XVI.
Eeeeeccoooomii! Tutto bene, ragazze? Tranne per l'inizio della scuola, ovviamente. È solo un sogno, non è vero? Cioè, dove sono le telecamere?
A parte gli scherzi, questo capitolo è mooolto importante per la storia, quindi, be careful!
A presto!
Charly xx
Un piccolo ma grande bacione di auguri a quello splendido mio ragazzone!
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«Cazzo! Porca puttana! Li faccio fuori, io li ammazzo tutti!» Edward continua ad imprecare vedendo il suo ufficio completamente devastato e distrutto. Le videocassette sono tutte sul pavimento, sparpagliate e alcune persino rotte, uno schermo che trasmetteva ciò che riprendevano le telecamere è spaccato e ha un buco nel mezzo. Ci sono persino dei vetri per terra, e il tavolino che era in fondo alla sala adesso è completamente rovesciato e due delle quattro gambe sono tagliate a metà. Le seggiole sono ribaltate e ci sono molti, moltissimi, fogli sparsi per terra. «Brutti bastardi! Li riprenderò e li ammazzerò con le mie mani! Cazzo!» subito dopo decide di darsi una calmata, alzando una sedia, che era per terra, e sedendocisi sopra, passandosi le mani sui capelli e togliendosi gli occhiali sul naso, frustrato. Sapeva che con l'arrivo di quel Louis tutto sarebbe andato male, ed effettivamente quel bimbetto ha stravolto tutto. Prima di tutto, Harry Styles, nonché suo figliastro, caruccio da morire e forte di fisico, è schifosamente gay. Secondo: il suo bel figliastro non poteva trovarsi un ragazzetto più giovane e meno bambino, ma pure morto. Terzo: quel bimbetto moro e scuro di pelle non riusciva nemmeno a finire il lavoro che gli stava pagando! Quarto: hanno completamente rovinato l'ufficio, le piastrelle della piscina e uno dei tre spogliatoi!
«Signor Edward Cox?» un agente di polizia fece ingresso nel suo studio fottutamente rovinato, «lei è sicuro che niente è stato derubato? Ha controllato?»
Si alzò dalla sua postazione e si rimise gli occhiali, dirigendosi con passo sicuro e quasi incazzato verso l'agente in divisa. Osservandolo non doveva avere più dei vent'anni, aveva tratti stranieri, la pelle era però chiara e dei leggeri occhi azzurri, con dei capelli neri che fuoriuscivano dal cappello blu. La postura era salda e tra le mani teneva un fascicolo, sicuramente con su scritto le prove o cose del genere. Edward non se ne intendeva molto.
«Ho controllato, signore, ma con tutto questo casino non riesco a vedere se hanno preso qualcosa.», si passò una mano sulla fronte, asciugandosi delle goccioline di sudore.
«Capisco. Le lasceremo del tempo per sistemare e controllare.» annuì, il giovane, «nel frattempo, mi delude dirle che le telecamere sono state disattivate dal bottone manuale dalle ore tre e quaranta, alle ore quattro e sedici di questa mattina: ovvero l'ora dell'accaduto. È sicuramente qualcuno che ha le chiavi, signore; non c'è nessuno segno di scasso, e per aprire il quadrante del bottone manuale per disattivare le telecamere c'è bisogno del codice, come lei sa. Sfortunatamente, non risultano impronte su quest'ultimo, ma alcuni dei miei colleghi stanno controllando al meglio.»
Edward si passò ancora una mano sulla fronte, frustrato e fottutamente incazzato nero. Qualcuno che sicuramente conosceva aveva disattivato le sue telecamere durante la notte, scassando e rompendo ogni cosa.
«Va bene, grazie. Chiamerò la centrale non appena finirò di ripulire questo disastro.» gli porse la mano, e il giovane agente subito ricambiò la stretta con forza e un sorriso cordiale.
«Si figuri, signore. Arrivederci » quindi, si girò e stette per andarsene quando la voce dell'uomo lo fermò.
«Scusi, lei è?»
«Logan Thompson al suo servizio, signor Cox.» sorrise nuovamente e si incamminò all'uscita.
Appena l'agente Logan voltò l'angolo, si scontrò contro qualcuno che, completamente pallido e traballante, stava con un cellulare all'orecchio: probabilmente stava ascoltando ciò che gli stavano comunicando, ma non sembrava qualcosa di buono. Il ragazzo dai capelli ricci chiese immediatamente scusa all'agente con un segno della mano e uno con gli occhi, a cui Logan rispose con un leggero sorriso, quasi preoccupato. Il ragazzo lo sorpassò, traballante.
«Senta, non voglio interromperla nella sua telefonata, ma lei è molto pallido e ho paura che tra un paio di minuti mi possa svenire tra le braccia» interruppe Logan, tenendo il ragazzo pallido per le spalle, credendo davvero che tra pochi minuti sarebbe svenuto.
Sentì un «Chi era?» che gli era arrivato dal leggero tono di voce più alto, derivato dal telefono. Il ragazzo pallido annuì all'agente e sussurrò un «Lou, ascolta. Guarderò io fra le videocassette, parlerò con Edward se necessario, ma, ti prego, stai calmo. Se lo saprebbe, adesso non saremmo ancora qui. Ti richiamo dopo.» che fece fare una smorfia a Logan, perché il tono che aveva usato il ragazzo era parecchio duro e saccente, e la voce al di là della cornetta sembrava stare peggio di lui. Chiuse la chiamata, seppur un un richiamo urlato e completamente terrorizzato arrivò alle orecchie di entrambi.
«Ho bisogno di un caffè, e di sedermi.» il ragazzo pallido si passò una mano tra i capelli ricci scompigliandoli ancora di più. Logan lo guardò meglio: anche se la telefonata era finita, il pallore che aveva in viso non era sminuito, e nemmeno la preoccupazione che gli si vedeva in viso da chilometri di distanza. Gli occhi chiari, verdi, erano semichiusi e alcuni riccioli marroni gli si ricadevano sopra, impedendo all'agente Logan di poterli guardare e leggergli dentro. E Logan era sempre stato un ragazzo bravo in quelle cose, che con un solo sguardo riusciva a capire cosa potesse provare una persona, se stesse mentendo o se stesse male. Riusciva a leggere tutti, persino la sua sorellina che per anni gli era stata al fianco, aiutandolo con la sua voglia di entrare in centrale. Lo definiva sempre un ragazzo che voleva aiutare le persone, che prima del suo bene veniva quello degli altri, e anche per questo lo rimproverava ogni qual volta lo trovava sfinito e in mille pezzi. E, come buon fratello maggiore, le era stato sempre al fianco, aiutandola più di quanto facesse con gli altri. Tranne quel giorno, che non era riuscito ad arrivare in tempo.
Si riprese immediatamente dai suoi pensieri, impedendo alla sua mente di proseguire oltre. «C'è una caffetteria dietro l'angolo, l'accompagno.»
Subito il ragazzo pallido cercò di dissentire e negò con la testa, ripetendosi un «No, signore. No. Ha del lavoro da fare.» che fece soltanto sorridere Logan, perché quel ragazzo non riusciva neanche a reggersi in piedi, figurati arrivare sani e salvo fino al bar.
Logan quindi lo prese dalle spalle, mettendogli una mano sulla vita e lo accompagnò fuori dalla piscina, oltre la strada, fino infondo, girando l'angolo a sinistra. Harry si rifiutò categoricamente di guardare l'enorme cancello arrugginito del cimitero. Logan, invece, girò il volto e fece un sorriso smorto, perché non sarebbe riuscito a salutare la sua sorellina, quel giorno.
«Come si chiama?» Harry gli chiese.
«Mi chiamo Logan, e non mi dia del lei, avremmo sì e no la stessa età.» ridacchiò.
«Lo stesso vale per te, Logan. Io mi chiamo Harry.»
Si sorrisero ed entrarono nel bar, sedendosi e parlando un po' di tutto e niente. Ma soprattutto, Logan notò, di quanto Harry volesse sapere di quelle telecamere, se qualcuna fosse stata presa o fosse mancata. L'agente, anche se il comportamento del ragazzo fosse più che sospetto - data l'agitazione e le goccioline di sudore che lentamente si formavano sulla sua fronte -, sapeva che lui non fosse il colpevole di quel reato. E dalla telefonata avuta poco prima, sicuramente centrava il ragazzo dall'altra linea. Avrebbe sicuramente fatto un po' di ricerche.
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