Capitolo 11
Svoltò la curva e riuscì ad accelerare nell'ultimo tratto prima di lasciare l'auto con la parte posteriore in mezzo la strada non preoccupandosi troppo. Spalancò la portiera quasi staccandola e si precipitò sulle scale del portico.
Gli sembrava che fossero passati millenni dall'ultima volta che aveva salito quei gradini. Niente era realmente cambiato da quando se ne era andato a vivere da solo. C'erano ancora le piante di sua madre Natasha sotto la finestra della cucina, ai lati della porta. C'era ancora il tappeto con su scritto "Welcome", il colore blu della casa.
Sembrava quasi che fosse tornato indietro nel tempo. Forse quando avrebbe aperto la porta avrebbe trovato la sua camera piena delle cose portate via, suo padre nel suo studio mentre si lamentava di qualche stagista a lavoro e firmava documenti, sua madre in cucina mentre parlava via Skype con sua sorella che chiedeva di lui ed Ivan, il quale si sarebbe trovato sul divano con uno dei suoi libri sulla matematica ridendogli in faccia perché Igor non poteva capire quelle cose.
Non sarebbe tornato indietro.
La porta era chiusa nascondendo al mondo quello che stava succedendo, cercò di aprirla mentre, agitato, sentiva le urla farsi sempre più forti. Sperava di non essere arrivato troppo tardi, tuttavia le voci erano una prova che qualcosa stava ancora andando avanti.
Aveva ricevuto la telefonata che non avrebbe mai voluto ricevere e soprattutto non nel momento che stava aspettando da un anno. Oskar non lo avrebbe mai perdonato dopo quello che aveva fatto quella sera. Non avrebbe dovuto pensare ad un Oskar solo piangente in mezzo alla strada perché si sarebbe girato e andato da lui.
Era stato così tanto messo in allarme dalla telefonata che non aveva neanche pensato di portarlo con sé. Non sapeva neanche cosa avrebbe trovato al suo arrivo.
Fece un passo indietro, scannerizzò la porta e con tre calci precisi vicini alla maniglia la fece sbattere al muro. Entrò in quella che un tempo era stata casa sua.
Le urla erano assordanti, sentiva sua madre piangere, suo fratello pregare suo padre e poi tutti gli oggetti erano sottosopra. Come avevano fatto i vicini a non accorgersene, o a non chiamare la polizia per disturbo della quiete pubblica non lo sapeva.
Quando fece i primi passi si ritrovò immerso ancora di più nei ricordi, non ci fece molto caso e lasciò che il panico lo guidasse in cucina, dove si trovava una donna di spalle dai lunghi capelli rossi. Era in mezzo a cocci di porcellana, di vetro per colpa dei bicchieri. Era in ginocchio con le spalle scosse da tremori e le braccia che cercavano di proteggerla dal mondo. Gli fece compassione, l'avrebbe voluta consolare e portare via. Lo aveva lasciato andare facilmente, lo aveva trattato come uno scarto per la maggior parte della sua vita, tuttavia era ancora sua madre e non l'avrebbe voluta vedere in quello stato.
"Mamma?", la donna si voltò, stava piangendo. I suoi occhi verdi era circondati dal rossore per colpa delle lacrime, la pelle bianchissima tranne per una parte di pelle.
"Igor?" ricominciò a piangere ancora più forte, il biondo la prese fra le sue braccia togliendole i capelli che nascondevano il livido di un colore azzurrino. Quel livido le copriva quasi tutta la metà destra. "Igor, tuo padre... io..."
Non aveva mai visto sua madre così. Non credeva che potesse ridursi in quello stato. Gli era sempre sembrata una di quelle donne forti che sapevano il suo posto nella società e non avrebbero permesso a niente e a nessuno di spostarla da lì. Realizzò che non aveva mai visto sua madre piangere in vent'anni della sua vita. Quel fatto lo scioccò come una ginocchiata nelle palle. Dolorosa.
"Ci penso io" le diede un bacio sulla fronte, la lasciò lì in piedi in mezzo a piatti in mille pezzi, sedie senza gambe e seguì le voci di suo padre e suo fratello. Prima di uscire venne bloccato dalla sua vocina che gli sussurrò di salvare il suo bambino.
Gli fece male sentire quella frase, perché anche lui sarebbe dovuto essere il suo bambino. Annuì senza avere il coraggio di voltarsi, entrò nella stanza dove le grida avevano origine. Li trovò nel salone, anch'esso distrutto per la maggior parte.
Sarebbe dovuto essere un grande salone, pulito e in ordine. In questo momento era in tutt'altro stato di quando lo aveva lasciato. Il divano era stato cambiato e così molti quadri alle pareti che circondavano l'ambiente.
Erano all'angolo più lontano dall'entrata. Suo padre era di spalle mentre urlava contro suo fratello Ivan che si proteggeva il viso con le braccia e piangeva anche lui balbettando qualche parola di tanto in tanto.
Ivan lo vide con la coda dell'occhio e si fece uscire un sospiro di sollievo ricevendo in risposta uno spintone che lo fece andare a sbattere contro il muro.
Igor fece un passo in avanti fermandosi mentre Ivan gemeva scivolando con la schiena alla parete fino a terra, la mano sinistra andò a controllare i danni procurati dal colpo, quasi svenne quando la vide sporca di sangue. Le lacrime divennero di più e i lamenti crebbero con esse.
"Ti ho dato tutto nella vita! Ti ho dato la vita! Ed è così che mi ripaghi? Credevo in te e, invece, sei come quell'altro sfaticato di tuo fratello che non farà mai niente." lo alzò prendendolo dalla maglietta che portava avvicinandolo al suo viso e continuandogli a parlare. "Cosa ti è passato nel cervello? Non hai pensato alle conseguenze delle tue stupide azioni? Ti ho insegnato a pensare solo con il cazzo?" lo sbattolò a destra e a sinistra e il ragazzo si lasciò manovrare come una bambola nella mano di una bambina elettrizzata del suo nuovo regalo.
Il pugile non aveva mai visto suo padre così arrabbiato in vita sua, e non aveva mai visto Ivan in quello stato. Sembrava uno di quei bambini impauriti di entrare in acqua e non smettono più di piangere con il viso che diventa ogni minuto che passa sempre più rosso, il moccio che si accumula tra il naso e la bocca e le lacrime a non finire.
Gli faceva pena.
Quel giorno aveva scoperto molte nuove espressioni delle persone che gli aveva reso la sua infanzia un inferno e avrebbe riso se suo fratello non fosse stato ai limiti della sopportazione. Sarebbe svenuto in una manciata di secondi.
Era stanco, era arrabbiato, voleva andare a dormire, non voleva più sentire la voce del padre. Era tempo di intromettersi nella questione e farla finita.
Prese un lungo respiro, fece girare suo padre grazie alla sua presa salda alla spalla e con la mano sinistra gli diede un pugno in faccia usando la sua entrata non notata come punto di vantaggio per un attacco a sorpresa. Non si vergognò neanche di averlo preso alle spalle, in un certo senso, e di non essersi risparmiato con la forza.
Il padre non ebbe neanche il tempo di fare un'espressione stupefatta che cadde all'indietro all'impatto con il suo pugno. Era sicuro che un suo colpo non avrebbe fatto niente a suo padre se quest'ultimo lo avesse visto arrivare, o era solo l'aura di invincibilità che lo circondava agli occhi di Igor a fargli credere questo?
Non era tempo di risposte, doveva prendere suo fratello e andarsene da lì prima che suo padre si fosse ripreso. Lo scavalcò tirando in piedi Ivan, caduto insieme al padre, e lo aiutò ad appoggiarsi a lui. Si stava per voltarsi e andare via quando si abbassò e sussurrò al padre "Questo era per mamma. Riprova a toccarla con un solo dito che torno qui e finisco quello che lascio adesso. Ci siamo compresi?", si affacciò in cucina, dove sua madre stava già mettendo in ordine il caos formatosi dalla litigata fra suo fratello e il padre.
"Cosa stai facendo? Vieni in macchina, tu e Ivan dormite da me stanotte."
Natasha gli sorrise "Porta via Ivan, e grazie" gli diede una carezza per poi entrare in salotto come se non fosse successo il finimondo qualche momento prima, Igor scosse la testa uscendo da quella casa con un peso morto accanto.
L'auto era come l'aveva lasciato, lanciò suo fratello dietro e a sentirlo gemere di dolore sorrise e partì verso il suo appartamento sperando di poter dormire presto. Sbuffò perché vedeva già la notte insonne tra il divano e a far da infermiera a suo fratello.
Gli lanciò un'occhiata dallo specchietto retrovisore "Ho dell'acqua sotto il sedile se vuoi, riesci a prenderla?"
Sentì solo il mormorio di risposta del fratello maggiore, aspettò cinque minuti prima di fare la domanda che lo aveva attanagliato dalla telefonata ricevuta. "Cosa hai fatto di stupido Ivan?"
Silenzio.
"Uff, se non me lo vuoi dire mi sta bene, ma non aspettarti un aiuto da me. Ho fatto quello che ho fatto solo per mamma."
Ivan rise debolmente "Ancora ti aspetti un po' del suo amore se mi aiuti?"
"Ah, ancora ti aspetti di riuscire a vivere dopo aver fatto incazzare papà e avergli fatto prendere un pugno da un pugile professionista in faccia?"
"Tu sei vivo e poi noi riusciremo a resistere insieme"
"Noi chi?"
Silenzio.
"Senti coglione, ti ho salvato il culo il minimo che puoi fare è dirmi tutto!"
"Okay... domani."
Igor si stupì di quanto Ivan si fosse arreso in fretta, e rimase zitto per non dargli una scusa per cambiare idea.
"Hai un fazzoletto?"
Sospirò "Vicino alla bottiglia d'acqua."
"Uhm uhm"
Il viaggio continuò senza nessun'altra conversazione.
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Hey ciao!
Volevo scusarmi dei miei aggiornamenti non continui, ma ho avuto molto da fare in questi tempi e non ho avuto tempo per scrivere. Questo capitolo è la conferma di quanto faccia pena in questo momento la mia voglia di scrivere. YEEEEEAH
Vi sta piacendo la storia? Avete dei suggerimenti per migliorarla o cosa pensate farà Igor per farsi perdonare? Sono sicura di sapere le vostre opinioni. =)
Al prossimo capitolo,
BB
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