Cap 21
LUX
Nella mia mente si affacciano e rincorrono parole, pensieri, immagini torride che poi spariscono prima che io riesca a formularle completamente.
La scena che si presenta davanti ai miei occhi cancella ogni razionalità dal mio intelletto.
Non riesco a concepirlo.
Semplicemente, non riesco nemmeno a pensare che ci possa essere un motivo qualunque per compiere un gesto così nefasto, crudele, sacrilego e umiliante verso una creatura che è per natura libera e nobile. Un lupo.
A livello razionale so che dovrei essere lucida, inabissare le emozioni e comportarmi come si conviene a un soldato e un futuro ufficiale. Ma non ci riesco. Non ci riesco perché come persona, come ragazza diciassettenne, vorrei solamente non vedere questa scena, e rannicchiarmi fra le braccia di mio fratello come quando ero bambina e mi svegliavo nel cuore della notte, e lui mi diceva che era stato solo un incubo, che nulla di quello che avevo visto era reale.
Ma ora è reale. E devo farci i conti.
Solo dopo un tempo indefinito, che nella mia mente sembrano ore ma sulla meridiana appaiono minuti, riesco a riprendere il controllo.
-Giafa- dico solo, controllando il tremito della voce, rivolta alla mia amica. A giudicare dal viso lei è sconvolta quanto me, forse di più. Non mi risponde, imbambolata sulla scena macabra sulla quale ero imbambolata anche io fino a pochi secondi fa.
La scuoto delicatamente per una spalla, finché lei sbatte le palpebre e si gira a guardarmi.
-Siamo soldati- le ricordo, con gentile fermezza -Abbiamo una missione. Devi riprenderti. Respira, ora-
Cercare di far star meglio lei in qualche modo mi fa riscuotere. È il dovere di un ufficiale prendersi cura dei suoi subordinati, e ancora prima di essere un dovere è una cosa che mi sento di fare e che desidero fare nei confronti della mia migliore amica.
Giafa ci mette qualche altro minuto a smettere di tremare e calmarsi del tutto.
-Quale persona.. quale... mostro... può aver fatto questo?-
Come per risposta, da dietro di noi si sente un rumore di passi. Impallidisco e trascino Giafa nella porta aperta della casa a cui ci eravamo appoggiate.
I passi ci raggiungono mentre siamo acquattate sotto la finestra, senza respirare, e delle ombre di persone si proiettano su di noi.
Ci raggomitoliamo ancora di più. I passi non sono come quelli dell'uomo che abbiamo incontrato all'entrata del villaggio, deboli e strascicati, ma sono decisi, sicuri e puntano una meta precisa.
E quella meta è la croce dove era appeso il cadavere del lupo.
Fremo di rabbia, sdegno e tristezza al solo ripensare a quell'immagine. Invece le persone che stanno camminando, perché dai passi si capisce che si tratta di più persone, non si bloccano alla vista dell'animale, un tempo maestoso, né si abbandonano a esclamazioni di disgusto. Anzi, avanzano addirittura più decise di prima.
Questo mi fa pensare che non siano dalla nostra parte.
Passano oltre il nostro rifugio, così posso tirare un sospiro di sollievo. Aspetto ancora qualche secondo, in trepidante attesa. Poi mi arrischio a sollevarmi di quello che basta per guardare fuori dalla finestra, cercando di non sporgermi troppo.
Immediatamente i miei sospetti trovano conferma. I passi che ho sentito appartengono a un gruppetto di cinque persone, due delle quali indossano un saio, mentre le altre sono gli energumeni che tenevano loro lontani i cittadini durante la parata. Due di loro reggono una campana fissata a un asse di legno che tengono sulle spalle, mentre un terzo ha un bastone metallico in mano.
Serro la mascella.
-Beh, se non altro li abbiamo trovati- sussurra Giafa, che si è sporta a vedere come me, tentando di ricorrere al suo inarrestabile ottimismo. Ma persino il suo tono è cupo.
-Cosa vogliono fare?- bisbiglio io di rimando, sdegnata, ascoltandola appena.
Una voce nella mia testa urla che sicuramente sono loro i colpevoli di ciò che è successo al lupo, e ogni fibra del mio corpo grida vendetta. Ma non devo assolutamente muovermi.
Uno dei due monaci distoglie infine gli occhi dal cadavere e si gira a guardare quelle che devono essere le loro guardie del corpo, facendo un cenno con la testa a quello che porta il bastoone di ferro.
Questi, obbedendo al suo muto segnale, si gira verso la campana, e, caricando il colpo con la mazza, la suona con tutte le sue forze. Una, due, tre volte.
Il rumore rieccheggia nell'aria chiaro e cristallino, e non posso evitare di pensare a come un suono così bello sia in contrasto con la scena che in questo momento è davanti ai miei occhi. Come se i miei sensi volessero prendersi gioco di me.
Sospiro.
Non è certo il momento di pensare a una cosa del genere. Piuttosto, quello che mi deve interessare è capire cosa ci fanno qui questi uomini, chi sono e il loro scopo.
Quindi l'unica cosa da fare è rimanere nascosta ancora per un po' ed aspettare pervedere quale sarà la loro mossa.
Anche se questo mi fa sentire tremendamente impotente.
I secondi passano, mentre l'ansia si fa strada dentro me.
Durante le missioni al confine non mi è mai capitato di essere messa di ronda notturna, mentre a mio fratello è successo, e mi ha raccontato la situazione.
Mi ha detto cosa si prova immobile a fissare il buio per ore che sembrano anni, in attesa di un nemico che potrebbe arrivare da un momento all'altro o non arrivare mai, mentre i secondi si sommano uno dopo l'altro e con esso un senso d'ansia, attesa e tensione che ti portano dopo un'ora sola di ronda a essere sfinito come se si avesse passato ben più di una notte insonne.
In questo momento, appostata dietro alla finestra di questa casa, guardando i nemici che sono davanti a noi e aspettando di poter fare una qualsiasi mossa, capisco esattamente cosa si prova.
Infine, nuovamente il sentiero echeggia di passi, che risuonano nelle mie orecchie quasi più di quanto abbia fatto il rumore della campana prima. Solo che questa volta non si tratta di un gruppetto ristretto di persone.
No, qui c'è una folla intera, che viene in questa direzione da tutte le stradine circostanti. Tutta la città si sta riunendo dove è suonato il gong.
Mi arrischio a sporgermi di nuovo dalla finestra, e Giafa con me. Eccoli.
Davanti a noi sfilano i cittadini, magri e laceri, lo sguardo perso nel vuoto, come una parata di morti viventi.
Quasi per riflesso istintivo, stringo l'elsa della spada fino a sbiancarmi le nocche.
La folla continua a fluire nella piazzetta, fino a stiparla completamente. Gli energumeni hanno posato gli strumenri che tsnevano e si sono disposti a semicerchio intorno ai monaci e al cadavere del lupo, per impedire alle persone di avvicinarsi troppo.
Quando alla fine i passi si fermano e tutti glli abitanti sono arrivati in piazza , uno dei due sacerdoti alza le mani al cielo.
-Fratelli- dice, e dalla sua voce roca e graffiante riesco a capire che non è lo stesso monaco che ha parlato prima. -Fratelli. Ho una terribile notizia. Degli stranieri si sono introdotti nelle nostre case-
Mi irrigidisco, pensando che parli di noi, ma poi con il bastone a cui si appoggiava da una frustata al lupo. Sobbalzo, mentre Giafa digrigna i denti e artiglia con le mani lo stipite. Fa un po' di rumore.
Prima che chiunque possa chiedersi di che rumore si trattasse, la afferro e ci rituffiamo nell'ombra, respirando forte per scrollarci di dosso la rabbia che ci ha assalite. Intanto il monaco ha ripreso a parlare.
-Noi vi abbiamo fatto conoscere la luce, fratelli. Vi abbiamo fatto conoscere la gioia, il piacere. Vi abbiamo mostrato che seguire la strada dei fiori è l'unica cosa che abbiamo bisogno di fare.
Ma questi stranieri sono malvagi!-
Sento un altro tonfo sordo, e immagino che il monaco abbia colpito di nuovo il lupo con il bastone. Stringo i denti. Serro la presa sull'elsa della spada. Non devo intervenire.
-Questi stranieri rigettano le nostre usanze, fratelli. Loro sono il male, e ci porteranno il male. Il lupo nero è giunto! E con lui i suoi seguaci!
Non possiamo lasciarli agire. Per meritare la protezione dei nostri amati fiori, fratelli miei, dobbiamo combattere. Distruggiamo i nemici che vogliono abbattere la nostra religione!
I lupi sono nostri nemici.
Usciamo dalle nostre case, dalle nostre mura, e iniziamo la guerra santa!
Sterminiamo i nostri nemici. Sterminiamo i lupi... e i loro cavalieri!-
I civili reagiscono in una maniera che non mi sarei mai aspettata da persone nelle loro condizioni. Urlano di approvazione, sbattono i piedi. Sembrano un esercito pronto per la battaglia.
Non posso fare a meno di agghiacciare.
Giafa cerca la mia mano.
-Cosa facciamo?- bisbiglia attraverso la sciarpa.
Scuoto la testa. -Non possiamo permettere che escano da questa città- rispondo, decisa -Sarebbe una catastrofe. Ma non possiamo neanche far loro del male. Sono drogati, non hanno nessuna colpa-
-Quindi dobbiamo bloccare le porte? Chiuderli in città?- Propone lei -Almeno finché non capiamo come aiutarli-
-Le porte della si chiudono dall'interno, Gia- le ricordo, pensosa, cercando di farmi venire in mente un'idea. -Anche se si potrebbero inchiodare delle assi. Il problema resta come fare-
-E se li trattenessimo e uno di noi andasse a cercare aiuto?-
La riserva di idee dellla mia amica è impressionante, ma neanche questo può andarmi bene. Se anche uno solo di noi lasciasse questo posto, non so come saremmo in grado di aiutare gli abitanti. In realtà, non so come poterli aiutare anche tutti insieme.
-Non so come fare- sospiro alla fine -L'unica cosa possibile è togliere di mezzo quei monaci e sperare che la loro influenza passi-
Giafa rimane qualche secondo a pensarci, poi annuisce e si alza -È vero, è la cosa migliore da fare- sentenzia -Qualunque altra cosa provassimo, con quei monaci di mezzo non pottebbe essere effettuata. I cittadini sono vittime, quegli uomini minacce-
Impallidisco provando ad afferrarle una manica per tirarla di nuovo a terra -Cosa fai? Ti vedranno. Non fare stupidaggini, non dobbiamo dividerci- protesto, capendo le sue intenzioni.
Lei ridacchia -Sai anche tu che in mezzo a tutta questa gente sarebbe impossibile farli fuori. E se aspettiamo, i cittadini andranno a uccidere i cavalieri. Non possiamo aspettare-
-Allora andrò io- ribatto, dura.
-Tu devi uccidere quegli uomini. O catturarli. Possibilmente catturarli, se ci serve un rimedio, e io sono più brava a uccidere le persone che a catturarle. Inoltre corro veloce. Non mi prenderanno-
-È una follia- sospiro. Ma so anche io che non ci sono altri modi validi. -Tieni questo, almeno-
Dico, frugando nelle mie tasche ed estraendo il fischietto che mi ha dato mio fratello.
-E tu?- chiede Giafa, preoccupata -Non sono sicura che mi verranno dietro tutti. Comunque potresti averne bisogno-
Scrollo le spalle. -Mi sono già infiltrata in una base nemica. So come agire- rispondo, pensando all'anno scorso -Tu non farti uccidere, ok? O dovrò trovarmi un altro luogotenente-
Cerco di scherzare, ma la mia voce è tesa.
Giafa ride. -Lo terrò presente- e, semplicemente, esce dalla porta.
La folla sta ancora rumoreggiando.
La mia amica si allontana un poco senza farsi notaare, verso una stradina che porta al centro della città. Poi prende un respiro e si volta.
-Mi sembra un piano sciocco il vostro, signori- proclama a voce alta, il tono sicuro e allegro. Tutti si girano a guardarla, mentre io trattengo il fiato.
-E tu chi saresti?- chiede il monaco, con aria minacciosa.
Giafa si attorciglia una ciocca di capelli attorno al dito. -Chi? Sono un cavaliere, ovviamente- dice. -Sono venuta a cercare il mio compagno disperso-
Lancia un'occhiata al cadavere del lupo, e un lampo di puro odio attraversa per un attimo il suo sguardo.
-Vediamo se riuscite a far fare la stessa fine anche a me prima che io informi del vostro piano ai miei superiori- conclude, in un tono più cupo.
Poi si gira e inizia a correre.
I monaci non ci mettono molto a riscuotersi.
-Prendetela!- esclama quello che ha parlato fino ad adesso, indicando con la sua mano ossuta la direzione in cui è scappata la mia amica. -Prendetela e uccidetela! Non lasciatele raggiungere il suo lupo. Non deve lasciare questo posto viva!-
Un brivido mi scende per il collo a sentire queste parole. Sui cittadini, invece, hanno tutt'altro effetto.
Si mettono a correre, seguendo Giafa, che grazie a Dio con le sue gambe veloci sta già mettendo una buona distanza fra lei e la piazza.
Non avrei potuto fare un lavoro migliore. Dove prima c'era un'immensa folla ora rimangono solamente i due monaci e le loro guardie del corpo, più un paio di poveri diavoli che probabilmente erano troppo storditi per obbedire all'ordine.
Bene, penso alzandomi dal mio nascondiglio a mia volta e sguainando di una spanna la spada. Ora tocca a me.
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