34
Cicatrice
Quel portone non lo avrebbe mai digerito. Giorgio avrebbe voluto essere da qualsiasi parte fuorché lì. Vedere quell'immenso stabile dove l’impresa Rainolds alloggiava indisturbata gli rivoltava lo stomaco impedendogli di digerire come si deve, impedendogli un respiro rilassato. Ma allo stesso tempo sapeva che era la cosa giusta da fare, se voleva uscire da quella brutta situazione doveva giocare le sue carte una dopo l'altra fino a che non ne avesse più avute. Ci avrebbe rimesso? Certo che sì. Viola lo avrebbe odiato? Molto probabilmente, ma quello era l'unica effettivo modo per rimediare al suo errore. Oltrepassò quelle porte, che per la prima volta fecero un rumore pungente, un cigolio che dava l'impressione di vecchio, si capiva che dopo le vacanze nessuno ci avesse messo mano.
L'ultima volta che aveva messo piede in quel posto era stato per ottenere l'ennesima schiaffo, per farsi bastonare come un cane anche davanti all'evidenza che fosse solo una vittima di tutto uel giro losco di illegalità, ma lo avevano tirato dentro talmente bene che di vittima nessuno ci avrebbe visto nulla. Ecco il perché della sua decisione: se dovevano finire al baratro, lo avrebbero fatto tutti e due senza distinzioni. In fondo il grande titolo di proprietaria di una delle aziende più famose di Londra non avrebbe di certo tenuto al sicuro Amanda, e Giorgio avrebbe pagato quello che meritava.
Passò una mano sul corrimano della scalinata, notando quanto gli addetti alle pulizie avessero eccesso con le ferie. Un alone grigio gli rimase sul palmo, e fu costretto a pulirlo sulla camicia da boscaiolo. L'ingresso dell'impresa non si presentò diverso dal solito: sempre pieno zeppo di forniture uniche e particolari, dal più piccolo ditale al più grande dei pendoli, con quelle forme esotiche, di animali ormai dimenticati e dai tessuti pregiati - chissà quanti bambini del terzo mondo aveva ingaggiato per fare sì che uscissero bene, quei pezzi rari. Era un pensiero orribile, ma conoscendo l'indole di quella donna, Giorgio lo credeva del tutto possibile e perfettamente nei suoi standard. Sfilò in mezzo a quei pezzi con aria di disprezzo, cercando di non incrociare lo sguardo vuoto di un panda minore che si arrampicava figuratamente su un ramo di plastica, del tutto simile ad uno vero in legno. Quasi inciampò su un tappeto arrotolato, doveva essere caduto dalla sua posizione iniziale, ma non ebbe voglia di rimetterlo a posto. Avrebbe tanto voluto calciarlo.
Entrò nello studio senza nemmeno bussare. Si annunciò con un colpo di tosse. Amanda alzò pigramente lo sguardo mezzo annoiato, e quando si vide davanti il cacciatore, le sfuggì uno sbuffo rassegnato: “Di nuovo tu…” disse posando la penna con la quale stava compilando delle ricevute, “Devo ammettere che non ti arrendi mai”.
“Se pensavi che potessi nascondermi per sempre, hai fatto male le tue previsioni” dichiarò Giorgio spostando una sedia e sedendosi a cavalcioni, tenendola al contrario, “Io e te abbiamo una questione molto importante di cui parlare”.
“Lo sai benissimo che non abbiamo più nulla da dirci” Amanda esce un gesto brusco con la mano, quasi per intendere che non lo volesse intorno, “Quello che dovevamo chiarire ormai è accantonato da settimane. Mesi anzi”.
“No invece” Giorgio si sporse sulla scrivania, la sedia emise un lieve scricchiolio, “Non abbiamo affatto finito”. Era la prima volta che sentiva tanta sicurezza davanti ad una donna del suo rango. Nei casi precedenti, parlare con Amanda Rainolds lo aveva sempre fatto sentire a disagio o sbagliato, differentemente da quel momento in cui sapeva benissimo dove mirare, senza bisogno della luce laser o del mirino a fargli da supporto: “Penso che tu debba iniziare a guardarti bene, Amanda. Perché quello che sto per dirti non ti piacerà”.
“Giorgio… ti ho già detto mille volte che…” non ebbe il tempo di finire la frase, le parole le morirono in gola non appena la battuta del cacciatore le tagliò a metà il discorso: ho intenzione di denunciarti.
“Scusami…?” chiese con voce tranquilla, quasi sarcastica, di scherno, ma dal volto si vedeva benissimo che quelle quattro parole l'avevano scossa forse più del necessario. Non era evidentemente abituata a ricevere tiri mancini o fendenti silenziosi dai suoi avversari, quel tiro non se lo aspettava proprio per niente, cosa che diede più sicurezza al cacciatore che sfoggiò un sorriso soddisfatto e cattivo.
“Hai capito molto bene. Io voglio mettere fine a questa storia, e lo farò a modo mio”.
“Tu sei pazzo!” gridò lei con una risata nervosa, “Hai forse dimenticato che in questa storia ci sei dentro anche tu, e tutto in un pezzo?”
La risposta dell'uomo la gelò nella posizione assunta: no. Giorgio sapeva benissimo in che situazione si trovasse, che ruolo avesse avuto e che peso stesse portando sulle spalle. Ne era perfettamente a conoscenza, sarebbe finito dritto all'interno dei vivi ma ci avrebbe portato la sua macellaia a braccetto. Se Amanda pensava di potersela cavare come se nulla fosse, non aveva capito con chi aveva a che fare.
“Ho tutte le prove che attestano la tua partecipazione. Telefonata, assegni, fogli con orari. Ci sono i tuoi timbri su tutte le informazioni. In più ho la somma di denaro ancora lì pronta per essere ritirata” spiegò il cacciatore prendendo in mano la penna che aveva la donna prima, e iniziando a giocherellarci passandola da dito a dito. Si accorse con soddisfazione di aver messo la tigre alle strette: finalmente vedeva una nota di terrore nel volto di quell'aria della Rainolds e voleva godersela tutta fino in fondo. Il topo aveva avuto la meglio sul gatto e non gli restava che fare scattare la trappola sulle zampe del nemico.
“Dio mio… sei proprio fuso…” mormorò Amanda, “Hai idea di cosa ti succederà?”
“Vediamo… finirò in prigione? Sì molto certo. Viola mi odierà e nessuno mi vorrà assumere come lavoratore. Una vita difficile ma la posso affrontare. Parliamo di te adesso” se Giorgio aveva quella piccola lista da spuntare nell'elenco delle conseguenze, quella di Amanda era molto più consistente: avrebbe perso i diritti all'attività l'impresa sarebbe stata smantellata e tutte le merci vendute ritirate per contrabbando, caccia illegale e sfruttamento in nero. I suoi fondi sarebbero stati sequestrati e di lei non si sarebbe più letto nulla. Una punizione molto più consistente, molto più tagliente di quello che avrebbe subito il cacciatore.
“Non ti facevo tanto stronzo, lurido bastardo…” sussurrò la donna, picchiettando nervosamente le unghie appena rifatte sulla scrivania, “Va bene. Quanto vuoi per il tuo silenzio?”
“Hai davvero intenzione di risolverla così? Che colpo poco professionale Amanda. Non ti smentisci mai”.
“Posso raddoppiare la somma che ti avevo offerto quando ti ho chiesto il lupo bianco. Se sono i soldi che vuoi”.
“Non sono i soldi che voglio” non pensava che sarebbe riuscito a metterla in difficoltà con una facilità simile. Doveva essere evidente che nessuno dei poveri malcapitati che aveva adescato in precedenza avesse avuto tanto coraggio, proprio perché a perderci erano loro stessi. Ma dal momento che Giorgio aveva inteso che, in tutti i casi, non ne sarebbe mai uscito se non in quel modo, aveva deciso di giocare l'ultima asso che gli restava.
“… va all'inferno, Torre”.
“Uh… dove andrò io, tu verrai con me” pronunciò il cacciatore nella sua lingua madre.
Ritornare a scuola dopo quel lungo periodo di assenza e di stop fu un trauma per Viola. A mala pena ricordava dove fosse l'effettiva ingresso e dove fosse la hall con la segreteria. Non aveva detto niente alle altre, voleva fare loro una sorpresa, ma si era presto ritrovata a dover risolvere un problema che le sarebbe costato diversi minuti preziosi.
L'ingresso iniziale era composto dal viale pieno di aiuto le, di cui la metà era stata allestita con i soldi delle rette di tutti gli studenti; una ghiaia che divideva il prato più grande con lo stabile principale che si diramava in tanti piccoli corridoi, raggiungendo così tutti i padiglioni secondari. Viola però non ricordava più quale corridoio dovesse imboccare per raggiungere Biologia Naturale, e come era prevedibile, non vide l'ombra di una mappa nemmeno a pagarla. Non doveva stare assente così tanto tempo, avrebbe dovuto almeno fare un giro di ricognizione per mantenere attivo il suo orientamento mentale; adesso doveva fare i conti con la sua poca capacità di associare i posti.
E come se non fosse abbastanza, le facce che incrociava le sembravano del tutto sconosciute. Non ne ricordava mezza, i tratti del viso potevano tranquillamente appartenere a più persone in contemporanea, per non parlare dei nomi. Ognuno poteva avere lo stesso nome, cognome, iniziale anche; stesso modo di camminare e stesso modo di vestire, quasi fossero stati tutti dei robot.
Viola quindi si ritrovò al centro del padiglione principale, con lo zaino sulle spalle e uno sguardo perso, disorientato, come una bambina che si è persa al supermercato. Spostava gli occhi a destra e a sinistra sperando che un'anima pia potesse aiutarla in qualche modo, che solo dicendole che strada dovesse prendere; ma tutti i presenti parevano non vederla nemmeno.
“Serve una mano?” disse una voce dietro alla ragazza. Viola sapeva benissimo a chi appartenesse, si voltò piano e senza mostrare il minimo entusiasmo. Neanche Hudson dimostrò felicità nel vederla, nonostante il suo tono fosse stato cordiale.
Eccoli lì, dove tutto era iniziato, dove le loro strade si erano aggrovigliate insieme senza riuscire più a separarsi, indipendentemente da come si erano evolute le cose. L'Università era così: ti portava in mezzo ad una giungla dove imparavi presto a sopravvivere in ogni modo possibile, anche se vedeva la caduta di alcuni simili. E Viola non sapeva cosa avesse spinto Hudson a raggiungerla: avrebbe potuto fare finta di niente e andare via, senza rivolgerle la parola, eppure eccolo pronto a guidare quella ragazza smarrita come la prima volta. Si vedeva ancora il segno di Simon, anche se molto meno profondo di allora, cosa che adesso lo rendeva una visione colma di pietà.
“Non sei obbligato a farlo” riuscì a dire lei, abbassando le spalle come se fosse colpevole di qualcosa. Non si erano più sentiti da quel giorno, lei non aveva più risposto alle chiamate né ai messaggi, e aveva solo aspettato che lui si rassegnasse al suo silenzio.
“Un aiuto non si nega a nessuno” mormorò lui guardandola fissa, senza spostare lo sguardo, mantenendo il contatto visivo per dimostrare le sue intenzioni sincere. Hudson sapeva molto bene di trovarsi in un campo minato, colmo delle loro incomprensioni che li avevano separati per tutti quei mesi: “Lui come sta?”
“Simon? Abbastanza bene” Viola cercò di sviare velocemente il discorso, rispose con una frase che aveva un solo significato, senza dilungarsi in spiegazioni che sapeva non interessavano mai realmente. Non era davvero sua intenzione chiedere come se la stesse passando colui che gli aveva fregato la ragazza, aveva solo cercato un pretesto per attaccare bottone.
“Sei sparita in questi mesi”.
“Lo so. Sono successe tante cose” non ricevette subito una battuta di rimando, il ragazzo alzò le spalle piano, cercando di dimostrare la sua comprensione. Era difficile in quel momento capire chi avesse torto e chi ragione, era difficile comportarsi come se niente fosse, ma era ora di riprendere il cammino che avevano interrotto.
“Non hai nemmeno lavorato in questi giorni…”
“Te l'ho. È… complicato. Simon ha perso il lavoro ed io… volevo che mi sentisse vicina” Viola confessò quasi senza rendersene conto, “Adesso senza quel posto non potrà più far fronte alle spese”.
Era difficile sapere quali spese dovesse affrontare. Quel pensiero balenò dentro la mente di Hudson, ma venne cacciato via subito, non era il momento di litigare su una persona che non era presente, e lui adesso voleva solo riprendere i rapporti con Viola. Se avesse iniziato a fare una delle sue scenate, avrebbe solo peggiorato la situazione ed era meglio evitare al loro nuovo primo incontro.
“Ho capito” disse alla fine, lasciando cadere il discorso per la gioia interna della ragazza, “Allora… Biologia Naturale. Vero?”
“Sì” Viola si accorse di sorridere, “Mi faresti un favore. Non ricordo più come arrivarci”.
“Stare troppo tempo a casa atrofizza il proprio orientamento. Vieni, ti faccio strada”.
Giorgio varcò la soglia di casa sua cin una luce nuova negli occhi. Non avrebbe mai creduto di poter mettere alle strette colei che lo aveva rovinato per puro egoismo, e con così poche parole: quattro stupide parole che erano state in grado di fare cadere tutto l'impero di carta che Amanda si era costruita dietro. Un grande passo avanti per un povero cacciatore come lui che si era fatto infinocchiare da una mazzetta di soldi, almeno qualcosa che fosse riuscito a fare funzionare come si deve.
Non vide gli effetti personali di Viola, sua figlia doveva essere ancora a lezione. Un bene sapendo quanti giorni aveva sprecato e saltato solo per stare dietro al suo fidanzatino, adesso doveva solo sistemare anche il giovane depresso e tutto sarebbe tornato come prima. Non voleva davvero cacciarlo, ma Simon doveva assolutamente riprendere in mano la sua vita e smettere di piangersi addosso. A ventitré anni non aveva bisogno del conforto della mammina o della fidanzatina.
Percorrendo il salotto sentì un rumore proveniente dal bagno. Uno dei ragazzi doveva essere ancora dentro casa, probabilmente era rientrato oppure non era mai uscito, ma poté udire lo scrosciare del getto d'acqua nella doccia. Viola non era solita lavarsi a metà giornata, quindi la scelta cadde sul ragazzo. E poteva anche aver ragione: Giorgio notò una felpa maschile sul divano, lasciata lì come se fosse stata lanciata mentre si camminava verso la destinazione. Ma ora che aveva in mano l'indumento, il cacciatore avvertì un odore strano. Era forte, pungente, canino. Non aveva senso: Simon non aveva mai detto di possedere animali, e se così fosse stato di sicuro non sarebbe rimasto lì con loro tutto quel tempo e ventiquattro ore su ventiquattro. E poi quell'odore non aveva nulla a che fare con i cani da compagnia, Giorgio ne aveva posseduti tanti, ed era quindi in grado di riconoscere l'odore tipico degli animali da compagnia. In quella felpa sentiva un odore poù selvatico, poteva distinguere il muschio e il legno, forse una nota di felce. Ma dove aveva sentito quella combinazione prima?
Non aveva bisogno di rifletterci molto: lo aveva sentito nel bosco dove aveva tenuto la battuta di caccia. Se lo ricordava molto bene, ancora a distanza di mesi: quegli odori mischiati insieme li aveva sentiti in quella baita abbandonata colma di lupi e cuccioli che lo avevano assalito senza ritegno. Se li era tenuti dentro le narici durante tutto il percorso, mentre sfilava in quel sentiero sterrato dove poi aveva incontrato quel lupo chiaro che aveva ferito con il fucile.
Proprio quando credeva che potesse lasciarsi quella storia alle spalle, ecco che si ripresentava più feroce di prima. Simon doveva essere passato da casa sua, aveva detto di abitare nei pressi di quella zona di Londra, ma per essersi portato dietro quegli aromi voleva dire che si fosse addentrato molto bene.
Il getto d'acqua si fermò, e Giorgio volse lo sguardo verso il corridoio che lo avrebbe portato al bagno. La porta era semi aperta, un piccolo spiraglio di luce gli permetteva di vedere l'ombra del ragazzo muoversi e armeggiare con gli asciugamani. Non avrebbe voluto fargli delle domande scomode, il suo povero padre gli aveva sempre detto che farsi gli affari proprio aveva sempre tenuto tutti al sicuro, ma voleva almeno assicurarsi che non avesse notato niente che potesse incriminarlo più del necessario.
“Simon?” lo chiamò piano, per non spaventarlo o altro, ma appena si avvicinò alla porta, spingendola delicatamente, vide qualcosa che gli bloccò il fiato.
Sulla schiena nuda del giovane era presente un segno abbastanza evidente, una cicatrice profonda che passava da una parte all'altra in modo quasi lineare, come se dovesse di vivere il corpo in due metà. E fino a lì non ci sarebbe stato nulla di male, tranne il fatto che potesse impressionare un po'. Ma a Giorgio non fece quel tipo di effetto, ma un altro che non si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti: quella cicatrice era identica al segno che aveva fatto a quel lupo.
Un percorso simile poteva farlo solo un proiettile, e sparato da una distanza adeguata che potesse lasciare il segno senza uccidere subito; un unico movimento non proprio dritto che aveva permesso di marchiare a fuoco uno dei suoi più grandi nemici dopo quella mattina; ma come poteva averla Simon se Giorgio aveva sparato ad un animale?
“Come può…” si lasciò sfuggire, con un tono basso ma comunque inaspettatamente troppo alto per non farsi sentire. Il ragazzo quindi si voltò verso di lui, con uno sguardo sorpreso per non essersi accorto della presenza di un'altra persona in casa. Lì il cacciatore rivide quegli occhi. Quelli occhi che lo avevano fissato confermando la sfida che si era eretta tra di loro, uno che attaccava e l'altro che difendeva ciò che era suo. Quegli occhi che lo avevano trafitto mostrando tutto il disprezzo che un animale in pericolo può comunicare, senza l'uso delle parole, al proprio carnefice. E il resto del volto per un secondo parve essersi tramutato nel muso di una creatura diversa, parve diventare lupesco. Giorgio non seppe se fosse stata solo la sua immaginazione, ose per un secondo solo avesse davvero avuto davanti un lupo.
“Ha bisogno del…” Simon non fece nemmeno in tempo a finire la frase: il cacciatore gli si buttò contro bloccandolo per le spalle, contro il muro e guardandolo con uno sguardo pieno di paura, rabbia, sorpresa… troppe emozioni insieme per poterle distinguere.
“TU!” urlò Giorgio, senza curarsi che potesse sentirlo qualcuno da fuori, la finestra del bagno era aperta, “TU COSA…” nemmeno gli venivano le parole, non era in grado di definire quello che aveva davanti in quel momento, ma ora che lo aveva a pochissimi centimetri dal proprio sguardo, poteva confermare che ciò che aveva davanti era quel lupo.
“Sono? Vuole sapere davvero cosa sono?” il ragazzo non aveva avuto bisogno di capire, aveva già intuito dove l'uomo volesse arrivare.
“Che cosa diavolo ho davanti? Che cosa sei tu, esattamente?”
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