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7

Stranezze

Emma si appoggiò al pilastro di mattoni a cui era stato attaccato il cancello. Ormai erano le undici passate e Viola ancora non si faceva vedere; eppure non era mai stata una grande ritardataria, conoscendo la sua inclinazione alla perfezione totale. Era sempre stata così, le altre volte: tutto girava secondo uno schema che si era programmata il momento prima e solo con quello le giornate insieme diventavano un'ordinata e divertente uscita. In questo somigliava molto a sua sorella Grace, ligia ad un programma preciso e senza obiezioni che lo stravolgessero. Infatti si erano date appuntamento davanti a casa Torre alle dieci per andare poi a parlare davanti a un caffè un centro, ed era passata oltre un'ora, voleva dire che lo studio matto che si era imposta era durato davvero tanto.

Controllò il telefono per eventuali messaggi di scuse, di avviso o di altra natura che potesse dare un segno di vita della sua amica italiana. Viola doveva essersi anche autoimposta il divieto di tecnologia pur di entrare alla facoltà di Biologia Naturale, non aveva nemmeno acceso il dell'umore. Le poche chiamate erano subito cadute in segreteria telefonica.

Ma dove diavolo è finita... un altro minuto appoggiata a quel pilastro di mattoni ed Emma avrebbe girato i tacchi andando da sola alla caffetteria in centro, se Viola non si fosse presentata.

"Aspetta, aspetta, aspetta!" la voce sempre più vicina dell'italiana la fece sussultare, proprio mentre stava già avviandosi verso la strada principale.

"Era ora. Stavo facendo il muschio qui..."

"Scusa! Dovevo sistemare una cosa..."

Emma la bloccò con una mano, sapevano in due che non era vero e si capiva dalla capigliatura ancora spettinata. Doveva aver studiato fino a tardi, e doveva essersi dimenticata di impostare la sveglia.

"Viola Torre, tu non sei capace di dire bugie credibili, specie quando vieni colta in flagrante".

Viola le fece la linguaccia, anche se sapeva bene che Emma aveva centrato il punto.

"So che non vedi l'ora di entrare nella facoltà di Biologia Naturale, ma non puoi accelerare i tempi. Nemmeno se studi fino a tarda notte".

"Vero ma... gli esami per mettermi in pari saranno molto duri e non voglio sentirmi impreparata".

Emma era la sorella minore di Grace, aveva tre anni in meno e a differenza delle altre ragazze non aveva mai preso molto parte alle loro uscite. Per lo più lei e Viola si erano sempre viste da sole, eccetto la sera in Cioccolateria dove avevano incontrato per la prima volta Simon. Viola l'aveva sempre considerata una presenza con cui potersi confidare in questioni molto più profonde e serie, anche se questo significava lasciare indietro le altre tre. Un po' le dispiaceva, ma aveva imparato ad accettare il fatto che certe conversazioni e situazioni personali erano fuori dalla loro portata. Tiffany per prima non era abituata a parlare di problemi personali, essendo sempre stata una che preferiva risolvere da sole e le altre due non avevano mai avuto la serietà adatta per fornire aiuti e consigli.

Con questo non voleva dire che non le considerasse vere amiche, anzi: avevano sempre dimostrato di tenere a lei e fare di tutto in ogni momento, Viola aveva solo definito il ruolo giusto alle persone giuste.

Giorgio uscì dalla portafinestra poco dopo, con in mano la sua tazza di caffè ancora fumante. Osservò le due ragazze discutere e, talvolta, ridere di gusto. Dentro di sé sentiva ancora un forte senso di disagio nell'incrociare lo sguardo della figlia, forse per la consapevolezza che prima o poi non sarebbe più riuscito a mantenere il segreto.

Quando era rientrato dalla caccia, si era lavato velocemente e aveva nascosto in lavanderia i vestiti, l'aveva trovata appena oltre le scale ad aspettarlo. Il suo viso allegro lo aveva scosso, lei poverina non era a conoscenza di cosa avesse appena fatto. Per Viola, lui era solo andato al lavoro un po' prima del solito per poter completare quell'incarico famoso di cui le aveva parlato, e come sempre non aveva fatto nessuna domanda. Gli si era solo stretta in un abbraccio sussurrandogli quanto gli fosse mancato.

Al cenno della mano di Viola per salutarlo, lui rispose in modo piuttosto distratto, ma cercando comunque di abbozzare un sorriso per non lasciar intravedere quanto di sentisse a disagio.

Le due ragazze quindi si avviarono a piedi verso lo stradone principale di Londra che le avrebbe portate in centro. Quella mattina optarono per percorrere i viali e i quartieri più abitati, solo per deviare il più possibile la strada che altrimenti si sarebbe solo allungata. Il diramare di piccoli viali con villette e casette stile rustico o campagnolo era sempre stato frutto di discorsi coloriti e a volte insensati, che però riuscivano a coprire gran parte del percorso in allegria e spacciandosi via la noia. Poi, dopo una curva si finiva su un marciapiede per metà di costruzione che dava alla strada secondaria, più grande, più trafficata che si sarebbe congiunta con lo stradone principale. Se si guardava dal lato opposto, si poteva anche intravedere dove finiva il centro abitato e cominciava il fitto bosco che circondava quel tratto e che aveva sempre catturato ogni possibile mente.

"Tuo padre si comporta in modo strano. E non è la prima volta che lo noto" disse Emma, una volta svoltato verso la strada secondaria, "Non ci hai fatto caso anche tu?"

Viola fece spallucce, qualcosa aveva notato ma aveva sempre preferito lasciar scivolare via i pensieri e fare cadere il discorso. Non voleva eventualmente rovinare l'umore di suo padre, che doveva aver dovuto affrontare un compito alquanto pesante.

"Qualcosa sì, ma non voglio essere la causa del suo umore pessimo. Potrei peggiorare".

"O migliorare" convenne Emma, guardandosi intorno mentre imboccavano lo stradone principale. Non aveva mai capito il giochetto della sua amica con i suoi genitori: che senso aveva omettere sempre la fetta lavorativa della vita di chi ti aveva cresciuto? Loro per primo avevano visto gli effetti, i pro e i contro di diverse scelte di vita e di un lavoro a tempo pieno con una posizione stabile. Erano il punto di riferimento principale di ogni figlio, ogni prole che desiderava seguile le stesse orme. E Viola in tutto questo preferiva saltare un importante passaggio dei discorsi familiari solo per non avere giornate storte. Che puro atteggiamento infantile, sapendo l'età e il fatto che era una ragazza intelligente con sani e precisi principi che muovevano la sua esistenza.

Quel modo di fare quindi pareva più una massa di codardia, uno scappare dai problemi che presto o tardi le avrebbero raggiunti, perché a tutti prima o poi capita di imbattersi in eventi fuori dal proprio controllo mentale e più grandi della propria determinazione.

"Non fare quella faccia" la rimproverò Viola guardandola storta, "Come se non sapessi il mio modo di fare..."

"Viola" Emma le si parò davanti con uno sguardo da adulto vissuto, pronta a farle la paternale, "Io capisco che non sono discorsi che ti piacciono, come so il motivo per cui non ti piacciono" fece una pausa per assicurarsi che fosse ascoltata.

Viola alzò gli occhi al cielo, ma non impedì all'amica di continuare: "Ma sono dell'idea che dovresti iniziare ad interessarti al lavoro dei tuoi genitori. Anche solo per entrare nel loro mondo, capire il loro umore... è solo un modo carino di affrontare insieme la giornata".

L'amica non aveva torto, lo sapeva molto bene, ma era come un blocco che le si formava, come la chiara rappresentazione dell'inizio del menefreghismo dentro ogni essere umano, davanti al volto. Quando dai la possibilità a qualcuno di parlare di sé, o di spiegare le proprie passioni o problemi, indirettamente diventa un discorso a senso unico, un'esclusione silenziosa che ti impone di stare in silenzio mentre devi sorbirti ogni parola pesante o ogni lamento che esce dalla bocca del tuo interlocutore. E quando ti chiede cosa ne pensi, non puoi fare a meno di rispondere con delle frasi fatte solo perché a un certo punto hai smesso di ascoltare quel monologo noioso dove alla fine non avresti nemmeno trovato uno sbocco per intrometterti. Provare con i consigli è fuori discussione, quando la gente inizia a parlarti dei suoi momenti no, non si aspetta certo una dritta su come reagire. Devi prendere parte a quell'autocommiserazione difendendo a spada tratta colui o colei che in quel momento si crede la vittima, e non importa de ha torto o ragione nella realtà.

Viola aveva passato fin troppe sere ad Assisi ad ascoltare sua madre lamentarsi di cose in cui lei non aveva collegamenti, dove non sarebbe mai potuta entrare, monopolizzando la serata con il suo compagno Vincenzo e tagliandola del tutto fuori.

Non che sua madre fosse mai stata una pessima persona, certo, ma aveva sempre avuto il vizio di voler stare sotto i riflettori annullando totalmente la vita delle persone che la circondavano. Quindi davanti ai suoi teatri di critiche e lamenti, le sue passioni e le sue giornate erano sempre finite all'ultimo posto tra gli argomenti di una conversazione, talvolta nemmeno mai sfiorati.

"È proprio per questo motivo che evito il tasto lavoro, Emma. Se adesso gli chiedessi cos'ha fatto, inizierebbe a dirne una per ogni collega, per ogni ora... e mi consumerebbe solo. Vorrebbe dire che non ho un'importanza in quel momento".

"Sì, esatto. Ma perché in quel momento non sei tu a dover essere importante".

Probabilmente Viola aveva una nota di mania di protagonismo, una buona parte viziata dentro di sé, se ne rendeva conto; ma aveva passato tanto di quel tempo all'ombra che dove poteva assorbire luce, lo faceva. Non era un dispetto nei confronti di suo padre, non lo avrebbe mai fatto, solo non voleva che la loro serena convivenza venisse sporcata da argomenti poco apprezzati. Era una mossa infantile? Si, se ne rendeva conto.

Mentre camminavano verso il bar, che già si vedeva in lontananza, Viola ed Emma andarono a sbattere contro una presenza. Erano talmente impegnate a parlare tra loro e a discutere che nemmeno avevano fatto caso a dove stessero mettendo i piedi, rendendosi conto solo in quel momento di aver proseguito il percorso a zig zag invece che in linea retta.

E proprio quando la ragazza italiana alzò lo sguardo con l'intento di scusarsi, dalla sua bocca invece uscì un: "Simon! Ciao!"

"Ciao..." rispose lui, con un tono piatto e mogio.

Il ragazzo aveva un aspetto strano, sembrava non aver dormito affatto - a giudicare dallo sguardo assonnato e devastato; i capelli ricci e color caramello erano scompigliati, non molto curato in quel momento e, fin troppo evidente, sul suo volto era presente un grosso ematoma, come se qualcuno lo avesse colpito molto forte.

Viola inevitabilmente si preoccupò a quella visione, nelle poche volte in cui aveva potuto avere a che fare col giovane, lo aveva sempre visto ben tenuto e sorridente. Per questo una scena del genere la mise in allarme, sospettando una lite con qualcuno, magari vicino di conoscenza o solo per caso, non poteva tirare conclusioni affrettate.

"Cosa... ti è successo?" chiese spontaneamente, modificando istantaneamente il tono di voce che parve svegliare Simon. Lo vide allargare leggermente gli occhi, come se fosse uscito da uno stato di ipnosi, e toccarsi istintivamente il volto: "Oh, io..." iniziò tentando di riprendere un tono di voce normale, "Ho sbattuto contro un palo. Tutto qui".

Gli sguardi perplessi delle due ragazze non furono d'aiuto, forse non era molto bravo a recitare una storiella per camuffare la reale origine del problema, ma non aveva alternative. Quello che era segreto doveva restare tale.

"Hai sbattuto contro un palo?" chiese Emma scettica a un certo punto, "E cosa stavi facendo di così interessante da non vederlo?"

"Io..." mormorò Simon guardando Viola velocemente, muovendo solo gli occhi, per poi tornare dall'altra, "... leggevo".

Quel veloce sguardo, per quanto fosse durato non più di un paio di secondi, parve smuovere qualcosa nella testa della giovane italiana. Forse l'espressione che era riuscita a cogliere, una silenziosa richiesta di aiuto e di pace, un modo impercettibile di comunicare un'improvvisa sensazione di fastidio. Prese la mano di Emma e la guardò con uno sguardo gentile ma autorevole: "Meglio andare Emma, in fondo si sta facendo tardi" disse rivolgendo poi uno sguardo rassicurante al ragazzo, che abbozzare un sorriso di riconoscenza.

"Vedo che tuo padre non è l'unico ad essere strano" commentò Emma appena la presenza di Simon scomparve dalla loro vista, "Quello sembrava non aver dormito per tutta la notte. Lavora nella metropolitana come guardia notturna, per caso?"

"Emma" la bloccò lei rivolgendole stavolta degli occhi pieni di rimprovero, "Certe considerazioni, faresti meglio a tenertele per te".

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