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CAPITOLO X

Il FOLLE GIOCO DELLA VITA


~Skarket~

12 settembre 2022

"Un giorno, un nuovo giorno di merda!"

Penso mentre percepisco i suoni della realtà venire a galla e la quiete del mondo dei sogni assopirsi un po' alla volta.

Le luci del mattino trapelano attraverso il sottile strato delle mie palpebre ancora pesanti per il sonno costringendomi a storcere il viso infastidita.

Il mio cuore prende a battere una volta che il mio cervello metabolizza quanto successo ieri, una strana emozione mai provata prima...adrenalina?

No...forse sarebbe più adatto dire euforia.

Già, deve essere questo.

"Mi sembra tutto così incredibile, eppure è vero!
È vero cazzo! Non ho mai provato per nessuno qualcosa del genere..." mi ritrovo costretta ad ammettere.

Finalmente avverto qualcosa in me sbocciare e, spero solo che non appassisca con il tempo.

Perché il tempo può cambiare tutto in meglio o in peggio...

Finalmente percepisco qualcosa di strano... credo proprio che sia quello che gli altri definiscono...amore?

"Che strana cosa l'amore...ma noi cosa siamo? Siamo davvero qualcosa di più? Oppure è solo tutto un film che sta architettando la mia testa bacata per illudermi ancora una volta del fatto che stia accadendo qualcosa di bello nella mia vita?"

Quando si tratta di queste cose mi sento sempre alle prime armi. Una bambina che chiede sempre agli adulti il significato di qualcosa.

Solo che io non ho nessuno e non sono più una bambina.

Posso fare affidamento solo su me stessa e su ciò che ho sentito dire e letto nei libri che mi faceva leggere la mamma.

Probabilmente lo faceva perché era conscia del fatto che fosse meglio sognare in una realtà che non mi appartiene piuttosto che vivere in quella in cui ci trovavamo costrette.

Non poteva farmi scappare, perciò voleva perlomeno garantirmi la possibilità di viaggiare lontano con la testa e aprire gli occhi su come si presenta la realtà e come invece è realmente.

Voleva farmi conoscere ogni cosa del mondo e aprire i miei orizzonti.

Ed è questo il punto, che sono in grado di sapere qualsiasi cosa che riguardi la cultura, ma se mi viene posta una domanda su cosa sia per me l'amicizia o l'amore oppure la felicità, beh...non credo sarei capace di rispondere.

Andrei in tilt.

Un trigger che mi agita e mi annebbia, mi terrorizza.

"Come si fa a spiegare quella paura verso tutto ciò che non hai mai provato e vissuto, che per gli altri è considerata semplice normalità?
Il timore per l'ignoto che per gli altri non è ignoto.
Ma tu sei diversa dopotutto, no?"

Anormalità pura, o anche anomalia.

Sono proprio come uno di quei robot che possono raccontarti di qualsiasi cosa ed ammaliarti con qualsiasi nozione riguardante ciò che è e ciò che invece non è.

L'inizio e la fine di tutto, l'universo e il nulla cosmico.

Eppure, sono solo macchine fatte di latta e di circuiti, privi di immaginazione e di capacità di creazione, individui inorganici piatti e incapaci di percepire.

Tutto e niente al tempo stesso.

Mi stiracchio debolmente girandomi poi sull'altro lato notando che il letto è vuoto.

Sbarro gli occhi ancora un po' intontita.

"Non c'è più", constato.

Ma poi individuo un bigliettino sul suo comò che recita codeste parole:

"Ehi, pestifera! BUONGIORNO!
Se stai leggendo questo messaggio vuol dire solo una cosa: sei già sveglia -wow che genio non lo avrei mai detto Anthony-
Non spaventarti, sono solo andato via per prenderti la colazione, torno subito! Non scappare, ok?"

Nell'angolino in basso a destra vi è disegnato un cuoricino e una faccina sorridente.

Involontariamente sorrido dolcemente a quel messaggio, dimenticandomi persino del fatto che mi stesse per portare la colazione, e ciò implica mangiare.

"Ed io non posso mangiare.
Ma non posso neanche rifiutare un gesto così dolce da parte sua, sarebbe scortese.
È così galante. Accidenti a lui!
Non dovrebbe trattarmi così bene... Merito il peggio"

E quasi penso che sarebbe stato meglio se fosse stato uno stronzo insensibile e approfittatore.

Che in realtà lui mi abbia lasciata sola e se ne sia lavato le mani, così da poter poi dare la colpa ancora una volta a me stessa per averlo fatto di nuovo.

Essermi fidata.

Un'altra scusa per potermi odiare ancora di più.

"Ma cosa dico? Come posso essere così insensibile e brutale verso me stessa e verso di lui?"

Ad un tratto, ridestata completamente dalla confusione iniziale, mi rendo conto di avere di nuovo la felpa rossa addosso, deve avermela messa lui.

Nella parte di sotto sono ancora nuda però.

Ispeziono la stanza alla ricerca dei miei indumenti e, per un momento avrei giurato addirittura di aver visto uscire dai miei occhi dei laser che con il solo scopo di scandagliare la stanza.

Alla fine, li adocchio proprio accanto a me sul comò.

Decido di vestirmi prima che possa tornare e vedermi in condizioni indecenti.

Poi rammento che effettivamente il giorno prima mi ha vista in condizioni molto più compromettenti e, a questo ricordo sorrido come una cogliona in calore.

Termino di vestirmi e sento lo scricchiolio di una porta che si apre.

"Giusto in tempo".

«Ehi, buongiorno principessa!»

La voce gioconda del rosso invade la stanza e quasi mi pare che, con la sua entrata teatrale, abbia portato i colori con sé, la serenità e la spensieratezza.

Li ha portati qui apposta per riempire il bianco ed il nero tipici del mio piccolo mondo, un mondo in cui l'unico colore esistente è il rosso del sangue che scorre.

Ora la stanza grazie a lui è diventata un luogo ameno, così luminosa e accecante che, potrei immaginare abbia rubato mille stelle nel cielo per farmi sentire il calore di tutte.

Stelle, stelle ovunque e una cacofonia di colori.

Rosso...blu, giallo, verde, rosa, arancione, viola e ancora blu!

"È così che le persone felici vedono il mondo, mamma? Avrei voluto condividere questa gioia con te, sai? E con Alexander..."

Il mio caro fratellone...

«Guarda un po' cosa ti ho portato!», esclama entusiasta e soddisfatto del suo lavoro.

Le sue mani sostengono con cura un vassoio sopra il quale ci sono dei pancakes ed un cornetto alla Nutella, due bicchieri d'aranciata ed un lecca lecca.

«Ovviamente non lo mangerai tutto tu, tranquilla, avevo intenzione di fare colazione con te. Facciamo a meta e assaggiamo tutto, ti va?» Chiede con vigore.

Ed io nonostante voglia rispondere con un "no, non mi va", non riesco proprio a resistere al suo sguardo accogliente, al suo sorriso raggiante e ad ogni parte di lui che mi fa sentire a casa e, soprattutto, non giudicata.

Mai, neanche un minimo
.
La titubanza ed il timore scompaiono lasciando il posto ad una fame...da lupi.

"Ahhh io e il mio pessimo umorismo!"

Mi lascio semplicemente andare e i nervi si distendono nel contempo che osservo lui tagliare a metà la torre di pancake pregna di sciroppo, così fa anche con il cornetto.

«Grazie davvero, non dovevi», preferisco prima di sfilare le posate dal pacchetto di carta.

«Il meglio per la mia pestifera. E poi, devo assicurarmi che tu ti nutra in maniera adeguata, non voglio che accada più la stessa cosa di ieri», spiega premuroso.

Inutile dire che quel "mia" mi fa sciogliere e brontolare lo stomaco.

E sono sicura che non sia la fame.

Osservando il sole del mattino trapelare dalla grande finestra, mi rendo conto solo adesso del fatto che ho dormito come un sasso per ben... tredici ore.

Wow!

Non mi è mai capitato di dormire così tanto in vita mia, sono letteralmente andata in coma farmacologico.

Anthony davanti a me sembra leggere alla perfezione ciò che sto pensando, dev'essere che sono rimasta con la forchetta ed il coltello a mezz'aria con un espressione pensierosa sul volto.

«Hai dormito un bel po' eh? Davi l'impressione di qualcuno che non dorme da una vita», scherza inconsapevole di aver fatto centro.

«Beh, perché forse è così...», mi lascio sfuggire calando lo sguardo e le braccia contemporaneamente, come ridestata da quello stato di trans.

«Ah sì? Soffri di insonnia? Come mai?», domanda perplesso.

«Non sono affari-», sto per dire leggermente infastidita da quelle domande ma mi blocco anche se un po' tardi perché la frase l'ha capita anche se io non l'ho terminata.

"Sono un idiota, non lo merita affatto, non dopo che mi ha dimostrato che persona gentile è. Non dopo essere stato così gentile con me, avermi fatto sorridere con sentimento e aver fatto sciogliere il mio cuore di ghiaccio.
Sto iniziando davvero a fidarmi di lui, lo dimostra persino il fatto che non ho mai lasciato che nessuno mi toccasse come ha fatto lui ieri.
Perché in fondo so che il suo tocco non è come quello perverso e depravato di mio padre, non mi fa tremare, sentire a disagio o pregare di morire da un momento all'altro.
Quello di Anthony è puro, gentile e rispettoso.
Anthony non vuole violentarmi, Anthony vuole amarmi, posso confidare in lui.
Lo intuisco dalla maniera in cui batte il suo cuore quando mi è accanto".

«Miei?» Completa lui la frase per me con una smorfia carica di rammarico e sconforto sul volto.

«Hai ragione scusa, troppo invadente!» Prosegue poi.

«No scusa, io...ahh...è solo che è una lunga storia».

"Sono una stupida".

Ho sempre vissuto con la convinzione di dover diffidare di ogni persona nella mia vita, a meno che quest'ultima non mi dimostri la sua lealtà e la sincerità dei suoi pensieri e delle sue emozioni nei miei confronti.

Fin quando non ho le prove, io non accetto.

Ho bisogno di fonti attendibili anche nella vita privata, anche nelle mie relazioni interpersonali.

La necessità di certezze, del pieno controllo sulla mia vita e su tutto ciò che mi accade intorno.

Anche se sono consapevole che non sempre è possibile, la vita è imprevedibile.

"E quanto può essere difficile per una persona maniaca del controllo e in cerca di costanti certezze vivere nell'assoluta imprevedibilità? Non è per niente facile", rifletto ponendomi questo quesito e dandomi la risposta in automatico.

"È complicato, non impossibile...".

Le probabilità si trovano ovunque, le incertezze anche.

L'imponderabilità è alla base di questo gioco chiamato vita.

L'inaspettato è il re che regna sulle altre comuni pedine degli scacchi.

Mangia gli altri pezzi sulla scacchiera.

Ed io non sono altro se non colei che tenta costantemente di fare scacco matto sul re.

Qualcosa però, può andare storto in ogni caso durante il piano macchinato.

E gente, credetemi che non è questione del caso o della sorte, ma di probabilità.

La stessa probabilità secondo la quale lanciando una moneta ho il cinquanta per cento di probabilità che mi esca testa e il resto cinquanta per cento croce.

E se la moneta invece non atterrasse né in testa né in croce ma sul bordo circolare? Può accadere, in una percentuale sotto l'uno, ciononostante è un'eventualità comunque presente e da tenere conto.

Nessun calcolo, alla fine è completamente perfetto.

Ed è per questo che vincerò e perderò.

Siamo solo esseri dominati dal dubbio.

"Persino noi, Anthony. Io e te, cosa siamo diventati?".

Vorrei davvero domandarglielo e ottenere una risposta, tuttavia scelgo di rinunciarci e di mangiare quelle delizie sotto il mio naso.

A volte il dubbio bisogna lasciarlo da parte per poter sfamare le pance e riposare le menti.

«Sappi che...è stata colpa mia. Non sono tenuto a farti domande invadenti alla quale non sei tenuta a rispondere», balbetta a disagio dopo qualche istante.

«Rilassati, non è successo nulla. Anzi, scusami tu per la mia reazione», farfuglio con la bocca piena di cibo.
Annuisce convinto e torna a mangiare la sua metà dei pancake che abbiamo diviso.

E vederlo con le guance gonfie allo stesso modo di quelle di uno scoiattolo mi fa sogghignare.

Attiro ben presto la sua attenzione e non ho idea del perché, davvero!

Però...ha un aspetto così adorabile e confuso, quegli occhi così dolci e innocui mi inteneriscono.

Ho quasi l'istinto di stringerlo a me e proteggerlo.

«Co-cosa c'è?»

Esprime la sua confusione continuando a masticare esitante e quasi divertito.

«Niente, s-sei buffo», rido rumorosamente.

Il suo sguardo si addolcisce e nel momento in cui ingurgita, le sue labbra si curvano gioiose e i suoi occhi sognanti mi contemplano mentre rido.

«Be'...», pronuncia schiarendosi la gola.

«Allora farò in modo di essere sempre buffo, in modo tale da poter sentire la tua risata e vederti felice per ore, sei magnifica quando sorridi!»

I miei battiti vengono a mancare per qualche secondo, mi blocco e rimango incantata ancora una volta dalle parole del rosso.

"Deve essere un sogno questo, lo è per forza! Non è possibile che mi accadano così tante cose belle ultimamente. Non è possibile che qualcuno possa pensare questo sul mio sorriso.

Però, sé è un altro stramaledetto sogno, vi prego, non svegliatemi più..."

Riesco a percepire un terremoto interiore che l'umanità non ha mai visto prima.

Tutto crolla e si dimena.

Sento una voragine nello stomaco e ogni parte di me gelatina percorsa da brividi.

Schiudo le labbra incapace di proferire parola.

"Avanti, di qualcosa. Non restare imbambolata, deficiente!"

La situazione sta diventando così imbarazzante e carica di tensione che sento un calore propagarsi sulle guance.

"Sto addirittura arrossendo? Io non arrossisco mai! Cosa mi succede? E soprattutto, in che modo esco da questa situazione del cavolo? Sembro un fottutissimo computer con un bug del sistema!"

La mia mente per un attimo ha il pensiero intrusivo di farmi partire il braccio per darmi un ceffone e farmi svegliare, ma opto per cliccare la casella "darsi un contegno".

È già troppo "vergognosa e scandalosa" questa tensione.

Come direbbe mio fratello...

"Oggi ti penso particolarmente Alexander".

«Sai, tu sai il mio colore preferito. Mi piacerebbe tanto sapere qual è il tuo», chiede per sciogliere il ghiaccio.

«Il rosso...mi calma...ho uno strano legame magnetico con questo colore, sin da quando sono piccola», spiego contenta di aver cambiato discorso.

«Ti si addice. Ti donano le tonalità rosse in contrasto con la tua pelle e i tuoi capelli. Trovo che, in un certo senso, ti rappresenti. Il colore della passione, della violenza e della furia...» i suoi occhi brillano di una luce differente che non riesco bene a comprendere.

«Lo penso anche io», concordo.

Una volta concluso anche il cornetto, bevo l'aranciata in sorsi veloci, poi guardo il choopa choops adagiato sul vassoio.

"Hai esagerato proprio stamattina. A questo punto mangia pure quello. Visto che hai fatto schifo fai la porca per bene, no?
Ma si...ormai non ha più alcuna importanza, il danno è fatto".

Prendo lo stecco con all'estremità la pallina di caramella ricoperta di plastica rosa. Osservo ogni scritta impressa sul rivestimento: gusto arancia.

«Sai che ho sempre adorato i choopa choops, mia madre me ne comprava scorte infinite. Ne andavo ghiotta da piccina. Hai fatto breccia nel mio cuore senza neanche rendertene conto, Anthony! Se continui così potresti conquistarmi davvero», scherzo scartando con maestria la plastica e ficcando in bocca la pallina, lasciando che il sapore di arancia mi invada la bocca e che le mie papille rimangano rapite da quel gusto di dolci e vecchi ricordi.

Anthony è incatenato dal lecca lecca racchiuso tra le mie labbra gonfie di prima mattina.

Poi lo ricaccio fuori in un risucchio tenendo lo sguardo fisso nel suo.

«Vorrà dire che te li comprerò ogni mattina», mormora lieve.

«Vuoi?»

Gli porgo il dolcetto attendendo un suo cenno di assenso che non tarda a venire.

Se lo passa sulle labbra e lo lecca vizioso.

È infuocato più di ieri, riesco a percepirlo. Non so cosa sia questa sorta di attrazione tra di noi, ma mi piace da morire.

«Mhh...stasera dicono che vogliono organizzare una festa di benvenuto per i nuovi promossi di quest'anno, anche se sarà anche una sorta di festeggiamento per quelli che invece sono riusciti a superare gli esami per gli anni successivi...», mi comunica.

«Ci sarà praticamente tutta la scuola. Ti va di venire anche tu? Magari ci becchiamo lì», conclude con fare persuasivo.

«Una festa? Non ne ho sentito parlare», faccio io incuriosita.

«È ovvio tesoro, tu non lo sai ancora perché non è qualcosa che organizziamo con biglietti o manifesti, non è neppure organizzata dai docenti o dal generale. Semplicemente... approfittiamo del fatto che ci sono dati a disposizione altri giorni di baldoria prima dell'inizio effettivo dell'inferno. Le lezioni dovrebbero cominciare definitivamente il quindici settembre.
Quindi io e i miei amici solitamente organizziamo queste cose, invitiamo varie persone e le voci finiscono per girare persino sui social!», tenta di illustrare in maniera semplificata e chiara.

«Amici?»

«Esattamente, io e il mio branco. Siamo amici da una vita. Non li hai ancora visti perché hanno fatto gli esami un giorno prima di voi, al terzo piano, in una aula delle simulazioni. Quest'anno il numero di nuove reclute è aumentato a dismisura e ci siamo dovuti arrangiare in maniera diversa. E visto che... in questi giorni di festa vanno sempre a fare casino nelle discoteche non li hai nemmeno visti in mensa.
Stasera te li presenterò, sono tipi un po' pazzi ti avviso, ma sono ok tutto sommato!», sproloquia senza fermarsi.

«Qualcosa mi dice che mi staranno simpatici, io sono più pazza di loro, andremo d'accordo», confermo positiva.

«Oh non ne dubito, sarete pappa e ciccia», sghignazza.

Il mio sguardo si posa sul telefono abbandonato sul comodino di legno accanto a letto. Mi sporgo verso di questo e accendo lo schermo per controllare l'orario.

Sono le sette spaccate.

Non riesco a fare a meno di pensare all'uscita imminente dei risultati.

"Forse dovrei iniziare a prepararmi e darmi una sistemata, non ho intenzione di restare ad ammuffire nel letto e non fare niente tutto il giorno, ho bisogno di distrarmi", penso.

«Ci prepariamo?» Chiede lui intuendo i miei crucci.

«Si. Quindi è meglio che vada».

«Non preoccuparti, puoi lavarti direttamente qui, ti presto una mia maglia», asserisce fiondandosi verso il suo armadio e rovistando dentro alla ricerca di qualcosa da darmi.

Dopo un po' si volta con tra le mani una maglia nera sulla quale superficie vi è il disegno di uno scheletro piuttosto astratto e dei pantaloncini da uomo un po' grandi per me, però dovrebbero andare bene.

«Oh...grazie...non dovevi davvero!» Balbettò imbarazzata e sentendomi di troppo.

«Non c'è di ché, è sempre un piacere aiutarla, M'Lady...».

"M'Lady...?"

Se non la smette con questi nomignoli penso che potrei svenire.

Il suo sguardo è più profondo e ipnotico che mai, mi trapassa e mi fa girare la testa.

In questo momento non riesco a capire bene cosa vuole fare il mio corpo, decido di assecondarlo e lasciarglielo fare senza alcun indugio.

Forse è perché sono impazzita.
Forse perché lo desidero.

Mi sollevo sulle punte cercando di raggiungere la sua altezza e poso le mie labbra sulle sue. Si irrigidisce e rimane sorpreso dal mio gesto, non mi allontana, anzi ricambia e mi fissa con occhi ammaliati che pendono dalla mia persona.

Mi accosto al suo orecchio e leccando il suo lobo sussurro:

«Lei è stato a dir poco magnifico, M'Lord...»

Gioco con le sue ciocche color vermiglio per poi riprendere parola:

«Prima o poi sarò costretta a doverle restituire il favore...suppongo sia più un prima che un poi», la mia voce risuona maliziosa schiantandosi contro la sua pelle e il timpano del suo orecchio.

Mi scosto dal suo corpo voglioso di me, lo percepisco dal suo respiro frenetico e dalla sua imponente erezione che trapela dai jeans.

Lui, dal canto suo, pare notare dove il mio sguardo si è posato e va maggiormente fuori di testa.

Perciò, da brava stronza quale sono, lo lascio lì, insoddisfatto, sparendo dietro la porta del suo bagno.

Cosa darei per vedere cosa sta facendo in questo momento.

"Magari ora si farà una sega su di me", ipotizzo.

Spoglio il mio corpo dei vestiti allo stesso modo in cui un albero si spoglia delle sue foglie secche, successivamente aspetto che l'acqua si riscaldi per poter entrare.

In questo momento di solitudine assoluta i miei peggiori incubi tornano a galla, i miei demoni ricominciano a tormentarmi, le mie insicurezze e traumi mi attanagliano.

"Che cosce da elefante".

Mi tocco la carne, la stringo, la graffio, la scortico con le unghie.

"Magari se provo a consumare la pelle e arrivo al grasso posso strapparmelo via per essere più esile", questi pensieri mi inquietano, non so da dove nascano.

Se li dicessi a qualcuno mi rinchiuderebbero perché mi crederebbero una folle scappata dal manicomio nella quale doveva stare rinchiusa per l'eternità.

"Vorrei imprimere su questa carne la parola "maiale", così da ricordarmi cosa sono".

Gli artigli escono fuori e si conficcano nella carne.

Il sangue scorre e sto soltanto pregando di morire dissanguata nonostante sappia di essere immortale.

Il mio sangue si rigenera, tutte le cellule che mi compongono si rigenerano in caso di ferite o infezioni.

Tuttavia, fin quando non estrarrò le mie lame dalla mia carne, questa non potrà tornare allo stato originale.
Le lascio lì, muovendole leggermente per soffrire di più. Voglio sentire il dolore, quello stesso dolore che loro hanno provato e che avrei dovuto provare anche io perché non sono degna di vivere quanto loro.

"Mi fai schifo Skarlet Krov, meriti di soffrire".

Estraggo gli artigli ed entro sotto la doccia, qui il sangue scorrerà via dietro nelle fogne, dove merita di stare, e non sporcherò niente.

Mi riempio di tagli profondi e sento l'acqua bruciare sulle ferite infiltrandosi al loro interno.

Vedo il bianco, il bianco di quel grasso che tanto detesto scomparire sotto gli strati di epidermide che si ricuciono insieme.

Mi rannicchio sul pavimento del box doccia inspirando silenziosamente.

Mi insapono, mi lavo e mi gratto per essere sicura che quest'orrore che chiamo corpo possa sciogliersi assieme all'acqua e scorrere via.

Eppure non scorre, non va mai via.

Non funzionerebbe neanche strappare ogni parte di me.

"Che desolante frustrazione..."

Resto sotto l'acqua all'incirca mezz'ora e quando esco dalla doccia, mi asciugo tamponando sia il corpo che i capelli.

"È da un po' che non posto su Instagram", constato, così decido di farmi una foto allo specchio con ancora l'accappatoio addosso che lascia intravedere leggermente la spalla scoperta.

Il viso pallido in qualsiasi occasione, occhi scuri che puntano la telecamera taglienti e profondi, labbra rosee e capelli umidi che ricadono al di sopra delle spalle.

Scatto all'incirca cinque foto e perdo tempo a scegliere quella migliore.
Di conseguenza prima di pubblicarla, modifico leggermente la luce e le ombre che appaiono spente nella foto originale e poi la pubblico.

Mi vesto con gli indumenti che Anthony mi ha affidato.

"Ah vero, mancano le mutande! Be', credo proprio che dovrò stare senza oggi. Nessuno se ne accorgerà, no?"

Controllo le notifiche di Instagram e tra le tante richieste sono attratta da una di queste in particolare.

La scritta "._Tony_Vo1k0v_." appare ai miei occhi come la più luminosa, torreggia sul display in modo accecante, vuole chiaramente essere avvistata.

Senza farmelo ripetere decido di accettare la sua richiesta, spengo il cellulare e mi asciugo i capelli con il phone trovato nel mobiletto sotto il lavandino.

Impazienza...non sono mai stata così impaziente.

Ho l'istinto di tornare su Instagram e vedere se mi ha visto la storia e lo faccio.

Mi sento terribilmente priva di dignità, eppure lo faccio.

Scorro tra le varie visual fin quando sbuca un certo Tony selvatico della Mongolia.

Un sorriso a trentadue denti carico di emozione mi adorna il viso e per un pelo non caccio un urlo.

"Mio dio e ora? Quando andrò di là farà finta di nulla oppure dirà qualcosa? Accidenti! Non potevo aspettare per accettargli la richiesta? Eppure dovrei essere un genio, eh!"

Sarà colpa dell'impazienza...

Una volta finito, faccio un respiro per darmi coraggio ed apro la porta.
Faccio la disinvolta mentre mi dirigo verso lo specchio a muro per far finta di sistemarmi.

Il pantalone mi scende sulla bassa vita talmente che è largo e la maglia mi arriverebbe a meta coscia se non l'avessi sistemata in modo tale da farla ricadere poi sollevata sui fianchi.

Posso percepire la sua presenza dietro di me che mi scruta.

«Ho finito, puoi andare», dico soltanto.

I suoi passi si muovono pesanti, sono vicini, molto vicini, riesco persino a vedere il suo corpo riflesso nello specchio.

Non oso alzare lo sguardo per vedere il suo viso.

Sento il suo indice ed il suo medio toccarmi il collo per poi scendere verso la clavicola e la spalla, la stessa della foto.

Non dice nulla, va in bagno chiudendosi la porta dietro ed il mio corpo si rilassa in automatico.

"Mio Dio! Cosa è appena successo?"

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

Sono quasi le nove del mattino ormai ed io ed Anthony ci troviamo seduti sulle sedie dell'angolo bar di Cal.

Picchietto nervosamente le unghia delle dita sulla superficie lucida del bancone.

«Cal! Una camomilla per questo piccolo fascio di nervi grazie!» Sento la voce di quel coglione spiritoso deridermi con Callum.

Gli spiaccico il dito medio contro la sua faccia da deficiente e lui fa il gesto di morderlo con la bocca, per fortuna lo ritiro in tempo.

«Attenta a giocare con i lupi, possono mordere», mi avverte voluttuoso.

«Anche i demoni sanno mordere, palla di pelo!», ringhio, nel vero senso della parola.

Un verso grottesco fuoriesce dalla mia belva interiore mostrando le sciabole che ho nella bocca.

"Sono piuttosto nervosa ed irritata. E se andasse male?"

«Opa Opaa! Che caratterino, tesoro», Glenda per la prima volta parla con un accento spagnolo credo.

Intanto sento Cal ridacchiare in lontananza preparando al contempo una camomilla per me.

"Non ci posso credere! Davvero mi sta preparando una camomilla?"

«Lo devo sempre cacciare fuori il caratterino quando c'è lui, ogni tanto mi sento in dovere di fargli presente qual è il suo posto...», mi interrompo per poi proseguire rivolgendo un occhiataccia di sbieco ad Anthony:

«I cani cattivi è meglio che stiano a cuccia».

Quel rosso malpelo dal canto suo sembra essere divertito parecchio dalla situazione, tant'è che solleva un sopracciglio in segno che adesso è stato messo al tappeto, ma avrà la sua rivincita.

"Certo, aspetta e spera!"

«Finalmente qualcuno che ti dà del filo da torcere, mh?» Si prende gioco di lui la ragazza dai capelli mogano e la pelle abbastanza scura.

Possiede i tipici tratti messicani credo.

Quando sorride le si forma una fossetta adorabile agli angoli delle labbra rendendo il suo aspetto adorabile e la sua bellezza lampante.

«Sei messicana?», chiedo a bruciapelo.

«Si nota vero? Vengo da Cancun nella penisola dello Yucatan, non so se ci siamo capiti», tenta di illustrarmi aiutandomi a fare una specie di disegno mentale e gesticolando come se con le dita possa formare una cartina immaginaria, ovviamente inesistente.

«Si ho sentito molto parlare di quella penisola... dello Yucatan, giusto? Mia madre mi parlava spesso del Messico e delle zone in cui è cresciuta», le racconto esponendo una parte di me che fa ancora male senza darlo a vedere agli altri.

"Da quanto tempo che non parlo di te con qualcuno, mamma. Da quando la zia Norah mi ha ospitata le ho raccontato solo una volta tutto ciò che mi fosse accaduto e pure con difficoltà..."

«Fico, quindi abbiamo più o meno le stesse origini? Dico più o meno perché hai al tempo stesso una bellezza russa sorprendente, fattelo dire, sei un gran pezzo di donna!», si complimenta entusiasta ed io ricambio.

Vedo Cal esibirsi in movenze eleganti prima di avvicinarsi a me e servirmi la mia camomilla.

«Ecco a lei Mademoiselle!»

Si china con fare alterigio e riprende parola:

«Per la cronaca, sarebbe meglio se rinunciasse a tutti quei caffè, la rendono... irritante».

«Non fare tanto lo spirito che te ne faccio pentire», lo provoco.

«Oi oi, era una minaccia quella?»

«Era un avvertimento», mi giustifico noncurante.

Circondo le mani attorno alla tazza bollente, lasciando che quel calore mi avvolga e mi rilassi.
Bevo un grande sorso lento e, subito percepisco l'effetto di quiete, pace e calma inondarmi.

Mille brividi in tutto il corpo.

"Dopotutto ci voleva".

«Ehi palla di pelo, possono venire tutti alla festa di stasera vero?»

«Certo, che festa sarebbe altrimenti. Più saremo meglio sarà!», proclama sollevando l'indice verso l'alto.

«Tu ci verrai?», mi riferisco a Glenda.

«Io non saprei con chi andare...», sussurra mortificata.

«Perfetto», allargo le braccia in maniera teatrale colpendo quasi la testa di carota.

«Verrai con me, tesoro. Dobbiamo scatenarci».

«Davvero?» Le si illuminano gli occhi alle mie parole.

«Certo, potremmo prepararci insieme magari, quando stacchi?»

«Il fatto è che, per via della festa dovremo prima dare una mano a preparare il buffet ed i tavoli, dovremmo finire verso le sei e mezzo, la festa inizierà alle nove, ce la farò!» Riflette trattenendo il mento tra l'indice e il pollice in un espressione pensierosa.

«Tu Cal? Cosa farai?»

«Oh ragazze, non ve la prendete, però stasera non sarò uno di voi. C'è un ragazzo che mi interessa che mi ha invitato ad andarci con lui», proferisce con una tono malizioso di chi la dice lunga, con il capo chinato verso il lavandino sotto di sé del tutto indaffarato e preso nel lavare un bicchiere ed una tazza.

«Opaaa... Cal fa conquiste eh? Faremo il tifo per te, chico!» a parlare è la messicana davanti a me.

In tutto questo, parlare con loro mi ha completamente rimosso l'ansia per la mia promozione. Non mi sono resa conto che, per la prima volta nella mia vita, mi sento bene con qualcuno.

Qui, in questo insignificante bar, mi sono sentita più a casa di qualsiasi altro posto che avesse effettivamente le sembianze di una casa.

Qui con loro il mio cuore riposa e l'ansia scompare.

Tutto scompare.

"Dovrei chiedere anche ad Evelyn se si unisce a noi", mi appunto mentalmente.

Controllo l'orologio a muro alle spalle di Cal.

"Caspita, le nove e quaranta! È proprio volato il tempo..."

«Anthony, forse è meglio se inizio ad entrare con il mio account nel sito della scuola. Che ne dici?»

«Eh si!» Esclama sbirciando anche lui l'orario.

«Direi proprio che è il caso», conclude.

Sfilo il cellulare dalla tasca e cerco il sito su internet, appena clicco il link e si apre una pagina web che mi da il benvenuto quasi come se fossi accolta al ristorante.

"Inmettere indirizzo email o numero di telefono. Immettere password", leggo sullo schermo luminoso.

Faccio quanto mi viene richiesto ed in pochi istanti mi ritrovo all'interno della pagina scolastica del mio anno.

"Bacheca, informazioni, premi, diplomi, voti..."

Ad un tratto un dito si allunga sul mio schermo per cliccare la bacheca, per poi andare su esami nella sezione esami d'ammissione.

«ODDIO! C'È UNA NOTIFICA!» Urlo attirando l'attenzione di tutti i presenti e facendo prendere il telefono in mano alla maggior parte dei ragazzi nuovi che attendevano il verdetto finale.

Una serie di mormorii si eleva nello spazio circostante.

«GUARDATE VOI! NON VOGLIO GUARDARE!» Lancio il telefono ad Anthony e non so con quale abilità riesce a prenderlo.

In questo momento vedo solo Glenda, Cal e il lupo spelacchiato accerchiati attorno al mio cellulare allo stesso modo degli avvoltoi quando avvistano una carcassa nel deserto.

«Allora? LEGGETE CAZZO!» Sclero in una crisi d'isteria.

«Oh si giusto!» Ridacchia Callum mentre io volgo gli occhi al cielo.

«Bla bla bla... si certo, non ci interessa. OH ECCO! Signorina Skarlet Krov, la informiamo che lei ha superato tutte le prove in maniera eccellente e con abilità sia fisiche che mentali eccezionali, per questo ci teniamo ad informarl-».

Anthony viene interrotto da Glenda che strepita allo stesso livello degli ultrasuoni:

«CHE È STATA AMMESSA ALLA N.P.A, CONGRATULAZIONI, AHHHH!!!»

Tuttavia, nel momento in cui apprendo queste informazioni, urlo più forte della messicana e do un pugno ad Anthony sul naso dalla gioia.
Lo sento lamentarsi mentre si tiene il naso dolente.

Glenda che stava per scavalcare il bancone per abbracciarmi, assiste alla scena e scoppia a ridere tenendosi la pancia.

«Oh... S-scusa...» dico cercando di trattenere lo scoppio delle mie imminenti risa e Glenda con la sua risata sguaiata in sottofondo non aiuta affatto.

«Lo vedo che non ti dispiace affatto, bastarda!», asserisce con sguardo torvo.

Scorgo Callum nell'angolino accovacciato che si tiene una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere.

E vederlo in quello stato è stato fin troppo per me.

«Hai ragione, non mi dispiace per niente!»

E scoppio in una risata fragorosa anche io, a quel punto nel vedermi ridere la sua smorfia truce si deforma lentamente in un sorriso divertito per la maniera in cui sto morendo piegata in due.

Si addolcisce e scuote la testa sconcertato.

"Per fortuna non l'ho colpito abbastanza forte da rompergli qualche capillare, non credo neanche che gli uscirà il livido in realtà".

È un nuovo inizio questo, ufficialmente il nuovo inizio di tutto.

Fu da quel momento che nella mia vita ogni cosa mutò tramutandosi in ciò che non conoscevo, che mi avrebbe fatta soffrire e anche essere felice.

L'inizio di nuove emozioni mai conosciute prima, di amicizie, di una amore che, forse non è così impossibile ed irrealizzabile come volevo fare credere a me stessa.

Forse era solo un altro mio tentativo per scappare dalle mie paure.

Oppure volevo soltanto proteggerlo perché ero sicura che avrei distrutto per l'ennesima volta l'unica cosa bella della mia vita.

Quella era la rinascita di Skarlet Krov che imparerà a correre il rischio.
Il racconto della sua ascesa, fino ad arrivare sempre più in alto, verso qualcosa di migliore.

Un'altra prova mi attendeva, anche se io non ne ero a conoscenza.

E non erano prove che io avrei superato senza difficoltà stravolta.

Queste non prevedevano le mie conoscenze, le mie doti, le mie capacità.

Sarei caduta e mi sarei dovuta rialzare subito dopo.

Perché, in fondo, questo è ciò che prevede il folle e imprevedibile gioco della vita.

Ma io, Skarlet Krov,
ero pronta a tutto.

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