempire Akakabuto di furia, ma adesso gli invasori della sua montagna osavano attaccarlo direttamente, affrontarlo a viso aperto, come se non avessero paura di lui.
Si erse in tutta la sua titaneggiante mole, e ruggì con quanta forza aveva nei polmoni, incitando gli altri suoi figli alla lotta.
Ash Williams si fece roteare in mano il Bastone di Tuono un paio di volte, prese la mira e fece fuoco, svuotando entrambe le canne dritte in faccia all'orso più vicino, una bestia di cinque metri, tutta bava e cattiva indole.
"Non c'è tempo da perdere in disc-orsi." disse, facendo cenno agli altri due di dargli una mano contro l'orda, per abbatterla prima che giungesse a Brea.
Il primo che si avventò sui plantigradi era un colosso di colore con un soprabito arancione senza maniche decorato da un colletto di pelliccia bianca, un cappello della stessa foggia in testa, e dei massicci tirapugni in fondo alle braccia nerborute.
Tali tirapugni erano decorati da uccelli ad ali spiegate, e brillavano di fiamme simili alle ali di una fenice, che lanciavano luci danzanti sui nudi addominali scolpiti dell'uomo.
Un tempo, era noto come il Barone Nero.
Poi la gente aveva cominciato a chiamarlo il "Barone Più Nero".
Adesso... c'era solo il Barone Nerissimo.
"Sono nella Terra di Mezzo, puttanelle!" declamò, sferrando un micidiale uppercut che staccò la testa all'orso più vicino, per poi arrostirne altri due con le fiammate "Il pappa preferito del pappa preferito del vostro pappa!".
Roteando come una trottola, lanciò una sfera di fuoco dopo l'altra, concatenandole in fruste con cui cominciò a flagellare i figli di Akakabuto.
La motosega a due lame in fiamme ruggì come un coccodrillo infuriato di dimensioni incommensurabilmente titaniche, aprendo a Jack Cayman una strada di sangue, ossa rotte e carne sbrindellata nella massa di orsi.
Quando uno di loro riuscì a chiudere le mandibole intorno al braccio destro cibernetico del cacciatore di taglie, Jack si limitò a ficcargli due dita negli occhi, sollevandolo per la mandibola superiore e scagliandolo contro una quercia, spaccando il tronco in due e frantumando il costato dell'orso.
Un altro venne strangolato con la catena che Jack portava al braccio sinistro, e un altro ancora azzannò la coscia del cyborg, che per tutta risposta gli sputò il sigaro in un occhio.
Fu un completo e brutale carnaio, c'erano orsi morti da tutte le parti, e finalmente il trio era di fronte ad Akakabuto e ai suoi quattro figli maggiori.
C'era Kurome, dall'occhio sinistro circondato da una chiazza di pelo nero, che stava già avanzando verso di loro, scartando di lato.
C'era Ginkiba, dai denti più lunghi e grossi del normale, che gli impedivano di chiudere del tutto la bocca, spingendolo a sbavare di continuo come se fosse idrofobo.
C'era Benitsume, i cui artigli erano costantemente rossi come il sangue, di natura, e che si frapponeva coraggiosamente tra i cacciatori e Akakabuto.
E infine c'era Yamisuji, il più colossale dei quattro, quello che, certamente, sarebbe un giorno divenuto più grande anche del padre, e che stava caracollando, con deliberata lentezza, verso Jack.
Nessuno di quei bestioni contava meno di sei metri di altezza, in posizione eretta, ma Yamisuji superava tranquillamente gli otto.
I tre cacciatori non poterono fare altro che prepararsi ad uno scontro micidiale.
Mentre Kurome stava per avventarsi sul Barone Nerissimo, venne preso in movimento da una figura femminile che gli piantò il tacco a spillo nell'occhio con un turbo-calcio aereo.
Mathilda si flettè nell'aria, torcendo il collo dell'animale, per poi cominciare ad infierire su di lui con la frusta/mazza chiodata ad alta tecnologia, la Iron Maiden, ridendo come una completa maniaca e fulminando l'orso fino a carbonizzarlo.
"Amo quella donna." ghignò il Barone Nerissimo, estraendo due revolveroni a sei canne con tamburi da otto colpi, concepiti per alloggiare pallottole larghe come monete da un dollaro "Parola."
Si fece girare le armi tra le mani un paio di volte, in modi coreografici, per poi montarsele sui polpacci.
"Da dove hai imparato a sparare coi piedi?" domandò Ash, alzando un sopracciglio e ignorando gli orsi.
"Da una tizia capellona sadomaso con cui ho avuto a che fare un paio di volte." rispose il Barone Nerissimo, guadagnandosi uno sguardo geloso da Mathilda.
----------------
Pipino si stiracchiò e inspirò a pieni polmoni l'aria della sera.
Certo, stava piovendo, ma sotto la tettoia della Locanda del Puledro Impennato il giovane Hobbit era al riparo dall'acqua scrosciante.
Faceva comunque freddo.
Troppo freddo...
https://youtu.be/2DFYvwn_xLM
Tre figure si avvicinarono dalla strada che portava fuori da Brea: tre figure alte e ammantate di nero, che incedevano a grandi falcate, insensibili alla pioggia.
"L'Anello..." sibilò quella in testa al trio, in un verso che sembrava quasi un gemito di dolore.
"L'Anello!" echeggiarono poi tutti insieme i Cavalieri Neri.
Pipino deglutì, tentando di mostrarsi coraggioso, ma uno dei Cavalieri puntò contro di lui la mano, stringendo le dita come a voler stritolare qualcosa.
La vista del giovane Hobbit si annebbiò, mentre il mondo pareva vorticare intorno a lui, con i soli Cavalieri che restavano completamente immobili nello spazio, quasi non fossero veramente lì.
Cadde nel fango della strada sterrata di Brea, e l'ultima cosa che vide, prima di svenire, furono i Cavalieri che sguainavano le lunghe spade sottili.
Fu allora che la prima freccia volò attraverso la pioggia, fendendo le singole gocce d'acqua che cadevano e andandosi a piantare nel ginocchio del Cavaliere più a destra, attraversando l'armatura da parte a parte.
Una figura intabarrata in un semplice telo marrone era in piedi sul tetto di una casa, con un'altra freccia già incoccata e pronta.
Un altro uomo apparve: alto e ieratico, dai lineamenti marcati e dalle severe sopracciglia sottili, i capelli pettinati all'indietro erano neri come la sua armatura, parzialmente coperta da un mantello blu notte bordato di pelliccia bianca.
"Non metterti tra il Nazgul e la sua preda!" sibilò il primo dei Cavalieri Neri, all'indirizzo del nuovo arrivato.
"Cadrete di fronte ad uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda." rispose invece questi, sguainando a sua volta uno spadone a due mani dall'elsa decorata di zaffiri e dalla lama splendente come la Luna.
"Chi sei, tu, della Stirpe degli Uomini, che ti opponi agli emissari del Signore dell'Anello?" domandò un altro dei Cavalieri, estraendo il Pugnale Morgul.
"Sir Agravain di Gore, Principe di Cornovaglia, Figlio di Re Urien, e nipote di Re Artù di Camelot, Sovrano di Logres e di Britannia." si presentò il nuovo Cavaliere, assumendo una posizione di guardia.
La pioggia continuava a cadere, e il duello stava per cominciare.
-------------
Mathilda e il Barone Nerissimo stavano combattendo contro Ginkiba: mentre la donna piroettava, colpendo con i tacchi a spillo e la Iron Maiden, il Barone era impegnato a tenere le fauci dell'orso chiuse nella morsa di ferro delle sue braccia metalliche, impedendogli di mordere, ma rimediandosi comunque diversi graffi all'addome e agli arti.
Non importava: doveva incassare per permettere alla sua donna di fare il proprio lavoro.
All'improvviso, con uno scrollone, Ginkiba riuscì a liberarsi, scagliando via il Barone con una zampata e avventandosi su Mathilda.
Le sue fauci mostruose stavano per chiudersi su di lei, quando venne investito da un pugno a razzo che presto tornò a collegarsi all'avambraccio del barone.
"Il Grande Mazinga è minuscolo, in confronto a me." ghignò il Barone Nerissimo, caricando di fiamme i pugni e preparandosi a spararli entrambi.
Mentre Ginkiba provava a rialzarsi, la Iron Maiden si avvolse intorno al suo collo, e Mathilda cominciò a vorticare su se stessa come una pattinatrice artistica, usando uno dei tacchi come perno, per poi scagliare l'orso in cielo, dove venne centrato dai pugni infuocati a Mach 3.7 del Barone Nerissimo.
Uno gli disintegrò il cranio, mentre l'altro spazzò via tutto quello che componeva il corpo del plantigrado dal plesso solare in giù.
Il Barone trascinò Mathilda in un tango e le fece un casquet, prima che i due assumessero una posa coeografica hip-hop, con i frammenti ardenti di carne d'orso che cadevano e sfrigolavano intorno a loro come le scintille di un Bengala.
Nel mentre, Ash stava tenendo a bada Benitsume, svuotandogli contro i pallettoni, ma il bestio sembrava scrollarseli di dosso come se niente fosse.
Ash capì che doveva usare il suo potere segreto, così appoggiò a terra fucile e motosega e stette fermo a guardare carognosamente l'orso negli occhi.
Quando il bestione caricò, ricevette un uppercut alla trachea con la mano d'acciaio futuristico, infarcita di tirapugni elettrici ad onde d'urto.
Ash rotolò poi all'indietro e recuperò il fucile, svuotando il caricatore a bruciapelo, prima di sventrare il nemico con la motosega.
Questo era il potere segreto dell'Eletto: sparare prima, pensare mai.
Yamisuji si erse in tutta la sua giganteggiante altezza e ruggì contro Jack Cayman, tirando una zampa anteriore all'indietro e preparandosi a staccargli la testa.
Jack inspirò dal nuovo sigaro e fece lo stesso, caricando il braccio sinistro.
L'impatto dei due arti causò un'onda d'urto che strappò la corteccia a svariati alberi circostanti.
Jack intrecciò le dita con gli artigli dell'orso e strinse, torse e tirò, spezzandogli le falangi e strappandogli un ruggito di dolore, prima di caricarselo sulle spalle e proiettarlo a terra, dove cominciò a colpire con calci e pugni, usando quanta forza aveva in corpo.
Venne scagliato via da una zampata che gli arì cinque squarci paralleli in petto, e decise che era veramente l'ora di farla finita.
Attivò le motoseghe gemello e si apprestò a colpire, venendo però intercettato dagli artigli di Yamisuji, che bloccarono le lame dentate, mentre le fauci della belva si chiudevano sulla spalla del cacciatore di taglie.
Jack Cayman grugnì di dolore, e cominciò a colpire il muso dell'orso, nonostante ogni colpo muovesse le zanne nella ferita aperta, ma alla fine riuscì a fare presa sull'articolazione della mascella, scardinando la mandibola.
Mentre Yamisuji era distratto, Jack lo aprì dalla testa all'inguine con le motoseghe.
----------------
Agravain parò la spada di uno dei Nazgul, schivandone il pugnale, mentre gli altri due evitavano le frecce dell'intabarrato.
Con una torsione del polso, costrinse l'avversario ad abbassare la lama, per poi spingerlo via con un calcio allo sterno, incontrando meno resistenza di quanta si aspettasse, come se sotto vestiti e armatura non ci fosse nulla.
Agravain incalzò, piantando la lama nel cappuccio dello Spettro dell'Anello, che si limitò ad afferrargli il braccio e scagliarlo via.
"Nessun uomo può uccidermi." sibilò il Cavaliere Nero, avvicinandosi ad ampie falcate.
Agravain si ritrovò a pensare quanto avrebbe voluto che Re Artù fosse lì con loro, in quel momento, ma decise di ricambiare l'informazione.
"E c'è un motivo se mi chiamano "Agravain Che non può Soffrire Alcuna Ferita"..." disse, rialzandosi e facendosi roteare la spada in mano.
Nel mentre, l'intabarrato era balzato giù dai tetti di Brea, e si era messo ad inseguire gli altri due Nazgul, le frecce incoccate all'arco, tre assieme.
Uno dei due sbucò da un vicolo, con due pugnali Morgul pronti per la gola e il costato dell'avversario, ma l'intabarrato fu più veloce e si voltò più svelto del pensiero, piantandogli le frecce nel cappuccio.
Mormorò alcune sillabe e i dardi presero fuoco, deflagrando in vampate di fiamme che avvilupparono il mantello nero, riempiendo la notte degli strilli di rabbia e dolore del Nazgul.
L'altro ne approfittò per tentare un affondo con la spada, mirando alla schiena esposta dell'intabarrato, e quasi funzionò: l'avversario si scansò all'ultimo secondo, rimediando una lunga ferita slabbrata al braccio destro.
"Sei rapido." ammise l'intabarrato, balzando di nuovo sui tetti.
Nel mentre, il duello tra Agravain e il Re Stregone di Angmar continuava.
Presto fu chiaro ad entrambi che non ci sarebbero stati vincitori nè vinti.
Il Re Stregone uscì dalla portata del Cavaliere della Tavola Rotonda balzando all'indietro, e lanciò un lungo strillo sibilante: in risposta al suo richiamo, gli altri due Nazgul si riunirono intorno a lui, e insieme sparirono nella pioggia e nella notte.
------------
Buttava male.
Ash aveva finito le munizioni, e gli restavano ormai solo la fidata motosega e il pugno d'acciaio fantascientifico.
Mathilda era al tappeto, dopo essere stata sbattuta attraverso vari alberi da una zampata di Akakabuto, e il Barone Nerissimo stava perdendo il controllo.
Niente tecnica, si stava gettando su Akakabuto come una bestia inferocita, sparando con le pistole ai piedi e lanciando i pugni a razzo con tutto il fervore di cui disponeva.
Era comunque una buona distrazione, e Jack stava scartando di lato, muovendosi a zig-zag per impedire ad Akakabuto di inquadrarlo e attaccare.
Finalmente fu alle spalle dell'orso, mirando alla schiena con le motoseghe gemelle in fiamme, e lasciandovi due lunghi tagli.
Akakabuto spazzò via il Barone Nerissimo con una testata e si voltò ad affrontare Jack, ruggendo di collera e rimediandosi un diretto che gli fece saltare via il canino superiore sinistro.
Frastornato, scosse il capo, e cominciò ad incalzare Jack, colpendolo al corpo e alle braccia con le zampe poderose, mentre Jack rispondeva con pugni e colpi di motosega.
Il problema era che la sua forza sovrumana e le sue lame, pur ben testate su avversari di un certo calibro, non erano state concepite per un esemplare fuori scala di un super-predatore alfa delle foreste del Giappone.
Ash decide di intervenire e puntò la protesi: dal dorso uscì il cannello di un lanciafiamme, che presto investì Akakabuto con un torrente di fuoco chimico, mentre dalle punte delle cinque dita partivano raggi laser.
Akakabuto cominciò a colpire alla cieca, agitandosi per la pelliccia in fiamme; era troppo, non riusciva più a concentrarsi su un nemico solo, oramai gli importava solo di distruggere il più possibile.
Era così preso che non si accorse che il Barone stava tornando alla carica, colpendolo con un micidiale montante al mento, potenziato dai razzi del pugno; avendolo tenuto collegato si ustionò il braccio, ma non gli importava.
Quell'animale aveva ferito Mathilda, e quindi sarebbe caduto.
Non negoziabile.
Quando Akakabuto ricadde, il Barone gli ficcò la mano in bocca, giù fino alla gola, dilatandogli le mascelle fino a strappargli la mandibola, e a quel punto colpì, scaricandogli direttamente dentro l'addome una pioggia di fuoco chimico.
Sanguinante e ustionato, il Barone barcollò verso dove Mathilda era caduta, raccogliendola delicatamente e cullandola tra le braccia.
"Baby? Stai bene?" le domandò, ricevendo in risposta un risolino che gli strappò un sospiro di sollievo.
Missione compiuta.
-----------
Frodo, Sam e Merry avevano assistito allo scontro dalla finestra della stanza di Grampasso: avevano visto i Nazgul ripiegare e i due stranieri dileguarsi.
"Dobbiamo andare." disse il Ramingo, preparando le sue bisacce per il viaggio "Meglio non aspettare che tornino con i rinforzi."
"I rinforzi?" domandò Frodo.
"In tutto sono nove." spiegò Grampasso "Un tempo erano dei grandi Re della Stirpe degli Uomini, ma caddero nella tentazione di Sauron, accettando Anelli da lui. E ora sono lo strumento della sua anima nera, gli Spettri dell'Anello."
Quando uscirono dalla locanda, trovarono Pipino, dimentico della brutta esperienza con i Cavalieri, che teneva le briglie di quattro pony a misura di Hobbit.
"Sono passato da quel Billy Felci." disse "Non ha fatto pagare molto, e ci ha fornito questi bei cavalli."
Gli Hobbit si issarono in sella, presto raggiunto da Grampasso in groppa ad un cavallo, e lasciarono Brea.
La loro avventura era appena cominciata, ma non potevano sapere che Billy Felci li stava osservando, mentre parlava con un corvo appollaiato sulla spalla.
"Si sono messi in viaggio." disse al volatile "Vai dal Bianco e informalo."
§#§#§#§#§#§#§#§
§#§#§#§#§#§#§#§
§#§#§#§#§#§#§#§
OMAKE DI FINE CAPITOLO
Tom Bombadil era incazzato come un caimano.
Tagliato dal film animato di Ralph Bakshi.
Tagliato dal film in live-action di Peter Jackson.
Tagliato dalla parodia di Leo Ortolani.
Tagliato perfino da quella fanfiction su Gary Stu Sephiroth, e questo dopo che la sua presenza era pure stata annunciata.
E ora tagliato anche da QUESTA fanfiction!
Ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei!
Decise che era giunto il momento di iniziare la sua campagna per ricordare a quella manica di cafoni rifatti che abitava la Terra di Mezzo che lui era già lì quando i Valar stavano ancora cercando di capire come fare il loro mestiere di creare Arda su istruzioni di Eru Iluvatar.
Che diamine, era comunque un tizio su cui l'Anello non aveva alcun effetto, varrà pur qualcosa!
Entrò in casa e, come prima cosa, per darsi la carica, ficcò la lingua in gola a Baccador, per poi dirigersi sul retro, dove teneva un bordello a tema bondage, un'arena gladiatoria e un arsenale di cocaina e di armi dell'ex-URSS.
"Fammi un macchiato, pussycat!" intimò alla moglie, prima di entrare nell'arsenale e sbattersi la porta alle spalle.
Era il momento della potenza di fuoco seria.
Come prima cosa, decise di pimpare l'armatura dell'Imperatore-Dio dell'Umanità che stava lì a prendere polvere in un angolo: aggiunse un pauroso elmo vichingo con visibilità azzerata, banderuola quattro-venti in funzione di pennacchio, sospensorio in bronzo sottratto alla statua di Pipino il Breve, e ai piedi, ferroni da stiro a carbonella di piombo fuso.
"Blu brillante è la sua giacca" 'sto ciufolo.
Giunse poi il momento delle armi: arco di Rambo con frecce esplosive, super-shotgun del Doomslayer, Ozutsu a quattro canne di Deathstroke dal film anime "Batman Ninja", fucile particellare di Turok, lancia-spade-esplosive Lucifer e Nightmare Beta dall'arsenale di Dante Sparda, scudo Extransformer di Paperinik, arma multi-uso ZF-1 di "Il Quinto Elemento", Death Penalty di "Final Fantasy VII – Dirge of Cerberus", cannone d'assalto Cobra di "Robocop", fucilozzo di Soldier:76 e LanciaRatzinger.
Così bardato e pronto per aprirne ad Arda uno nuovo di pacca, uscì di casa per cominciare la sua crociata contro i bifolchi della qualsiasi.
Appena uscito, si trovò davanti Vecchio Uomo Salice Grigio, che aveva appena finito di farsi la Nonna Salice di "Pocahontas", e aveva ora una bandana alla Rambo, un lanciagranate MK-47 Mark XX caricato a granate congelanti su ogni spalla, un Punt-Gun (per intenderci, il cannoncione da due pollici di "Tremors 4") a cinque canne con tamburi caricati a pallettoni in una mano e una gatling da Warthog nell'altra.
"Io sono Vecchio Uomo Salice Grigio." disse l'albero, facendo segno a Tom Bombadil di montargli in groppa per cominciare la strage.
Tom annuì, e infilzò Vecchio Uomo Salice Grigio con 666 siringhe, ognuna collegata ad una cisterna contenente tre volte più eroina di quella assunta in tutta la carriera di Kurt Cobain, sovralimentando l'albero e mandandolo in Berserk.
Con le note di un remix death metal di "Zankoku na Tenshi no Thesis" in sottofondo, Tom balzò a bordo dell'albero, issandosi dietro le casse del carro da guerra del Coma-Doof Warrior da cui proveniva la musica, e partì per la pugna.
Perché quando il gioco si fa duro... Tom Bombadil ce l'ha più duro di tutti.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro