Capitolo 7
La stanza era un vero paradiso. Intorno c'erano alti alberi zuccherati a strisce bianche e rosse, mentre il pavimento era una vasta distesa verde di erba commestibile che scricchiolava sotto i piedi a ogni passo, emanando un delicato profumo di menta. Grosse mele caramellate, lucide e perfette, pendevano da spessi rami attorcigliati che sfioravano il fluido fiume di cioccolato caldo, il quale scorreva placidamente, riflettendo le luci dell'alto soffitto.
Il dolce aroma del cioccolato si mescolava con quello delle mele, creando un'atmosfera che avvolgeva gli ospiti in un abbraccio di pura delizia. Ma la parte migliore era la cascata, perché sì: in quella fabbrica c'era la cosa più folle che Willy Wonka avesse mai progettato. Scorreva dall'alto verso il basso come un torrente impetuoso di cioccolato fuso, spruzzando minuscole goccioline che cadevano nell'ampia distesa marrone del fiume sottostante. Era così alta e maestosa che il rumore riempiva la stanza con un suono simile a quello di una sinfonia orchestrale.
Gli ospiti ne rimasero incantati, con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
«E ora, miei cari bambini, fate attenzione: non agitatevi troppo, non perdete la testa. Mantenete tutta la vostra calma» li avvertì il cioccolatiere con un tono che era un misto tra il divertito e il serio, ma Augustus Gloop era già in preda alla fame, tant'è vero che la tavoletta Wonka gli cadde dalle mani.
Il cioccolatiere stesso rimase incantato dalla sua opera, tanto che scatenò in Theresa una piccola smorfia ai lati delle labbra: adorava il suo modo di pavoneggiarsi, il fatto che si credesse troppo e che, in certi aspetti, non si potesse contraddire poiché era effettivamente un genio. Mentre lui parlava, sembrava quasi che danzasse, i movimenti erano fluidi, un tutt'uno con la stanza che aveva creato, come se fosse il direttore di un'orchestra dolciaria e tutto rispondeva alla sua volontà.
«È bellissimo!» disse Charlie, ammaliato, con gli occhi che brillavano di ammirazione sincera.
«Cosa? Oh, sì, è molto bello» disse Wonka, con un leggero accenno di distrazione, ma seguito immediatamente da un sorriso compiaciuto. «Ogni goccia di questo fiume è cioccolato sciolto della migliore qualità» continuò, fermandosi a metà del ponte e rivolgendosi a tutti gli ospiti, con la voce che si faceva più solenne. «La cascata è molto importante: mescola il cioccolato, lo gira bene, lo rende leggero e spumoso. Ah, a proposito, nessun'altra fabbrica al mondo mescola il cioccolato con una cascata, cari ragazzi, e su questo non ci piove!» concluse, esibendo un'espressione di sfida quasi infantile, come se aspettasse un applauso.
«Che stupido» lo derise Theresa tra sé e sé.
Il cioccolatiere si fece da parte per consentire agli ospiti di passare, facendo loro segno di superarlo con la mano. Mentre Theresa si avvicinava, lui le si parò davanti, riprendendo il discorso come se lei non fosse alle sue spalle.
«Gente!» si rivolse agli altri, indicando dei tubi argentati che pendevano dal soffitto come gigantesche proboscidi metalliche. «Quei tubi risucchiano il cioccolato e lo trascinano in giro per tutta la fabbrica. Migliaia di litri all'ora. Già! E vi piace il mio praticello? Assaggiate la mia erba. Prendetene un filo, prego, è deliziosa e molto, molto gradevole.»
«L'erba si può mangiare?» domandò Charlie, accigliato.
«Ma certamente! Ogni cosa in questa stanza è commestibile, persino io lo sono. Però quello si chiama cannibalismo, miei cari ragazzi, e infatti è stato disapprovato in molte società. Già!» concluse con un'espressione beffarda, mentre i suoi ospiti lo guardavano straniti, incapaci di distinguere tra scherzo e serietà. Finché Theresa non lo smosse per un braccio, cercando di riportarlo alla realtà. «Divertitevi! Avanti! Sciò sciò!»
I bambini e i loro genitori si sparpagliarono per la stanza, impazienti di assaporare qualche dolciume, esplorando con entusiasmo ogni angolo di quel mondo incantato.
A differenza loro, Theresa rimase dov'era, immobile e ipnotizzata dallo sguardo del signor Wonka, che sembrava studiarla con un misto di curiosità e divertimento, prima che egli stesso si voltasse a guardare il signor Salt col sorriso beffardo inciso sul volto. L'uomo, alquanto riluttante per tutto ciò che lo circondava, storse il naso con un'espressione di disgusto, come se l'idea di toccare qualcosa in quella stanza fosse un insulto alla sua dignità, e se ne andò senza dire una parola.
Nel frattempo, il signor Tivù rimproverò suo figlio perché aveva distrutto una zucca zuccherosa, i cui frammenti giacevano sparsi sul prato come i resti di un'innocente creatura dolciaria.
Violetta Beauregarde, sempre pronta a fare la prepotente, derubò Charlie Bucket della sua mela caramellata con una velocità sorprendente e, con un gesto rapido, appiccicò la gomma dei primati dietro l'orecchio.
«Perché la conservi? Perché non ne cominci una nuova?» le chiese Charlie, confuso.
«Perché dopo non sarei una campionessa, ma una perdente come te!» lo schernì la ragazzina con un ghigno sprezzante, mentre masticava rumorosamente la sua mela, godendosi il senso di superiorità che le dava quella piccola vittoria.
Augustus Gloop si stava rimpinzando di tutto ciò che gli capitava davanti. Ogni dolce era suo, ogni boccone una conquista. Arrivò persino a gettarsi a terra, trangugiando l'erba avidamente come se fosse l'ultima cosa che avrebbe mai mangiato, la bocca spalancata e le mani che strappavano grandi ciuffi di quel prato alla menta, mentre i suoi occhi brillavano di pura golosità. Sua madre, non meno ingorda, rubò alcune uova di cioccolato, guardandosi intorno con fare sospettoso prima di nasconderle nella borsa.
La signora Beauregarde, con la bocca piena di piccoli funghi fucsia che sprizzavano un succo dolce, sorrise imbarazzata al passaggio del signor Salt, che non poté fare a meno di notare il suo viso impiastricciato e scosse la testa con disapprovazione. Lui non assaporò nulla, tenendosi a distanza da tutto quel cibo.
Rimasti in disparte e lontani dagli altri, il cioccolatiere approfittò dell'occasione per attrarre a sé Theresa, avvicinandosi con una delicatezza insolita per il suo carattere eccentrico. Il solito sorriso enigmatico era scomparso, sostituito da un'espressione di vulnerabilità che non mostrava quasi mai. Lei si perse nei suoi occhi blu, rimanendone intrappolata, come se quei due abissi l'avvolgessero in un incantesimo da cui non riusciva a liberarsi.
«Mi spiace per come mi sono comportato. Sto cercando di farmi perdonare, ma sai che sono un disastro...» le supplicò il cioccolatiere, la voce tremante, carica di emozione. «Io ti amo, dimmi cosa posso fare per averti di nuovo.»
Si avvicinò ulteriormente, quasi sfiorandole la mano con la sua, come se il contatto fisico potesse guarire la distanza che si era creata tra loro. Theresa lo guardò con un misto di tenerezza e tristezza, le labbra si piegarono in una smorfia malinconica.
«Per favore, Willy, non peggiorare le cose» rispose mentre si allontanava, cercando di riprendere il controllo su di sé. Sapeva che ogni secondo passato vicino a lui la rendeva più vulnerabile, più incline a cedere a quei sentimenti che aveva cercato di soffocare.
Il cioccolatiere la seguì in silenzio, il suo sguardo pieno di rimpianto. Si sedettero sull'erba, uno accanto all'altro, ma abbastanza distanti da non incrociare la linea invisibile che Theresa aveva tracciato. Non riusciva a smettere di osservarla, i suoi occhi pieni di domande senza risposta, mentre lei cercava invano di ignorarlo, fissando il flusso ipnotico della cascata di cioccolato davanti a loro.
«Di' la verità, lo hai fatto apposta» disse Theresa, la voce un po' incrinata dalla stanchezza accumulata, ma anche da una punta di amarezza.
«Se ti riferisci a tutto questo, in parte» ammise il cioccolatiere. «Volevo solo compagnia, ma in più l'ho fatto per riportarti qui.»
«Invece di fare tutto questo trambusto, avremmo potuto confrontarci.»
«E come? Non mi hai dato modo l'ultima volta...»
Theresa tacque. Le parole non sembravano più sufficienti per esprimere ciò che sentiva. Per un po', rimasero in silenzio, immersi nei propri pensieri, godendosi inconsapevolmente il suono della cascata che scendeva rumorosamente verso il basso, un rumore che sembrava quasi cullare il loro tormento interiore.
«Tu non volevi venire, non è così?» si rammaricò il cioccolatiere, spezzando il silenzio con una domanda che racchiudeva in sé una profonda tristezza.
«Sono solo stanca» sospirò Theresa. «Andare avanti tra un film e l'altro, i book fotografici... Non ho avuto tempo di respirare. Volevo recuperare qualche ora di sonno, ma tutto sommato sono contenta di essere venuta.»
«Puoi ritirarti in una delle stanze...» suggerì lui, sperando di poter fare qualcosa per alleviarle la stanchezza.
Theresa scosse la testa con un piccolo sorriso, ironico e affettuoso al tempo stesso. «Suvvia, non sei mai stato bravo a parlare con degli sconosciuti, figuriamoci mandare avanti la giornata con le stelle del cielo.»
«Hanno apprezzato lo spettacolo delle marionette!» protestò lui, con una punta di orgoglio malcelato, cercando di difendere la sua performance.
«Ti lascio il beneficio del dubbio.»
Il cioccolatiere la guardò negli occhi, estasiato dalla sua bellezza che brillava anche nella stanchezza. Il tempo sembrava essersi fermato per un momento, mentre la contemplava con una tale intensità che Theresa si sentì di nuovo intrappolata, come se ogni barriera che aveva eretto si stesse sgretolando sotto il suo sguardo.
Poi, misteriosamente, il cioccolatiere scomparve dietro uno degli alberi di mele, come un'ombra fugace che si dissolveva nel nulla. Lei lo cercò con lo sguardo, confusa, quando improvvisamente la sua voce risuonò tra i rami frondosi.
«Ho una sorpresa per te» disse, con quel tono malizioso che tanto lo caratterizzava.
Theresa alzò gli occhi al cielo.
«Willy, l'unica volta che hai detto così ho perso la verginità.»
Il cioccolatiere tornò al suo fianco. Con un gesto tenero e nostalgico, porse a Theresa il pupazzo di Doraemon che lei aveva lasciato in fabbrica molto tempo prima. Il piccolo robot blu, con il suo sorriso amichevole e rassicurante, sembrava un ricordo di tempi più semplici, quando tutto era più facile tra loro.
Spinto dall'euforia del momento, si avvicinò lentamente, con una cautela quasi reverente, alle sue labbra e le rubò un casto bacio. Fu un gesto timido, quasi incerto, ma carico di sentimento. Rimase in attesa, con il cuore che gli martellava nel petto, temendo una reazione negativa. Invece, si ritrovò con le guance avvolte dalle mani delicate di Theresa, che lo spinsero a baciarla ancora, questa volta con più ardore.
Il bacio che ne seguì fu dolce e appassionato, soffocato dai battiti impazziti dei loro cuori. Theresa sentiva il calore del suo corpo contro il proprio, e per un momento si dimenticò di tutto, del mondo esterno, degli ospiti, persino delle complicazioni che avevano turbato il loro rapporto. Non aveva voglia di smettere e il cioccolatiere, travolto dall'emozione, lasciò che la sua tuba scivolasse dalla testa, rotolando nell'erba. La strinse forte a sé, come se temesse che potesse sfuggirgli di nuovo, supplicandola tra un bacio e l'altro di perdonarlo, di dargli un'altra possibilità.
Theresa si separò dolcemente da lui, affogando ancora una volta nello splendido blu dei suoi occhi.
«Tutto questo è sbagliato...» mormorò, anche se le sue labbra ancora pendevano da quelle del cioccolatiere, desiderose di un altro bacio.
«No, è solo eccitante!» esclamò egli, con un sorriso sbarazzino che cercava di alleggerire la tensione del momento.
Tentò di baciarla ancora, ma questa volta Theresa lo fermò. In un sussurro quasi impercettibile gli ricordò che aveva degli ospiti e un programma da seguire, un mondo che non poteva ignorare.
Con rammarico, il cioccolatiere convenne con lei. Con un gesto galante, recuperò la tuba e le diede una mano ad alzarsi dal prato per raggiungere gli altri. Camminavano fianco a fianco, una complicità ritrovata che si manifestava nei piccoli gesti, negli sguardi furtivi.
Intanto, la voce stridula di Veruca Salt spezzò quel momento di intimità.
«PAPÀ, GUARDA LÀ! Che cos'è? Sembra quasi un nanetto! Vicino alla cascata, laggiù!» esclamò, mentre slinguazzava il suo enorme lecca-lecca.
«Sono due, a quanto pare» osservò la signora Beauregarde, scrutando con curiosità la scena.
«Sono più di due!» esclamò il signor Tivù, sempre pronto a fare osservazioni.
«Chissà da dove vengono?» si chiese la signora Gloop, con lo sguardo carico di dubbio.
Charlie, affascinato da quella scoperta, chiese con un filo di voce: «Chi sono?»
Mike Tivù, il più scettico, domandò: «Sono persone vere?»
Il cioccolatiere rispose con entusiasmo: «Certo che sono persone vere. Sono Umpa-Lumpa.»
«Umpa... Lumpa?» ripeté il signor Salt, sollevando un sopracciglio incredulo.
«Importati direttamente da Lumpalandia!» specificò il signor Wonka.
«Non esiste quel posto» si intromise il signor Tivù.
Il cioccolatiere si alterò immediatamente. «Cosa?»
«Signor Wonka, si dà il caso che io insegni geografia alle superiori e le assicuro che...»
«Oh, bene! Allora lo conosce e saprà certamente di che terribile paese si tratta!»
«Ma non era una giungla?» si chiese Theresa ad alta voce; il cioccolatiere la folgorò con lo sguardo, chiaramente non apprezzando l'interruzione.
«Non esiste quel posto!» insistette il signor Tivù.
Theresa replicò: «Siccome un posto non appare in nessuna cartina geografica, non vuol dire che non debba esistere.»
Con grande entusiasmo, il signor Wonka raccontò ai suoi ospiti il giorno in cui lui e Theresa si recarono in Lumpalandia per cercare nuovi sapori per i suoi dolci. Descrisse con dettagli vividi e un misto di disgusto e meraviglia il rivoltante sapore dei bruchi verdi schiacciati con la corteccia dell'albero Bong-Bong e tutte le altre schifezze, che erano peggiori di qualsiasi altra cosa mai assaggiata.
Gli Umpa-Lumpa, spiegò, vivevano sugli alberi per sfuggire agli animali feroci che abitavano al suolo, come i Pulicorni, i Sarcopedonti e i terribili, ferocissimi Sfarabocchi. E di certo non mancò la storia dei chicchi di cacao introvabili e di come li avesse convinti a lavorare per lui.
«Sono degli operai davvero straordinari» concluse con un ampio sorriso, gli occhi che brillavano di orgoglio. «Devo avvertirvi, però, che sono un po' dispettosi come carattere: fanno sempre degli scherzi, ihih.»
Theresa, che nel frattempo aveva cercato di allontanarsi dalla conversazione, si accorse con orrore che la sua gonna era macchiata di verde.
«Non solo loro» lo schernì, riferendosi agli scherzi, mentre tentava di pulirsi.
Il cioccolatiere non poté fare a meno di sorridere a quella scena. Con un cenno della mano, invitò tutti a continuare a divertirsi.
«Continuate pure a divertirvi» disse.
La trascinò con sé con una determinazione che lasciava poco spazio alle parole. La sua mano era calda e avvolgente attraverso i guanti di gomma, mentre percorrevano di nuovo il lungo corridoio, ma questa volta non si diressero verso i soliti laboratori o le sale piene di dolci. Svoltarono in direzione opposta, verso un luogo che Theresa conosceva fin troppo bene: la loro stanza.
Varcando la soglia, Theresa sentì un'ondata di nostalgia travolgerla. Tutto era esattamente come lo aveva lasciato, come se il tempo si fosse fermato in quella stanza. Le pareti bianche risaltavano con un candore quasi irreale, mentre il pavimento lucido, ricoperto da una morbida moquette perlacea, conferiva all'ambiente un'aura di eleganza ovattata. Alla sua destra, il maestoso letto matrimoniale dominava la stanza. La testiera morbida, avvolta in coperte bianco-oro, era adornata con una fila di peluche e cuscini soffici, che aggiungevano un tocco di intimità. Il lampadario di cristallo, acceso perché le finestre erano chiuse, proiettava un lieve bagliore sulle mura, creando riflessi scintillanti che giocavano con le ombre circostanti.
Vicino alla toeletta, un armadio color confetto si integrava perfettamente nella parete. Fu da lì che Willy Wonka tirò fuori alcune scatole, catturando l'attenzione di Theresa, che cercava di soffocare i ricordi che affioravano in superficie.
«Cosa c'è lì dentro?» chiese incuriosita.
Il cioccolatiere le si avvicinò con un sorriso misterioso sulle labbra. Tirò fuori una benda, facendo brillare i suoi occhi di malizia.
«Se non ho frainteso, tu vorresti bendarmi» disse Theresa, con una nota di sfida nella voce.
Lui annuì in silenzio. Allora lei chiuse gli occhi, abbandonandosi alla sua volontà. Sentì le sue mani sfiorarle la pelle con delicatezza, mentre la aiutava a denudarsi con una lentezza studiata, quasi rituale. Il contatto delle dita era leggero come una piuma, e ogni movimento era intriso di rispetto.
Theresa si sentiva completamente a suo agio, consapevole che in quelle mani poteva fidarsi ciecamente.
Nel silenzio, l'unico suono che riempiva la stanza era il fruscio delicato di alcune vesti che scivolavano fuori dalla scatola. L'attesa la teneva sospesa, il cuore che batteva un po' più forte del normale.
Quando finalmente il signor Wonka la guidò verso lo specchio e le tolse la benda dagli occhi, Theresa sgranò lo sguardo, colma di stupore. Davanti a lei c'era una versione di sé che non avrebbe mai immaginato: indossava un abito azzurro, identico a quello di Cenerentola nel film della Disney del 2015. Le stoffe azzurre, impreziosite da leggere sfumature di lilla, si fondevano perfettamente con i suoi occhi marini, creando un'alchimia di colori che sembrava danzare sotto la luce del lampadario.
Guardò il cioccolatiere, con un misto di confusione e meraviglia.
«Da quando sei andata via, i giorni sono stati noiosi» iniziò a spiegare egli, con una voce che tradiva una profonda malinconia. «Non riuscivo più a provare nulla e l'unico modo per sentirti vicina era attraverso il computer, anche se lo detesto perché danneggia il cervello.» Fece una pausa, cercando le parole giuste. «Un giorno, mentre frugavo nella cronologia, ho trovato il sito di questo vestito. Era la pagina che hai aperto cinque volte al giorno, tutti i giorni. E non solo!» Continuando il suo racconto, aprì la scatola più piccola e ne tirò fuori delle scarpette di cristallo, brillanti come stelle; Theresa sussultò leggermente. «Sono quelle che hai cercato e non hai trovato, vero?»
«Dove le hai prese? Non sono riuscita a trovarle da nessuna parte!» chiese Theresa, incredula, mentre fissava le scarpette, affascinata dal loro splendore.
«Sono di mia invenzione» rispose il cioccolatiere, con un orgoglio che traspariva dalle sue parole. «Ho fatto in modo che tu possa indossarle ogni volta che vorrai senza il timore di poterle rompere: il cristallo è fragile, tranne questo.»
Theresa rimase senza parole, incapace di esprimere la gratitudine che provava in quel momento. Sentiva il cuore colmarsi di emozioni contrastanti, tra il desiderio di lasciarsi andare e la paura che tutto fosse solo un tentativo disperato di riconquistarla. Mentre il cioccolatiere la aiutava a indossare le scarpe, continuava a fissarsi nello specchio, cercando di capire se fosse degna di tutte quelle attenzioni.
«Io non so come ringraziarti...» disse, con una nota di tristezza nella voce, quasi dispiaciuta per non poter dare altrettanto.
«Non ti chiedo di tornare insieme, ma almeno resta qui» sussurrò lui, avvolgendola in un abbraccio che sapeva di conforto e speranza.
Theresa rimase in silenzio, nascondendo il viso nel suo petto, cercando di trovare una risposta in quel battito regolare che sembrava volerla calmare. Lui la baciò delicatamente sulla testa, un gesto semplice ma pieno di significato, e poi la prese per mano, conducendola fuori dalla stanza, verso un mondo che, per un attimo, sembrava essere scomparso.
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