Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

13


«Buonasera!» esclamo non appena entro in cucina.

La casa di mia nonna è sempre la stessa, pulita e in ordine, ma nonostante l'ovvia aria di familiarità che vi respiro la sento estranea. Nell'ultimo periodo, per un motivo o per l'altro, non sono passata spesso a farle visita. La mattina preferisco camminare — condividere l'abitacolo con mia madre e Leonard che litigano durante l'intero tragitto, anche se nel mio caso si tratta soltanto di pochi minuti, non mi fa sicuramente iniziare la giornata col piede giusto — e la sera, tornando dal lavoro, ho avuto spesso e volentieri bisogno di pensare. Mentirei se dicessi che l'oggetto di quei pensieri era Riccardo, perché malgrado i suoi continui messaggi in testa avevo un altro volto, altri occhi, altri sorrisi.

«Ogni tanto ti ricordi di me.» Il suo tono di voce, quando parla, è neutro. Non riesco a capire con sicurezza dove voglia andare a parare con queste parole, però un'idea ce l'ho e non mi piace. Sono l'unica nipote che le fa visita in qualunque momento libero abbia; Carl e Bree, e ultimamente pure Leo, a stento passano per un banalissimo saluto.

Prendo tempo liberandomi della borsa e della giacca, poi scosto una sedia e mi accomodo di fronte a lei. «Stasera esco con un ragazzo» è la prima cosa che mi viene in mente da dire per allentare un po' la tensione. Il mio cuore stava battendo troppo forte per via del senso di colpa.

«Era ora!»

«Il problema è che non sono più così sicura di volerci andare...» le spiego ignorando il suo commento. Mi punzecchia sempre per quanto riguarda questo aspetto della mia vita; ci sono fatti di cui persino lei è all'oscuro, ma va bene così. «Se fosse accaduto due anni fa avrei fatto i salti di gioia.»

Solamente dopo averlo detto mi rendo conto del mezzo passo falso ingenuamente fatto. Fortunatamente, tuttavia, questo fa parte di ciò che nonna Betty non sa.

«Cos'ha che non va questo figliolo, di grazia?» mi domanda con un ghigno divertito. Si sporge leggermente verso di me e appoggia entrambi i gomiti sul tavolo.

«Niente» rispondo scrollando le spalle. «È questo il punto. Sembra sempre così allegro.»

«Il contrario di te, insomma.»

«Nonna!» la richiamo, nonostante non sia in grado di trattenere una risata. «Non so cosa fare, lo deluderei se cancellassi tutto all'ultimo.»

«Va', esci con lui.» Suona come un vero e proprio ordine, e mi sorprende udire parole tanto dure da parte sua. So che non l'ha detto con l'intento di imporlo, eppure nella sua voce c'era una sfumatura diversa rispetto al solito.

«Sono stanca di vederti così sola» aggiunge sconsolata.

Sto per ribattere che questo non è vero, che io sola non lo sono affatto, ma persino confinata nella mia mente percepisco la bugia.

*

Riccardo mi ha avvisata che sarebbe passato a prendermi alle otto soltanto poco fa. Per fortuna, comunque, ho iniziato a prepararmi con largo anticipo. Tendo ad accelerare i tempi e ad anticipare le cose quando sono nervosa o in ansia per qualche ragione. Do un ultimo sguardo allo specchio per controllare che il trucco sia in ordine, poi do un'occhiata anche al contenuto della borsa per appurare che vi sia tutto il necessario.

Ho espressamente chiesto a Riccardo di non suonare il campanello quando arriva, però, dato che non sono in vena di essere sottoposta a un terzo grado da mia madre o da mio padre.

Leonard, anche questa sera, è a cena fuori. La sua assenza è diventata talmente parte della mia routine che, per quanto sia brutto da dire, non ci faccio quasi neanche più caso.

Il telefono squilla e leggo sullo schermo il nome del ragazzo, ma mi astengo dal rispondere e mi affretto verso la porta d'ingresso. Prima di andare, comunque, sporgo leggermente la testa in cucina reggendomi con le mani allo stipite della porta. Mia madre è ai fornelli, e le sue spalle sobbalzano leggermente quando la chiamo. «Vado, mamma» l'avviso. «Ti detto stamattina che sarei uscita, ricordi?»

Lei sbuffa e rotea gli occhi al cielo. «Non mi hai detto proprio niente» ribatte. «Ma va bene, vai.»

La sua espressione mi lascia interdetta, eppure non quanto le sue parole. Sanno di rassegnazione, come se fosse abituata a cucinare per quattro e a mettere sempre qualcosa da parte. Il volto di Leo mi scorre davanti agli occhi come un flash e capisco il perché senza bisogno di fare domande.

«Non torno tardi» la rassicuro.

«Mi raccomando.»

*

Io e Riccardo siamo in viaggio da circa dieci minuti e non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione di estraneità che mi provoca questa situazione. Appoggio il gomito alla portiera e la testa sul pugno chiuso mentre gli occhi osservano attenti e curiosi il paesaggio che si estende al di là del finestrino.

Anche Riccardo sta in silenzio e, pur conoscendolo davvero poco, posso affermare con sicurezza che questo comportamento non è da lui. È teso, le sue spalle sono rigide, e il suo sguardo è fisso dinanzi a sé, puntato sulla strada. Nonostante per me sia più conveniente tacere, considerando i pensieri che mi stanno frullando per la mente in questo momento, desidero spezzare questa quiete. Non è la prima volta che condividiamo lo stesso abitacolo, eppure adesso avverto sulle spalle il peso di una promessa che so di non poter mantenere. Non è qualcosa di occasionale quello che stiamo facendo, anche se mi piacerebbe che lo fosse. Rimanere incastrata in un rapporto che non sarei capace di gestire era proprio quello che volevo evitare.

Tenendo conto che abbiamo esaurito le solite domande di circostanza nei primi due minuti di tragitto, cerco di pensare ad altro. «Cosa fai nella vita?» esordisco, la voce mi trema un po'. Un quesito come questo può portare a una risposta che può significare tutto o niente.

«Frequento un corso di fotografia, è la mia più grande passione» risponde dopo alcuni istanti in cui si ferma a riflettere. «Tu?»

«Lo sai già» mi ritrovo a dirgli ridacchiando.

«Oltre a quello?»

«Mi piace molto scrivere» gli svelo con naturalezza. Arrossisco al pensiero che parte delle mie parole abbiano avuto lui come soggetto. Non ho avuto ancora il coraggio di rileggerle, forse perché a mente fredda le credo sempre vuote e dettate dall'euforia del momento. «Ultimamente, però, l'ispirazione non è dalla mia parte.»

Riccardo annuisce in maniera impercettibile mentre la sua attenzione torna sulla strada così da poter girare a sinistra all'incrocio.

«Cosa scrivi?»

«Di tutto.»

«Mi stai dando risposte piuttosto vaghe, Caelie» ribatte e, anche se non lo vedo, so che sta sorridendo. Lo sento.

«Storie d'amore, perlopiù» gli spiego allora. «Tuttavia, vorrei provare a scrivere altri generi. Il problema è che non sono brava a tenere a mente tutti i dettagli importanti.»

Avverto le spalle rilassarsi, e in generale la postura, ora che stiamo parlando di un argomento a me caro. Il fatto di essere sicura di non rimanere a corto di parole mi rende più sicura e decisa.

«Perché?»

«Perché cosa? A quale delle tante che ti ho detto ti riferisci?» Volto lievemente il capo nella sua direzione, lo vedo scrollare le spalle; i suoi gesti, malgrado possano passare inosservati, non rispecchiano a pieno ciò che la sua voce esprime.

«Perché scrivi storie d'amore?» puntualizza.

Avrei dovuto prevedere questa domanda, eppure non pensavo che avrebbe scavato tanto a fondo in questa questione. Scrivere mi piace, su questo non ci sono dubbi, è solo che...

«Caelie?» chiama il mio nome. Credo sia la seconda volta che lo dice, quando io al contrario sono tanto lontana che d'un tratto sento la cintura stretta e pressante, l'abitacolo troppo piccolo e l'aria più rarefatta.

«S-Sì?» balbetto.

«Perché scrivi storie d'amore?» ripete immaginando che la mia momentanea disattenzione fosse dovuta al semplice fatto che non lo stavo ascoltando.

«Mi piacciono, tutto qui» replico consapevole di avergli mentito di nuovo. Riccardo scuote leggermente la testa, ma permette al silenzio di avvolgerci di nuovo.

*

«Sei così taciturno stasera» gli faccio notare non appena la cameriera che ha appuntato i nostri ordini si allontana.

Il ristorante in cui mi ha portata Riccardo si trova a metà tra Lincoln e Jackson, e mi sono chiesta sin dall'inizio perché abbia fatto tanta strada solo per portarmi qua. Ci abbiamo messo circa mezzora di tempo in macchina; non è certo il primo posto a venire in mente per un appuntamento, dopotutto. Credo ci sia di più sotto, ma Riccardo non sembra intenzionato a rendermi partecipe delle sue motivazioni.

Nonostante questo, il locale mi piace. La luce è soffusa e intima, per niente fastidiosa, e i tavolini sono addossati alle quattro pareti lasciando il centro della sala vuoto. Sono divisi tra di loro, in modo tale da regalare ai clienti un'atmosfera tranquilla e riservata.

«Non è che tu sia particolarmente loquace» mi dice, ma alla fine gli scappa una risata sommessa che mi fa abbassare il capo per nascondere un sorriso.

D'un tratto si fa serio e i suoi occhi si fissano nei miei non appena intercetta il mio sguardo. «Cosa nascondi, Caelie?»

La domanda mi spiazza talmente tanto che non so neanche se rispondergli o stare zitta. «A cosa ti riferisci?» riesco in seguito a formulare.

«Non lo so» risponde con un'alzata di spalle fingendo disinteresse. Ancora una volta i suoi gesti e le sue parole non corrispondono. «Non ti ho mai vista ridere.»

«Ci conosciamo da poco» ribatto allora. «È per questo.»

«No.» È sicuro quando questa semplice sillaba sfila sulle sue labbra. Non ha esitato nemmeno un attimo. «Qualcuno ti ha fatta stare male, non è così?»

La cameriera torna con due piatti fumanti che posa sul tavolo, e mentalmente ringrazio questa ragazza per averci interrotto. La nostra conversazione stava prendendo una brutta piega, e Riccardo vuole sapere troppo considerando il rapporto che ci lega.

«Non è forse così per chiunque?»

Riccardo cambia posizione sulla sedia. «Certo, non posso darti torto.»

*

Quando usciamo dal ristorante l'aria è fredda e un leggero venticello mi fa danzare i capelli sciolti. Riccardo cammina affianco a me, non un passo indietro né uno avanti, ma comunque non troppo vicino perché le nostre braccia coperte si possano toccare per puro caso.

Avverto ancora il peso sulle spalle delle promesse che so di non poter mantenere e delle risposte che so di non potergli offrire; dopo avermi posto quei quesiti, però, ha lasciato cadere il discorso e mi ha raccontato dei numerosi viaggi che ha fatto, la maggior parte di essi dettati dalla volontà di fotografare paesaggi che tolgono il fiato e momenti da ricordare, di quelli che ti segnano forse per sempre.

Non mi chiede se mi sono divertita o se ho apprezzato la cena, ma quando sto per raggiungere la macchina mi ferma e fa un cenno con la testa. «C'è una panchina, là.» Me la indica col dito, e mi dirigo verso quel punto prima ancora di dargli una conferma a voce.

Ci sediamo vicini, è la prima volta da quando siamo usciti che sento il calore del suo corpo, anche se solo attraverso i vestiti. Non mi guarda, i suoi occhi sono puntati sulla strada a parecchi metri di distanza rispetto a dove ci troviamo. Una macchina sfreccia sull'asfalto qualche secondo più tardi, noncurante del limite di velocità nettamente inferiore.

«Quando ero piccolo i miei genitori mi hanno portato in gita al lago» esordisce. «Ero così felice che non ci credevo. Siamo stati tutto il pomeriggio a prendere il sole e giocare e poi, quando ormai avevo digerito il pranzo, mia madre mi ha permesso di andare a fare il bagno.»

Lo osservo con le sopracciglia aggrottate perché non ho la più pallida idea di dove voglia andare a parare, ma anche questa è una prima volta stasera, quindi lo ascolto senza interrompere. Mi piace sentirlo parlare, assorto, con lo sguardo rivolto verso il cielo come se stesse cercando di riacchiappare i ricordi e le immagini del passato uno a uno.

«Subito dopo essere entrato in acqua, però, la pancia ha cominciato a farmi male.»

Trattengo di nuovo un sorriso. «Mi scappava la cacca, solo che non avevo tempo di correre in bagno. Mi sono allontanato un po' dalle altre persone e l'ho fatta lì!»

«Non ci credo!» esclamo e la risata che tanto ho provato a trattenere mi abbandona.

«Bene, ora possiamo andare.» Mi afferra il polso trionfante e si alza in piedi spingendomi a fare lo stesso. «Sono riuscito a farti ridere o sbaglio?»

Gli do una spinta scherzosa. «Dai, vai avanti!»

Fingo indifferenza, ma il sapore di quella risata lo sento ancora sulle labbra, insieme a un muto grazie, malgrado avesse potuto evitare di mettermi al corrente proprio di quell'episodio.

*

Al ritorno, pochi istanti dopo essere saliti a bordo, Riccardo collega il telefono alla radio e alza il volume. Le canzoni si susseguono l'un l'altra, la sua voce le accompagna e, dopo minuti di resistenza, si aggiunge anche la mia. Non mi sfiora il pensiero di essere stonata né quello di non sapere il testo. Mi lascio andare e basta. La sua presenza ora mi fa sentire protetta, m'illude di stare in una bolla di felicità e spensieratezza lontana dalla realtà.

Anche lui si accorge che qualcosa nel mio comportamento è cambiato, ma non me lo fa presente. Alza soltanto il volume e canta più forte.

Gli appoggio una mano sul braccio d'istinto e gli sorrido. «Grazie.»

Soltanto quando finalmente parcheggia davanti a casa mia, mi guarda negli occhi e mi dà una risposta. «Pensi che sia esagerato chiederti di rivederci? Mi concedi questo onore, Caelie, o non ho alcuna speranza con te?»

Rido ancora una volta, l'euforia delle canzoni e delle nostre voci insieme mi solletica ancora la pelle impedendomi di stare ferma.

«Lo scopriremo presto, non pensi?» Gli faccio l'occhiolino e scendo dall'auto mentre lui segue la mia figura con sguardo attento.

Sto per aprire il cancello quando sento il rumore del finestrino che viene abbassato, quindi mi volto. «Ti prego» dice e si prende brevemente il labbro inferiore tra i denti, poi arriccia le labbra per fare la classica faccia da cucciolo.

«Ok, ok, basta che non succeda nulla di... imbarazzante, se capisci cosa intendo.»

«Me lo rinfaccerai a vita adesso, vero?»

A vita... «Almeno fino alla prossima volta, questo è poco ma sicuro.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro