Capitolo 6
I giornalisti si precipitarono in avanti per scattare le prime foto del momento. I loro flash illuminavano la scena in una pioggia di scintille, immortalando l'istante. La folla esplose in un fremito di eccitazione, un'onda di mormorii e grida trattenute, mentre gli ospiti di Willy Wonka corsero oltre il grande cancello della fabbrica. L'aria era fredda e pungente, il respiro dei presenti si condensava in nuvole di vapore, ma nulla poteva placare la loro trepidazione. Si fermarono a pochi centimetri dall'apertura, gli occhi sgranati, pieni di meraviglia e timore.
Tutto intorno era coperto di neve. I fiocchi leggeri danzavano nell'aria come polvere di zucchero, posandosi delicatamente sul terreno e sui cappotti dei visitatori.
Nella mente di Theresa, le immagini felici di quei tempi ormai lontani presero vita, dove tutto era perfetto. In quel grande piazzale si erano sfidati spesso a palle di neve. Tuttavia, subito dopo, sprofondò nel vuoto all'udire della voce del cioccolatiere che ordinava: «Venite avanti!»
Gli ospiti proseguirono il cammino, eccitati e in completo silenzio, i loro cuori rimbombavano come tamburi nelle orecchie, sopraffatti dall'attesa. Le pareti della fabbrica si ergevano maestose ai lati, come giganti silenziosi pronti a svelare i loro segreti.
«Chiudete i cancelli!» ordinò il cioccolatiere con un tono che non ammetteva repliche.
Il clangore del metallo risuonò nell'aria, e per un attimo parve che anche il mondo esterno fosse stato escluso, come se fossero entrati in una dimensione a parte.
Theresa era muta, sopraffatta da un'infinità di emozioni. I suoi occhi scrutavano ogni angolo di quel luogo magico, mentre il suo cuore batteva forte, come un tamburo impazzito. Improvvisamente una leggera nausea le prese lo stomaco, contratto dall'ansia e dall'incertezza. Nonostante ciò, decise di continuare il cammino, ascoltandolo parlare ancora una volta: la voce del cioccolatiere, profonda e suadente, sembrava portare con sé promesse di meraviglie e pericoli nascosti. Ogni passo la avvicinava a un destino che non poteva ancora immaginare, ma che sentiva inevitabilmente legato al passato che aveva cercato di dimenticare.
«Cari visitatori, è con immenso piacere che vi do il benvenuto nella mia umile fabbrica. Chi sono io? Be'...»
Theresa e gli ospiti si fermarono davanti agli scalini in pietra grigia che portavano all'ingresso della fabbrica.
Le pietre, levigate dal tempo e dalle intemperie, sembravano emanare un freddo ancestrale, come se custodissero i segreti di un passato dimenticato. Le due grandi porte di ferro, massicce e imponenti, si aprirono lateralmente con un lento stridio, come se accogliessero i visitatori in un mondo sconosciuto. Un'improvvisa folata di aria calda li avvolse, contrastando con il gelo esterno, e poi, con un fruscio quasi teatrale, un sipario rosso vellutato si alzò, rivelando uno spettacolo sorprendente: apparvero delle bellissime marionette colorate, dai visi dipinti con tratti infantili e sorrisi smaglianti, che si muovevano con una precisione meccanica.
Le marionette intonavano una canzoncina allegra, la loro voce era una sinfonia di suoni dolci e vibranti che riempiva l'aria di una gioia quasi surreale. I loro abiti sgargianti brillavano sotto le luci che illuminavano la scena, creando un contrasto magico con l'ambiente austero della fabbrica.
Alcuni ospiti apprezzarono lo spettacolo con entusiasmo, come Augustus e sua madre, che sorridevano ampiamente e si lasciavano andare a un piccolo ballo, i loro corpi ondeggiavano al ritmo della musica, contagiati dalla melodia.
Altri, invece, rimasero sbigottiti, con occhi e bocche spalancati. Non riuscivano a comprendere se quello che vedevano fosse reale o un'illusione, e la stranezza di quelle figure animate li lasciava senza parole.
Theresa si lasciò andare e scoppiò a ridere, il suono della sua risata risuonò come una melodia spontanea, contagiosa. Era un riso che mescolava sorpresa e complicità, perché, in fondo, si aspettava un'uscita del genere. La sua mente era ancora immersa nei ricordi, e quella stravaganza non faceva che confermare la natura eccentrica di quel luogo e del suo enigmatico padrone. Mentre osservava le marionette danzare e cantare, un senso di leggerezza la pervase, come se per un istante tutto fosse esattamente come doveva essere, una bizzarra e perfetta rappresentazione della magia della fabbrica.
Willy Wonka, Willy Wonka Il Re Del Cioccolato.
Willy Wonka, Willy Wonka
da voi tutti sia acclamato.
È generoso e nobile
lui sa muoversi con stile.
Dal piglio irrefrenabile
spesso poi non si contiene.
Si contien, si contien, si contieeeen.
Willy Wonka, Willy Wonka
è di gioia che ti incanta.
Willy Wonka, Willy Wonka
l'allegria per chi lo incontra.
Del cioccolato è il gran visir
è un mago che ti sa stupir.
Willy Wonka è questo quiii!!!
Apparve un trono rosso, imponente e riccamente decorato con una W dorata ricamata sul velluto. Il tessuto era talmente liscio e brillante che sembrava riflettere la luce circostante, emanando un'aura di regalità e mistero. Ma, nonostante la sua magnificenza, Willy Wonka non vi sedeva. Le marionette continuavano a cantare, le loro voci meccaniche rimbombavano nell'aria, ma l'atmosfera cambiò improvvisamente: senza alcun preavviso, un'esplosione di fuochi d'artificio scoppiò sopra di loro, riempiendo lo spazio di scintille colorate.
Le marionette, fino a quel momento allegre e spensierate, vennero avvolte dalle fiamme. I loro corpi di legno e stoffa si consumarono rapidamente, trasformandosi in colature e fumo. I colori vivaci si dissolsero in un attimo, lasciando solo il silenzio e l'odore acre di bruciato. Tutto si concluse così come era iniziato, in un attimo fugace di meraviglia e terrore.
Come gli altri, Theresa rimase basita, i suoi occhi si spalancarono mentre cercava di comprendere ciò che era appena accaduto. Un applauso beffardo e una risata buffa irruppero nell'attenzione di tutti, spezzando l'atmosfera di shock. Il suo cuore fece un salto, come se volesse sfuggire dal petto, mentre l'odore di noccioline tostate e il profumo forte di Pino Silvestre le invasero le narici, mescolandosi in una fragranza insolita e stranamente familiare.
Guardando imbarazzata verso destra, vide il cioccolatiere che ancora applaudiva, un sorriso compiaciuto e un po' folle dipinto sul volto. Era più alto di lei, la sua figura slanciata e imponente dominava la scena. Indossava un lungo cappotto scuro, che ondeggiava leggermente al suo movimento. La tuba sulla testa aggiungeva un tocco teatrale alla sua presenza, mentre gli occhiali scuri celavano i suoi occhi, rendendo lo sguardo impenetrabile.
Theresa si irrigidì quando sentì il braccio di Willy Wonka cingersi attorno alla sua vita, un gesto tanto improvviso quanto familiare. Tacque mentre lo sentiva parlare con il signor Salt.
«Sono stato magnifico!» esclamò, con un tono che oscillava tra l'autocompiacimento e la teatralità. I guanti viola che gli coprivano le mani aggiungevano un ulteriore tocco di eccentricità al suo già stravagante abbigliamento. «Ero preoccupato che la parte centrale fosse un po' eccessiva, ma poi il finale... WOW!»
Willy Wonka si separò da Theresa con un gesto fluido e teatrale, lasciando un vuoto improvviso dove poco prima c'era il suo calore. Si girò per fronteggiare i suoi ospiti dalla cima dei gradini, la sua figura si stagliava contro il fondale della fabbrica, come un maestro di cerimonie pronto a dirigere l'orchestra del caos. Tentò di dire qualcosa, le labbra si schiusero come per svelare un segreto, ma Violetta Beauregarde fu più veloce, interrompendo il momento con la sua voce stridula e impaziente.
«Lei chi è?» gli chiese.
«È Willy Wonka!» esclamò nonno Joe, con la voce tremante dall'emozione. I suoi occhi brillavano di un misto di meraviglia e nostalgia, come se vedesse davanti a sé un personaggio uscito direttamente dai suoi ricordi di gioventù.
«Davvero?» domandò Charlie, guardando il nonno con incredulità. La curiosità lo divorava, e il suo sguardo passava continuamente da nonno Joe al signor Wonka, cercando conferme nei dettagli di quell'uomo eccentrico.
«Sì...» biascicò Theresa.
Il signor Wonka osservò gli ospiti che lo circondavano, i loro volti erano un misto di curiosità e attesa. Comprese che doveva rompere il ghiaccio, così decise di salutarli. Il suo sorriso era ampio e teatrale, come quello di un attore pronto a recitare la sua prima battuta.
«Buongiorno, stelle del cielo! La Terra vi saluta!» esclamò con entusiasmo; Theresa scoppiò a ridere, un suono cristallino che spezzò l'aria gelida e carica di tensione.
Gli ospiti, però, si guardarono l'un l'altro confusi, incapaci di comprendere la stranezza di quel saluto. Misero il cioccolatiere in imbarazzo, il suo sorriso si incrinò per un attimo, e con un gesto rapido frugò tra dei foglietti nascosti nella tasca del cappotto, cercando di recuperare la compostezza.
«Cari ospiti, salve! Benvenuti alla fabbrica, vi stringo calorosamente la mano» disse con un tono più formale, allungando una mano verso di loro. Ma nessuno si mosse. «Mi chiamo Willy Wonka!» dichiarò con un lampo di orgoglio, come se volesse ribadire la sua identità a se stesso tanto quanto agli altri.
Veruca Salt, sempre sfrontata, puntò il dito verso il trono rosso alle sue spalle, senza perdere tempo. «Perché non è là sopra allora?» chiese con aria di sfida.
«Be', non potevo certo godermi lo spettacolo da là sopra, no, ragazzina?» le rispose il cioccolatiere con un sorriso sarcastico.
«Certo che potevi» lo apostrofò Theresa.
«Non cominciamo, eh!» ribatté egli, la voce si fece più tagliente, ma un sorriso divertito aleggiava sulle sue labbra. Sembrava quasi che la loro schermaglia fosse una vecchia abitudine, qualcosa di familiare e rassicurante nella sua bizzarria.
A quel punto, nonno Joe si fece avanti, incapace di trattenere la sua impazienza. «Signor Wonka, io non so se lei si ricorda di me. Ma io lavoravo qui nella sua fabbrica.»
«Era una di quelle ignobili spie che ogni giorno cercavano di rubare il lavoro di tutta una vita per venderlo a quei parassiti che imitavano i miei dolci? Mi hanno fatto perdere la donna che amo!»
«Mi hai persa perché sei uno stupido!» lo rimbeccò Theresa.
«No, signore» rispose invece nonno Joe.
«Allora è magnifico, ben tornato!» disse il cioccolatiere. «Venite con me, bambini. Anche tu, Theresa.»
Il cioccolatiere volse le spalle agli ospiti, la sua figura si stagliava contro il cielo velato mentre si girava di spalle, con gli altri lo seguirono. Oltrepassarono il tendone rosso, ora sgualcito e annerito dalle marionette ancora crepitanti e fumanti; si addentrarono nell'oscurità.
«Ma non vuol sapere i nostri nomi?» lo affiancò Augustus Gloop, ansimando leggermente mentre cercava di tenere il passo.
«Non vedo come possano importare» rispose il cioccolatiere con tono indifferente. «Forza, svelti! C'è molto da vedere!»
Oltrepassarono un secondo tendone, questa volta nero, che sembrava assorbire la luce. Si ritrovarono immersi in un lungo corridoio grigio dal soffitto ad arco, che si estendeva davanti a loro come un tunnel verso l'ignoto. Al centro del pavimento, un tappeto rosso si allungava come un misterioso sentiero che conduceva a una destinazione incerta. Dei paletti con delle corde dorate e rosse facevano da divisorio a entrambi i lati. In fondo all'atrio vi era una porta chiusa, mentre sulla sinistra si apriva un altro corridoio che conduceva alle altre stanze, avvolte nell'ombra.
«Lasciate pure i cappotti dove capita» disse il cioccolatiere con noncuranza, buttando a terra il suo con gli occhiali da sole.
Si girò verso gli altri con un sorriso sornione, il suo abbigliamento rivelava una personalità eccentrica e colorata. Indossava una camicia sgargiante, con un gilet nero finemente lavorato, adornato da catenine luccicanti e una spilla dorata che brillava sul colletto alto. I pantaloni scuri in cotone erano perfettamente stirati, e un cappottino bordeaux gli ricadeva lungo fino alle ginocchia, donandogli un'aria elegante e bizzarra al tempo stesso. Teneva in mano un bastone colorato, che faceva girare con destrezza tra le dita, come se fosse un'estensione naturale della sua personalità.
I suoi occhi blu lucenti cercavano qualcosa, o forse qualcuno, perdendosi nel vuoto per un attimo, come se stesse scrutando l'orizzonte in cerca di un Oceano sfumato di verde mare, un'immagine lontana e sfuggente.
Nel frattempo, Theresa, rivolta di spalle agli altri, stava lottando con la sua pelliccia. La fodera interna si era impigliata in un cristallino del corsetto dell'abito, rendendo impossibile toglierla. I suoi movimenti si fecero sempre più nervosi, ma prima che potesse perdere del tutto la pazienza, sentì una mano gentile sfiorarle la spalla.
Willy Wonka, senza dire una parola, la aiutò a liberarsi della pelliccia. Il suo tocco era inaspettatamente delicato, e un lieve sorriso comparve sulle sue labbra mentre la guardava.
«Mi fa piacere averti qui» le disse a bassa voce.
Stava per sollevare una mano, intenzionato ad accarezzarle il viso, lo stesso che da giorni gli era mancato di guardare, ma proprio quando le sue dita erano a un soffio dalla sua pelle, Theresa abbassò lo sguardo con aria mesta, come se volesse sfuggire a quel contatto tanto desiderato quanto temuto. Il suo cuore era un tumulto di emozioni contrastanti, e il momento sembrava carico di una tensione sottile, sospesa tra il passato e il presente.
Il signor Tivù, però, come gli altri, voleva la sua parte di attenzione e, rompendo l'incanto di quell'attimo, esclamò con voce squillante: «Signor Wonka, certo che fa caldo qui.»
Il cioccolatiere si scosse come se fosse stato riportato alla realtà da un sogno lontano.
«Cosa? Oh, sì. Tengo il riscaldamento al massimo qui, perché i miei operai sono abituati a un clima caldo. Non lo sopportano il freddo» spiegò, cercando di riportare il suo pensiero al lavoro.
«I suoi operai chi sono?» chiese Charlie con ingenuità.
Willy Wonka gli rivolse uno sguardo enigmatico, un sorriso sfuggente giocava sulle sue labbra. «Ogni cosa a suo tempo!» fu la criptica risposta, mentre già cercava di cambiare argomento. «Allora...»
Il cioccolatiere iniziò a camminare lungo il corridoio, il suo passo era rapido, ma la sua postura rimaneva dritta e rigida, come se volesse mantenere il controllo su tutto ciò che lo circondava. Tuttavia, nonostante la determinazione, si fermò improvvisamente quando sentì Violetta Beauregarde abbracciarlo.
«Signor Wonka, sono Violetta Beauregarde» si presentò la ragazzina, masticando rumorosamente la sua gomma trimestrale.
Willy Wonka la guardò con un misto di sorpresa e fastidio. «Oh...» mormorò. Poi, con una nota di disinteresse, esclamò: «Non m'interessa!»
«Dovrebbe interessarle, perché io sono quella che vincerà il premio speciale.»
«Sembri sicura e la sicurezza è fondamentale.»
Violetta si voltò verso sua madre, sorridendo soddisfatta. Ma proprio mentre si godeva quel momento di gloria, Willy Wonka riprese il cammino. Tuttavia, non fece in tempo a compiere molti passi prima di fermarsi di nuovo con un altro scatto di riluttanza.
«Io sono Veruca Salt» annunciò con voce squillante la ragazzina viziata, facendo un piccolo inchino con un'aria di falsa modestia. «È un piacere conoscerla, signore.»
«Ho sempre pensato che la verruca fosse un tipo di porro che viene sotto ai piedi, ahah» rise il cioccolatiere; persino Theresa, che fino a quel momento era rimasta seria, non poté fare a meno di sorridere.
Veruca lo fissò amaramente, ma prima che il cioccolatiere potesse fare un altro passo per ignorarla completamente, Augustus Gloop si frappose davanti a lui, ingozzandosi di cioccolato senza alcuna vergogna.
«Io sono Augustus Gloop e mi piace il cioccolato» dichiarò con la bocca piena.
«Questo lo vedo. Lo adoro anch'io. Non credevo avessimo così tante cose in comune» rispose il cioccolatiere, il suo tono era giocoso, ma nascondeva una punta di sarcasmo.
Poi, come se avesse ricordato qualcosa di importante, si voltò rapidamente e puntò lo sguardo verso un altro bambino.
«Tu!» esclamò, i suoi occhi si fissarono su Mike. «Tu sei Mike Tivù. Sei il demonietto che ha decifrato il codice!» Una punta di sarcasmo si impossessò della sua voce, e per un attimo il suo sguardo si fece più penetrante, come se volesse scoprire ogni segreto nascosto dietro quel volto apparentemente innocente. Infine, si girò verso l'ultimo bambino del gruppo. «E tu sei già fortunato ad essere qui, vero?» Poi si rivolse ai genitori. «E voi dovete essere i loro p... p... p...»
Ma la parola "parenti" gli si bloccò in gola, come se una barriera invisibile gli impedisse di pronunciarla. Una scintilla di dolore gli attraversò il volto, ricordi di eventi sfortunati del suo passato che pensava di aver dimenticato lo colpirono all'improvviso.
«Parenti?!» suggerì il signor Salt, interrompendo il silenzio che si era creato.
Willy Wonka si aggrappò a quella parola come se fosse un'ancora di salvezza.
«Ecco! Mamma e papà... Già, papà...» ripeté, ma la sua voce si affievolì, e i suoi occhi si velarono di un'ombra. Per un istante, la maschera di eccentricità che indossava si incrinò, rivelando il bambino solitario che era stato. Ma, prima che quei ricordi potessero sopraffarlo, li scacciò via con un sorriso. «Oh, allora... continuiamo il giro!»
I loro passi risuonarono per il corridoio, l'eco amplificava ogni movimento, creando un'atmosfera densa di aspettative. Il signor Salt, con la sua espressione perennemente insoddisfatta, si guardava intorno con disgusto, come se ogni dettaglio dell'ambiente fosse un'offesa al suo gusto raffinato.
Mentre avanzavano, Augustus si avvicinò a Charlie con un ghigno.
«Vuoi del cioccolato?» gli chiese.
«Sì» rispose ingenuamente Charlie.
«Allora dovevi portartelo, aahh!!» rise Augustus, godendosi il piccolo dispetto.
Theresa, che aveva osservato la scena, si avvicinò a Charlie e, con un gesto delicato, poggiò una mano sulla sua spalla, sorridendogli con dolcezza. Quel gesto semplice, ma pieno di affetto, ebbe un effetto calmante sul ragazzo, il quale smise di sentirsi imbarazzato e le rivolse un sorriso grato.
Nel frattempo, Veruca Salt e Violetta Beauregarde, stando fianco a fianco, si studiavano a vicenda con occhi carichi di sospetto e disprezzo. Nonostante la loro antipatia reciproca fosse palpabile, si presero per il braccio, fingendo un'amicizia che sapevano entrambe essere falsa. Era una recita, una danza di rivalità mascherata da cortesia.
«Siamo amiche, vero?» domandò Veruca con un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi.
«Per la pelle» rispose Violetta con un'energia falsa.
I genitori avanzavano in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La tensione tra le famiglie era palpabile, ma nessuno osava esprimere apertamente il disagio che serpeggiava tra loro.
Il gruppo giunse infine al capolinea del corridoio, davanti a una porta piccola e scura, quasi insignificante se non fosse stato per il fatto che stava per aprirsi su qualcosa di straordinario. Willy Wonka si fermò con un sorriso misterioso, tirando fuori un bel mazzo di chiavi che tintinnò nell'aria, aumentando l'attesa.
«È importante questa stanza. Dopotutto, è una fabbrica di cioccolato» disse con un tono che suggeriva che stava per svelare un segreto di grande valore.
«E perché la porta è così piccola?» chiese Mike, il suo sguardo analitico passava dalla porta al cioccolatiere.
«Per tenere tutto il cioccolatoso sapore all'interno» sorrise il cioccolatiere, ma il suo sguardo si scontrò con quello di Theresa e per un istante tutto il suo mondo sembrò fermarsi.
Il desiderio che aveva represso per così tanto tempo si accese improvvisamente in lui: la voglia di afferrarla, di bloccarla al muro e di baciarla con tutta la passione che aveva accumulato in quei giorni si fece quasi insopportabile. Ma si trattenne, con grande sforzo. Invece, si chinò verso la minuscola porticina che fungeva da serratura, e con mani tremanti ma ferme, inserì la chiave nella toppa. Un clic sonoro riecheggiò nel silenzio, seguito da un respiro collettivo degli ospiti. Con un movimento fluido, spinse le ante di lato, rivelando ciò che si celava dall'altra parte.
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