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Sono tornata a casa con L'insostenibile leggerezza dell'essere stretto tra le mani. L'ho guardato un po' di volte prima di riporlo sul comodino, abbandonato al proprio destino, senza sapere se prima o poi deciderò di leggerlo o di sfuggire per sempre al ricordo a esso legato.

Scendo al piano di sotto con calma, facendo le scale con una lentezza che non mi appartiene e che mai l'ha fatto. Sento le voci concitate di mia madre e di mio padre, ancora una volta, perché quando arriva a casa presto è sempre una lotta prima che arrivi effettivamente l'ora di cena. È da un po' che ho notato qualcosa di diverso in loro, nei loro sguardi, nei loro gesti, nelle loro parole. Sono abbastanza grande da ricordarmi com'erano, a differenza di Leonard. Sono abbastanza grande da vedere oltre la facciata che si ostinano a mantenere in piedi.

La verità è che non si amano più. Da mesi forse, giorni, anni, non lo so. Non si tollerano, non vanno d'accordo; l'unico compromesso che hanno raggiunto è quello di far finta che sia tutto normale, che le urla lo siano, che l'assenza di papà a casa anche quando potrebbe invece esserci lo sia.

Il ricordo peggiore che mi accompagna è questo: una sera mio padre è tornato a casa ubriaco, cosa che non aveva mai fatto prima d'allora, e mi ha confidato di essere uscito con una donna. Quando poi gli ho chiesto chi fosse non me l'ha voluto dire, ma da allora qualcosa da parte mia è cambiato nei suoi confronti. È come se fossero venuti meno il rispetto e la stima che provavo verso di lui. Non ho mai saputo se fosse vero che era uscito con una donna diversa da mia madre, non l'ho voluto sapere. Non gli ho ricordato le sue parole il giorno dopo, non ho ripreso l'argomento quelle poche volte in cui siamo rimasti da soli. Ho fatto finta di niente, codarda come sono, e sono sicura che me ne pentirò per tutta la vita.

Ogni tanto penso che avrei potuto fare la differenza se avessi deciso di affrontarlo. Se avessi scelto di prendere la questione di petto ora il rapporto tra lui e mia madre forse non sarebbe in bilico. D'altro canto, però, potremmo ora non essere tutti qua insieme se lo avessi fatto davvero.

Asciugo con il dorso della mano la lacrima solitaria che mi stava solcando la guancia. Mi trovo di nuovo a fingere di non aver notato nulla. Sono io stessa a convincermi che tutto questo sia normale, che stia andando tutto bene e che questo incubo finirà presto.

*

Esco di casa dopo aver sparecchiato la tavola. Ho liquidato le domande dei miei con un gesto disinteressato della mano perché, dopotutto, sanno anche loro che qui non ho nessuno. Persino Sebastian è troppo lontano per esserci per me. Non hanno fatto storie, tuttavia, fatta eccezione per le occhiate confuse e disperate che mi hanno rivolto. Hanno ormai capito anche loro che sono talmente distante da averli resi impotenti di fronte a questo mio allontanamento.

Cammino lungo le strade deserte — nonostante la temperatura mite, gran parte degli abitanti del paese sta ancora consumando la cena.

Stasera la mente fa così rumore che neanche la musica sarebbe in grado di metterla a tacere. Neanche quella canzone ne sarebbe capace. Ascolto allora il suono prodotto dalle scarpe a contatto con la ghiaia a ogni passo, il cinguettare degli uccellini che non si stancano mai di cantare.

Forse ho davvero smesso di lottare. Forse è davvero giunto il punto di non ritorno per me, il momento in cui sento di non avere nemmeno la benché minima forza o volontà di cambiare le cose. Forse non lo potrei fare neanche se lo desiderassi con ogni fibra del mio corpo.

Sono sola, è questa la realtà dei fatti. Non ho altro che Seb, e Sebastian è troppo lontano per poter sul serio dare una svolta positiva alla mia vita. Dio solo sa quanto darei per averlo vicino anche solo un minuto di più.

Qui non ho nessuno, però. È questo che conta quando si fa sera.

Certo, ci sono Nathan e Joanne, ma chi voglio prendere in giro? Non siamo anime affini, per quanto io mi ostini ad affermare il contrario. Sto bene in loro compagnia per il tempo che dura, poi è alla mia vita quella a cui torno, è alla mia vita quella a cui penso. Non immagino nemmeno di poter dire a uno di loro due "sono stata bene con te" o "mi hai migliorato la giornata". Mentirei se lo facessi, precipiterei nella finzione.

E allora cammino, senza meta, finché le gambe non cominciano a farmi male. Mi fermo e mi siedo su una delle panchine poste sulla riva del torrente: osservo lo scrosciare dell'acqua, la corrente che la deforma e rende spettacolare. La guardo così a fondo che mi sembra di essere lì, distesa sulle pietre, a vedere il mondo distorto, ma comunque migliore di quanto non mi appaia adesso dato che qui ci sono la natura, la calma, la tranquillità, ma quando arriverà il momento di tornare a casa torneranno invece i problemi, l'ansia, la debolezza che provo di fronte a ciò che vivo.

Ricordo quando un vecchio compagno di scuola mi disse che ero forte. Ma io non lo ero e lo sapevo, perché anche quella era una maschera. Anche quella era una corazza, quella che imperterrita tentavo di tenere in piedi con tutte le forze perché altrimenti sarei stata succube di ogni parola, di ogni gesto, di ogni conversazione che non era andata come volevo. A distanza di tre anni lo posso riconfermare. Non sono forte, sono sola, e pur standoci bene ci sono giorni migliori e giorni peggiori. A volte la solitudine mi culla, altre è una zavorra che mi porta ad annegare.

Andrà bene, un giorno. Me lo ripeto continuamente, pur non credendoci, nella speranza che a furia di farlo mi convincerò che è realmente così.

E penso a Riccardo, alla persona che ho lasciato andare, al vuoto che la sua assenza — da me voluta — ha già creato nel mio petto. Penso a lui, al suo sorriso, all'incredibile leggerezza che caratterizza ogni suo gesto, all'innata allegria che traspare dalle sue parole. Penso a quanto bene avrebbe potuto fare una persona come lui nella mia vita. Dopo però rammento Joanne e la sua ossessione per Ryan, il suo esserne quasi dipendente, e scuoto la testa perché, più che restare da sola, ciò che mi terrorizza è il sentirsi completi soltanto in compagnia di un altro essere umano.

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