Capitolo 3: Trenta Secoli nel Passato
Anno 3441 della Seconda Era della Terra di Mezzo
La battaglia tra l'Ultima Alleanza e le forze di Sauron, Oscuro Sire di Mordor
Valico di Cirith Ungol
Il dedalo di caverne era umido, e permeato dal fetido afrore di cadaveri in decomposizione, intrappolati nelle tele di Shelob, il colossale demone femmina dalle sembianze di ragno, figlia di Ungoliant, colei che aveva avvelenato i sacri Alberi di Valinor, e che in seguito, permeata dalla fame e dal desiderio di distruzione nati dalla sua stessa empietà, era morta divorando se stessa.
Ma la sua stirpe viveva ancora in Shelob, e nei di lei figli bastardi, nati dagli accoppiamenti con ragni comuni, e perciò non dotati della medesima maligna intelligenza demoniaca della genitrice.
Un uomo stava osservando: un uomo dalla pelle scura e corti e ispidi capelli bianchi come la neve, vestito di pelle nera, con una lunga giacca rossa come il sangue.
Come già molte volte aveva fatto in passato, giunto nella Terra di Mezzo non aveva usato il suo vero nome: dopo aver ascoltato cosa avrebbe destato pochi sospetti in quel mondo, aveva optato per presentarsi come "Crinebianco".
Faceva bene attenzione a non toccare le ragnatele sparse per il labirinto: non voleva allertare la padrona di casa.
Sotto il suo sguardo vigile, migliaia e migliaia di ragni giganti, i figli di Shelob, di ogni taglia, specie e forma, sciamavano zampettando fuori dalla caverna: dagli agili Saltatori grandi come un uomo, fino ai torreggianti Ragni ad Imbuto che avrebbero potuto essere comodamente cavalcati da un Troll, e passando per i Ragni Lupo, le Vedove Nere, le Vedove Rosse, le Malmignatte, mentre a sovrastarli tutti incedevano con passo pesante gigantesche, mostruose tarantole, grosse come i Mumakil e deformati dalle chele e dalle code degli scorpioni.
Crinebianco non sapeva con esattezza quanti fossero, aveva perso il conto dopo i primi ventimila, ma vedeva anche che non erano soli.
Brandendo asce, tridenti e sarisse proporzionate alla loro taglia, gli Abitatori delle Tenebre, esseri cornuti e alati alti come tre uomini, dalla pelle nera come pece, e dalle delineature dei muscoli ardenti come lava, marciavano in formazione, frustando l'aria con le lunghe code.
Subito fuori, la terra tremava, scossa dai tremori dei crateri aperti dai Draghi di Caverna, esseri serpentini dalle zampe corte, adatte per scavare, le fauci grondanti d'acido, e lunghe corna affusolate, incurvate all'indietro.
Almeno due dozzine di adulti, ognuno accompagnato da decine di cuccioli, ancora non letali quanto i genitori, ma già alti al garrese quanto un uomo, e pronti ad uccidere.
La prole di Shelob era comandata da un essere pallido, più piccolo della madre ma con pedipalpi straordinariamente sviluppati, terminanti in mani umane con cui brandiva uno spadone dentellato, simile ad una mannaia da macellaio.
Era accolto da un Re dei Goblin, un mostro deforme dal braccio destro ipertrofico, con cui brandiva un'ascia-martello; dietro di lui veniva un esercito di migliaia di altri Goblin, accompagnati dai Troll di Caverna alti il triplo di un uomo e perfino da alcuni Giganti, armati di grosse rocce legate a tronchi d'albero.
L'esercito riunito marciò, dirigendosi verso la battaglia nella pianura di Mordor, ove rilucevano le dorate armature degli Elfi, fuori posto nel desolato paesaggio del dominio di Sauron.
Crinebianco ritornò dai suoi compagni: come lui, non appartenevano a quel mondo, né a quell'epoca, ma vi erano stati richiamati da misteriosi portali.
Qualcuno stava giocando con le fondamenta del tempo e dello spazio.
Uno di loro veniva da un'epoca successiva a quella di Crinebianco: vestiva con un'armatura di una tecnologia che non aveva mai visto, e portava con sé un quantitativo spropositato di armi da fuoco: mitragliatrici, pistole, fucili a pompa, e anche peggio; in quel momento, il Doomguy era intento a pulire metodicamente una mitragliatrice, mentre appoggiata sulla roccia su cui sedeva, stava una grossa motosega tirata a lucido.
Un uomo vestito di nero, con un cappello a larga tesa, teneva pronte le balestre gemelle: due rivoltelle custom di grosso calibro brillavano alla sua cintura, insieme ad un vasto assortimenti di coltelli e daghe.
Poteva non sembrare granché, ma se la situazione si fosse complicata, il segreto nascosto in Gabriel Van Helsing sarebbe stato indispensabile per la vittoria.
Un altro uomo aveva una balestra automatica, montata sulla protesi d'acciaio del suo braccio sinistro; il particolare più inusuale era, tuttavia, la titanica spada che portava sul dorso, e che, quasi, non si poteva neanche definire "spada".
L'Ammazzadraghi di Guts l'Ecatombe era un oggetto troppo grosso, grezzo e pesante.
Non era null'altro che un blocco di ferro.
Infine, l'ultimo membro della loro combriccola: vestito con una camicia azzurra, aveva una motosega installata sopra la protesi metallica della mano destra, e un fucile a pompa alla cintura.
Poteva sembrare tragicamente impreparato per una battaglia del genere, ma Ash Williams aveva una discreta esperienza nell'affrontare le forze delle Tenebre, e la sua faccia tosta compensava ampiamente la mancanza di attributi sovrumani o armi di grosso calibro.
"Signori, abbiamo un problema." disse Crinebianco "Una parte dell'armata di ragni, e di altre creature, si è unita ad un esercito di Goblin fuori dalla caverna: stano marciando contro l'Alleanza, e per noi è troppo tardi per fermarli senza allertare Sauron stesso... ma possiamo impedire che ricevano altri rinforzi."
"Come?" domandò Ash.
"Ci sono almeno altri cinquantamila ragni in questa tana, secondo il contatore del mio elmo." rispose il Doomguy, in un raro momento di eloquenza "Immagino che dovremo sterminarli tutti."
"Ovviamente." rispose Gabriel, sarcastico, per poi rivolgersi a Crinebianco "Sai, vorrei che la tua compagna fosse qui con noi... ho visto cosa può fare la sua spada, potrebbe annientare questo posto con un colpo solo."
"Beh, è al nono mese, quindi non mi è sembrato opportuno farla partecipare." ribatté Crinebianco.
Guts si tirò in piedi, sputò per terra e si diresse verso le profondità della caverna; inutile perdere tempo.
Gabriel aveva con sé delle strane sfere di cristallo e terracotta; disse ai suoi compagni di coprirsi gli occhi, e le scagliò nell'esercito dei ragni in avvicinamento.
I due globi deflagrarono in vampate simili al Sole stesso, che incenerirono una buona parte dell'orda nemica: presto, le caverne furono piene dello stridore sibilante dei ragni in agonia.
Si gettarono sui rimanenti, con la tripla Gatling del Doomguy e il cannone di Guts che aprivano loro la strada, spalancando una via di cadaveri tra i ragni.
Presto, il tutto divenne nulla più che un grottesco bailamme di arti di ragno mozzati, addomi squarciati e cefalotoraci trafitti, fino a quando un orribile ruggito acuto e roco scosse l'ampia caverna in cui la legione dalle otto zampe si stava radunando.
Più nera del buio stesso, orridamente rigonfia, tanto da sembrare più grossa anche dei figli che in verità la superavano in stazza, Shelob era giunta, mostruosamente adirata per la profanazione della sua tana, per la morte dei suoi figli servitori, per l'onta che qualcuno osasse affrontarla.
Ash e Guts si fecero strada tra i ragni a colpi di pallettoni e motosega, di quadrelle e spadone, e le andarono incontro, pronti alla battaglia.
Lo scontrò continuò, e presto i cinque cominciarono a colpire quasi in automatico: Crinebianco mieteva ragni con le sue scimitarre gemelle, fondendole a formare il suo arco magico, per arrivare dove semplici lame non sarebbero giunte.
D'un tratto, passi pesanti.
Un fulgore di fiamme.
Una fiumana di vapori neri, che strisciavano come tenebra fluida.
Ruggendo, una figura dalle corna di toro e dalle ampie ali, fatta di buio e avvolta dalle fiamme, si fece strada calpestando i ragni come se niente fosse.
Shelob non osò adirarsi con quell'essere.
Lei era figlia di Ungoliant, ma quella creature era un Maiar caduto, un essere di immenso potere.
Nella terra di Mordor esisteva l'abisso di Utumno, base di Morgoth, primo Oscuro Sire e maestro di Sauron stesso; Utumno, che i Sindarin chiamavano "Udun", e ne era appena giunta la fiamma.
Ruggendo, il Balrog materializzò un'alabarda di fiamme, e caricò.
Il Doomguy ruggì, estraendo di tasca una strana scatola e spaccandola tra le mani; da essa uscì una nebbia rossastra, che lo avvolse completamente.
Ricolmo della Furia del Berserk, estrasse la BFG-9000 e si gettò sul Balrog, facendo fuoco, sparando plasma potenziato dalla sua stessa rabbia innaturale.
"Squarcia e strappa!" urlò.
Ash e Guts non stavano avendo gioco facile di Shelob: nonostante la taglia e il corpo disgustosamente grasso, era straordinariamente agile, arrampicandosi per le pareti e correndo per le sue ragnatele, fuori dalla portata dei loro colpi.
Erano feriti: gli artigli delle zampe di Shelob li avevano graffiati e squarciati in più punti, e il veleno stava avendo effetto.
Presto, sarebbero stati un pasto perfetto per la madre dei ragni.
All'improvviso, uno stridore di coro.
Quel che restava dei ragni era stato carbonizzato: Van Helsing era a torso nudo, una decina di metri in aria, e dalla sua schiena si spalancavano sei ampie ali dalle piume di fuoco multicolore.
"Non posso mantenere questa forma a lungo!" urlò "Pregate Iluvatar o chi volete che non manchi il bersaglio!"
Ronzio.
Odore d'ozono.
Un lampo di luce dura come il diamante saettò dalle ali di Gabriel, andando a colpire il Balrog, mozzandogli un braccio e un'ala; il demone del Mondo Antico ruggì di dolore e furia, ardente furia, dando al Doomguy l'opportunità di scaricargli la BFG-9000 nella trachea.
Lo spettacolo distrasse Shelob quanto bastava: Guts era completamente rivestito da una corazza nera dall'elmo bestiale.
L'Armatura del Berserk lo fece balzare decine di metri in aria, permettendogli di trafiggere l'addome di Shelob da parte a parte con l'Ammazzadraghi, portandola a cadere di schiena al suolo, e a contorcere le zampe in preda all'agonia.
Riuscì a rialzarsi, ma non prima che Ash le amputasse i pedipalpi, due cheliceri e tre zampe con la motosega.
La creatura ruggì, scagliando via i due guerrieri con una zampata, agitandosi e sparpagliando in giro il suo sangue nerastro dalle numerose ferite; prese a ingrossarsi e a inspirare, pronta a rivelare la sua vera forma, quando uno dei due occhi principali venne trafitto da tre frecce scoccate in contemporanea.
Crinebianco sorrise soddisfatto a vederla battere in ritirata nelle tenebre: erano tutti troppo stanchi per inseguirla, e avevano problemi più pressanti, ma almeno le avevano sterminato l'esercito, per quanto non fosse stato facile.
Van Helsing cadde a terra, respirando a malapena, e afferrato dal Balrog, il Doomguy stava venendo cotto vivo nella sua stessa armatura.
Crinebianco materializzò una freccia particolarmente lunga e decorata, e vi incanalò il proprio potere, facendola ardere di fiamme azzurre e crepitare di fulmini scarlatti.
Scoccò, cogliendo il Balrog dritto al cuore, e facendo esplodere tutta la sua parte superiore.
Mentre il demone si disintegrava in lapilli, Crinebianco cadde al suolo, esausto, pronto a recuperare le forze.
Poteva solo sperare che Shelob non tornasse indietro a pareggiare i conti, o che non avesse altri figli pronti a divorare lui e i suoi compagni.
Era un massacro.
Elrond era, ancora una volta, costretto a constatare la brutalità della guerra, quanto essa fosse intrinsecamente priva d'onore e di grazia.
L'Ultima Alleanza di suo cugino Gil-Galad e di Elendil, Re degli Uomini, si era introdotta a Mordor attraversando il Morannon, il Nero Cancello: molti erano periti, e Gil-Galad stesso rimasto ferito, nel combatterne il guardiano, il Tiranno Dragone, una colossale creatura dalle corna a semicerchio, con quattro crudeli occhi infossati nel muso dalla dentatura d'uomo, e una voragine ovale nel costato, che era stata causa di gran parte delle morti, avendo divorato diversi guerrieri.
Sconfitto, ma non ucciso, l'essere era volato via, cercando rifugio nella Fortezza di Barad-Dur, dimora di Sauron.
Venne riscosso dai ricordi da un rumore orrendo, l'incrocio tra il ruggito di una bestia e un fin troppo umano urlo di dolore: Elrond era stato separato dal grosso dei suoi guerrieri, e di coloro che erano riusciti a seguirlo, nessuno rimaneva vivo, sbranati dai Warg, i mostruosi lupi allevati dagli Orchi, e dalle cui carcasse Elrond era ora circondato.
Eppure, quelli rimasti si tiravano ora indietro, scossi da un timore reverenziale verso la manifestazione da incubo che stava avanzando.
Pareva quasi un leone, dalle zampe anteriori simili a braccia umane artigliate, se non fosse stato per alcuni dettagli che ne tradivano l'essenza innaturale.
Prima di tutto, la taglia: la sola testa era grande quanto un uomo.
La criniera pareva di metallo, e la pelle, non fosse stato che guizzava e s'increspava in maniera inequivocabilmente viva, era lucida e candida come marmo bianco.
Dal dorso crescevano sei corte braccia umane, che brandivano lanterne incandescenti di fiamme innaturali, e al posto della coda, che sbucava da quattro mani che si aprivano come un fiore in fondo alla colonna vertebrale, c'era una specie di lungo, colossale lombrico.
L'intero essere colava dalla pelle e dagli artigli argento fuso, ma era il volto il dettaglio più terrificante: umano, circondato da altre braccia, con una corona d'oro ingioiellata che cresceva direttamente dalla carne, mentre il mento era fuso ad un lungo tentacolo simile ad una coda di lucertola, più lungo del resto del leone messo insieme.
Sollevandosi sulle zampe posteriori, il Dio Leone ruggì, e corse verso Elrond, che preparò le spade per la battaglia imminente.
Il tentacolo saettava e si contorceva, cercando di afferrare l'Elfo in un abbraccio stritolatore, mentre le zampe provavano a schiacciarlo, colandogli addosso metallo fuso sull'armatura.
Elrond balzò, proiettandosi decine di metri in aria, e atterrò sul dorso del Dio Leone, dove cominciò a pugnalare metodicamente la carne, cercando di affondare le lame nella colonna vertebrale.
Una delle braccia dorsali gli fracassò contro un fianco la sua lanterna, appiccandogli fuoco, mentre la coda riusciva a catturarlo e a scagliarlo a terra, dove il Dio fu subito su di lui, schiacciandolo sotto le zampe e avvicinando le immense fauci.
Come sarebbe morto?
Stritolato sotto il peso della creatura?
Bruciato vivo dalle colate di metallo fuso?
Sbranato dagli artigli?
O divorato vivo?
L'urlo ruggente del Dio Leone sembrò riempire tutta Arda, quando il suo fianco sinistro venne trafitto da dozzine e dozzine di frecce, scoccate dai guerrieri elfici di Elrond, venuti in soccorso del loro Signore.
L'essere gonfiò i muscoli, aumentando la pressione del metallo fuso, e lo sparò contro di loro dai pori della pelle, mentre come rispondendo ad un ordine i Warg si gettavano sui sopravvissuti, condotti da un grosso capobranco dal pelo rosso striato di bianco, con lunghi denti a sciabola.
Ma era stata una distrazione sufficiente a permette ad Elrond di alzarsi: la coda del Dio Leone si voltò verso di lui, soffiando un fiotto d'argento dalle sue fauci di verme, ma Elrond schivò, rotolò e recuperò le lame, mozzando la mostruosa appendice; il sangue chiazzò il terreno, sfrigolando per il contatto col metallo fuso.
Quando la creatura si girò e lo avvolse nel tentacolo, Elrond sollevò le braccia, per impedire che fossero intrappolate.
Attese fino all'ultimo secondo, fino a quando la bocca sbavante del volto umano non si spalancò davanti a lui, poi scagliò una delle lame dritta nell'occhio della bestia, e usò l'altra per trafiggere il tentacolo con quanta forza aveva.
Caddero insieme, e il sovrano elfico si districò della massa di carne che lo teneva avvinto, dirigendosi verso la testa della creatura e conficcando ancor più in profondità l'arma che sporgeva dall'occhio: il Dio Leone annaspò e cadde, immobile, prima di volgere l'occhio sano verso Elrond.
"Gra... zie..." esalò, spirando.
Elrond si tirò in piedi, col respiro affannoso.
Aveva una sola arma, e i Warg si stavano avvicinando di nuovo, anche se intimoriti dalla morte del Dio Leone.
Ma qualcosa si stava facendo strada tra di loro, scostandoli via a testate.
Dapprima, vedendone solo la testa in lontananza, Elrond lo scambiò per un semplice gigantesco caprone.
Non vi era nulla di semplice in quell'essere.
Braccia umane al posto delle zampe anteriori, come umane erano le mani che aveva al posto degli zoccoli nelle zampe posteriori.
Dal petto crescevano altre due braccia, e altre quattro dai lati del collo, e tutte brandivano lunghe lame ricurve.
La sommità della testa era fusa ad un volto umano, che spuntava dal cranio caprino guardando il cielo.
Invero, un Ariete dell'Incubo.
Elrond preparò la spada, e strappò dal terreno la lancia di un Orchetto morto, preparandosi alla battaglia, mentre altre figure apparivano dietro all'Ariete: uomini-leone, alti come Troll, dalle gambe dotate di zoccoli caprini, con la parte superiore di una testa di capra che spuntava dalla sommità del capo, e con un lungo serpente, dalle zanne stillanti veleno, come coda.
Elrond venne raggiunto da Cìrdan, possessore di Narya, l'Anello del Fuoco, armato di una lunga spada a due mani, e accompagnato da un contingente di Elfi.
Cìrdan decapitò il bianco capobranco dei Warg con un solo, fluido fendente, e si gettò sulla Chimera più vicina, decapitandone la coda, mentre l'Ariete dell'Incubo caricava, ritrovandosi trafitto alla spalla dalla lancia scagliata da Elrond.
La cosa lo rallentò a malapena, e la bestia cominciò a farsi strada tra gli Elfi, a colpi di corna e lame.
Gil-Galad vorticava la sua lancia-alabarda, trafiggendo e tagliando Orchetti e Uruk dall'alto della montagnola di cadaveri su cui si era posizionato, mentre schiantava coloro che si avvicinavano troppo con il suo ampio scudo decorato.
Un Troll armato di maglio cercò di aggredirlo, ma la sua esistenza blasfema, frutto della magia di Morgoth, venne interrotta quanto il suo cranio fu trapassato da parte a parte.
Non sapeva Gil-Galad quanti ne avesse già uccisi.
Sapeva solo che, finalmente, uno dei comandanti dell'orda di Mordor gli veniva contro.
Non era uno dei Nazgul, né un Orco, né un Numenoreano Nero.
Invero, Gil-Galad non aveva idea di cosa fosse.
Le proporzioni erano quelle della stirpe degli uomini, ma era alto almeno il doppio, con la pelle a tratti nera come il carbone, e a tratti grigia come la cenere: dalla lunga chioma di capelli bianchi spuntavano due corna arzigogolate e scarlatte, e sulla schiena si aprivano ampie ali di pipistrello.
Gli arti erano parzialmente coperti da una corazza chitinosa, decorata da cristalli luminosi rossi.
"Io sono il Cacciatore nelle Tenebre..." esalò l'essere, con voce sepolcrale "Il Signore degli Incubi. Il Nero Re del Monte Calvo. Il mio nome è Chernobog, e sono la tua morte!"
Spalancò le ali e si alzò in volo, per poi scagliarsi in picchiata contro Gil-Galad, scagliando cristalli come frecce, che s'infransero sullo scudo dell'Elfo.
Duellarono a lungo, sotto il cielo nero di nubi vulcaniche di Mordor, ali e scudo, lancia e cristalli.
Una battaglia senza vincitori né vinti, tra l'Ultimo Re Supremo dei Noldor e il Signore di tutto ciò che strisciava nell'Oscurità degli incubi, Re degli Spauracchi, Sogno di Tenebra incarnato.
Gil-Galad capì che non poteva battere quell'essere in uno scontro normale.
Doveva usare una mossa folle e disperata
Lasciò cadere a terra la lancia e lo scudo, spalancando le braccia e invitando Chernobog a prendersi la sua vita, e quando il Signore della Notte planò verso di lui, si abbassò, afferrandolo alle gambe e trascinandolo a terra.
Recuperò la lancia e, con tutta la forza che aveva, gli amputò un'ala, riempiendo il campo di battaglia con il suo grido di dolore.
Gil-Galad venne scagliato via con una manata, mentre Chernobog si rialzava, ansimando e tenendosi il moncherino sanguinante dell'ala.
"Osi opporti?" ringhiò, mentre l'ala ricresceva, e tra le sue mani si materializzavano due lunghe scimitarre ad uncino, fatte dello stesso cristallo che cresceva dai suoi arti.
Gil-Galad raccolse la lancia e lo scudo, preparandosi a continuare il duello.
Elendil e i suoi uomini erano riusciti a respingere il primo assalto di un battaglione di Orchetti, uccidendone un gran numero: l'armatura argentea del Re di Gondor era lorda di terra e sangue, il suo mantello a pezzi, la lama di Narsil graffiata.
Non aveva idea di che razza di forze avesse Sauron messo in campo: specie di cani senza occhi, con zampe posteriori di metallo, morti viventi di ogni genere, ragni simili a cervelli giganti, teste volanti coperte di squame con un solo occhio in mezzo alla fronte...
Fortunatamente, non era solo: oltre a suo figlio Isildur, c'era un uomo senza armatura ma completamente intabarrato, di nome Gascoigne, che si professava cacciatore di mostri.
Aveva con sé un'ascia e un'arma che Elendil non aveva mai visto, ma che Gascoigne chiamava "fucile", e che usava una piccola esplosione per scagliare sfere metalliche con grande forza, abbastanza da uccidere un uomo con un sol colpo.
Un terzo uomo si era unito a loro ai cancelli del Morannon, dove aveva dato prova di essere un valente guerriero, avendo ucciso da solo molti nemici, senza contare quelli abbattuti dalla sua guardia scelta di trecento uomini.
Re Leonida, si chiamava, e aveva detto di provenire da una città chiamata Sparta, che né Elendil, né Isildur, né altri dell'Ultima Alleanza avevano mai sentito nominare.
Il suo fisico era impressionante: più alto e muscoloso di Isildur, con la pelle olivastra e abbronzata, decorata da tatuaggi rossi su braccia, petto e cosce, indossava solo, come protezioni, gambali, bracciali e spallacci, coprendosi per il resto solo con un gonnellino rosso e un ampio mantello del medesimo colore; nella sinistra stringeva un largo scudo rotondo, nella destra una lancia dalla punta a foglia decorata di barbe ricurve alla base.
Il dettaglio più maestoso era però l'elmo, che ne nascondeva completamente i lineamenti e aveva un lungo pennacchio di fuoco rosso e dorato, prova della sua essenza soprannaturale.
"Spartani!" urlò Leonida, puntando la lancia contro l'orda di Warg e Uruk che caricava dal fianco sinistro "Schiantateli nell'Averno!"
Come un solo uomo, gli Spartani si misero in posizione accucciata, alti gli scudi e le lance in avanti, pronti a far pagare alle forze di Mordor un tributo di sangue per ogni piede di terreno.
Coperti dalla forza dei Trecento, i quattro eroi avanzarono, dirigendosi verso quello che sembrava essere il torreggiante sovrano dei mostri che avevano fino ad allora combattuto.
Ben più alto di un Troll, aveva una testa taurina fusa a parti di metallo, così come lo erano le gambe, mentre il braccio destro terminava in una massa di metallo che a Elendil ricordò vagamente il fucile di Gascoigne, solo molto più grande.
L'essere caricò a testa bassa, sollevando polvere dal terreno vulcanico di Mordor, sicuro della vittoria.
Lo scudo di Leonida impattò contro il suo muso, mandandolo a barcollare di lato, con il fianco esposto che venne prontamente infilzato dalla lancia del Re di Sparta.
Gascoigne balzò, affondando l'ascia nella spalla della creatura, infilando poi il fucile nella ferita e premendo il grilletto.
Il braccio mezzo staccato del demone lo afferrò e lo lanciò via a sbattere contro una roccia; Gascoigne si trasse in piedi, fece un paio di passi a cadde di nuovo.
Non si rialzò.
Leonida, Elendil e Isildur caricarono, ma tra loro e il demone si frapposero esseri oscenamente obesi con i volti fusi a maschere e grossi fucili al posto degli avambracci, circondati da una torma di umanoidi magri, di colore rosso, marrone e verdastro, con le mani ardenti di fiamme.
"Vi apro un varco!" urlò Leonida, battendo il piatto della lancia contro lo scudo, e affondando poi la punta nel terreno.
Dietro al Re di Sparta si materializzarono apparizioni spettrali, di energia dorata, avvolte di fiamme scarlatte, dei suoi Trecento Guerrieri, gli scudi in difesa e le lance pronte.
Le figure avanzarono, respingendo i demoni e spezzando i loro ranghi, per poi scagliare le lance, infilzandoli e trafiggendoli, ripulendo il campo di battaglia, e diversi di quei proiettili andarono a piantarsi nel corpo del demone più grande, portandolo nuovamente a terra.
Dai lati ne giunsero altri: morti viventi di ogni genere, Warg e Orchetti, e Leonida si tolse spallacci e mantello, rimanendo a torso nudo, come ad invitarli a ucciderlo.
"Venite!" urlò, togliendosi anche l'elmo e svelando i corti capelli rossi come il mantello "Venite a prendere la testa del Re di Sparta!"
Un Warg si gettò si di lui, rimanendo decapitato dal taglio dello scudo: Leonida era avvolto da una nube rossastra simile a nebbia luminescente, e gli occhi erano come in fiamme.
"Venite a morire per la gloria di Ares!" gridò, infilzando tre Orchetti con un solo affondo della lancia, per poi eseguire una spazzata e scagliarli via, contro i loro stessi alleati.
"Venite a morire sul ferro dei discendenti di Heracles!" continuò, colpendo un Uruk con una testata, e schiacciandogli il cranio sotto il piede quando toccò terra.
"E dite ad Ade Plutone che vi manda Leonida!"
Lanciò lo scudo con tanta forza da troncare in due una ventina di nemici all'altezza della vita, e incastrò la lancia nella fronte di un Troll di passaggio.
I muscoli gonfi e i tendini come fruste, affondò le mani tra le fauci di un Warg, scardinandole, e assunse la posizione di guardia del Pancrazio.
Si concesse un sorriso, vedendo Isildur e Elendil che impedivano al demone taurino di rialzarsi, trafiggendolo al collo e al cuore con le spade.
Un'alta figura dai vestiti scuri e dalla maschera bianca come osso lanciava dardi e pugnali contro gli Orchetti e i Goblin in avvicinamento, falciando con due lame ricurve quelli che riuscivano ad arrivare in corpo a corpo.
Ciaran, la Lama del Lord, era sul campo di battaglia, e non da sola: tutti i Quattro di Lord Gwyn erano giunti in quella terra mai vista prima, e si erano uniti alla battaglia contro colui che le genti di quel posto chiamavano "Oscuro Sire".
Gough stava usando il suo arco per abbattere i Giganti nemici, mentre Ornstein e Artorias combattevano schiena contro schiena, la spada e la lancia.
Ciaran si accorse troppo tardi di essersi distratta, e di non aver visto arrivare la creatura da incubo: pareva una sfera di carne dal ghigno demente e dai molteplici, piccoli occhi, con arti lunghi e sottili da aracnide, terminanti in mani umane, e dalla fronte sbucava una specie di lungo dito dalle troppe falangi, da cui pendeva un'esca luminosa, simile a quella di un pesce abissale, dalla forma di una donna nuda e senza arti.
L'essere era circondato da decine di creature molto più piccole, ma comunque grandi la metà di un uomo, che ricordavano vagamente incroci tra il colossale aracnide e delle rane dagli occhi particolarmente sporgenti.
Preparò un coltello, ma lo Spidicules fu più rapido, e la afferrò con le sue lunghe mani ossute, in cui covava una forza sproporzionata, bloccandole le braccia lungo i fianchi e cominciando a stringere.
Ciaran non poté trattenersi dall'emettere un grido strozzato quando le costole le perforarono i polmoni, prima che venisse gettata a terra come un giocattolo rotto
I figli dell'essere le si avventarono contro, cominciando a morderla con le bocche irte di denti simili a spilli, e Ciaran aveva a malapena la forza di dibattersi in preda all'agonia.
Fu allora che un colossale spadone trapassò lo Spidicules da parte a parte, per poi troncarlo in due, mentre Artorias, in preda alla furia, calpestava i figli del ragno con gli stivali ferrati.
Nessuno osava avvicinarsi: Orchetti e Goblin erano vili per natura, e non avevano il coraggio di trovarsi bersagli dell'ira del gigantesco Cavaliere.
Artorias piantò la spada nel terreno e s'inginocchiò accanto a Ciaran, scostandole i capelli dai resti della maschera, fratturata dai morsi dei demoni ragno.
Con un ruggito d'ira e cordoglio, il Cavaliere si rialzò, pronto a fare a pezzetti chiunque si fosse avvicinato.
Sif, il lupo gigante compagno di Artorias, si lasciò sfuggire un ululato di dolore, partecipe della sofferenza nel cuore del Cavaliere, prima di tornare a girare in circolo insieme al suo avversario.
Il lupo aveva mietuto molti Warg, piccoli se comparati a lui, e nell'ampia conca nel terreno in cui si trovavano erano sparsi i corpi di Orchi e Troll, ma la creatura che aveva davanti sembrava un avversario al suo livello.
Una gigantesca antilope dalla coda di volpe, con occhi come fiamme verdi e, al posto del ventre e delle costole, una bocca umana spalancata e strillante.
I due si avventarono l'uno verso l'altra, zanne contro corna, artigli contro zoccoli, e rotolarono al suolo cercando di colpirsi agli organi vitali.
Prima che Sif potesse capire cosa fosse accaduto, la bocca addominale dell'Antilope Urlante si chiuse intorno ad una delle sue zampe, bloccandolo e rendendolo indifeso di fronte alla cornata che gli sfondò il costato, bucandogli il cuore, mentre la bestia lanciava un ragliare di vittoria.
Nel farlo espose la gola e Sif, negli ultimi spasmi della morte, gliela squarciò con tutta la forza che aveva.
Il suo ultimo pensiero fu per Artorias, sperando che almeno lui sopravvivesse.
Ludwig vorticava il suo spadone di energia magica, fendendo le forze di Mordor ad ogni colpo, mentre il suo cavallo li schiacciava sotto gli zoccoli possenti, aprendo una strada di morte per gli altri Cacciatori.
Dietro di lui, Lady Maria infilzava Goblin e Warg con fioretto e katana, mentre Laurence massacrava tutto quello che si avvicinava con la balestra.
Gehrman piroettava con la falce, troncando qualunque cosa trovasse sul suo cammino, dirigendosi verso l'essere che prometteva di essere una preda degna dei cacciatori di Yharnam.
Lo chiamavano il Macellaio, un Orco ben più alto e muscoloso della media degli Uruk, con lunghi canini inferiori sporgenti, vestito di un'armatura di parti di varie bestie, e armato di ascia e mannaia.
Era circondato da Berserker Uruk e da quegli essere armati di cannoni che venivano chiamati "Mancubus", ma non offrivano molta protezione contro l'addestramento e la potenza superiore dei Cacciatori.
Il Macellaio era però tutta un'altra storia: Ludwig e la sua cavalcatura vennero abbattuti prima che Maria riuscisse a disarmare il Macellaio, che la prese per il collo e la lanciò via, afferrando gli spadoni dei Berserker senza sforzo apparente.
Ruggendo, tritò i Cacciatori, e l'ultimo a cadere fu Gehrman, che riuscì comunque a piantargli la falce nel ventre.
Il Macellaio ruggì, colmo di orgoglio per la vittoria.
Fu allora che Ornstein lo trafisse da parte a parte con la lancia, girando la lama per finirlo, per poi scagliarlo via a schiantarsi contro una roccia.
Un corno in lontananza.
L'orda di ragni, Goblin, Draghi e Abitatori delle Tenebre stava calando dalle montagne che circondavano Mordor, i figli di Shelob e gli Warg in testa, seguiti dai Draghi di Caverna che caracollavano a grande velocità.
E presto i Draghi cominciarono a cadere, abbattuti dalle frecce di Gough, mentre i difensori della libertà della Terra di Mezzo si preparavano alla lunga battaglia.
Elrond vibrò il colpo finale all'Ariete dell'Incubo, estraendogli la lancia dalla spalla e ficcandogliela nella trachea, vedendolo cadere a terra, mentre Cìrdan sgozzava due Chimere con le spade gemelle del Mezzelfo.
Restituì le armi ad Elrond e recuperò la sua lama ricurva.
I due riunirono i guerrieri rimasti in zona, e si diressero verso Gil-Galad, cugino di Elrond.
Chernobog stava cominciando ad accusare le ferite, e Gil-Galad ne approfittò.
Scattò con tutta la forza che gli restava, e fece saettare la lama, tagliandogli l'occhio sinistro.
Il Signore degli Incubi urlò, furioso per il dolore.
"Maledetto!" latrò "Segnati le mie parole, Gil-Galad, figlio di Fingon: la sfida tra noi due è solo rinviata. Avrò la mia vendetta! Quando l'ombra di Sauron sorgerà di nuovo, io farò ritorno, quando i miei poteri saranno supremi, e spazzerò via la stirpe dei Sovrani Elfici dalla faccia di Arda! E alla fine, la vittoria sarà mia!"
Mentre si dissolveva in ombra, Gil-Galad ponderò sulle sue parole, una tenebra che gli scendeva sul viso: le minacce di quell'essere non erano da prendere sotto gamba.
Le sue riflessioni vennero interrotte dall'arrivo di Elrond e Cìrdan.
Gil-Galad spazzò via i cupi pensiero, e alzò la lancia Aeglos, salutando il cugino e liberando i poteri dell'arma: come un'onda si espanse dalla lama, un'onda di paura rivolta verso le forze di Sauron, che cominciarono a temerla più della frusta dell'Oscuro Sire.
I tre erano pieni di rinnovato vigore, e si diressero verso gli Abitatori dell'Oscurità, accompagnati dalle loro truppe, presto raggiunti da Ornstein che vorticava la lancia, falciando Orchetti ad ogni passo; la sua armatura dorata era ammaccata e graffiata in più punti, segno della durezza della battaglia.
Non c'era tempo per preoccuparsene: la guerra chiamava.
Caricarono gli Abitatori delle Tenebre, mentre Ornstein l'Ammazzadraghi teneva fede al suo titolo, abbattendo un gran numero di Draghi di Caverna.
Elendil era rimasto separato dai suoi compagni di battaglia dopo lo scontro col demone, e ora stava affrontando una torreggiante creatura, ben più grande del demone, nera come la notte e priva di occhi.
Per quanto avesse gambe e braccia, c'era qualcosa dell'insetto e del rettile, nella sua anatomia: aveva un cranio allungato e una lunga coda simile ad una colonna vertebrale esposta, terminante in una lama ricurva seghettata, e dalle ferite sanguinava veleno che corrodeva il terreno.
La creatura spalancò le fauci, mostrando la lingua terminante in una seconda bocca irta di zanne, agitando le zampette che spuntavano ai lati della gabbia toracica.
Narsil resisteva all'acido, ma l'armatura di Elendil no: il Re di Gondor doveva schivare e colpire i punti ciechi della bestia, in una guerra di attrito resa ancora più difficile dagli Orchetti che si avvicinavano, oltre che dalla mole di quella creatura.
Ad un tratto, Elendil udì un fischio sibilante, e una freccia atterrò davanti a lui, costringendo la bestia ad arretrare: una freccia che recava con sé una grossa arma, simile a quella di Gascoigne, ma ben più grande.
Crinebianco sorrise, dal Valico di Cirith Ungol, e cominciò a scagliare altri dardi ad abbattere gli Abitatori delle Tenebre, mentre Elendil afferrava la BFG-9000 e la scaricava in faccia alla Regina degli Xenomorfi, riducendola a pezzi e facendo piovere acido tutto intorno.
Elrond e Cìrdan si avventarono sull'orda di ragni, roteando le lame, falciando arti a squarciando addomi, seguiti dai loro guerrieri, armati di archi e lance, di spade e scudi.
Mentre Elrond ingaggiava una gigantesca tarantola dalle lunghe chele di scorpione, schivandone il pungiglione mortale, vide Cìrdan dirigersi a passo sicuro contro il pallido figlio di Shelob dalle braccia umana, e cominciare ad incrociare la spada con quelle del ragno.
Elrond mozzò le zampe della tarantola, schiantandola a terra e piantandole le lame nel cranio, per poi rivolgere la sua attenzione al colossale Re dei Goblin, schivando con una capriola un colpo discendente del suo martello e ferendolo ad una coscia con la lama.
Duellarono a lungo sulla carcassa del Ragno, con il Re dei Goblin che compensava la mancanza di tecnica con la stazza e la forza bruta.
Elrond finalmente ebbe ragione dell'avversario, infilzandolo e scagliandolo giù dalla sommità del corpo del Ragno, a schiantarsi al suolo, per poi balzare in aiuto di Cìrdan contro il Generale dei Ragni.
Elendil venne presto raggiunto da suo figlio Isildur e da Gil-Galad, in tempo per notare che le forze di Mordor si ritiravano, intimorite, al passaggio di un gigante in armatura.
Armato del colossale Grond, il maglio che aveva usato per forgiare l'Anello che ora riluceva al suo dito, coperto da una corazza di ferro brunito decorata di spuntoni barbari e da una corona della medesima foggia, il volto mascherato da un insieme di lame che ricordavano vagamente il teschio di un drago, fuoco che riluceva nelle fessure dell'armatura e lava rovente che colava dalle giunture, Sauron era giunto, il nero mantello di cotta di maglia brunita che s'increspava al vento.
Era alto almeno il triplo di un essere umano, e l'aria intorno a lui si increspava come fosse rovente, e percorsa da folgori nere.
Era una figura di pura disperazione, e tutti capirono che potevano sconfiggere le sue armate, potevano distruggere i suoi alleati e uccidere i mostri da lui creati, ma un fatto rimaneva immutabile: il potere del Signore degli Anelli non poteva essere sopraffatto con la sola forza delle armi.
Sauron sollevò il Grond e lo calò contro il suolo, squarciandolo e aprendovi una voragine che ingoiò tanto gli Orchi quanto Uomini, Nani ed Elfi.
Una falda acquifera sotterranea allagò il cratere, e due masse di carne e carapaci ne emersero, facendo guizzare i lungi tentacoli e spostandosi sulle numerose zampe seghettate.
Gli Osservatori cominciarono ad afferrare tutto quello che riuscivano a raggiungere, massacrando entrambe le fazioni; Ornstein e un ancora furioso Artorias emersero dalla calca, gettandosi nel cratere dove l'acqua giungeva a malapena alla vita del più basso dei due Giganti, e cominciarono a mulinare le armi, vibrando colpi contro la massa che si contorceva come un nido di serpenti.
Vennero presto raggiunti da Leonida e dai suoi Trecento, mentre Gough piantava frecce grosse come travi nelle schiene degli Osservatori.
Purtroppo, mentre quegli eroi erano impegnati, Sauron aveva campo libero per falciare l'Alleanza a martellate, scagliando i propri nemici a decine di metri di distanza con ogni colpo del Grond, distruggendo interi battaglioni con ogni singola spazzata, inarrestabile.
Elrond e Cirdan lo raggiunsero, bloccando la sua furia con le lame incrociate delle loro spade, costringendolo ad arretrare di un passo.
Fu abbastanza per permettere a Leonida di liberarsi dal groviglio di tentacoli dell'Osservatore morto, e di afferrare Sauron per le ginocchia, proiettandosi all'indietro con la schiena e schiantandolo a terra.
Il Re di Sparta fu subito su di lui, colpendolo al polso e costringendolo a mollare il Grond, per poi colmarsi di nuovo della sua nube di collera rossa, e cominciare a bersagliarlo di colpi al volto, ammaccando l'elmo, incurante dei tagli che le lame gli infliggevano alle mani.
Dall'elmo eruttò una fiammata nera e rossa, che fuse i resti dell'armatura di Leonida e gli fece colare via la carne dalle ossa.
Rimasto in piedi spinto solo dalla sua stessa collera, Leonida richiamò di nuovo l'immagine dei suoi guerrieri, facendone piovere le trecento lance addosso a Sauron.
L'Oscuro Sire di Mordor si rialzò e si scrollò le lance di dosso, mentre la sua armatura si ricostruiva, avvolgendosi di fuoco, e Leonida cadeva, morto.
Sauron richiamò il Grond tra le mani, mentre Ornstein e Artorias lo trafiggevano ai fianchi ad armi incrociate.
Menò una terrificante spazzata con l'arma, scagliandoli via entrambi.
Gil-Galad ed Elendil, ruggendo, si gettarono contro di lui, ma caddero entrambi, Narsil infranta sotto lo stivale d'acciaio del Signore degli Anelli.
Isildur afferrò la propria spada con entrambe le mani, e si gettò contro Sauron, balzando in aria e infilando la lama nella feritoia dell'elmo dell'Oscuro Sire, fino all'elsa.
La estrasse, ritorta e rovinata, e la impugnò per la lama ormai smussata, come se fosse una mazza, mentre Sauron si sfilava l'elmo, rivelando il suo vero volto.
Isildur si sarebbe aspettato il volto di un Orco, o qualche altra creatura mostruosa... non un volto degno di un Elfo, dalla pelle d'argento e occhi quasi felini, un volto quasi angelico sormontato da una lunga chioma di capelli neri e biondi.
Fu allora che capì: come fu che Sauron aveva corrotto molti dei popoli della Terra di Mezzo, presentandosi con un aspetto che ispirasse fiducia, e che forse ricordava la forma che aveva quando era un Maiar, prima che cadesse dallo stato di grazia che aveva quando cantava nei cori di Eru Iluvatar.
Isildur si riscosse da quei pensieri e cominciò a percuotere il corpo fisico di Sauron, colpendolo con la guardia della spada con tutta la forza che aveva, i muscoli e i polmoni che bruciavano per lo sforzo.
Fino a quando la lama si spaccò irrimediabilmente.
I due scattarono insieme verso il Grond, e Isildur vinse, per un pelo, riuscendo ad afferrare l'arma e a vibrare un montante al mento di Sauron, prima che l'avversario gli strappasse l'arma di mano e lo colpisse con un pugno al plesso solare, mandandolo a schiantarsi vicino al corpo esanime di suo padre Elendil.
Sauron protese la mano, pronto a porre fine alla vita di Isildur.
Fu allora che il Principe di Gondor afferrò i resti della spada del padre, vibrando un ultimo, disperato colpo, mettendoci il peso delle speranze di tutti coloro che lottavano per la libertà della Terra di Mezzo.
Ebbe fortuna, o forse Eru Iluvatar guidò la sua mano, ma riuscì a mozzare il dito che portava l'Anello.
Sauron aveva riversato troppo di se stesso in quell'oggetto, e la perdita dell'Anello fu troppo, anche per il suo potere.
Si dissolse in fuoco e tenebra e potere, dispersi al vento, in una terrificante onda d'urto, mentre l'armatura crollava, senza più nulla dentro a sostenerla.
Sauron era caduto.
E in seguito a quella battaglia... tutto accadde.
OMAKE DI FINE CAPITOLO
"Sì, è una bella storia." ammise Dante "Ma a che serve, nell'economia di questa fanfiction?"
"Eh, a far capire che questo è un Crossover di quelli grossi..." rispose Gandalf, facendo spallucce.
Il resto del gruppo si guardò intorno, notando gente di Starcraft, Warcraft, Diablo e loro stessi, tutti nello stesso posto.
"Se ne sentiva il bisogno, guarda..." commentò Undertaker, insolitamente sarcastico.
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