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Capitolo 5 - Quell'odore terribile

L'École superieure Forteresse High School era costituita da blocchi squadrati che, collegati da lunghi corridoi, ospitavano le aule. Al pianterreno erano ubicati i locali della segreteria, alcuni laboratori per le attività artistiche e pratiche, l'auditorium, la caffetteria e la sala-mensa. All'ingresso c'era una doppia porta di vetro con gli infissi bianchi e mattoncini a vista che si alternavano a pareti intonacate di un giallo sbiadito.

La lunga sfilata degli armadietti donava una nota di colore in più: tre gruppi di mobili di metallo alti e profondi, rossi, blu e arancioni.

Una volta entrata nell'istituto, poggiai nel mio la busta con i vestiti e presi il materiale scolastico che mi sarebbe servito quel giorno. Poi, dopo aver regolarizzato la mia situazione di ritardo sulla prima ora – ricevetti fortunatamente solo un richiamo verbale –, aspettai il suono della campanella che annunciava lo spostamento degli studenti da un'aula all'altra. Avevo solo cinque minuti per intercettare Cédric e dirgli che gli avevo riportato i suoi indumenti. Non so perché avessi tanta fretta di fargli sapere che glieli avrei restituiti quella mattina stessa, ma forse non volevo sentirmi in debito con lui per più di un giorno: avvertivo la necessità di lasciarmi tutta quella storia alle spalle.

Avvicinandomi alle aule del piano superiore, riuscii a percepire con facilità l'odore del lieutenant. Lo individuai poco prima che uscisse dall'aula di musica. Alzandomi sulla punta dei piedi, lo vidi attraverso l'inserto di vetro della porta. Aveva la faccia scura; stringeva tra le mani uno spartito come se volesse stracciarlo.

Quando si accorse di me si fermò un istante, mentre gli altri studenti gli passavano accanto, simili all'acqua di un fiume intorno a una roccia. Gli feci un cenno per esortarlo ad avanzare e, una volta oltrepassata la soglia dell'aula, s'immobilizzò davanti a me.

«La tua mano...?» mi chiese con aria assorta, prendendomi il polso destro tra le dita.

«Buongiorno anche a te» sorrisi, liberandomi in modo delicato ma fermo. «Ti ho già detto che la mia mano è a posto, ricordi?»

«Se lo dici tu...» I suoi occhi verdi mi scrutarono con curiosità. «Come mai sei qui? Hai lezione di musica?»

«No, ti cercavo.»

L'angolo delle sue labbra cominciò a tremare. Feci un passo indietro per cercare di intuire il motivo della sua irritazione senza stargli troppo vicino. Avevo l'impressione che avrebbe potuto di nuovo saltarmi addosso da un momento all'altro.

«I tuoi vestiti» mi affrettai a spiegargli. «Te li ho riportati... Lavati e asciugati, naturalmente.»

Mentre cominciavano ad arrivare gli studenti del corso di musica delle 9:45, lui socchiuse gli occhi. La sua bocca carnosa, che immaginai avesse preso dalla madre creola, smise di tremare. «Peccato» mormorò. «Di solito hai un buon odore, non mi sarebbe dispiaciuto averlo addosso per un po'.»

Era la cosa più carina che mi avesse detto. La cosa più carina che mi avesse detto un ragazzo in tutta la mia vita, e la più imbarazzante, tanto che pensai che mi stesse prendendo in giro. Non sarebbe stata una novità.

«Anche se...» aggiunse infatti un secondo dopo, avvicinandosi a me e annusandomi il collo, «l'odore terribile che avevi ieri nella baita sembra ti si sia incollato alla pelle.»

Io lo spinsi indietro malamente, afferrandolo per il ciuffo di capelli che spesso gli ondeggiava sulla fronte. Una seria di colorite imprecazioni mi salirono alle labbra, ma quando feci per ribattere, stizzita, i suoi occhi seri mi dissuasero.

«Se puzzo così tanto sarà meglio che mi resti lontano» borbottai solo, lasciandolo andare.

Mentre ci fissavamo senza parlare, il suono della campanella della seconda ora mi fece sussultare. «Arriverò tardi alla lezione di matematica!» esclamai, ricordando a me stessa che i miei genitori non avrebbero gradito la sequela di ritardi che stavo rischiando di accumulare. Ero finita in detenzione solo una volta in tutta la mia vita e ancora pensavo a quell'evento come a un'onta. «Comunque, i tuoi vestiti sono nel mio armadietto. Aprilo pure quando vuoi: non è chiuso a chiave.»

Lui mi guardò arretrare con un sopracciglio alzato. «Lo tieni aperto? Sul serio?»

«Non ho segreti da nascondere» dichiarai, guardandolo torva. «E ho un fiuto abbastanza buono da trovare chiunque osi sottrarmi qualcosa... anche se sono un'immatura

Mi voltai sentendomi un po' più sollevata. Stavo reagendo bene alla retrocessione, tutto sommato. O forse l'essere tornata indietro nella scala gerarchica dei lupi non mi sembrava più un problema così serio. Non quanto lo scarso controllo della mia trasformazione, che negli ultimi due giorni aveva rischiato di prendere il sopravvento.

Malgrado quanto avevo appena affermato davanti a Cédric Landry, forse non era del tutto vero che non avevo segreti da nascondere...

Cercai di vedere il lato positivo della faccenda: come avevo detto a Marie, avrei avuto più tempo da dedicare ai miei passatempi preferiti, inoltre non sarei stata più costretta a mutare tanto spesso per andare nei boschi. E avrei smesso di essere il bersaglio delle stupide frecciate di Cédric e Florent.

Per quanto tentassi di essere ottimista, tuttavia, le amiche che incontrai a mensa qualche ora dopo mi fecero sorgere parecchi dubbi sui vantaggi della mia condizione.

«Sarai circondata per ore da bambini urlanti» mi fece notare Sélène, scuotendo la testa di lunghi capelli castani. I suoi grandi occhi blu mi guardarono con compassione mentre si ficcava in bocca una generosa quantità di insalata mista di legumi e cavolfiori.

«Inoltre,» aggiunse Louise, pulendosi con un tovagliolo il baffo di latte bianco che le era rimasto sopra il labbro, «quando quei brufolosi immaturi sul punto di diventare gregari percepiranno i tuoi feromoni, si prenderanno a botte e dovrai intervenire fisicamente per separarli.»

Sélène scoppiò a ridere, sputacchiando salsa.

Le pulsioni sessuali dei più giovani tra noi erano difficili da gestire, rispetto a quelle di un lupo adulto; per questo le femmine lasciavano il gruppo degli immaturi non appena raggiungevano lo sviluppo, mentre per i maschi l'età in cui si passava di grado era diversa e andava valutata caso per caso. Non di rado si erano verificati scontri piuttosto duri tra i ragazzini, in presenza di femmine in procinto di diventare fisiologicamente donne.

«Ogni volta che ovulerai dovrai eclissarti!» continuò a ridere sguaiatamente Sélène, mentre mia sorella le faceva eco.

«Potreste abbassare la voce?» sbottai senza condividere la loro ilarità, mentre Marie ci guardava con gli occhi sbarrati mangiando i suoi spaghetti al ragù.

La mia migliore amica, l'unica umana del gruppo, ascoltava sempre con molto interesse i racconti che facevamo della nostra quotidianità di lupi, a volte anche con un po' di invidia.

«Vorrei essere una di voi» mi aveva confessato un giorno, quasi in un soffio. «Siete nate davvero fortunate.»

Mi domandai se fosse rimasta dello stesso parere anche dopo aver sentito della mia retrocessione, ma il suo sguardo limpido e il sorriso che le distese le labbra mi fecero sospettare di sì. «E non dimentichiamo l'aspetto peggiore...» ridacchiò, arrotolando gli spaghetti sulla forchetta.

«Marie» l'ammonii, lanciandole un'occhiata in tralice che avrebbe dovuto zittirla e che lei, invece, ignorò bellamente.

«Quale?» domandò Louise, con gli occhi azzurri che le brillavano di curiosità.

L'altra indicò col mento un tavolo in fondo alla sala, dove, in un gruppo misto di giovani lupi e ragazze umane, molti ridevano in maniera rumorosa. Cédric, in mezzo a loro, spiccava per la sua mole e per la risata calda e profonda.

«Be',» spiegò Marie, «l'aspetto peggiore è che non passerà più tanto tempo con due fusti come Cédric e quel ragazzo più grande... com'è che si chiama? Florent, mi pare.»

Al sentire il nome di Florent, Sélène fece un plateale sospiro, poi rivolse un breve sguardo a Cédric. «A proposito,» si protese sul tavolo verso di me urtando il brik del latte con il gomito, poi abbassò la voce, «è vero che si è trasformato su di te? Dio, quando l'ho sentito non ci potevo credere! È stato un atto da vero pervertito!»

Marie, che stava bevendo dell'acqua, tossì con furia. Sembrava che si stesse strozzando. «Come... pervertito?!» esclamò, quando si fu ripresa.

Louise agitò una mano in una sorta di coreografia che solo lei poteva capire, poi tentò di spiegare alla nostra comune amica cosa significasse mutare forma a stretto contatto fisico con un'altra persona. Parlò di pelle che bruciava, di groviglio di membra, di muscoli che guizzavano e schiene che si inarcavano.

«Da come lo descrivi sembra davvero eccitante» mormorò Marie, con la forchetta ferma a mezz'aria e gli spaghetti che si stavano srotolando e cominciavano a pendere dai rebbi.

«A me, invece, sembra una versione dei fatti piuttosto romanzata» dissi, scuotendo la testa e sperando di non essere avvampata. «Chi vi ha detto della trasformazione? Florent?»

Sélène ammiccò facendo una smorfia strana. «No, lo ha raccontato Cédric stesso. Non ha fatto altro che sottolineare quanto sia stato intenso! Ignoravo che avesse un debole per te, Sophie.»

Aggrottai la fronte, sgomenta. Non riuscivo a immaginare uno come lui che raccontava qualcosa in modo tanto vivido e sensuale. Lo sapevano tutti che era uno studente pessimo nelle materie linguistiche e nell'ambito umanistico, con una proprietà di linguaggio quasi elementare.

Avrei scommesso che Louise avesse aggiunto il suo tocco narrativo al racconto, ma restava il fatto che a parlare era stato Cédric.

Sentendomi avvampare, guardai il tavolo al quale era seduto e mi morsi le labbra: che cosa mi sarei potuta aspettare da uno che postava sui social foto in cui baciava i propri bicipiti?

Sei un idiota, Cédric Landry.

Subito dopo le lezioni, nel pomeriggio, dovetti recarmi con Margot al Rendez-vous Nero, il più importante luogo di aggregazione sociale del nostro branco. Storsi il naso quando, davanti all'ingresso, trovai un gruppetto di giovani gregari a ridere e a scherzare mentre si passavano la stessa sigaretta.

«Guardate chi si vede! La nerd retrocessa!» esclamò uno di loro, sbuffandomi addosso un anello di fumo grigio.

Io gli strappai la sigaretta dalle dita e la buttai sulla neve, spezzandola poi con il tacco degli stivali. «Fumare fa male alla salute» sbottai. «Inoltre, non avete nemmeno l'età legale per farlo. Ah, e ricordatevi di raccogliere la cicca e di buttarla: è da incivili lasciarla a terra.»

Me ne andai cercando di non ascoltare il suono delle loro risate.

«Be', l'hanno presa piuttosto bene! È una fortuna che una delle regole del branco sia che i maschi non possano attaccare le femmine» mi sussurrò Margot, fissandomi di sbieco. «Ma perché lo hai fatto?»

«Ho fatto cosa?» domandai distratta, mentre entravamo nell'edificio risalente a circa un secolo e mezzo prima e recentemente ristrutturato. Sopra la porta c'era una vetrata con inserti colorati in stile Liberty e, all'ingresso, uno scalone di legno che portava ai piani superiori e un lungo corridoio che conduceva sia alla sala delle riunioni che allo studio del capobranco.

«Li hai provocati,» rispose mia sorella mentre cominciavamo a salire le scale, «e non è da te.»

Mi strinsi nelle spalle. «Mi hanno chiamato "nerd retrocessa". Hanno iniziato loro.»

Il Rendez-vous Nero a quell'ora era frequentato solo da una parte degli studenti che erano appena usciti da scuola, da pensionati e dagli adulti del branco che non erano al lavoro. C'era un'atmosfera pigra e sonnolenta un po' dappertutto, tranne che nelle stanze degli immaturi. Prima ancora di raggiungere il primo piano, sentimmo i bambini più piccoli gridare e quelli più grandi urlare loro di fare silenzio. Quando alzai la testa, scorsi alcuni dei gregari appoggiati alla balaustra del secondo piano. Dal modo in cui mi guardavano compresi che anche loro dovevano compatirmi, come le mie amiche, per la retrocessione nella scala gerarchica.

«Ciao, Sophie» mi salutò uno dei ragazzi, alzando una mano.

«Ciao», risposi, distogliendo subito dopo lo sguardo e seguendo Margot che si era avviata verso le stanze degli immaturi.

«Facciamo un saluto e poi andiamo, okay?» le proposi, già fremendo per andare via: in mezzo a quei ragazzini urlanti come mi sarei potuta concentrare sullo studio? Anche se mancava un anno all'esame per il diploma, non potevo permettermi di fare i compiti in mezzo a tanto caos: non volevo macchie sul mio curriculum scolastico.

«Lo sai che dev'essere Clarisse a darti il permesso di andare via.»

«Nel mio caso lo darà» tagliai corto.

Clarisse era una lieutenant di vent'anni, nominata coordinatrice degli immaturi circa due anni prima, l'ultimo mese che avevo trascorso all'interno del gruppo. Tra noi non c'era mai stata una grande simpatia, ma io avevo sempre fatto del mio meglio per non mancarle mai di rispetto.

Come altri giovani lupi, aveva scelto di interrompere gli studi secondari a sedici anni e di studiare per ottenere un diploma di studi professionali che, però, era rimasto nel cassetto: per il suo ruolo di coordinatrice percepiva già una retribuzione mensile; per di più, era stata assegnata come compagna a Luc Donovan, da tutti considerato il braccio destro di César e, chissà, forse il suo successore.

L'obiettivo di Clarisse, a quanto ne sapevo, era quello di sposarsi presto e di metter su famiglia dopo aver raggiunto il grado di dominante, che la rendesse pari al suo futuro marito.

Quando mi presentai a lei perché mi riammettesse ufficialmente tra gli immaturi, mi sforzai di non arrossire e di tenere sempre il mento alto.

«Ho saputo quello che è successo» mi disse con sguardo freddo. O forse era la solita sensazione che mi davano i suoi occhi, tanto chiari da sembrare quasi trasparenti. «Sei stata fortunata a non ricevere una punizione peggiore.»

Per cosa?! Solo per aver cercato di aiutare un ragazzo in difficoltà?!

Ma tenni per me quel pensiero o avrei avuto problemi già il primo giorno di retrocessione. Il mio piano, invece, era quello di trascorrere come immatura i successivi sei mesi senza problemi e poi dimenticarmi tutta quella imbarazzante situazione. Anche se non me lo avevano detto ufficialmente, visto che non ero stata ancora convocata dagli anziani del branco, ero certa che quella punizione non sarebbe potuta durare oltre l'estate: quando mai si era vista una brillante studentessa dell'ultimo anno nel gruppo degli immaturi?!

Inoltre, l'università in cui avevo scelto di andare a studiare Antropologia, la Concordia, si trovava a Montréal. Con la scusa di andare a darle un'occhiata per essere certa della scelta che avrei fatto, vi avrei soggiornato dopo la chiusura della scuola per qualche settimana, presso dei parenti di mio padre. Il che significava mettere tra me e Forteresse qualche centinaio di chilometri di distanza, almeno per un breve periodo.

Certo, sapevo perfettamente che era presto per parlare di università: dopo il diploma avrei dovuto affrontare altri due anni di preparazione pre-universitaria, ma era da mesi che cercavo di convincere i miei genitori a farmi dare uno sguardo alla Concordia malgrado fosse ancora prematuro.

Allontanarmi dal branco per qualche tempo mi avrebbe consentito di respirare.

«Allora puoi cominciare subito con i piccoli.» Clarisse richiamò la mia attenzione su di sé. «Stanno davvero facendo penare Marc e gli altri. Teneteli a bada finché i genitori non verranno a riprenderli.»

«E cioè fino a che ora?»

«Lo hai già dimenticato?» La ragazza scosse la testa. «Fino alle cinque, cinque e mezza di pomeriggio.»

Nel sentire quell'orario, vidi il mio programma di andarmene prima ridursi in fumo, tuttavia cercai di mostrarmi piuttosto sicura quando dissi: «Io veramente pensavo di fermarmi al massimo una mezz'ora. Devo studiare, ho davvero un mucchio di compiti...»

Clarisse aggrottò le sopracciglia, poi fece un gesto con la mano per mettermi a tacere. «Forse dovresti portarti avanti con lo studio durante le ore libere a scuola, invece di passarle a chiacchierare con le amiche» suggerì, acida. «Perché dovresti avere dei vantaggi rispetto agli altri? La tua retrocessione mi pare che sia stata una punizione e come tale va vissuta. Quindi no, Sophie, mi dispiace: nessuno sconto.»

Io arrossii: più che a chiacchierare con le amiche, passavo quelle ore a leggere i fumetti che mi portavo da casa. Ma evitai di fare quella correzione. In effetti, se mi fossi comportata come tutti gli altri studenti, non avrei dovuto faticare molto dopo la scuola. Ma la verità era che preferivo fare i compiti a casa. Non frequentando alcuna attività pomeridiana, amavo gestire il mio tempo in un modo tutto personale.

Margot mi toccò un braccio per dimostrarmi la sua solidarietà. «Puoi provare a studiare qualcosa qui» mi suggerì, pur senza troppa convinzione. «Continuerai quando saremo tornate a casa. Io faccio sempre in questo modo.»

Lo avevo fatto anch'io alla sua età, ma adesso rivivere quel periodo mi parve un incubo. Di certo dal giorno dopo avrei dovuto dire addio al mio momento lettura nella caffetteria della scuola. Avrei svolto i compiti proprio come facevano gli altri.

Quanto cominciavo a odiare di essere stata retrocessa!

Gregari e lieutenant erano molto più liberi e meno vincolati rispetto agli immaturi. Dalle loro stanze proveniva, difatti, un confortante silenzio.

Di solito si riunivano per stare un po' insieme e fare vita sociale, come imponevano le regole del branco, ma andavano e venivano quando volevano. Molti di loro si fermavano a scuola dopo le lezioni per frequentare le attività sportive: i ragazzi quasi tutti hockey come Cédric o rugby come Florent. Le ragazze si allenavano nella squadra di pallavolo o partecipavano alle riunioni dei club più svariati, da quello di giornalismo a quello di cucina locale.

Persino Sélène e Louise frequentavano insieme il club di fotografia e si sarebbero affacciate al Rendez-vous solo più tardi.

Rassegnata, seguii mia sorella dove i più giovani tra noi erano impegnati a corrersi dietro o a gettarsi addosso aeroplanini di carta. Quando videro Margot, alcuni dodicenni si immobilizzarono, riconoscendo in lei un membro più grande e quindi qualcuno a cui dover obbedire, ma i più piccoli e ribelli continuarono a fare ciò che volevano.

Un ragazzo di tredici anni di nome Marc mi si avvicinò e mi abbracciò, strofinando il naso contro il mio collo. «Bentornata, Sophie.»

Era più alto di me, ma il suo modo di fare lo tradiva come un lupo ancora troppo poco maturo per salire nella gerarchia del branco. Un giorno sarebbe cambiato all'improvviso: per i maschi le cose andavano così.

Florent e Cédric erano diventati gregari nello stesso periodo, malgrado ci fossero alcuni anni di differenza tra loro. Di colpo avevano smesso di azzuffarsi per gioco, di strapparsi di dosso i vestiti per trasformarsi nei momenti meno opportuni o di ululare solo per farsi notare dalle ragazzine più grandi. La loro voce era diventata profonda, gli sguardi penetranti e i muscoli più tonici: si erano ormai dimostrati pronti per affrontare la prima caccia e lasciare il gruppo degli immaturi.

Erano passati cinque anni da allora: quei due erano diventati già lieutenant, mentre io mi ritrovavo ancora una volta a essere un'immatura.

E tutto per colpa di quel giovane Grigio che aveva sconfinato. Era davvero incredibile che se ne stesse tutto tranquillo a salutarmi come se niente fosse, dopo che per causa sua mi ero cacciata in un gran brutto guaio!

«Avanti, Marc,» dissi, rimboccandomi le maniche, «mettiamo un po' d'ordine qua dentro.»

Lui sorrise, poi il suo sorriso si allargò quando lo rivolse a Margot. Malgrado avesse una chiara cotta per mia sorella, lei faceva finta di niente: il suo interesse era tutto per i maschi più grandi.

«Molto presto crescerà anche lui, sai?» le sussurrai all'orecchio mentre poggiavamo gli zaini in un angolo. «E allora ti renderai conto che come ragazzo non è affatto male.»

Lei si strinse nelle spalle e alzò un sopracciglio. «A che serve innamorarsi di qualcuno se poi sono gli altri a decidere chi sarà il tuo compagno?»

Mi resi conto che non aveva tutti i torti, ma dovevo pur ribattere qualcosa per far sembrare meno duro il futuro che aveva prospettato. «È improbabile che a quattordici anni tu possa già trovare l'uomo della tua vita. Quando sarai una donna in grado di avere una vera vita di coppia, be', allora ci penserai.»

Lo sguardo che mi rivolse, mentre si toglieva la giacca per appenderla a un attaccapanni affisso alla parete, mi fece intuire la sua replica prima che aprisse bocca. E, quando lo fece, era troppo tardi perché potessi correggermi.

«Stai dicendo che, finché non mi reputeranno pronta per sposarmi e avere un mucchio di marmocchi, dovrei fare un po' di... esperienza in quel campo? Strano, detto da una che non ha mai neppure flirtato e che si vergogna di spogliarsi anche se è solo per trasformarsi in lupo!»

Scoppiò a ridere mentre io arrossivo. Il costante imbarazzo nei confronti della nudità era il mio tallone d'Achille, lo sapevo. E le avevo offerto l'ennesima, succulenta occasione di prendermi in giro.

Alzai gli occhi al cielo per poi concentrarmi su due piccoli immaturi che stavano facendo a gara a chi si sarebbe trasformato per primo. Mi misi in mezzo scansandoli uno da un lato e uno dall'altro. «Il cambiamento non è un gioco!» li rimproverai. Ma i due si erano ormai messi in testa che era piuttosto gratificante cercare continuamente di trasformarsi, suscitando così la mia reazione.

Dopo un paio d'ore passate in questo modo, ormai non ne potevo più. Durante l'ennesimo tentativo di mutare, il bimbo più piccolo, che aveva già iniziato a subire il processo, mi guardò con gli occhi rossi di pianto. Prima che potessi redarguirlo scoppiò in lacrime, pregandomi di farlo tornare normale perché gli facevano male le gambe.

«Ecco, hai visto? Che ti avevo detto?!» esclamai mentre mi inginocchiavo per stringermelo al petto e consolarlo.

Ma il bambino, invece di lasciarsi coccolare un po', mi addentò di colpo la mano. Non mollò la presa neppure quando mi alzai di scatto agitando il braccio come una forsennata, nel tentativo di fargli aprire le mascelle. Invece di aiutarmi, gli altri ragazzini presenti ridevano come matti, inclusa mia sorella Margot.

«Oh, tu, piccolo...!» gridai, fuori di me. I denti da latte di un lupus hominarius potevano essere anche più taglienti di quelli di un adulto.

«Ti serve aiuto?» Si offrì a un certo punto qualcuno che mi osservava dalla soglia della stanza. Quando alzai gli occhi, vidi Cédric appoggiato allo stipite della porta.

«Cavoli, sì!» esclamai, in tono leggermente lamentoso. Ma poi ricordai le parole di Jean, che mi aveva paragonata a un cucciolo i cui guaiti avrebbero potuto spezzare il cuore, e provai a recuperare un po' di dignità. «Sì, ne avrei davvero bisogno.»

Con mia somma sorpresa, invece di avvicinarsi il ragazzo si tirò indietro, sparendo alla vista mentre Margot si teneva la pancia dal gran ridere.

«Non fare l'idiota, piantala!» strillai, afferrando con la mano libera le guance del bambino. Ma, prima che potessi fare qualcosa di irreparabile, Cédric si materializzò di nuovo, accostando al naso del piccolo un flacone aperto che emanava un odore aspro e pungente. Immediatamente sia io che il mio fastidioso aggressore provammo l'impulso di allontanarci dalla fonte di quel fetore. Mi sentivo le mucose nasali in fiamme.

«Dio, ma che cos'è?!» esclamai, coprendomi naso e bocca con entrambe le mani. Solo in quel momento mi accorsi che il bambino aveva finalmente staccato i denti dalla mia pelle.

«Semplice ammoniaca» spiegò il lieutenant, richiudendo il flacone. Restò a fissarmi per qualche secondo, stringendolo tra le dita.

Il nostro olfatto era piuttosto sviluppato, era persino migliore di quello dei lupi naturali e superava di gran lunga quello dei cani segugi. L'odore dell'ammoniaca – che percepivamo molto più forte di quanto non facessero gli umani – aveva il potere di farci quasi scappare. Altro che l'argento!

Dopo aver tossito parecchio e fatto cenno a mia sorella di allontanare il bambino che aveva ricominciato a piangere, mi guardai la mano destra. Vi spiccavano i segni lasciati dal morso di Cédric e quelli dei denti del piccolo immaturo.

Sedici anni e mi ritrovavo per la prima volta a essermi guadagnata due morsi in due giorni.

Se questa non era sfortuna...

«Ehi, Cédric! Come mai da queste parti, piuttosto?» chiese a un tratto Margot, mentre il ragazzo continuava a fissarmi. «Non ti sei accorto che queste sono le stanze degli immaturi? O hai sbagliato piano apposta per vedere...»

«Margot!» la interruppi con veemenza, mostrando i denti. «Sta' zitta!»

Per tutto il percorso da scuola al Rendez-vous non aveva fatto altro che sghignazzare. Si era complimentata con me, rievocando le parole di Louise a proposito del sensuale cambiamento subito da Cédric nella baita.

Sensuale un corno!

Era stato imbarazzante al limite dell'osceno.

Guardai in modo truce il lieutenant sentendo montare l'irritazione. «A questo proposito...»

Lui finalmente si decise a sbattere le palpebre. «Sono venuto a comunicarti che sei stata convocata da César nel suo studio» disse in tono serio.

Capii che in quel momento era in veste "ufficiale" e non mi parve il caso di parlare di quanto avevo saputo a pranzo.

Piegai la testa in cenno d'assenso, mentre continuava a fissarmi in quel modo insistente e, mi parve, angosciato. Poi lo vidi andare via senza che dicessimo più una parola.

Quando era stato fatto il nome di César, tutti i ragazzini che stavano ancora ridendo si erano ammutoliti di colpo.

E io mi sentii come in procinto di assistere a un processo.

Il mio.  

Eccoci di nuovo nel mondo dei lupi di Forteresse. Allora, state cominciando a immergervi nella società gerarchica dei branchi di questa città del Québec di mia invenzione? 😉

Siamo ancora ai primi capitoli e dobbiamo ancora entrare nel vivo della situazione, ma spero che non vi stiate annoiando!

Che ne pensate?

Io devo dire che sono abbastanza soddisfatta: mi piace scavare nelle abitudini e nei pensieri di Sophie e degli altri membri del branco dei Neri. Per il momento sembra tutto tranquillo, ma lo sarà, forse, per qualche capitolo ancora. Poi ci saranno delle svolte, sia in campo sentimentale che non.  

Quindi vi invito a proseguire   la lettura e a lasciarmi un parere sincero, anche per messaggio privato, qui o su Instagram (vi ricordo che mi trovate come @krishaskies_autrice). Da poco sono anche su TikTok, come @krishaskies_books.

Se avete domande sul mondo di questa storia, non esitate! Chiedete quello che volete <3

E adesso vi saluto.

Un abbraccio <3


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