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29

Guai

Viola non ebbe il tempo di gioire per il buon risultato dell'esame del mattino, che sentì bussare in modo insistente dalla finestra della sua stanza.

“Mi dispiace! Mi dispiace, non so cosa mi sia preso!” Simon piombò dentro come una furia, trafelato e, a quanto poteva notare la ragazza, piuttosto spaventato; “Credimi ero solo arrabbiato! Non ho pensato. è successo tutto così in fretta…!”

“Simon! Calmati adesso!” Viola lo prese per le spalle, cercando di calmarlo e di capire quante parole fossero comprensibili effettivamente, “Di che cosa stai parlando? E che hai fatto alla mano?”

“Non è mio…” il ragazzo si guardò le dita ancora insanguinate, anche se il freddo aveva iniziato a seccarlo rendendolo più scuro, “… ma di Hudson”.

Viola strabuzzò gli occhi, non poteva credere alle proprie orecchie: “Che vuoi dire?! Vi siete picchiati?!”

“Non volevo, davvero!” Simon alzò le mani, ancora tremava per l'adrenalina, “È entrato come una furia, ha iniziato a minacciarmi, insultarmi, si è introdotto nel retro di prepotenza… non ho capito più niente!”

“D'accordo, va bene…” Viola capì che non era il caso di reagire in modo agitato, non sapendo che il giovane era già piuttosto turbato. Certo che, considerando la dinamica, Hudson se lo poteva risparmiare… ma come gli era venuto in mente? Irrompere in un posto di lavoro e mettere nei guai qualcuno con tante pretese. Non se lo sarebbe mai aspettato da un compagno di studi che aveva sempre avuto l'aria di un ragazzo affidabile e tranquillo. Ed ora Simon era decisamente destabilizzato dalla situazione, e lei non si sentì di chiedergli come fosse riuscito a sporcarsi di sangue e come lo avesse colpito.

“Facciamo una cosa: adesso andiamo in bagno e ci puliamo un po' da questo, va bene?”

“Mi dispiace Viola…”

“Tranquillo, adesso cerca di calmarti. Non pensiamoci” non se la sentiva di rincarare la dose chiedendogli i dettagli, per quanto fosse curiosa di sapere cosa li avesse fatti scattare in quel modo. Per Viola adesso la priorità era di fondo quella di tranquillizzare il suo ragazzo. La cosa parve funzionare: l'acqua tiepida diede un po' di sollievo ai nervi tesi di Simon, che pian piano tornò a respirare regolarmente.

“É davvero un colpo basso da parte sua, adesso perderai il lavoro e Dio solo sa se ne troverai un altro” la cosa che più le faceva ribollire il sangue era proprio la scarsa responsabilità che il suo compagno di studi aveva avuto: eppure sapeva molto bene quanto fosse difficile per ragazzi della loro età trovare un posto fisso, soprattutto sapendo che ai datori di lavoro pesava avere di mezzo un dipendente che non poteva fare orario continuato.

“É il meno quello… volevo però avvertirti subito, prima che lui possa travisare la vicenda come vuole”.

“Non preoccuparti, non avrei mai tirato conclusioni affrettate. E comunque, conoscendo il suo atteggiamento nei tuoi confronti, avrei davvero fatto fatica a dargli ragione in tutto e per tutto”.

Simon si sentì un po' sollevato dalla cosa, certo che se fosse arrivato dopo avrebbe avuto meno possibilità di spiegarsi. Ora era solo dispiaciuto per averle scombussolato la giornata con la sua entrata di scena abbastanza inaspettata. Avrebbe dato tutto quello che aveva per cancellare quel momento e tornare allegro e impaziente di sapere come fosse andato l'esame. Ah già… l'esame. Ormai Viola doveva aver avuto l'esito, e lui si era intromesso nella sua possibile felicità - o tristezza - con un problema che non la riguardava per niente.

Ma la verità era che Viola aveva completamente dimenticato di aver avuto l'esito dell'esame. Ormai la sua testa vagava su altro: dal cercare di prendersi cura di Simon alle frasi più deplorevoli da sputare addosso a Hudson qualora lo avesse incrociato. Ma come aveva potuto? Se lo stava ancora chiedendo, e non per sapere il motivo, quello lo immaginava già.

“Va meglio, Simon?”

“Sì. Scusa se sono piombato qui in questo modo”.

“Lo sai che puoi venire sempre, quando te la senti” non voleva lasciarlo andare subito, a dire il vero non voleva proprio che varcasse la porta. Tanto aveva i minuti contati. Tanto valeva tenerlo in casa così da poterlo tranquillizzare del tutto. Simon si sarebbe rilassato e riscaldato, avrebbe goduto della comodità del divano considerando il freddo che era improvvisamente sceso e considerando che doveva essere stato ore ed ore in piedi in cucina.

Lo condusse in cucina, lo fece sedere sullo sgabello e accese il fornello per fargli un te caldo, senza zucchero. I suoi neri in quel modo si sarebbero sciolti un po' e avrebbe potuto pensare e spiegare in modo più lucido. Viola aveva anche una certa tentazione di chiamare le sue amiche e sapere qualcosa a riguardo. Magari Hudson aveva avuto degli atteggiamenti particolari.

“Mi ha detto di starti lontano. Mi ha intimato di non avere a che fare con te. Mi sono lasciato scappare la nostra relazione”.

“Non hai fatto nulla di male. Hai detto la verità. Chi è lui per impedircelo?”

“Uno che mi ritiene un pessimo amico opportunista. Penso non gli sia proprio andata giù la tua voglia di trovarmi contro le mie barriere invisibili”.

Hudson aveva una grande abilità in immischiarsi in fatti che alla fine non lo riguardavano affatto. Anche se fosse stato vero, anche se Simon avesse effettivamente voluto allontanarsi per non avere nulla a che fare con Viola, a lui cosa importava? Non ci avrebbe perso, anzi, ci avrebbe guadagnato. Ma evidentemente trovava nettamente più facile attaccarsi a cose che riteneva generalmente sbagliate per brillare sopra agli altri.

“Quando lo vedo, gliene dico quattro”.

“Non penso sia il caso. Saprebbe che ho cantato”.

“E allora? Non ha certo il diritto di dettare legge sugli altri. Tu non sei il suo burattino, io non voglio avere a che fare con una persona che si pone con prepotenza”.

Simon le sorrise timido, incerto sul fatto che lei potesse cambiare le cose in qualche modo. Ma apprezzava lo sforzo e la volontà di non lasciare che un damerino qualunque potesse ferire i suoi amici, a prescindere dalle motivazioni. E adorava il fatto che volesse prendere le sue difese in quanto suo ragazzo, dandogli così una priorità che egoisticamente non gli dispiaceva affatto.

Hudson tornò a casa con il fazzoletto ancora premuto sul volto, all'altezza dell'orecchio ma dando più attenzione alla tempia. Non aveva capito né realizzato ancora cosa fosse successo, ma una cosa era certa: Simon non l'avrebbe passata per nulla liscia. Non avrebbe dovuto provarci: alzare le mani contro di lui era stato un grave errore che lo avrebbe perseguitato nei giorni avvenire, e una bella denuncia lo avrebbe rimesso al suo posto.

Corse in bagno per sciacquarsi e disinfettarsi la ferita, che dal dolore pareva essere consistente. Era come se gli avesse staccato parte della pelle, metà faccia probabilmente non era più visibile, e il bruciore era insopportabile. Dovendo tenere il fazzoletto premuto, ebbe difficoltà ad aprire le ante del mobiletto per cercare bende, cerotti e disinfettante, e quando abbassò la mano per un secondo e posò lo sguardo sullo specchio, rimase pietrificato dal danno che presentava in volto.

Quello che aveva addosso non era un semplice pugno: sembrava che un animale feroce lo avesse azzannato. Una lacerazione multipla che partiva dell'orecchio sinistro fino alla guancia, profondo e forse prossimo all'infezione. Quella visione lo mise nel panico, avrebbe potuto fare benissimo la controfigura di uno zombie e dovette fare appello a tutte le sue forze per non urlare dal terrore. Ma quanta forza poteva aver avuto un ragazzo snello e senza massa muscolare come Simon? Sarebbe bastato davvero poco e di sicuro lo avrebbe sfigurato. Doveva anche augurarsi di non aver subito danni più seri, forse sarebbe stato il caso di farsi vedere dal medico.

Questa non è affatto una cosa normale…

Non era certo di voler sapere quale fosse stata la reale causa di quella grande ferita, gli dava effettivamente l'idea che un animale lo avesse colpito. Eppure davanti a sé aveva sempre avuto solo il suo rivale, senza nessun'altra presenza. Che ci fosse stato un cane nei dintorni, e che lui non se ne fosse accorto? No, non era possibile. Lo avrebbe certamente sentito.

Ma chi diavolo è quello, una creatura disumana?

Si sciacquò il viso con più energia, e sta volta più per convincersi che quello che aveva addosso fosse frutto della sua immaginazione, ma più ripeteva i passaggi, più quella scena diventava reale e terrificante.

Corse in salotto, aprendo una piccola anta con dentro un altro kit di primo soccorso. Si appiccicò un grande cerotto in volto sperando che la morbidezza della garza potesse distrarlo dalla visione orribile che ormai non abbandonava più la sua mente.

Subito dopo andò in cucina, aprì il frigorifero e prese una bottiglia d'acqua, tracannandola sentendo la gola più secca del solito. Se la rovesciò anche addosso, sperando di rinsavire, ma i rivoli di sangue mischiati al liquido cristallino gli diedero prova del contrario.

Merda… merda, merda, merda!

Prese il telefono in un attacco di panico, voleva chiamare aiuto il prima possibile, temeva potesse infettarsi e fargli più male. Faticava a comporre il numero giusto, gli tramavano le dita e non era certo di sapere bene cosa dire. Non che ci fosse molto: sarebbe bastato spiegare cosa aveva visto e chieder come potesse curarlo, ma aveva paura che il medico potesse non prenderlo sul serio.

C'era una cosa che non sapeva nessuno su Hudson: era terribilmente ipocondriaco. Sin da piccolo aveva sempre avuto paura di toccare tutto ciò che fosse sporco o di dubbia provenienza; l'idea che potessero celarsi dei germi pericolosi lo aveva sempre perseguitato e solo dopo innumerevoli sedute da uno psicologo era riuscito a sedersi nei sedili di un autobus per una gita scolastica.

Adeso però gli si stava presentando un problema peggiore, così decise che per farsi un minimo di coraggio avrebbe cercato su internet qualcosa che avesse i sintomi simili: tipo un graffio di un gatto o cose così.

Una scelta molto stupida: Hudson trovò una risposta peggiore dell'altra e tutte che riguardavano attacchi gravi di animali molto più pericolosi, come orsi, leoni, lupi…

Lupi…

In effetti quelle immagini avevano un che di smile alla sua sua ferita, il che era davvero strano: nella zona dove si trovava quel bar non potevano essere presenti lupi, oltre al fatto che, stesso discorso per un cane, sarebbe stato molto difficile non accorgersi della sua presenza.

No. La spiegazione che gli si era insinuata nella mente non aveva senso. Simon era un essere umano, e i lupi mannari non esistevano. Però… non volle dare quella risposta per certa, conscio del fatto che lì di normale vi era ben poco. E già che aveva il computer acceso davanti, decise di tentare una pazzia.

Digitò delle domande che potessero ricondurre a degli avvistamenti soprannaturali, e la cosa che lo colpì fu il vedere domande molto simili nelle ricerche consigliate. Trovò siti di giornali e notizie, avvistamenti presunti, leggende metropolitane, racconti dell'orrore. Nulla che fosse vagamente credibile. Eppure, sarà stato lo stato di mentalità in cui si trovava, ma qualcosa in quelle notizie stupide lo stava serenamente interessando. Il fatto era che continuavano a descrivere il loro habitat come il bosco che si trovava proprio lungo lo stradone di Londra, quello che passava per il confine della città. Aveva sempre sentito storie su quel luogo, ma i lupi mannari… i fanatici si erano attaccati anche a quello?

Non si erano fermati sul bosco poi, addirittura avevano rilasciato una descrizione anche troppo dettagliata: “si presentavano come umani comuni, nulla fuori posto: perfettamente confondibili con il resto della popolazione. Si riconoscono da diverse particolarità come: forte selezione alimentare, tendenza a isolarsi, risultano ignari e sprovvisti di tutti i progressi che l'umanità insegue. Non sono ancora certi veri e propri avvistamenti, ma alcuni segnali hanno confermato l'esistenza di questi esseri”.

Per Hudson dapprima parve una barzelletta, sembravano solo tante idee buttate così. Però finito di ridere, si ricordò del fatto che, effettivamente e come aveva sempre rinfacciato, Simon per un certo periodo non si era fatto vedere. Una cosa che poteva semplicemente risultare una coincidenza, ma qualcosa dentro di lui parve volerlo convincere del contrario.

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