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È il quinto messaggio di Riccardo in tre giorni al quale non rispondo. È il quarto di Cecily, il secondo di Joanne. Da mercoledì a oggi mi sono immersa nel lavoro, e l'unica persona con cui ho parlato davvero è stata mia nonna.

Ho la testa che scoppia e le mie mani tremano più del solito, ma va bene così. È forse la consapevolezza di aver fatto ciò che ritenevo giusto a non avermi fatta vacillare neanche un secondo in compagnia di altri.

Mia madre ha lo sguardo spento e parla poco da ormai una settimana. Non riesco però a sentirmi in colpa per lei, anche se sono probabilmente i ricordi che ha di mio padre a farglielo mancare così tanto. In cuor suo sa che questa era la decisione migliore per ognuno di noi. Sono queste le parole che mi ripeto ogni qualvolta io mi sorprenda giù di morale: è il solo modo che ho per non crollare, per tenere insieme i pezzi il più possibile. Magari non ne parlerò nemmeno a Gwen quando giungerà il momento di addentrarci in discorsi un po' più seri, magari invece sarà la prima persona con cui mi spoglierò della mia corazza per mettere a nudo i pensieri più segreti e silenziosi della mia mente.

Non lo so, però non voglio neanche rifletterci troppo sopra. Quando arriverà il momento saprò cosa fare.

La consistenza della penna tra le dita mi fa per un attimo riprendere contatto con la realtà, con la pagina bianca che ho scelto di confrontare questa sera. È da tanto tempo che non scrivo vere e proprie storie, e credo non mi sia mai accaduto di prendere una pausa così lunga dalla scrittura. Se prima mi aiutava a evadere dalla realtà per qualche ora, in un mondo di mia invenzione in cui potevo osare ed essere felice, adesso è l'esatto opposto: i miei personaggi non sono più persone a sé stanti con caratteristiche e un passato propri. Sono diventati me.

Sono arrivata al punto di provare repulsione quando leggo le mie stesse parole, perché tra le righe c'è un dolore che io vedo e sento anche fuori dal foglio. C'è troppo di me perché io possa godermi la storia. D'altro canto questo può non avere senso, eppure è una sensazione che mi spaventa talmente tanto che vorrei tapparmi le orecchie e urlare fino a sentire la gola bruciare, la voce gracchiare e le forze cedere. Mi sento intrappolata lì, dove realtà e fantasia si fondono in un tutt'uno che mi annienta piuttosto che distrarmi.

La punta sfiora a malapena la pagina, ma è sufficiente perché una macchia di inchiostro nero s'imprima sulla carta.

Forse questo è il massimo che posso dare oggi, forse non è destino che la scrittura per me diventi più di un hobby. Forse ho bisogno di concentrarmi su altro e smettere di giocare con le parole. Forse non sono abbastanza forte da scindere la mia vita dalle trame che scelgo, forse non ho abbastanza coraggio per rendermi vulnerabile e liberarmi di ogni barriera tra me e chi si trova dall'altra parte.

*

Perdo più tempo del necessario sotto la doccia. L'acqua scorre imperterrita sulla mia pelle nivea, e qualche goccia mi macchia di tanto in tanto le spalle non colpite dal getto diretto del soffione. Sto quasi mezzora solo a lavare e a risciacquare i capelli, altri venti a insaponare il resto del corpo. In sottofondo c'è la musica di una playlist che non mi sono neanche preoccupata di scorrere e di cui ho solo letto il titolo di sfuggita. Non riesco neanche a capire se queste canzoni mi piacciano o meno perché per una volta, la prima, la mia mente si è svuotata di ogni pensiero.

Sono qui nella mia bolla, dove non esistono un padre alcolista e una famiglia che è tale solo per questione di sangue, dove non c'è nessun Riccardo a dirmi che gli piaccio anche se il mio cuore per il momento non gli appartiene, dove non c'è nessuna Cecily che fa la stupida davanti a tutti solo per farmi ridere un po'.

La sveglia che avevo impostato per segnare il limite massimo di tempo che potevo passare sotto la doccia suona interrompendo una canzone poco prima della metà. Mi affretto allora a risciacquarmi e ad avvolgere l'asciugamano attorno a me non appena chiudo l'acqua.

Non credo che mia madre e mio fratello siano rincasati, ma è comunque probabile che io non li abbia semplicemente sentiti entrare. Scrollo le spalle e mi affretto a scacciare quel pensiero; l'idea che mia madre stia sempre di meno a casa, anche quando ha finito di lavorare, mi preoccupa e non poco. Non so dove vada, se abbia un uomo, se abbia bisogno di stare da sola o di parlare con un'amica per essere completamente sincera.

Mi vesto in maniera semplice, un paio di jeans e un maglione vanno più che bene, poi passo qualche minuto di troppo anche a truccarmi per l'occasione. Mi sono fissata con l'idea che un trucco elaborato, per cui ho speso un bel po' di tempo, mi possa impedire di piangere. È un ragionamento stupido, ma quando le cose si fanno difficili e trattenere le lacrime si rivela essere più complicato del previsto questo è l'unico mezzo a mia disposizione per impormi un certo contegno davanti ad altre persone. Per mia fortuna nessuno sembra averlo notato, dato che la mia passione per il make-up mi ha sempre portata a esagerare un po'.

Nell'istante in cui raggiungo la cucina, però, mi rendo conto di non avere alcun mezzo per arrivare al bar dove ho dato appuntamento a Gwen. Mi mordo il labbro inferiore, convinta che avrei semplicemente chiesto in prestito la macchina a mia madre per evitare domande scomode, ma a quanto pare il destino deve sempre mettermi i bastoni tra le ruote in qualche modo.

Invio un messaggio a Gwen avvisandola della situazione, dell'imprevisto che m'impedisce di partecipare a quest'uscita. Nel frattempo lascio un biglietto a mia madre dove l'avviso di non preoccuparsi; le dico che sono soltanto andata a bere un caffè nel locale situato a pochi metri da casa nostra. Nonostante la piega che hanno preso gli eventi, ho comunque bisogno di stare da sola per qualche ora.

Il cellulare mi segnala di aver ricevuto una risposta, quindi lo sblocco in modo tale da poterla leggere. Gwen si è offerta di passarmi a prendere, ma so che abita abbastanza lontano da qui e il pensiero di farle fare un giro a vuoto non mi entusiasma. Allora mi viene un'idea: perché non mettere insieme le due cose e invitarla nel bar in cui sto andando? Avrebbe un po' più di strada da percorrere, tuttavia così facendo non dovrei annullare l'appuntamento. Lei accetta e, malgrado stia leggendo le sue parole da un banale messaggio, mi sembra quasi sollevata che io abbia trovato una soluzione.

*

Aspetto Gwen seduta su una delle panchine sistemate all'esterno, la sigaretta che mi penzola tra le dita poco prima di scrollare la cenere sul porfido sotto i miei piedi. Scorro con disinteresse le notifiche che in questi giorni si sono accumulate nel mio cellulare, eppure evito di rispondere solo perché non ho ancora la forza di spiegare la ragione dietro il mio allontanamento. È così difficile dire che, a volte, si ha solamente voglia di stare in compagnia di se stessi e nessun altro.

L'arrivo di Gwendolyn mi riscuote dai miei pensieri con delicatezza, dato che si limita ad accomodarsi di fronte a me in silenzio. Non devo alzare lo sguardo per capire che si tratta di lei; d'altronde, quando i miei occhi incontrano i suoi, sento immediatamente le mie spalle rilassarsi e i muscoli distendersi. Mi osserva con un sorriso sincero e buono, come se davvero un gesto come questo potesse essere la porta sull'anima di chi ho davanti.

«Ciao, Gwen» esordisco. «Scusa se ti ho fatta venire fino a qua.»

«Non preoccuparti» replica subito. «Va tutto bene?»

«Un cambio di programma all'ultimo, tranquilla» la rassicuro. «Per quanto riguarda il resto, direi di sì.»

C'è un attimo di pausa tra la mia ultima battuta e la sua replica. «Mi fa piacere.»

«Tu come stai?» continuo realizzando di essere parecchio interessata a saperlo. Non solo a sentirmi dire "bene" o "male", quanto a conoscere il motivo dietro la sua risposta positiva o negativa.

«Stanca» afferma ridacchiando. «James mi sta facendo impazzire ultimamente. È così vivace, non riusciamo a tenerlo fermo neanche dieci secondi.»

Scuoto la testa e mi unisco alla sua risata. «Posso solo immaginare, anche Leo era così alla sua età.»

«Tu no?»

«Sono sempre stata molto calma, a dire il vero.»

«Si vede» ammette, e nel suo tono di voce non c'è alcuna traccia dell'accusa che di solito leggo tra le righe di chi mi parla. A molti non va giù che una persona possa preferire la solitudine a una festa o la tranquillità di un film sotto le coperte piuttosto di un giro nei locali. È la prima volta che sento di poter essere me stessa senza nascondermi dietro una scusa oppure giustificarmi di quello che mi piace.

«Ogni tanto preferisco stare da sola» dico più a me stessa che a lei, «anche se uscire non mi dispiace. Credo invece che, per Leo, una cosa del genere sarebbe una tortura.»

«È anche una questione di carattere» concorda lei. «Per fortuna siamo tutti diversi.»

«Quanti anni ha James, adesso?» le chiedo, un po' preoccupata di averle fatto una domanda stupida. Forse dovrei saperlo, dato che viene da me ogni mese.

«Nove, quasi dieci» replica serena. Il sorriso coinvolge anche i suoi occhi quando l'argomento di conversazione si sposta su suo figlio. «L'ho avuto alla tua età più o meno, ma non lo cambierei con nessun'altra cosa al mondo.»

Questo mi fa intendere che non si riferisce solo a lei e a ciò che mi ha appena confidato, eppure non apro bocca per togliermi questo dubbio. Voglio che questo incontro faccia il suo corso, senza forzarlo o cercare di anticipare il naturale corso degli eventi. Parlare di lei, e solo in parte di me, mi sta facendo bene. Mi sta mettendo a mio agio molto più di quanto avessi immaginato; vorrei quasi trascorrere la serata a chiacchierare di James e delle sue marachelle.

«Wow, è più grande di quanto ricordassi allora.»

Ride scuotendo leggermente la testa. «Non lo vedi da un po', Caelie» sospira abbassando il capo verso il tavolino. «La prossima volta lo porto con me in biblioteca così lo conosci per bene. Tempo due anni e sarà già alto come me.»

Una ciocca di capelli scuri le copre parzialmente l'occhio destro. La porta dietro l'orecchio con calma, liberando il suo sguardo cristallino da qualsiasi ostacolo.

«Oh, non vedo l'ora!» esclamo al pensiero di rivedere James. È difficile persino poterlo descrivere, sono passati troppi anni da quando l'ha portato con sé per fargli decidere quale libro volesse leggere.

«Che dici, entriamo?» mi domanda poi Gwen, strappandomi — dolcemente, come solo lei sa fare — alla piega malinconica che avevano preso i miei pensieri. Annuisco e mi alzo seguendola all'interno del bar.

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