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CAPITOLO VIII

VUOI FARE UN GIOCO?


~Anthony~


Profumo di rose con strascichi di una fragranza forte e speziata al tempo stesso.
Descrive alla perfezione la persona che è.
Una donna dall'aspetto angelico e fragile, pelle chiara e delicata come una bambolina di porcellana, zigomi alti e sodi, naso piccolo e dalla punta rotonda.
Quelle labbra piene e soffici ad arco di cupido e il modo in cui le morde con quel sorrisetto malizioso fa girare la testa.
Oppure, quando ci passa quella lingua sopra in maniera famelica mentre ti osserva sottecchi con fare provocatorio. Una predatrice.
Quegli occhi che sanno percuoterti l'animo, ti strappano il cuore dal petto e ti fanno rabbrividire.
Così oscuri, così maliziosi e pieni di tormento.
I capelli corvini e corti appaiono ondulati e sono così fantastici e luminosi che viene quasi voglia di infilarci una mano e stringerli tra le dita.
Il corpo sinuoso e formoso è caratterizzato da una vita stretta, gambe piene di curve e sedere alto e prosperoso. Appare come il corpo di una Dea.
La sua mente eternamente colma di tribolazioni, ma capace di persuadere attraverso l'utilizzo della sua incredibile voce che da vita alla sua parola.
Una bellezza serafica che al contempo emana un aura di oscurità e di mistero, infonde tutta la sua pericolosità tramite quello sguardo spettrale e vacuo.
Sparge timore, fa vacillare il cuore, mette allo stretto le menti soggiogandole.
Ed è proprio quel mistero e quel proibito che dovrebbe tenerti lontano da lei, perché se le stai vicino non ti senti mai al sicuro.
Eppure sei sospinto maggiormente verso di lei, ti attrae come il canto di una sirena che vuole farti cadere nella sua trappola per ucciderti.
Ti affascina, ti manipola e non riesci a toglierla dalla testa.
Corpo da angelo e mente del demonio stesso, una purezza apparente macchiata dal male, come il sangue sulla candida neve bianca.
Ed è proprio vero che i tentatori e i dannati affascinano di più con il proprio aspetto, lo fanno per poter stregare con la propria magnificenza e sedurre con le facoltà mentali.
Ed io non voglio contrastare questo gioco di seduzione e attrazione estremamente proibito e perverso, voglio farne parte sempre di più, anche se questo significherà entrare nella tana del lupo.
E mi rendo conto che purtroppo io sono soltanto una piccola pecora offerta in sacrificio.

Non riesco a distogliere i miei pensieri da lei, mi sta portando lentamente sull'orlo della pazzia.

"Cosa mi sta facendo? È forse questo il potere di un demone? Sono capaci di calamitare a tal punto le proprie prede?"

Era così intrigante stamattina vederla alla mia mercé, ammaliata dal tocco del mio polpastrello sulle sue labbra leggermente schiuse...avrei voluto fiondarmi su di esse e divorarle.

La maniera in cui faceva scivolare le sue dita pregne di sangue dalle sue labbra al mento per poi assaporarne il sapore con la lingua e socchiudere gli occhi estasiata, travolta da un piacere e una beatitudine immensi.

Mentre penso questo, un calore forte mi invade il basso ventre e sento improvvisamente il cavallo dei pantaloni fin troppo stretto a causa di una pressione che combatte per uscire.

"Cosa mi succede? Perché provo così tanta attrazione verso di lei? Non mi è mai successo prima d'ora...non ho mai dato importanza alle ragazze", cerco di capire il motivo per cui non riesco a resisterle.

Più ci provo, più sento di starmi avvicinando sul punto di una forte esasperazione.

<<Quella ragazza mi fa un brutto effetto>>, mormoro flebilmente.

Dopo essere usciti dagli spogliatoi, ci siamo separati perché mio padre ha richiesto la mia presenza nel suo ufficio, le solite cazzate noiose.
"Chissà costa sta facendo in questo momento quella piccola pestifera", mi ritrovo a domandarmi curioso.

Vorrei poter ancora inebriare i miei polmoni con quell'effluvio di rose speziate.
"Che profumo potrà mai utilizzare per annebbiarmi la mente a questo modo?"

Quella pressione fastidiosa non sembra affatto intenzionata a volermi abbandonare.
"Mi tocca proprio vero?"
Senza farmelo ripetere due volte, infilo una mano nei pantaloni, abbassandoli leggermente e cacciando fuori il membro pulsante.
Comincio a stuzzicarlo sfregando la pelle su e giù con una mano.

Ogni cosa sembra dissolversi.
C'è solo lei accompagnata da quelle forme da capogiro e i suoi occhi insostenibili, una tale arma potente da far mozzare il fiato e far venire meno quella piccola pompa nel petto per qualche secondo.
Una sensazione afrodisiaca si dimena dentro di me per diffondersi in tutto il corpo come una specie di droga iniettata nelle vene.

Aumenta sempre di più, non smette mai, ed io, non ho intenzione di fermarmi proprio adesso.
Ho come la sensazione di non poterne avere mai abbastanza.

Il calore nel basso ventre aumenta ancora e avverto ogni muscolo irrigidirsi man mano che mi avvicino all'apice di quel folle desiderio.
E anche se mi sembrò talmente sbagliato in quel momento, la mia coscienza non ha potuto fare a meno di immaginarla aperta per me mentre la prendo e la faccio mia.

Quel ritmo frenetico eseguito dalla mia mano su tutta la lunghezza della mia asta, ad un certo punto diventa troppo insostenibile, fino a raggiungere quel picco di piacere fisico e mentale che sfocia in un esplosione di godimento sconfinato.

Il mio corpo è percorso da una serie di brividi e spasmi, ma la tensione dei muscoli è svanita lasciando posto al rilassamento totale.
Il liquido caldo è zampillato direttamente sul mio addome.

<<M-meglio se mi do una ripulita...>> sussurro ancora un po' frastornato dagli effetti dell'orgasmo.

Dopo essermi ripulito al meglio, decido di uscire dalla mia stanza e dirigermi verso la palestra per allenarmi e...perché no? Svagarmi e distrarmi dal costante pensiero che mi rimanda a lei.

Però qualcosa va storto, perché quando arrivo di fronte alla porta della palestra, dai vetri avvisto immediatamente la figura della corvina che corre sul tapis roulant.
La felpa con la zip che portava addosso è adagiata su uno dei tanti macchinari.
A quest'ora la sala è vuota, è molto presto in effetti, sarà a malapena l'una e mezza del pomeriggio.
Analizzo la sua figura che corre scompigliando i suoi capelli e donandole un aspetto selvaggio.
Il seno sobbalza al ritmo della corsa ed è fasciato dal tessuto stretto della canotta che lascia palesare in maniera piuttosto evidente i capezzoli turgidi.

"Cavolo...non indossa il reggiseno. Ma che diavolo però! Sei un pervertito del cazzo, non fissarle le tette in questo modo, pare che tu non abbia mai visto una donna in vita tua!" Mi redarguisco mentalmente.

<<Datti una contegno!>>, parlo fra me e me come per voler inculcare meglio nella mia testolina bacata il fatto che solo perché una donna non indossa il reggiseno non significa che debba fare il babbuino dei miei stivali.

Mi faccio coraggio ed entro nella sala conquistando sin da subito la sua attenzione.

<<Oh, anche tu allenamento?>> Le domando.

Lei in risposta mi scandaglia dalla testa ai piedi e prende parola:

<<Già, lupacchiotto...Ad ogni modo sembra quasi che tu mi segua ovunque, non posso voltarmi da una parte che...Puff! Ti ritrovo lì!>> Sbotta scendendo con un balzo dal tappeto.

Ansima per la fatica e il suo petto si gonfia e si sgonfia ritmicamente.
Si avvicina pericolosamente a me, fino ad arrivare ad essere quasi attaccati. A distanziarci ci sono pochi centimetri insignificanti.

<<Ti starai mica innamorato di me...?>>

Quest'ultima frase la pronuncia con voce e sguardo provocante causandomi una serie di scosse elettriche lungo la schiena.

"Se solo sapesse l'effetto che mi fa".

Mi sta fissando dal basso per la differenza abissale della nostra altezza, è letteralmente una nanerottola.

Porto la mia mano destra a spostarle i capelli dal collo sudato e le mie dita si intrecciano in una delle sue ciocche a giocherellare.
Mi chino verso di lei. I nostri visi fin troppo vicini.

<<Potrei dire la stessa cosa di te...e comunque, non sembra che ti dispiaccia avermi tra i piedi>> bisbiglio rocamente lasciando che il mio fiato arrivi dritto sulla pelle del suo volto.

<<Ah sì? Cosa te lo fa pensare?>> Sorride con scherno drizzando meglio la schiena.

Solleva il volto e lo china di lato incrociando poi le braccia al petto. Gesto che contribuisce a mettere in evidenza lo splendido panorama del suo seno.

<<Il fatto che ti eccito terribilmente>>.

<<Ma davvero?>> Non si muove da quella posizione, ma il sorriso si amplia maggiormente verso il lato destro creando una piccola fossetta sul suo viso.

<<Ovvio, nessuno può resistermi. Ti comprendo, è del tutto normale!>>
Scherzo io, fingendomi uno di quei ragazzi popolari del liceo che se la tirano come se il cazzo ce l'abbiano solo loro.

Lei scoppia a ridere a crepapelle, successivamente solleva le braccia e le mani verso l'alto e con sorprendente naturalezza dice:

<<Ah be'! Se la metti così allora... credo che mi sentirò più libera di masturbarmi pensandoti>>

Rimango a bocca aperta.

"Starà sicuramente scherzando dai! Si, deve essere così!"

Lo conferma anche la risatina finale che mi indirizza prima di voltarsi e andare a recuperare la felpa rossa per poggiarsela sulle spalle.

<<Combattiamo>>, propongo ad un tratto.

<<Cosa? Combattere?>> Chiede confusa.

<<Certo, combatti! Fatti sotto!>>

La corvina, orgogliosa più che mai, non se lo fa ripetere due volte e iniziamo a combattere.
Qualcosa di abbastanza leggero, giusto per allenarci e basta.

Tuttavia, i suoi movimenti cominciano ad essere più lenti e meno reattivi e, ad un tratto, proprio quando sto per scagliarle un colpo di piede allo stomaco, lei sembra disorientata e non contrattacca.
Si lascia colpire e cade a terra.

<<EHI! Tutto bene? Cos'hai?>>

Niente, silenzio.
Ha gli occhi aperti ma non risponde, le sue palpebre si aprono e si chiudono ad intermittenza cercando di guardarsi attorno disorientata.

<<Io...>> prova a dire.

Abbasso lo sguardo sulle sue labbra che di solito hanno un aspetto roseo, in questo momento sono violacee.

<<Merda...>>

"Sarà un calo di zuccheri?" Ipotizzo prendendola in braccio a mo' di sposa per portarla via dalla sala.

<<Hai mangiato oggi?>>

Cerco di mantenerla sveglia, ma Skarlet non riesce a muovere le labbra, perciò, scuote la testa debolmente in segno di diniego.

<<Io... mi sono>>, tenta di dire.

<<Piano, con calma>>, la incoraggio.

<<Allenata tutto il...t-tempo>>, pronuncia l'ultima parola così fievolmente e biascicando ogni lettera che a stento capisco quello che ha detto.

In preda al panico, cerco di portarla il prima possibile da Callum e farle avere qualcosa da mangiare per recuperare le energie.

<<CAL! CAL!>> Urlo subito dopo aver svoltato l'angolo che porta al suo bar.

<<Dio Santo, che sta succedendo? Cos'ha?>> Lo sento dire mentre adagio Skarlet su un tavolo per farla stendere e stare comoda.

<<Acqua e zucchero, presto!>>, gli ordino dando nel frattempo alcuni schiaffetti sulle guance della ragazza sotto di me.

Con mani tremolanti Callum acciuffa il primo bicchiere che trova davanti e lo riempie d'acqua aggiungendo anche qualche cucchiaio di zucchero.

Me lo porge ed io, nell'ansia del momento, faccio cadere qualche goccia sul pavimento.

Alzo la testa di Skarlet con dolcezza ripetendole che va tutto bene e aiutandola a bere il contenuto del bicchiere.

È talmente debole che non riesce neanche a deglutire bene e quindi si sbrodola leggermente sulla maglia.

La esorto a continuare a bere mentre le carezzo i capelli soffici e la rassicuro.

Non posso proprio fare a meno di sentirmi in colpa per averle chiesto di combattere

"L'ho stremata...diamine, se solo avessi saputo che per tutte quelle ore non aveva fatto altro che allenarsi senza sosta, neanche per mettere qualcosa nello stomaco, non glielo avrei chiesto neanche per scherzo".

La guardo rinsavire lentamente, il suo aspetto è un po' più vivo rispetto a prima.

<<Ehi, guardami! Mi senti? Sono qui, sono qui...>>, dico dandole degli schiaffetti sul viso per poi avvicinare il suo viso al mio e coccolarla.

<<Mi...mi dispiace...>> tenta di dire guardandomi per la prima volta indifesa, non più nelle vesti da combattente e da donna forte come ormai tutti si aspetterebbero di vederla.

Poggio la fronte contro la sua.

<<Shh... è tutto ok, ci hai fatto solo prendere un bello spavento>>, ridacchio alleggerendo la situazione di tensione che si era creata.

Mi stacco da lei e faccio inchiodare le sue gambe attorno alla mia vita.
La corvina, ancora molto debole si lascia andare contro il mio petto mentre avvolge le sue braccia attorno al mio collo.
La prendo in braccio tenendola per le gambe e la metto a sedere su una delle sedie vicino al bancone, dove la attende un bel vassoio di cibo delizioso: due fette di pizza, una ciotola di patatine fritte e una coca-cola fresca uscita proprio ora dal freezer.

Lei sembra tentennare, guardando il cibo sotto il suo naso con disgusto e odio, ma capisce che se vuole stare meglio deve fare questo piccolo sforzo.

Un morso alla pizza, due, tre, quattro morsi... fino a terminare tutto.

Infine, apre la lattina di coca-cola e deglutisce il liquido dolce e frizzantino.

Un sorso, due sorsi, tre sorsi, quattro...

<<Come va?>> Prova a parlarle Callum.

<<Bene...>> risponde senza alzare lo sguardo.

<<Devi mangiare di più, non puoi saltare i pasti, fa molto male. È nocivo soprattutto per voi che vi allenata di continuo e le energie scorrono via come acqua>> le fa la paternale Cal, mantenendo pur sempre un tono dolce e preoccupato.

Non alza lo sguardo, gli occhi sono perennemente fissati sul suo grembo e le sue cosce. Non ribatte, non ammette neanche un singolo suono, nemmeno un banale cenno.
Gioca con la linguetta della lattina spostandola avanti e indietro.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei..."Tac".
La linguetta si stacca rimanendo fra il suo pollice e il suo indice.

<<Quanto ti devo, Cal?>>
Finalmente la sua meravigliosa voce fuoriesce dalle sue labbra dopo lunghi attimi di silenzio.

<<Scherzi? Se vuoi ripagarmi mi basta solo sapere che mangi e non salti i pasti!>> Sbocca Cal, rifiutando nuovamente i suoi soldi.

<<Oh, andiamo! Non posso sempre venire da te e non pagare. Voglio almeno ripagarti per il disturbo arrecato!>> Replica Skarlet.

<<Assolutamente no! Sei stata male e io ti ho fatto un favore. Metti caso non avessi avuto soldi con te? Non sarebbe stato irrispettoso chiederti di pagare nonostante tu ti fossi sentita male?>>

<<Ma in questo caso io ho i soldi con me, per cui pagherò quello che mi hai servito>> ribatte estraendo i soldi dalla cover del telefono e lasciando una dieci euro sul bancone, dal momento in cui Cal non si decideva a dirle il prezzo.

<<Ahh...>> arreso, prende i soldi e li mette nella cassa.

<<Non c'è Glenda?>> Noto.

<<Oh, no. È andata un secondo a fare pausa pranzo in mensa. Io già ho fatto prima>>, spiega Cal.

<<Va bene, be'...allora noi andiamo! Grazie ancora per il disturbo, sei un amico! Ci si vede, Cal>> lo saluto seguito dalla nanerottola al mio fianco.

Ci allontaniamo dall'accogliente angolo bar per addentrarci negli smisurati corridoi dell'accademia, che ora sono praticamente vuoti.
Chi si trova ancora nella mensa, chi riposa nelle proprie stanze, chi si svaga stando all'aria aperta.

Persino dei docenti neanche l'ombra, forse rinchiusi nei loro squallidi uffici a completare pallose pratiche o indaffarati nelle riunioni che decreteranno i ragazzi promossi all'accademia e, chi invece, non ha le qualità e le competenze sufficienti per entrare.

Il pavimento in marmo scuro e lucido sul quale il suono dei nostri passi riecheggia con tonfi sordi, riflette alla perfezione le nostre sagome che su questo tipo di materiale appaiono deformi e indefinibili.

La piccola pestifera pare persa in qualche suo solito cruccio di cui solo lei può essere a conoscenza.

Qualche volta mi piacerebbe davvero avere l'abilità di leggere la mente per comprendere cosa le passi fra i pensieri, quale ricordo o brutta sensazione la affliga.

"Perché non mangia? E perché se lo fa, si nutre di porzioni talmente misere che non sarebbero abbastanza neanche per un neonato? Cosa ti passa per la testa, pestifera? Vorrei tanto sapere quali siano i traumi che porti sulle spalle, i demoni del tuo passato e del tuo presente. Chi ti ha distrutto a tal punto?"

<<Di cosa hai paura..?>> Borbotto inconsapevolmente.

<<Cosa?>> Domanda lei che per fortuna non ha sentito bene, o almeno spero.

<<Niente, mi chiedevo...cosa ti andasse di fare>>, mento spudoratamente inventando la prima scusa che mi casca per la mente.

<<Non...lo so. Però...effettivamente, ci sarebbe una cosa che devo chiederti>>

<<Dimmi pure>> la invito a proseguire.

<<Sapresti per caso qualcosa riguardo agli esiti degli esami? Hai qualche idea su quando possano uscire?>>

<<Dovrebbero uscire domani mattina, credo. Oggi mio padre mi ha convocato nel suo ufficio e mi ha chiesto una mano per alcuni documenti. Sai, una parola tira l'altra ed ha finito per confidarmi che con buone possibilità usciranno domani mattina tra le otto e le nove>>, le riporto.

<<Oh, capisco. Spero che sia andato tutto bene>>, mi confida.

<<Ma certo! È praticamente ovvio che verrai ammessa, sei stata una delle migliori, non devi assolutamente preoccuparti di questo>>, cerco di rasserenarla.

Annuisce e per la prima volta da quando l'ho vista non mi rivolge un sorriso malizioso o derisorio, bensì uno sincero e spontaneo, poi dice:

<<Grazie ancora per prima>>

<<Figurati, non è nulla>>, espongo non riuscendo a fare a meno di ricambiare il suo sorriso contagioso.

<<Come mai...non hai mangiato oggi? Ho notato che non mangi molto spesso. È per qualche motivo in particolare?>> Le chiedo dopo aver racimolato una buona dose di coraggio e cercando di essere il più cauto possibile.

<<No, nessun motivo. Non avevo fame, tutto qua. È stato un mio errore>>, contesta approssimativamente.

So che non è la verità.

"Ma perché si ostina così tanto a nasconderla? Non vuole essere salvata?"

Oh...Skarlet Krov, sei proprio un grattacapo, sei misteriosa, sfuggente. Più cerchi di allontanarmi da te, più io mi avvicino.

Ma la cosa più ironica e sconfortante di tutte è che ti sembra quasi di starti accostando a lei, di star per raggiungere la sua più profonda intimità ed è in quel momento in cui credi di star per raggiungere il successo che sprofondi nuovamente nel nulla.

Ti ritrovi nuovamente punto e a capo. Cadi e sbatti per terra e capisci, che non c'è alcun via.

È così... indefinibile e indecifrabile.
Puoi pensare di conoscerla ma poi lei è in grado di dimostrarti sempre l'esatto contrario.

Ogni certezza diventa dubbio.

Riesce a fare dubitare di sé stesso l'uomo più fiducioso, con la più alta autostima e determinato.

Riesce a domare l'indomabile, perché lei è il fuoco che divampa, la tempesta che devasta.

"Mi sento completamente impotente e privo di risorse di fronte a te, sei capace di disarmarmi con un solo sguardo ed io ti permetto di fare tutto questo. Oh... diciamoci la verità e parliamo chiaramente, lo faresti lo stesso anche se io non te lo permettessi.
Tu non chiedi il permesso, tu rubi e scappi via come una ladra".

<<Ti piace ciò che vedi?>>

La sua voce soave mi colpisce alle orecchie scagliandomi bruscamente nella realtà.

<<C-cosa?>>

Devo avere un espressione piuttosto confusa e patetica sul volto, perché lei sogghigna e riprende a parlare:

<<Mi stai fissando da un quarto d'ora...allora? Ti piace ciò che hai davanti?>>

Mi placca il passaggio e si raddrizza con il petto in fuori e mento alto.

<<Sarei un grandissimo bugiardo se negassi>>, rimbecco senza pensare.

<<Mmh...interessante>>, mugugna piacevolmente apprezzando ciò che odono le sue orecchie.

<<Facciamo un gioco? Mi annoio>> propone dopo un breve momento di pausa.

<<Ci sto! Ma forse dovremmo andare in qualche posto più appartato se non vogliamo farci disturbare, no?>> Suggerisco automaticamente.

<<Vieni con me!>> Proferisco afferrando saldamente la sua mano e trascinandola nel primo ascensore disponibile.

Una volta dentro quel piccolo spazio che ci costringeva a diminuire le nostre distanze, clicco il pulsante dell'ottavo piano, precisamente è il piano dedicato al mio dormitorio e quello di mio padre, ma non solo, è anche dotato di una grande sala relax nella quale svagarmi e passare del tempo nei momenti piatti della mia giornata.

Ho tutte queste comodità e "privilegi" perché io sono nato e cresciuto qui. Almeno questo è quello che mi ha sempre raccontato papà, che però non mi dice mai nulla riguardo alla mamma.

Non conosco il suo volto, il suo sorriso, i suoi occhi. Mai conosciuto il suo profumo o la sua voce, né il privilegio di una sua dolce carezza. Non mi ha nemmeno voluto dire il motivo per cui se n'è andata lasciandoci soli.

Ormai ci ho fatto l'abitudine.

Mio padre è sempre affettuoso e non mi fa mancare nulla.
Lavora il doppio per cercare di essere il genitore perfetto, lavora per due.
E nonostante io abbia sempre sentito e percepito chiaramente il suo amore, continuo da una parte a sentirmi vuoto perché mi chiedo come sia avere una mamma.

Non mi manca la sua persona in quanto non ho mai avuto il piacere di sapere chi fosse, non può mancarmi una persona che non c'è stata in nessun momento della mia vita.
Mi chiedo soltanto cosa si provi.
E forse mettendola così può sembrare triste, ma non ha alcuna importanza. Io ho mio padre e sono sicuro, che qualsiasi cosa accada, non mi lascerà.

Questa è la mia unica certezza.

Quando l'ascensore termina la sua ascesa e le porte si spalancano, usciamo e noto sin da subito Skarlet che si guarda attorno incuriosita.

Il piano si divide nel corridoio di destra che porta alla stanza di mio padre e alla nostra palestra privata, e nel corridoio di sinistra che porta invece alla mia stanza e alla zona relax.

Svoltiamo verso il corridoio di sinistra e lei si perde ad ammirare il panorama attraverso le vetrate accanto a noi.

Ho notato che si perde spesso nei dettagli delle piccole cose, ama osservare il mondo, anche le cose che pensiamo siano piccole, banali ed insignificanti.

Ha spesso la testa fra le nuove, rinchiusa nel suo piccolo mondo personale che ha generato con il suo stesso intelletto.

Molte volte l'ho sorpresa a ispezionare ogni angolo remoto di questa struttura come se stesse ammirando chissà quale fantastica creazione della mente umana.

Ci fiondiamo all'interno di quella sala liberatoria dove non sono ammessi pensieri e problemi, solo la pura spensieratezza.

La stanza è sui toni scuri, pareti bordeaux e nere. Un'enorme televisione smart per guardare film, serie TV, giocare ai videogiochi e quant'altro.
Libri, tanti libri abbandonati su scaffali addetti. Un enorme sofà di colore nero con cuscini bordeaux, posizionato proprio di fronte alla TV, sotto la quale vi era anche un camino elettrico per l'inverno.
Una scrivania con mille cianfrusaglie, spicca incastrata al muro di destra e persino un piano forte al lato opposto.

<<Wow...i videogiochi!>> Esclama affascinata e con gli occhi che brillano innamorati.

<<Ti piacciono i videogiochi?>> Le domando sorpreso.

<<Si be'. Non ho mai giocato con la play, non ne ho mai avuto la possibilità, ma vorrei tanto imparare!>> Spiega.

<<Allora verremo più spesso qui, così avrai modo di giocarci tutto il tempo che vuoi e fare partite con me>> le propongo.

I suoi occhi si spalancano ancora di più e divennero accecanti talmente che presero a luccicare.

<<DAVVERO? Non voglio approfittarne troppo però!>> Quasi urlò sognante.

<<Ma quando mai! Sei la benvenuta. Dopotutto mi piacerebbe avere della compagnia>>, affermo genuinamente.

<<Se la metti così, sarà senz'altro un piacere romperti le balls>>, dichiara suscitandomi una risata incontenibile che mi fa piegare in due e tenere la pancia dallo sforzo.

Lei dapprima si mostra sorpresa dalla mia reazione poi scoppia a ridere a sua volta e, non posso fare a meno di pensare a quanto siano stupende le nostre voci e risa che si fondono insieme riempiendo questo spazio, solitamente vuoto, di chiasso e rumore.

<<A cosa volevi giocare?>> Le pongo finalmente una volta esserci ricomposti.

<<Non saprei...ci stavo pensando in effetti. Mh...Trovato!>> Sbotta d'un tratto sbattendo il pugno sull'altro palmo della mano.

Il suo sguardo punta a qualcosa sulla scrivania avvicinandosi ad essa e pescando tra le varie cose, una scatoletta.
La scatoletta del gioco "Shangai".

<<Giochi a Shangai, vero?>>

Annuisco confuso non sapendo dove voglia andare a parare.

<<Giocheremo a Shangai, ma... se qualcuno sbaglia a rimuovere il bastoncino muovendo gli altri pagherà una penitenza>>, dichiara.

<<Facciamo che...>>, ci pensa su indecisa sul da farsi.

<<Facciamo che chi perde durante il suo turno deve essere sottoposto ad un obbligo o ad una domanda dell'altro. E sia chiaro, non puoi rifiutarti, perderesti e l'altro vincerebbe. Il gioco terminerà solo quando non ci saranno più bastoncini da raccogliere>>, ghigna soddisfatta.

<<Intrigante... a questo punto direi di non attendere oltre e di iniziare>>, apro bocca ghignando.

Non vedo l'ora di vedere cosa ci riserverà questo gioco, qualcosa mi dice che sarà piuttosto...stimolante!

La vedo armeggiare con la scatola in legno e rimuovere il coperchio facendo attenzione a non rovesciare i bastoncini colorati.

Successivamente li lascia cadere nel palmo della sua mano sinistra e con entrambe le mani esercita una presa ferrea su questi per tenerli uniti e ben saldi tra di loro, apre le mani e li lascia cadere sul tavolo disordinatamente.

Poi con sguardo di sfida recita solennemente:

<<Che i giochi abbiano inizio!>>

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