CAPITOLO I
Eyes in the dark
Spesso mi sono chiesta quale fosse il mio obbiettivo in questo mondo e se mai ne avessi uno.
A volte mi sono domandata cosa significhi avere un obbiettivo o un sogno da raggiungere e se ne valesse davvero la pena. Serve forse a darci l’illusione di riempire la nostra misera esistenza per impedire a noi stessi di cadere in un baratro?
Per farci credere di riempire ogni nostro momento con cose che contano davvero? Il nostro scopo nella vita è forse cercare di riempire ogni vuoto in modo tale da non avere rimpianti alla fine del nostro viaggio?
E se anche una persona avesse delle ambizioni, avrebbe davvero la forza o la volontà di raggiungerle?
Ho capito di mio pugno che non conta quanta voglia tu abbia di raggiungere le cose che suscitano in te un incondizionata brama.
Non basta il solo puro e semplice desiderio, neanche delle vuote e nulle parole.
Se nella vita non hai la forza di concludere niente, rimarrai indietro, nel tentativo vano di aggrapparti a qualsiasi cosa che possa renderti il cammino più semplice.
Quello che cerco io non è un semplice sogno. Non voglio essere una celebrità o avere un patrimonio di quintali di oro e diamanti che possano soddisfarmi per una vita intera e altre dieci generazioni a venire dopo la mia.
Quello che mi attira pericolosamente è la mia sete di vendetta e di sangue. Così smaniosa di tale desiderio che niente potrà mai fermarmi dall’ottenerla.
Si, senz’altro non ho mai avuto un mio obbiettivo, soprattutto dopo quel giorno. Ma ho fatto una promessa a me stessa e a lei e non intendo per nulla al mondo renderla sterile.
Una cosa è certa, non mi fermerò fin quando non avrò ottenuto il piacere e la soddisfazione di sentire le loro urla di terrore e le loro suppliche che nessuno potrà neanche lontanamente udire.
E se qualcuno osasse intralciarmi durante il mio cammino, dovrà passare sul mio cadavere.
“A tutti coloro che hanno già dimenticato il mio nome, state certi che un giorno sarò in grado di rimembrarlo nelle vostre piccole menti, se già non avrò avuto modo di ridurre i vostri corpi in un ammasso deforme di carne putrida”, dichiarai con il tono di una promessa che avrei mantenuto costi quel che costi.
Tutti dovranno sapere che sono stata la figlia di una donna un tempo forte e brillante, che mi ha dato la forza e mi ha insegnato ad apprendere e, soprattutto, sorella di un fratello speciale che non avrebbero mai dovuto uccidere, non avrebbero dovuto portarli via da me.
E si… sfortunatamente e inevitabilmente, sono anche la figlia di colui che non sarebbe mai dovuto esistere, un mostro, che però ha creato qualcuno peggiore di sé stesso.
Eccomi, sono qui, il demonio in persona. Mi ha ridotto così, ha commesso un grave errore e ne ha già pagato le conseguenze.
Mi assicurerò che anche il resto della sua gentaglia, la quale un tempo gli strisciava ai piedi come viscide e spregevoli serpi, faccia la sua stessa fine.
Ed è con questo unico pensiero che, presa da un moto di carica, mi alzo dal letto mettendomi seduta sul morbido e accogliente materasso, dopo un’ora e mezza passata a fissare il vuoto in modo atono e apatico. Quello che agli occhi estranei potrebbe sembrare solo un futile pensiero per me è un motivo per affrontare ancora un'altra giornata.
“Buffo, no?” Mi ritrovo a chiedermi ingenuamente.
Il contatto dei miei piedi con il pavimento mi fa rabbrividire e persino il sole che penetra dalla finestra, così caldo e luminoso, non riesce a donarmi tepore.
Il mio sguardo adesso è posato verso lo specchio alla mia destra, riflette la mia insignificante immagine, l’unica cosa che resta di me, una vivida immagine riflessa su una superficie vetrosa, un riflesso residuo di ciò che dovrei essere mentre la vera essenza è svanita da tempo.
Come uno spirito perduto che vaga senza meta, senza più un corpo, né ricordi, né punti di riferimento.
È solo una rifrazione velata nell’aria, privo di vita e di qualsiasi cosa che possa ricollegarla al mondo dei vivi.
Ma gli spiriti non esistono.
L’unica cosa che continua a persistere di me è solo un involucro di carne ancora vivo e funzionante.
Ma è incrociando quegli occhi che hanno tutta l’aria di essere due pozze vuote e insignificanti, che mi accorgo che in realtà di vivente non ho proprio nulla.
Distolgo immediatamente la mia visuale, schifata e quasi bruciata da quella immagine che ora è impressa nella mente come una fotografia.
“Quei maledetti occhi…Sono esattamente come lui adesso”.
Scatto improvvisamente verso l’armadio, cercando qualcosa da mettermi.
“Sarà una lunga giornata”, penso ricordandomi che dovrò preparare la valigia dal momento che l’indomani a quest’ora mi troverò su un aereo con destinazione Romania, per fare gli esami d’ammissione della N.P.A. (National Phoenix Army), una delle accademie militari più prestigiose, appartenente ad una delle associazioni più segrete e potenti al mondo, la famosa S.P.L. (Scarlet Phoenix League).
Inutile dire, che entrare a fare parte di accademie di questo genere e di questo calibro è per pochi, considerando anche l’alto livello di difficoltà per essere ammessi.
Ed io, una persona come tante, o quasi…mi ritrovo da un giorno all’altro una lettera da parte di codesta accademia, con tanto di invito su richiesta del generale Volkov per prendere parte ai test e diventare un nuovo membro della sua accademia. La lettera recitava queste esatte parole:
“Egregia Signorina Skarlet Krov, siamo lieti di invitarla a prendere parte ai nostri test di ammissione alla N.P.A. della Romania. In caso di assenso, la preghiamo di recarsi il giorno 10 Settembre 2022 alle ore 15:00PM presso la stessa struttura…”
Successivamente erano riportate una serie di informazioni riguardo lo svolgimento di tali esami, che non sto a riportarvi.
La lettera termina con un semplice e distinto: “ Speriamo di avere l’onore di vederla come nostro nuovo soldato e allievo.
Cordiali saluti,
-Il Colonnello Victor Volkov”.
Ovviamente è un dettaglio irrilevante raccontare di come appena letto la lettera mi sia quasi strozzata con il mio thè circa una settimana fa. Era stato del tutto inaspettato. Perché mai avrebbero dovuto inviare una lettera di questo tipo proprio a me? Quante probabilità c’erano? Ma la cosa che più mi sorprendeva era che quello stupido pezzo di carta straccia era calzato a pennello proprio nel momento più opportuno, non poteva capitare in una situazione migliore. Ho un piano ben preciso e strutturato nella mia mente e l’ammissione in questa accademia potrà solo arrecarmi vantaggi.
Preparatevi tutti, Skarlet Krov vi distruggerà piccoli soldatini da quattro soldi. Ci sarà da divertirsi!
Penso mentre un sorrisetto sghembo e derisorio si fa spazio sul mio viso. Comincio davvero a divertirmi. Sempre meglio dell’apatia che solitamente mi contraddistingue.
Alla fine scelgo un outfit semplice per oggi, un pigiama per stasera e successivamente anche dei vestiti per l’indomani che consistono in un pantalone di tuta grigio che mi veste abbastanza largo, un top corto a giromanica nero con la mia fedelissima giacca di pelle del medesimo colore e, per concludere, aggiungo delle scarpe da ginnastica bianche.
Visto che dovrò prendere l’aereo, ho optato per qualcosa che potesse farmi sentire nel confort totale per tutta la durata del viaggio. Mi aspettavano ben sette ore di viaggio e forse qualcosa in più considerando gli imprevisti vari. Non sarebbe stato per nulla semplice.
“Se sopravvivo a questo niente potrà mai scalfirmi”, sorrido deridendomi da sola per quanto appena detto, pensando che effettivamente sono sopravvissuta anche a cose peggiori. Poi esco dalla doccia e mi do una sistemata.
Una volta pronta ignoro spudoratamente tutto il casino in stanza e scendo al piano di sotto dove sento già la dolce voce di mia zia.
In realtà era la migliore amica di mia madre e dopo aver saputo di quel giorno ha deciso senza alcuna esitazione di prendermi in affidamento. Tutto è cambiato così drasticamente e in modo spaventosamente repentino da allora. Non ero abituata e non lo sono tutt’ora a quello che è la reale normalità.
A volte…mi sembra un sogno il fatto di essere riuscita ad uscire da quell’inferno, avrei voluto che anche loro ci riuscissero. Meritavano la vita quanto e più di me.
Eccolo di nuovo.
Non importa quanto tu possa scappare dai tuoi demoni, non riuscirai mai a seminarli, troveranno sempre il modo di acciuffarti e farti ancora del male. È come uscirne senza uscirne davvero, poiché i ricordi ti perseguiteranno ancora e ancora, saranno sempre più chiari e accecanti e malgrado il tempo continueranno a far parte di te.
Non come le belle memorie che col tempo svaniscono, queste invece si inchiodano nella testa per il resto della tua esistenza.
E infine, le ferite ancora troppo aperte si chiuderanno certamente, ma le cicatrici saranno sempre lì a ricordarti che esistono e ogni volta sarà uno schiaffo in pieno volto.
Zia Norah è una graziosa donna sulla trentina d’anni. Chiunque la guardasse non poteva di certo non ammettere che fosse dotata di un fascino a dir poco attraente, sia fisico che mentale. Un viso dai dolci lineamenti incorniciato dai capelli ramati che cadono sempre morbidi e ribelli sulle sue spalle e poi lungo la schiena. Gli occhi dello stesso colore del ghiaccio, una di quelle sfumature di azzurro che appena lo vedi rabbrividisci. Occhi ipnotici caratterizzati dal gelo del loro colore che risulta altamente in contrasto con ciò che intendono veramente trasmettere ed esprimere, perché celano tanto calore e bontà.
Per finire, le sue labbra da sempre contraddistinte dal un sorriso più luminoso e giocoso del sole stesso.
Appena nota la mia presenza all’interno della cucina, mi accoglie con un caloroso abbraccio, sgretolando i miei pensieri in una nube di cenere che vola via trasportata dalla corrente del vento.
<<Buongiorno raggio di sole, dormito bene?>> È lei la prima a parlare.
Mi sorride in modo materno e mi posiziona sotto al naso un piatto pieno di pancakes con il miele ed un altro con uova e bacon affiancato da un bicchiere d’aranciata. Il tavolo è imbandito con varie prelibatezze tipiche della cucina di zia Norah.
“C’è davvero un profumo invitante…” Neanche il tempo di metabolizzare questa frase nella mia testa che un'altra interrompe in un battito di ciglia la precedente, troncandola malamente.
“Non vorrà mica che mangi tutta quella roba? Non se ne parla, assolutamente no”.
Un improvviso impeto di rabbia e nervosismo prende il sopravvento in me. Divento fredda, rabbrividisco.
<<Scusa zia, perdonami ma non ho tanta fame. Comunque si ho dormito benissimo e sono carica per domani.>> Mento, cercando di sembrare allegra e gioiosa mentre il mio cervello, quasi per prendersi gioco di me, torna all’insonnia di stanotte per via degli incubi che non mi danno mai pace.
<<Ma tesoro, non puoi sempre mangiare così poco.>> Continua il discorso ignorando il finto entusiasmo per la mia partenza.
<<Sai come sono fatta zia! Non sono abituata a mangiare molto la mattina, non dovresti preparare così tante cose solo per me e te, è un peccato. Ma se vuoi un bicchiere d’aranciata lo bevo molto volentieri>>, esclamo con gioia.
“Molto volentieri”, queste ultime parole si susseguono nella mia testa come eco, un eco di rassegnazione che rimbalza tra le pareti del mio cranio fastidiosamente e rumorosamente. Una maledizione, una condanna.
Afferro il bicchiere e lo bevo tutto in un unico sorso.
<<Non sei MAI abituata a mangiare molto>>, sussurrò in modo quasi impercettibile, calcando eccessivamente sul “mai”.
Udii bene quelle parole, ma scelsi di fingere, come se non le avessi sentite.
<<Mi mancherai zia>>, sussurro poi di rimando, accomodandomi accanto a lei.
<<Tesoro, anche tu. Ma sono così maledettamente felice per la ragazza che stai diventando, lo sarebbero anche loro>>. Mi accarezza un braccio delicatamente mentre pronuncia le sue parole con la stessa tensione di chi sta camminando su un campo minato, pronta ad assistere a qualche mio crollo emotivo.
Ma non avviene. Da quel giorno non permetto a nulla di scalfirmi o di interferire con la mia vita.
“Cos’è quell’espressione? Perché devono guardarmi tutti in quel modo?”
<<Già!>> Rispondo non intenzionata a continuare la conversazione.
Percepisco il disagio e la tensione nell’aria come se fosse più compatta del metallo. Anche se ho gli occhi vuoti fissi in un punto indefinito, sento il suo sguardo bruciare sul mio viso. È così dannatamente fastidioso.
Mi ritrovo a fare un pensiero strano. Riflettendoci, non ricordo quando sia stata l’ultima volta che ho visto le mie iridi brillare, non so neanche se ci sia stata davvero una sola volta in tutta la mia misera vita… forse mai.
<<Non vi deluderò, sono troppo intelligente e scaltra, cara zietta. Nessuno può piegarmi lo sai>>, apro bocca spaccando il silenzio con lo stesso impeto di un tuono improvviso che sconquassa il cielo.
Fingo come al solito una sicurezza e un autostima che non mi appartengono per niente, ma gli altri non lo sanno.
“Devo essere forte e sicura agli occhi degli altri”, mi rammento a mo’ di promemoria personale.
La fisso con due fuochi divampanti al posto degli occhi e con sguardo grintoso.
“Nessuno può più piegarmi, questa è l’unica certezza che ho”, affermo determinata a volermi difendere dal mondo e, la Zia, quasi come se avesse udito i miei pensieri, disse:
<<Ma a volte anche una corazza dura più del titanio può usurarsi, puoi contare sempre su di me, nessuno è invincibile, ok piccolo genietto?>> Mi ha sempre chiamata così. Sin da piccolina ho dimostrato di avere un intelligenza fuori dal comune rispetto agli altri. Ogni cosa che per altri è anormale, per me è normalissima ed era sempre motivo di stupore per mia madre.
Lei amava insegnarmi tutto, ogni cosa. Se sono la persona di cui mia zia va tanto fiera è solo grazie a lei.
<<Vado a preparare le mie cose, ho molto lavoro da fare.>> Mi liquido con un piccolo sorrisetto per poi rifugiarmi nella mia stanza.
Ho semplicemente deciso di ignorare il resto del discorso, non ho bisogno di aiuto.
A questo punto non mi resta che cominciare con il mio duro lavoro che, senz’altro, mi avrebbe impegnata l’intera giornata.
Pesco cose a caso dall’armadio e le rifilo nella valigia, metto solo le cose indispensabili, senza portare peso inutile con me e in meno tempo del previsto ho già fatto tutto. Ho persino messo in ordine la stanza che sembrava essere uscita direttamente dalla scena del crimine di qualche film dell’orrore.
Il resto della giornata lo trascorro leggendo un libro, seduta comodamente sul materasso. È una storia d’amore.
Racconta di uno di quegli amori veri e puri, che ti fanno battere il cuore e mancare il fiato, quello in cui c’è il reciproco rispetto, dove il benessere fisico e psichico dell’ altro è allo stesso piano del proprio.
Pensate che, addirittura, è quell’amore nel quale, anche se ci sono incomprensioni si risolve il tutto parlandone in modo maturo, senza litigi.
Puoi anche essere libero di esprimere la tua opinione senza temere le percosse, senza urla, senza sangue.
Sangue, rosso, vivo, scarlatto che imbratta qualsiasi cosa.
Linfa vitale viscosa, secca e marcia.
Un sentimento così forte è l’amore che non ci sono occhi malati che ti fissano nel buio mentre dormi nel tuo lettino, o almeno fingi di farlo.
Avete presente un amore di questo genere?
Io no, non c’è mai stato posto per quest’ultimo nel cuore di colui che non ho mai avuto il coraggio di definire padre, poiché non ne ha mai donato un briciolo né alla mamma né a me, né tantomeno a mio fratello.
Un amore così è solo finzione, si trova soltanto nelle favole o nei romanzi. È un illusione che ci raccontano solo per non farci pensare troppo alla fredda e cruda realtà, per non farci sentire troppi patetici. Tutte cazzate per trarci nell’inganno di non essere solo bestie destinate a riprodursi come porci.
Ma, forse, persino a qualcuno come me a volte piace sognare, per perdersi in un mondo che non esiste, il mondo dei libri, quello che ti fa volare.
“Tutte stronzate”, penso al contempo, fin troppo seccata per continuare a leggere, poi chiudo di sbotto il libro.
Mi accorgo che sono le otto e mezzo, mi stendo sotto le fredde e candide lenzuola e cerco di dormire.
Normalmente non mi addormenterei mai a quest’ora, ma ho la sveglia alle sei del mattino. Sento le palpebre pesanti come mattoni, consapevole che non dormirò poi così tanto neanche stanotte. Altri incubi mi aspettano.
Sento gli occhi cedere del tutto e, mentre mi sento più leggera e mi lascio piano piano cadere tra le braccia di Morfeo, li percepisco.
Li vedo ancorati su di me, sulla mia figura, adesso sul mio viso.
Due occhi malati e iniettati di sangue che mi fissano nel buio.
Comincia l’inferno.
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