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Capitolo 5

Theresa era stesa sul divano, con un cuscino verde stretto tra le mani. Le lacrime scendevano silenziose lungo le guance mentre il suo sguardo vagava verso l'alto, contemplando il soffitto decorato di antiche travi di legno e lampadari di cristallo. I ricordi dei giorni passati, pieni di calore e gioia, le si affollavano in mente come un sogno lontano.

Era immersa in quella malinconia quando, improvvisamente, il cellulare vibrò con insistenza sul tavolino accanto al divano. La vibrazione sembrava quasi un richiamo disperato, un'eco del suo stesso stato d'animo. Non aveva alcuna voglia di rispondere, ma la costante insistenza del dispositivo era diventata impossibile da ignorare.

Con un sospiro rassegnato, si tirò su, sedendosi a gambe incrociate sul divano, e afferrò il cellulare con mani tremanti. Sulla schermata c'era scritto: Re Del Cioccolato.

L'espressione di Theresa si fece incerta mentre si preparava a rispondere.

«Pronto?» disse, dopo aver esitato un momento.

«Finalmente! Sono ore che ti chiamo!» esclamò il cioccolatiere.

«Direi da tutto il giorno...»

«Appunto! Perché?»

«Non volevo sentire nessuno.»

«Neppure me?»

Theresa chiuse gli occhi, sforzandosi di trattenere un singhiozzo. Sentire la voce di Wonka le scatenava un conflitto interiore: il desiderio di vederlo e di essere vicino a lui era forte, ma la sofferenza che provava sembrava soffocarla, rendendola incapace di aprirsi.

«Cosa vuoi da me, Willy?» chiese infine, cercando di mascherare la vulnerabilità con una domanda secca.

Il cioccolatiere, colto di sorpresa dalla freddezza della risposta, rimase in silenzio per un attimo. Sperava in una risposta più calorosa, in un segno di apertura da parte di Theresa.

«Volevo invitarti alla fabbrica domani» disse infine, con una nota di amarezza nella voce. «Ho preparato una nuova creazione speciale, e tu sei sempre stata la mia musa.»

«Non hai già degli ospiti?»

«Io voglio anche te.»

Theresa non rispose subito, il silenzio tra loro diventava sempre più pesante. Willy Wonka aveva capito; la sua delusione era evidente anche attraverso il cellulare.

«Non vuoi venire» disse con tono rassegnato.

«No» ammise Theresa, il cuore spezzato mentre pronunciava quella parola.

«Okay, addio!»

La chiamata si interruppe bruscamente, lasciando Theresa sola con il suo dolore e il cuscino verde stretto forte al petto. Il silenzio della stanza le pareva ancora più opprimente. Rimase per un attimo con il cellulare incollato all'orecchio, il cuore ancora scosso dalla recente conversazione. Le pareva quasi di sentire l'eco della voce di Willy Wonka, un fantasma di parole che si perdevano nell'aria. E quando stava per metterlo via, esso ricominciò a vibrare e lei rispose.

«Non potevo lasciarti così» disse il cioccolatiere con una dolcezza disperata che penetrava attraverso il freddo della linea telefonica.

Theresa chiuse gli occhi, le lacrime le scendevano di nuovo mentre ascoltava il pianto del cioccolatiere, un dolore che avrebbe tanto voluto alleviare. Non poteva nemmeno vederlo né stringerlo tra le sue braccia per confortarlo.

«Cosa vuoi adesso?» chiese, cercando di mantenere la voce neutra.

«Volevo invitarti di nuovo alla fabbrica, ma non accetto un no come risposta.»

«Il mio no è irrevocabile. Domani vorrei soltanto riposare.»

«Tu vieni, e dopo potrai riposare nella tua stanza.»

«Nella mia stanza? E quando mai ne ho avuta una?»

«Riposa dove ti pare, basta che vieni! E poi qui c'è qualcuno che vuole rivederti.»

«So bene che vuoi rivedermi tu, Willy, quindi basta.»

Theresa stava per riagganciare, un impulso forte e definitivo che non voleva fermare. La voce di Wonka aveva iniziato a sfumare, ma lui non aveva finito di parlare.

«ASPETTA!» le ordinò, con tono di voce più urgente.

«Cosa vuoi ancora?» sbuffò Theresa.

«Ti amo.» Silenzio. «E tu? Mi ami ancora?»

Il cuore di Theresa batteva forte, l'ansia le salì fino alla gola e la terra sotto ai piedi tremò. La domanda le fece vacillare il senso di realtà, mentre l'angoscia la sopraffaceva.

«Addio, signor Wonka!»

Theresa riagganciò la chiamata. Il cioccolatiere, furioso e distrutto, sbottò nella sua ira, lanciando il cellulare contro la parete con un rumore sordo e angosciato. Le lacrime scorrevano liberamente sul suo volto mentre si abbandonava al dolore.

Nel frattempo, Theresa si alzò dal divano con un movimento brusco e andò verso la porta perché avevano suonato al campanello.

«Oh, ciao, Ana» disse Theresa, facendosi da parte per far entrare l'amica. Il tono era forzato, ma cercava di nascondere la sua angoscia.

«Ma cosa ti è mai accaduto?» le chiese Ana, notando immediatamente il volto appannato di Theresa e le sue occhiaie; ella scrollò le spalle, quasi a voler dimenticare tutto in quel gesto. «Ne vuoi parlare?»

Le due amiche si sistemarono sul divano, con Ana che si accomodò in uno dei cuscini e Theresa che rimase qualche secondo in silenzio, con lo sguardo fisso sul pavimento bianco della casa.

«Willy mi ha invitata alla fabbrica domani, assieme agli altri. Comincio a pensare che la storia dei biglietti d'oro sia stata solo una delle sue uscite folli.»

«E tu cos'hai risposto?»

«Niente, gli ho detto addio» rispose Theresa, alzandosi dal divano con un'aria di rassegnazione. «Vuoi una tisana?»

«Ci andrai alla fabbrica, vero?» insistette Ana, alzandosi e seguendola in cucina.

«No. Che ci vado a fare?»

Ana la apostrofò con sarcasmo, poi tornò in salotto e afferrò il cellulare di Theresa, frugando il numero del cioccolatiere in rubrica.

Ana, bellissima ragazza dai capelli neri, sorriso lucente e due grandi occhi verdi, ignorò la sua amica e proseguì con la sua idea. Appena Theresa udì la voce del cioccolatiere attraverso il dispositivo, tentò invano di fermare la ragazza, ma fallì.

«Mi perdoni, signor Wonka, sono un'amica di Theresa, volevo dirle che lei verrà domani. La porto personalmente per i capelli. Ora gliela passo!» disse Ana, sogghignando.

«Io ti uccido, eh!» le bisbigliò Theresa.

«Sì sì! Però domani, visto che non ci sarai.»

Theresa si trovò quindi sola con il cellulare appiccicato all'orecchio.

«Signor Wonka...» iniziò, cercando di mascherare la sua confusione.

«È simpatica la tua amica» disse il cioccolatiere, il tono lievemente divertito ma anche pronto a chiudere la chiamata. «Stammi bene, Theresa.»

«ASPETTA!» sbottò lei. «Io... io verrò domani!»

«Non farlo solo per farmi un favore.»

«Puoi venire qui? Ne discutiamo con calma» propose Theresa, il cuore che batteva forte per l'ansia e il desiderio di chiarire.

«Dove abiti?» le domandò subito lui con un tuffo al cuore, immaginandosi già davanti alla sua porta.

«Dove mi hai lasciata l'ultima volta.»

La conversazione si chiuse e l'attesa divenne lunga e pesante. Ana, divertita, continuava a prendersi gioco della sua amica, che guardava l'orologio con una frequenza febbrile. I tentativi di Theresa di restare neutra erano vani: la tensione dell'attesa la faceva impazzire, mentre il silenzio del soggiorno sembrava inghiottire il tempo.

Poco più tardi, il campanello suonò, strappando Theresa dalla sua angoscia e facendole battere il cuore all'impazzata. Senza pensarci, rovesciò la tisana calda su se stessa mentre cercava freneticamente di allontanare la tazza e correre verso la porta.

«Vado io!» esclamò, il tono pieno di impazienza e ansia.

Ana, ridendo, la prese in giro. «Non consumarlo tutto, mi raccomando!»

«Sta' zitta, scema!» ribatté Theresa, correndo verso la porta con la tisana che schiumava e macchiava il pavimento.

Arrivata alla porta, si sollevò in punta di piedi, sperando di intravedere chi c'era dall'altra parte attraverso l'occhiello. Quando vide il cioccolatiere, il cuore le saltò in gola e i battiti accelerarono a ritmo irregolare.

Il cioccolatiere era incredibilmente affascinante, vestito in modo casual ma elegante: indossava un pantalone di cotone nero, una maglia bianca e una camicia a quadri rossi. Il profumo di noccioline era più tenue del solito, sostituito da una fragranza fresca di Pino Silvestre, che gli conferiva un'aria di leggerezza.

«Ehi» le sorrise.

«Ciao» arrossì Theresa. «Pensavo non venissi...»

«Invece sono qui.»

Theresa si fece da parte per lasciarlo entrare e lo invitò in cucina. Lì, lui le porse un sacchetto viola decorato con il logo di Wonka, contenente una selezione di dolci prelibati.

Nel frattempo, Ana continuava a lanciare occhiate divertite.

«Be', mi piacerebbe molto restare, ma ho tantissimo lavoro da sbrigare, senza contare gli impegni e tutto il resto!» esclamò con un tono giocoso, accentuando la sua uscita. «Buon susseguirsi, signor Wonka! È stato un vero piacere poterla conoscere» aggiunse, e prima di andarsene gli sussurrò all'orecchio con un sorriso malizioso: «Se vuole portarsela a letto, lo faccia pure: la camera è sempre rassettata.»

Il cioccolatiere, visibilmente imbarazzato, arrossì violentemente. Theresa, mortificata, corse dietro alla sua amica mentre questa scappava via, chiudendo la porta con un colpo secco.

Nel silenzio che seguì, Theresa e il cioccolatiere si ritrovarono da soli. L'atmosfera era densa di imbarazzo e tensione, mentre i due si scambiavano fugaci sguardi.

Theresa, cercando di ristabilire un certo equilibrio, poggiò il sacchetto di dolci sul tavolo e invitò il cioccolatiere a sedersi.

«Vuoi una tisana?» gli chiese, cercando di apparire calma nonostante il tumulto dentro di lei.

«No, sono qui per sapere se domani vieni o meno» confessò il cioccolatiere, andando dritto al punto con la sincerità che caratterizzava il suo carattere.

«Se ti avessi chiesto di venire qui per me e non per l'invito alla fabbrica, saresti venuto ugualmente?»

«Sarei corso da te in mezzo secondo! Ti confesso che volevo farlo da giorni, solo pensavo che non fossi rimasta. Ma verrai domani?»

«Inizialmente ero contraria, però prima ho avuto modo di rifletterci e mi sono decisa.»

«Stai mentendo...»

«Sì... e anche no» ammise Theresa, mentre si avvicinava al piano cottura e versava la tisana in un'altra tazza, nonostante il cioccolatiere non avesse chiesto nulla.

«Allora vado» dichiarò egli, tentando di alzarsi dalla sedia.

Theresa lo fermò immediatamente, il volto teso.

«La vuoi o no, questa dannata tisana?» esclamò esasperata.

«Va bene, dammi pure la tisana» accettò il cioccolatiere, sorridendo.

Theresa gli sedette accanto, rovistando nel sacchetto di dolci e tirando fuori qualche pralina alla fragola. Il profumo delle prelibatezze si mescolava all'aroma di Pino Silvestre che ancora aleggiava nell'aria. Mentre assaporavano i dolci e cercavano di mantenere una conversazione leggera e professionale, il cioccolatiere le mostrò una nuova ricetta segreta.

«Queste sono le toffolette alla violetta» le disse, con un sorriso orgoglioso mentre le porgeva un piccolo campione del suo ultimo esperimento.

Theresa esaminò il dolce con attenzione, ridendo per il nome buffo che il cioccolatiere aveva dato al suo progetto.

«Toffolette alla violetta? Mi sembra quasi un nome poetico per un dolce. Ma vediamo...» disse, mentre assaggiava con curiosità.

Concordarono insieme sul giusto bilanciamento dei sapori: una dolcezza delicata con una nota floreale che non risultasse eccessiva.

Il tempo passò velocemente mentre discutevano di consistenze e aromi, immersi in una conversazione che sembrava naturale e sincera. Tuttavia, si erano attardati troppo ed entrambi avevano degli impegni per il giorno seguente.

«Io credo che sia giunto il momento di andare» disse il cioccolatiere, alzandosi dalla sedia con un lieve sospiro di rassegnazione.

«Vai già via?» chiese Theresa, mentre si alzava anche lei.

Si guardarono negli occhi, condividendo un momento di tristezza che rifletteva quanto avessero entrambi apprezzato quella serata.

Il cioccolatiere le accarezzò dolcemente la guancia, poi si avviò verso la porta d'ingresso. Theresa lo seguì, ritrovandosi inaspettatamente immersa nelle sue braccia.

«Amo il Pino Silvestre» biascicò, il viso schiacciato contro il petto del cioccolatiere, desiderando che quel momento durasse per sempre. «Vorrei che il tempo si fermasse...»

«Devi essere tu a fermarlo» le sussurrò lui.

«Scusami, ho sonno» lo allontanò lei.

«Dormi bene» le augurò, per poi urlarle per le scale: «TI AMO!»

«Ti amo anch'io» sospirò Theresa, chiudendosi la porta alle spalle.

Il mattino seguente arrivò presto e con esso il suono incessante della sveglia sul cellulare che suonò alle otto in punto. Con un respiro profondo, Theresa si svegliò a fatica, gli occhi ancora pesanti di sonno e il corpo riluttante a lasciare il caldo abbraccio delle coperte. Tuttavia, la promessa fatta al cioccolatiere le diede la forza di alzarsi. L'odore di Pino Silvestre, che ancora sembrava avvolgerla, le diede conforto mentre si dirigeva in cucina.

Preparò un'abbondante colazione per due persone, sistemando con cura piatti e posate. Puntuale come un orologio svizzero, Ana si presentò alla porta con le mani piene di buste.

«Buongiorno!» esclamò con allegria, entrando e scaricando le buste sul tavolo. «Spero che tu abbia tutto pronto perché oggi è una giornata lunga!»

Theresa le rispose con un sorriso stanco ma sincero, mentre serviva le tazze e sistemava le ultime cose. La preparazione della giornata era cominciata e con essa l'attesa di quello che avrebbe portato la visita alla fabbrica di Willy Wonka.

«Da quando fai shopping di prima mattina?» le domandò Theresa, accigliata.

«Da oggi» sorrise Ana con aria trionfante. «Questo è per te, tà-dah!»

Tirò fuori con un gesto teatrale un bellissimo abito bianco avorio. Il corsetto era tempestato di cristallini che scintillavano alla luce, mentre la gonna lunga scendeva morbida e fluente in un tessuto di seta. Una fascia glitterata abbracciava il bacino, accentuando la silhouette elegante.

«Sembra un abito da cerimonia» le fece notare l'amica.

«Sei la futura moglie di Willy Wonka, no?»

«Non ti sembra di esagerare?»

Ana scosse negativamente la testa, il suo entusiasmo inarrestabile.

«Tu sei folle!»

«Basta mangiare! Va' a farti una doccia veloce, che poi ti preparo!»

Ana spinse la sua amica verso il bagno. Dopodiché le sistemò i morbidi capelli biondi in delicati boccoli che scendevano sulle spalle. Con maestria, applicò un trucco leggero ma efficace, che esaltava la bellezza naturale di Theresa senza sovrastare il vestito. Alla fine, un tocco di Chanel N°5 profumò l'abito.

«Sei perfetta!» esclamò Ana.

«Fin troppo direi...» bofonchiò Theresa mentre si guardava allo specchio, riflettendo un'immagine di eleganza e tristezza.

Era un contrasto stridente: il vestito splendente e la sua espressione malinconica.

«Scommetto che quel fustacchione della sera scorsa spalancherà gli occhi appena ti vedrà!» Ana le diede una leggera gomitata affettuosa. «A proposito, ieri sera avete fatto l'amore insieme?»

«Cosa? No!» esclamò Theresa, imbarazzata.

Poco dopo, si avviarono in macchina verso la fabbrica Wonka. Il viaggio durò circa un'ora, con il traffico caotico che rallentava il percorso. La grande folla radunata davanti ai cancelli della fabbrica creava un ingorgo quasi inestricabile.

«Siamo sempre in ritardo!» si lamentò Ana, agitata.

«Meglio così, no?» disse Theresa, cercando di mantenere la calma mentre il cuore le batteva forte per l'anticipazione.

Ana la spinse nella fila dei cinque bambini. Theresa si sistemò accanto al signor Salt. Il clamore della folla era assordante, con i giornalisti che scattavano foto incessantemente, curiosi di scoprire quale biglietto speciale avesse avuto.

Nonno Joe, da lontano, la guardava con uno sguardo incerto. Theresa, riconoscendo anche Charlie, li salutò con un cenno della mano.

«Io ti conosco: tu sei un'attrice» le disse Veruca con un'aria di superiorità.

«Direi di sì» rispose Theresa, già stanca della sua superiorità.

«Non sei male» disse Veruca. Poi, rivolgendosi a suo padre, aggiunse: «Papà, io voglio entrare lì dentro!»

«Manca un minuto, tesoro» rispose l'uomo, sorridendo.

«FAI AFFRETTARE IL TEMPO!» urlò Veruca.

Se quell'uomo fosse stato davvero in grado di affrettare il tempo, pensò Theresa, allora gli avrebbe chiesto di tornare indietro fino a quel giorno e tentare di cambiare le cose affinché andassero in un altro verso.

Theresa rivolse uno sguardo breve alla folla, dove Ana le fece segno di stare tranquilla. Ma nonostante il tentativo di restare calma, l'agitazione era inevitabile: i cancelli della fabbrica cominciarono a scattare e ad aprirsi lentamente.

Il momento tanto atteso era giunto.  

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