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È passata una settimana da quando ho rifiutato l'appuntamento del mercoledì con Joanne. Sono sicura che non ha creduto alle mie scuse campate in aria, ma è qualcosa con cui sono disposta a convivere. La verità è che non m'importa, non più. Ogni tanto mi chiedo persino cosa ci abbia avvicinate la prima volta, cosa ci abbia portate a dare vita a un'amicizia, quale ragione ci abbia spinte a mettere da parte le nostre diversità pur di far nascere questo rapporto.
A distanza di due anni non so ancora darmi una risposta. I primi tempi stavamo bene, lo devo ammettere. Non mi ero mai sentita tanto complice di qualcuno, tanto capita, così poco giudicata per quello che avevo vissuto e che in qualche modo mi aveva segnata. I primi tempi sono stati la famosa luce in fondo al tunnel. Non aspettavo altro che vederla quelle poche mattine in cui eravamo entrambe libere dagli impegni solo per poter parlare di tutto e di niente per qualche ora.
C'erano giornate in cui ridevamo e scherzavamo talmente tanto che a casa ci tornavo con le guance e la pancia che facevano male. Ce n'erano altre, invece, in cui non potevamo fare a meno di sfogarci, perché è importante avere qualcuno che ascolta e che comprende le tue parole, le tue emozioni, i tuoi dubbi. Altre ancora stavamo lì a chiacchierare, a raccontarci piccoli fatti quotidiani, sogni, aspirazioni, ed è stato proprio durante uno dei quei giorni che ho sentito la distanza tra di noi, un pezzo del puzzle andare perduto.
Stavo spiegando a Joanne la trama di una nuova storia che avevo da poco iniziato a scrivere. Le avevo parlato spesso della mia passione per la scrittura, e lo stesso aveva fatto lei con la sua per la pallavolo. Era bellissimo ascoltarla e vederla felice, piena di gioia e con gli occhi che brillavano quando mi raccontava delle partite. Non sono mai stata una patita di sport, però a me andava bene quando lo faceva. Ero contenta perché lei lo era, ma a un certo punto lei ha smesso di esserlo per me.
Si limitava a sentire le mie parole emozionate, annuiva di tanto in tanto con la testa, non mi poneva più domande a riguardo — lei è molto curiosa, e prima lo era eccome quando si trattava delle mie storie. All'improvviso non mi ha più chiesto di poterle leggere.
È stato in quel momento che mi sono resa conto che qualcosa era cambiato e che ci stavamo davvero allontanando. Anche io non mi interessavo più alla pallavolo, alla sua squadra, alle partite, a lei. Anche io ero entrata in quel circolo vizioso di disinteresse. Incontrarsi il mercoledì mattina è diventato quindi nient'altro che una certezza alla quale nessuna delle due era ancora disposta a rinunciare.
*
Ho scritto un messaggio a Joanne per avvisarla che la corriera è in ritardo anche se non è vero. Volevo prendermi del tempo per pensare durante il tragitto dalla stazione al Clyde's perché non sono sicura di volere che questa situazione si prolunghi ulteriormente. Non so se quest'abitudine valga la pena di essere mantenuta, non quando al solo pensiero avverto che c'è qualcosa che manca.
Scendo dal mezzo con ancora gli auricolari infilati nelle orecchie, il telefono messo malamente nella borsa che scivola sul braccio a ogni passo che compio. Evito le persone che mi camminano affianco come se con un misero sguardo potessero scorgere la cattiveria che mi sta animando in questo momento, perché io adesso non ricordo le cose belle che Joanne ha fatto per me; ricordo solo i torti, i dettagli davanti ai quali per tanto tempo sono stata cieca. Non ho più la forza di andare avanti in questo modo.
Quando arrivo Joanne è in piedi di fronte all'ingresso del locale. Le vetrate si spalancano quando si muove per raggiungermi a pochi metri di distanza. Ha gli occhiali da sole con le lenti a specchio che le coprono gli occhi, quindi non saprei dire cosa sta provando ora. Anche se i suoi lineamenti sono induriti questo potrebbe non voler dire niente, o forse al contrario significa tutto e non sono l'unica qui a voler chiudere il rapporto che c'è tra di noi.
Ci salutiamo più freddamente del solito, come se l'allontanamento tra di noi fosse talmente evidente che nessuna delle due riesce più a essere indifferente di fronte a questo dato di fatto.
«Ciao» la saluto facendo io la prima mossa.
«Ciao» risponde lei col medesimo tono di voce.
Joanne decide allora di entrare all'interno del locale, e io non me la sento di ribattere. La situazione è tesa, lo si percepisce a pelle; la tensione sembra un filo ben visibile in bilico tra me e lei.
Ci accomodiamo al solito tavolo, ed è anche il solito cameriere a raggiungerci una manciata di minuti più tardi. Jonah ci sorride con calore come se stesse aspettando soltanto di incontrarci di nuovo.
«Ecco le mie ragazze preferite» esordisce sfilando il blocchetto e la penna dalla tasca della divisa. «Mi siete mancate» aggiunge poi, ma i suoi occhi sono posati unicamente sulla figura della mia amica. Lei si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio con fare civettuolo e ricambia il sorriso.
«Anche tu» risponde infatti.
Jonah si crogiola per qualche istante nel suono di quelle due parole. «Cosa vi porto?»
«Per me un caffè liscio e una brioche con la marmellata» replico, perché stavolta ho bisogno di cambiare. Voglio cambiare tante cose, e iniziare da quelle più piccole mi sembra un buon punto di partenza.
Dopo aver ricevuto e annotato entrambi gli ordini si allontana da noi, però stavolta perdo qualche secondo di più a guardarlo. Da quando ha scambiato due chiacchiere con Jo il suo corpo ha assunto una posizione più fiera, quasi si fosse addirittura alzato in altezza. I suoi gesti sono tranquilli, sereni, e non paiono per niente animati dalla routine. Si muove come uno che è qui, presente, sia mentalmente che fisicamente, e non come una persona che si limita a ripetere le medesime azioni una dietro l'altra. Sembra così vivo in questo istante che mi si stringe lo stomaco.
«Come va con Ryan?» chiedo alla mia amica voltandomi finalmente verso di lei. Non ho avuto la forza di domandarglielo in questi giorni, a maggior ragione dopo la telefonata che ho ricevuto mentre ero in biblioteca con Riccardo.
Ruota per qualche attimo gli anelli che porta alle dita, li toglie e rimette con lentezza, poi i suoi occhi trovano i miei. La classica sfumatura chiara dei suoi sbiadisce, si confonde con le luci e le ombre del locale. Si spengono d'un tratto.
«Va tutto bene» mi risponde con fare cantilenante, allegro, quasi volesse convincere anche se stessa della veridicità della frase appena pronunciata.
«Sei sicura?» Mi sporgo leggermente verso di lei e appoggio la mia mano destra sul dorso delle sue incrociate sul tavolo.
«Sicura.»
Non le credo, lo sa anche lei. Per una che ha passato anni e anni a scrivere, e per tanto tempo racchiudendo le caratteristiche degli amici nelle proprie storie strampalate, è facile capire che sta mentendo. Non è difficile notare lo sguardo sfuggente, il capo inusualmente chino verso il basso per evitare di scoprire le carte, le mani che nonostante tutto non sono in grado di restare ferme per più di qualche minuto.
«Cos'è successo?» le domando non appena Jonah posa caffè e brioches dinanzi a noi. Aspetto che se ne sia andato prima di chiederglielo.
«Non è la persona che credevo che fosse» mi rivela. Sono tentata di insistere, ma è lei a dover essere pronta a dire di più. Adesso non la posso né devo forzare.
Mi sembra ironico ritrovarmi al punto di partenza ancora una volta, però Joanne ha bisogno di me e io voglio esserci per lei. Il resto può aspettare.
*
A mezzogiorno inoltrato usciamo dal Clyde's. Le strade si sono riempite di gente di tutte le età, da ragazzi in uscita dalle scuole a impiegati che si apprestano a raggiungere un posto dove poter pranzare. Ci facciamo largo tra la massa di persone che si muove; ognuno ha una destinazione, qualcuno da incontrare, qualcosa da mettere sotto i denti, mentre a noi questa fretta non sembra appartenere. Anche se la corriera passa tra un quarto d'ora e ce ne metto dieci ad arrivare in stazione, non avverto la necessità di correre per giungervi in tempo.
Joanne mi cammina affianco silenziosamente, il ricordo del discorso su Ryan che ronza nella mente di entrambe quando muoviamo una gamba dopo l'altra. Mi accendo una sigaretta lungo il tragitto perché, dopotutto, ho bisogno di tenermi occupata in qualche maniera e non sopporto di vederla così sapendo che non posso fare niente per farla star meglio almeno un po'.
«Voleva cambiarmi» esordisce circa a metà strada. «Voleva che diventassi l'idea che lui aveva di me.»
«Cosa intendi?» le domando a voce bassa, con calma, dopo aver elaborato le sue parole.
«Ho mille difetti, lo sai» risponde. «Voleva cancellarli uno a uno.»
Comincio a capire i suoi sbalzi d'umore, il reagire esageratamente a qualsiasi cosa, il suo essere distante e sfuggente, il suo fingere che il loro rapporto fosse tutto rose e fiori. Non voleva accettare di essere incappata nell'ennesimo stronzo, forse il peggiore fra di tutti dato che gli altri, in fondo, non volevano affatto cambiarla. Si limitavano ad andarsene dalla sua vita.
«Non voleva me» dice ancora. «Non voleva la mia persona. Voleva qualcuno che non esiste e che non esisterà mai.»
Sto per ribattere, dicendo quali parole però non lo so, ma lei mi ferma non appena socchiudo le labbra.
«Voleva privarmi della mia personalità, e questo non glielo potevo permettere. Ecco la ragione per cui abbiamo litigato. Mi ha detto che non valevo niente, che così com'ero nessuno avrebbe mai provato amore per me.»
«Mi dispiace di non esserci stata» ammetto colpevole. «Mi dispiace tanto, Jo...»
«Non hai avuto tutti i torti» replica allora. «Avevi ragione tu, nonostante tu non mi abbia mai detto a voce quelle parole. Ne ero dipendente per il semplice fatto che non volevo restare da sola un'altra volta.»
«Jo...»
«È stato quando hai iniziato ad allontanarti da me che ho finalmente capito cosa stavo perdendo...» sospira. «Chi.»
Siamo ormai vicine alla stazione, ma sono talmente concentrata sulle sue parole da essermene a malapena resa conto. Sono delusa da me stessa al punto da non riconoscermi più.
«Mi hai aiutata più di quanto tu possa immaginare, Caelie. Ci sei stata per me anche quando non c'eri.»
Mi fermo in mezzo alla strada e l'abbraccio.
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