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XIII. (Parte uno)

Ehilà, bimbe! Come promesso ho aggiornato prima, e vi lascio con un capitolo pieno di sorprese. Fate caso ad ogni dettaglio, mi raccomando, sono quei piccoli punti che servono a far collegare il puzzle della storia!
Grazie davvero per ogni lettura, e per i voti che ci lasciate.
E buona lettura,
Charly



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La mattina del suo primo giorno di lavoro, il sole sembrava accecarlo dalle tapparelle, ma nonostante questo Harry si era svegliato felice con il suo Louis al fianco. Erano stretti in un abbraccio che pareva quasi una morsa, con le gambe incrociate tra di loro e le braccia a stringere il corpo dell'altro. Harry aveva ancor più stretto a sé il suo piccolo Louis, l'aveva guardato per un paio di minuti e, per svegliarlo dolcemente, aveva incominciato a lasciargli dei baci lungo il collo. Ma quando l'altro aveva mugugnato aprendo gli occhi, non aveva potuto non notare la tristezza che vi si rintanava dentro. Sapeva che fosse una decisione difficile da pendere e anche se lui aveva accettato senza pentimenti l'offerta del padre, l'unico a soffrirci veramente era Louis. Louis con quegli occhi tristi che avevano continuato a guardarlo per giorni, Louis con quel suo sorriso finto che gli mostrava ogni volta, Louis che riservava uno sguardo d'odio ad Edward non appena questo non lo guardava. Quel suo Louis che era sempre triste e soprappensiero e che, nonostante sapesse che Harry se ne era accorto, continuava a mentirgli e a ripetergli che andava tutto bene.

Harry non capiva. Perché era triste? Aveva finalmente trovato un lavoro e, anche se le ore erano aumentate, adesso non avrebbe più dovuto mentire a sua madre. Non era felice per lui?

Ciò che gli rimaneva fare, quindi, era restare in silenzio e, quando poteva, consolare il ragazzo castano, abbracciandolo e dicendogli che tutto sarebbe andato per il meglio.

Si era alzato velocemente dal letto ancora caldo, non riuscendo a reggere lo sguardo triste dell'altro. Si era vestito, aveva fatto una doccia veloce che gli aveva rinfrescato le idee e, una volta pronto, aveva dubitato se andarsene senza dire nulla o svegliare l'altro che, nel frattempo, si era addormentato nuovamente. Lo guardò dalla soglia della porta: il piccolo broncio che portava sulle labbra era presente anche se addormentato e le sopracciglia corrugate gli fecero intendere che non stesse facendo un bel sogno. Ma, guardando l'orario sulla sveglia accanto al letto, capì con rammarico di essere in ritardo e di non potersi sdraiare con Louis per poterlo stringere e confortare.

Chiuse gli occhi, cercando di non seguire l'idea bizzarra che gli era spuntata in mente - ovvero fregarsene di tutto e lasciar perdere il lavoro per potersi dedicare completamente a quel ragazzo che aveva bisogno di lui. Sospirò, e fece davvero per restare una volta per tutte, ma fu richiamato dai suoi pensieri non appena apparse Edward dal fondo delle scale. Lo guardò e fece un cenno col capo per fargli capire che stava arrivando. L'ultima occhiata la riservò al piccolo Louis che prepotentemente si arrotolava tra le lenzuola. Si chiuse la porta alle spalle e, se non fosse stato così assorto nei suoi pensieri, probabilmente si sarebbe accorto del suo nome che veniva chiamato dalla stanza alle sue spalle.



«Zack e Christine invece si occupano della lavanderia.» Edward finì di presentare gli ultimi ragazzi che lavoravano per lui in quella piscina che aveva più docenti che stanze e spogliatoi.

Harry salutò e si presentò cordialmente come aveva fatto per gli ultimi ventidue esuastanti minuti. Sorrise e, quando i due ragazzi ripresero a lavorare come se niente fosse, alzò gli occhi al cielo impaziente. Era venuto lì per lavorare, non per essere trasportato qui e là senza una valida ragione - anche perché tutte quelle presentazioni non sarebbero servite propio a niente; lui non andava lì per fare due chiacchiere.

Finalmente Edward si fermò e lo guardò sorridente. «Il giro turistico è finito, figliolo.» gli mise una mano sulla spalla. «Sono contento che tu abbia accettato questo lavoro, dico davvero. Potremmo passare più tempo insieme e rafforzare il nostro rapporto. Potremmo parlare di ragazze e magari puoi dirmi qualcosa di più su tua madre, che ne dici?» poi gli fece l'occhiolino.

Ragazze?

«Edward, tu sai ch-» ma prima che potesse ribattere, l'uomo lo interruppe.

«Ed ora andiamo nello stanzino, almeno potrai indossare la tua tuta e incominciare.»

Anche se Harry aveva stampato sul viso un'espressione confusa e tremendamente stordita, Edward gli mise una mano dietro la schiena e, spingendolo, lo condusse verso un corridoio.

Il riccio proprio non capiva; era felicemente fidanzato con Louis, il quale viveva ventiquattro ore su ventiquattro a casa sua e, se la sua memoria non lo ingannava - da notare il sarcasmo - Edward sapeva della sua esistenza. Lo vedeva passare per il corridoio ogni qualvolta era in casa, per quale motivo avrebbero dovuto parlare di ragazze? E, anche se non fosse stato fidanzato, Harry era gay, dichiarato e felice.

Ma comunque, ciò che lo fece distrarre fu l'esclamazione del patrigno poco dopo: «Harry! Mi sono dimenticato di prendere le chiavi! Ti dispiace se prima passiamo dal mio ufficio?»

Harry scosse le spalle e gli sorrise. Dopotutto era stato fin da subito curioso di sapere dove lavorasse il suo patrigno.

Attraversarono nuovamente il corridoio, ripassando sui loro passi e girarono a destra verso una decina di stanze chiuse: Edward aprì l'ultima sulla destra. Appena entrarono ad Harry cadde l'occhio su una decina di schermi posati sulla scrivania di legno. C'era una finestra che dava sul palazzo vicino e, dopo il lungo tappeto bordeaux decorato con aspirali color d'oro, si trovava tavolino da caffè e quattro poltroncine.

«Io lavoro qui.» si girò verso di lui per assorbirsi l'entusiasmo dell'espressione del figliastro e poi si incamminò verso la scrivania a pochi passi da loro. Appena pigiò un pulsante sulla tastiera del computer, la decina di schermi si illuminarono e trasmisero ogni singolo angolo dell'enorme piscina.

«Le mie bimbe filmano dalla mattina alla sera, ventiquattro ore su ventiquattro ogni angolo dell'edificio, e poi lo registrano su delle videocassette.» diede delle pacche sugli schermi per poi indicare una libreria a muro proprio dietro di lui. Harry non l'aveva assolutamente notata: era piena zeppa di videocassette con sopra un etichetta, la quale raffigurava ora, data e giorno.

Harry girò la testa verso Edward con un sopracciglio alzato e il corpo irrigidito. «Telecamere?»

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