Capitolo 3
Il cielo si era oscurato e nell'aria si respirava l'aroma dolce e intenso del cioccolato fondente: la fabbrica Wonka aveva ripreso a funzionare.
All'interno dell'enorme edificio, le teglie rettangolari a forma di barrette si riempivano di cioccolato Wonka, per poi adagiarsi su piccole mongolfiere bianche che fluttuavano lievi nell'aria. Queste cadevano con precisione millimetrica sul lungo tavolo dove gli involucri di carta colorata erano già stati sistemati, pronti per avvolgerle.
Nel bel mezzo del frenetico lavoro, una mano coperta da guanti viola di gomma poggiò con delicatezza su alcune tavolette dei biglietti d'oro. Erano cinque e, quando i macchinari ruggirono di nuovo in vita, furono coperti dagli involucri, nascondendosi tra le barrette che cadevano ordinatamente negli scatoloni aperti, pronti per essere sigillati. Un leggero clic segnò il sigillo dei pacchi, che furono poi caricati su furgoncini rossi firmati Wonka, pronti a partire verso le loro destinazioni.
Charlie Bucket, accostato ai bordi del marciapiedi, osservava i furgoncini rossi dai vetri oscurati passare davanti a lui, senza riuscire a scorgere nessuno alla guida. Tirava un vento gelido quel pomeriggio e la neve cadeva lenta e silenziosa dal cielo ingrigito.
Era un bambino come tanti altri. Non era il più veloce o il più intelligente tra tutti gli altri bambini. La sua famiglia non era né ricca, né potente, né influente. A dire il vero avevano a malapena di che mangiare.
Charlie Bucket, che viveva con la sua famiglia -madre, padre e quattro nonni- in una casetta alla periferia della città, era il bambino più fortunato del mondo, ma non lo sapeva ancora.
Al calare della sera, il vento e la neve si infittirono, coprendo la città con un manto bianco e ovattato. Le luci fioche delle finestre illuminavano appena le strade deserte, mentre un silenzio quasi surreale avvolgeva ogni cosa.
La città era quasi dormiente quando il signor Bucket, infreddolito, tornò a casa, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro di sollievo.
«'Sera a tutti!» salutò.
«Buonasera!» risposero in coro i quattro nonni, stesi al calduccio nel loro letto matrimoniale: due da un lato e due dall'altro, avvolti nelle coperte fino al mento.
«Ciao, papà!» disse Charlie, distogliendo per un attimo i pensieri dallo studio e alzando lo sguardo dai suoi libri consumati.
Il signor Bucket gli strofinò affettuosamente i capelli, poi si avvicinò a sua moglie e si scambiarono un bacio sulla guancia, un gesto semplice ma carico di affetto.
«La zuppa è pronta, tesoro!» gli disse la donna con un sorriso stanco ma amorevole. «Non c'è nient'altro da mettere lì dentro, vero?» chiese speranzosa, ma il signor Bucket scosse la testa, dispiaciuto. «Oh be', il cavolo sta benissimo con il cavolo!» sospirò, cercando di mantenere l'ottimismo.
La signora Bucket divise con cura un secondo cavolo, aggiungendolo alla zuppa di cavoli che stava bollendo lentamente sul fornello: il loro povero pasto, ma fatto con amore.
Il signor Bucket si sedette a tavola, porgendo a Charlie dei tappi di dentifricio difettosi, presi dalla locale fabbrica di dentifricio dove lavorava. I turni erano lunghi e la paga misera, ma ogni tanto c'erano sorprese inaspettate.
«Era quello che mi serviva!» esclamò Charlie, gli occhi che brillavano di gioia alla vista di un tappo di dentifricio a forma di tuba.
«Che cos'è, Charlie?» domandò curioso nonno Joe.
Charlie tirò fuori da un mobile un modellino della fabbrica Wonka, fatto interamente di tappi di dentifricio. L'ultimo tappo servì per completare la testa di Willy Wonka.
«L'ha trovato papà! Il pezzo che mi serviva!»
«Di che pezzo si tratta?»
«La testa per Willy Wonka!»
«Oh, è magnifico!» esclamò ammirata nonna Josephine.
«E devo dire che gli assomiglia» aggiunse nonno Joe, strizzando l'occhio.
«Tu credi?» chiese Charlie, con un sorriso speranzoso.
«Se lo credo? Io lo so! Io ho visto Willy Wonka con questi miei occhi: lavoravo nella sua fabbrica.»
«Davvero?»
«Davvero!»
«Davvero!» affermò nonna Josephine.
«Davvero!» convenne nonno George, annuendo con vigore.
«Ah, sì, l'uva mi piace!» esclamò nonna Georgina, apparentemente fuori contesto.
«Naturalmente, a quei tempi, io ero molto più giovane di adesso. Willy Wonka aveva cominciato con un solo negozio a Cherry Street, ma tutto il mondo voleva i suoi dolci» proseguì nonno Joe, mentre tutti ascoltavano affascinati le sue storie.
***
Il negozio Wonka era il più amato dai cittadini di Cherry Street. Dall'esterno, le vetrine scintillavano di luci colorate e decorazioni zuccherine, attirando grandi e piccini con promesse di dolcezza. All'interno, c'era ogni sorta di dolciume immaginabile: tavolette Wonka, bomboloni soffici, chewingum dai gusti sorprendenti, caramelle di ogni forma e colore. L'aria era pervasa da un profumo irresistibile di cioccolato e zucchero caramellato.
Willy Wonka, con il suo abito sgargiante e il cilindro in testa, si muoveva agilmente tra gli operai, oltre uno sportello di vetro colorato, immerso nelle sue fantasie dolciarie. Gli occhi brillavano di eccitazione mentre orchestrava la creazione di nuove delizie.
Fu lì che lo raggiunse nonno Joe, visibilmente allarmato, con in mano una tavoletta Wonka.
«Signor Wonka!» esclamò.
Willy Wonka si voltò, sfiorando il vetro colorato con le mani ricoperte da guanti di gomma rossa. «Sì?»
«Non ci sono più tavolette Wonka e gli uccellini di cioccolata sono finiti!»
«Finiti? Finiti...» ripeté Wonka, con un sorriso enigmatico che si allargava sul suo volto. «Ah be', allora bisogna farne degli altri! Ecco» con un gesto teatrale, estrasse un ovetto di cioccolato azzurro con puntini blu e lo porse a nonno Joe. «Ora apra!»
Nonno Joe, confuso ma curioso, seguì l'istruzione. Non appena l'uovo si sciolse in bocca, si ritrovò appollaiato sulla lingua un piccolo uccellino di cioccolato che cinguettava dolcemente. La sorpresa e la meraviglia gli fecero spalancare gli occhi, mentre il signor Wonka rideva di gusto.
Theresa, seduta alla cassa, osservava la scena con gli occhi sognanti. Era talmente ammaliata da quell'uomo eccentrico e geniale che permise alle sue labbra di incresparsi in un sorriso.
***
«Quell'uomo era un genio!» esclamò nonno Joe, con gli occhi che brillavano di ammirazione e nostalgia. «Lo sapevi che ha inventato un nuovo modo di fare il gelato al cioccolato senza il bisogno di metterlo nel freezer? Puoi anche lasciarlo sotto il sole di una giornata calda e non si scioglie.»
Charlie sgranò gli occhi, incredulo. «Ma è impossibile!»
«Ma Willy Wonka l'ha fatto!» ribatté con entusiasmo nonno Joe. «Non passò molto tempo dopo che costruì una vera fabbrica di cioccolato. La più grande della storia. Cinquanta volte più grande di qualunque altra!»
Nel lontano passato, nonno Joe e nonna Josephine si ritrovarono tra la folla entusiasta il giorno dell'inaugurazione della fabbrica Wonka. Il cielo era limpido e l'aria era colma di aspettativa e dolcezza. Quando il signor Wonka tagliò il nastro rosso con un paio di forbici dorate e i grandi cancelli della fabbrica si aprirono per la prima volta, la folla esplose in un fremito di emozione, applausi e urla di gioia.
Nonno Joe e nonna Josephine, travolti dall'euforia del momento, si baciarono appassionatamente.
«Non si fanno quelle cose, nonno!» scherzò Charlie, ridendo della spontaneità dei nonni.
Nonna Josephine sorrise affettuosamente e suggerì: «Raccontagli la storia del Principe indiano, quella gli piacerà.»
«Vuoi dire il Principe Pondicherry?!» Nonno Joe si schiarì la voce, preparandosi a raccontare. «Be', il Principe Pondicherry scrisse una lettera al signor Wonka chiedendogli di andare da lui fino in India per costruirgli un colossale palazzo tutto fatto di cioccolato.»
Nonna Georgina rise di cuore, ricordando la bizzarra ma affascinante storia.
***
«Avrà cento stanze e ogni cosa sarà fatta di cioccolato fondente o al latte» disse il signor Wonka, posando sul tavolo il grafico del palazzo di cioccolato.
Il disegno mostrava dettagli intricati, con torri alte e cupole eleganti, decorati con intagli e motivi di cioccolato. Al suo fianco c'era il Principe Pondicherry, i suoi occhi che brillavano di entusiasmo e meraviglia.
Gli operai del signor Wonka erano già all'opera, con divise colorate e strumenti di precisione. I mattoni erano di cioccolato, solidi e lucenti, e venivano posizionati con cura per costruire le pareti del palazzo. Il cemento era una miscela speciale di cioccolato fuso che si solidificava rapidamente, garantendo stabilità. I soffitti erano decorati con bassorilievi di cioccolato bianco, raffiguranti scene della mitologia indiana. Persino i quadri alle pareti erano dipinti con vari tipi di cioccolato, creando opere d'arte uniche e deliziose. I mobili, dalle sedie ai letti, erano sculture di cioccolato al latte, intagliate con dettagli raffinati. E dai rubinetti, invece dell'acqua, fuoriusciva un bel getto di cioccolato caldo e fragrante.
«È perfetto da ogni punto di vista!» commentò il Principe una volta all'interno del palazzo, i suoi passi echeggiando sulle piastrelle di cioccolato lucido.
«Sì, ma non durerà molto» lo avvertì il signor Wonka. «È meglio che lo mangi subito!»
«Oh, sciocchezze! Non mangerò il mio palazzo! Io intendo... viverci!» rispose il Principe Pondicherry con determinazione, sedendosi sul trono fatto di cioccolato. Con un gesto regale, leccò il dito della propria mano, convinto che il suo palazzo sarebbe durato per sempre.
Ma il signor Wonka aveva ragione. Un giorno, il sole indiano splendeva più forte che mai, con un calore rovente che avvolgeva ogni cosa. Il Principe Pondicherry vide con sgomento le pareti iniziare a colare. I soffitti si afflosciavano, le torri si piegavano e il cioccolato iniziava a sciogliersi in un torrente dolce e appiccicoso.
In breve tempo, il magnifico palazzo si trasformò in una cascata di cioccolato fuso, macchiando le colline verdi dell'India. Il Principe rimase basito, incredulo di fronte alla devastazione della sua reggia di cioccolato.
***
«Il Principe inviò un altro telegramma richiedendo un nuovo palazzo, ma Willy Wonka aveva i suoi problemi: gli altri produttori di cioccolato, vedi, erano invidiosi del signor Wonka e cominciarono a inviare delle spie per rubare le sue ricette segrete.»
«E rubarono anche la felicità a due persone, non scordarlo» s'intromise nonno George, con tono severo e sguardo cupo.
«Che significa?» domandò Charlie, incuriosito e un po' preoccupato.
Nonno Joe sospirò profondamente, lo sguardo perso nei ricordi lontani. «Willy Wonka era innamorato di una ragazza, Charlie, la più bella che avesse mai amato. Ricordo come se fosse stato ieri quel giorno in cui Theresa venne in negozio per chiedere lavoro...»
***
Theresa era in cerca di un lavoro e, guarda caso, arrivò proprio davanti al negozio di dolciumi più famoso della città, dove sulla porta era stato affisso da poco un annuncio. Avvicinandosi a esso, sentì una donna dire che cercavano qualcuno per le pulizie.
Il negozio era avvolto da un aroma dolce e invitante che le fece venire l'acquolina in bocca. Decise di entrare e, intimidita, si avvicinò alla cassa, dove chiese a nonno Joe di poter lavorare come addetta alle pulizie, esattamente come diceva l'annuncio sulla porta. L'uomo le sorrise gentilmente, con un'espressione accogliente e si allontanò un attimo per andare dal signor Wonka.
Nell'attesa, Theresa si guardò intorno: le allegre pareti a strisce di caramella erano colme di mensole e dolciumi di ogni tipo, dai colorati lecca-lecca appesi al soffitto ai barattoli di caramelle gommose che riempivano ogni scaffale. La gente entrava e usciva continuamente, chiacchierando e ridendo, mentre i bambini osservavano incantati le meraviglie di zucchero e cioccolato.
Nonno Joe tornò pochi istanti dopo, con un sorriso ancora più ampio.
«Il signor Wonka ha piacere di conoscerla» disse.
Theresa sorrise e oltrepassò l'allegra tenda di finte caramelle che conduceva al retro del negozio. Il tintinnio dei fili la fece sorridere mentre si addentrava in quel mondo magico.
Una volta raggiunta la porta dell'ufficio privato del cioccolatiere, bussò con mano tremante. Qualcuno dall'altro lato le permise di entrare, quindi spinse l'anta e fu travolta dal meraviglioso mondo Wonka. L'ufficio era un tripudio di colori e fantasia: dietro l'ampia scrivania, vi era un ragazzo alto, giovane, dagli occhi blu come la notte e i capelli della tonalità del cioccolato fondente.
Theresa aveva creduto che egli fosse un uomo avanti con l'età. Invece sembrava l'angelo che sognava. Il suo viso era delicato ma sicuro, con lineamenti scolpiti e un sorriso affascinante.
L'ufficio del signor Wonka era stupendo. Sulle finestre c'erano le stesse tende di finte caramelle, mentre le pareti erano dipinte di bianco con qualche cerchietto colorato qua e là; le mensole, esattamente come le altre, erano colme di barattoli con dentro dolci Wonka e, a destra, un grazioso sofà rosso brillava sotto la vetrata illuminata dal sole. Scatole di cioccolatini e caramelle erano ordinatamente disposte su ogni superficie, creando un'atmosfera di dolce abbondanza.
«Vieni, avvicinati» le sorrise il cioccolatiere con un tono gentile e rassicurante. Alle mani portava guanti di gomma rossa e indossava un allegro completo viola, con camicia bianca a pallini colorati accuratamente infilata sotto il gilet violaceo. Il suo sorriso era limpido, solare. Era proprio bello.
Theresa gli si avvicinò, ma dinanzi a quegli occhi che la scrutavano con insistenza si sentì a disagio: i suoi capelli biondi erano spenti, il fisico sembrava cedere e gli occhi dalle sfumature del mare non brillavano di luce. Sentiva il peso della stanchezza e della difficoltà della vita, ma cercò di nascondere il suo disagio dietro un sorriso timido.
«Benvenuta, Theresa» disse Willy Wonka, tendendole una mano. «Sono lieto che tu sia venuta. Mi hanno riferito che sei qui per il lavoro delle pulizie.»
«Sì, signore» rispose Theresa con voce tremante.
«Quanti anni hai?»
«Quasi sedici.»
Theresa abbassò lo sguardo, sentendosi travolta da tutte quelle domande.
«Per quale motivo cerchi lavoro? Una ragazza della tua età è impegnata a studiare» le disse il cioccolatiere con preoccupazione nella voce.
Theresa prese un profondo respiro, cercando di mantenere la calma. «Io no, e sa perché? Be', mamma e papà non mi hanno voluta e per sedici anni ho vissuto a casa dei miei zii, che di recente sono venuti a mancare. Nell'ultimo periodo sono stata affidata ai miei nonni, ma appena ho rifiutato di prostituirmi loro mi hanno buttata fuori dalla loro vita. Lo studio? Non ho frequentato scuole, mia zia si è impegnata a insegnarmi quel poco che conosceva. Le basta questo?»
«No. Sai di avere un disturbo dell'alimentazione? Tu non riesci a vederti per quella che sei, vero? Non ti rendi conto di come sei messa... Come ti vedi allo specchio?»
«Lei mi fa sentire a disagio!»
«E tu sei affetta da Anoressia» affermò Willy Wonka con dolcezza. «Sai cos'è?»
Theresa scosse la testa, confusa.
«È una terribile malattia che ti danneggia dentro, impedendoti di essere te stessa. Ad esempio: ti guardi allo specchio e proprio non riesci a piacerti. Sai perché? Perché la tua mente vede l'immagine opposta di ciò che sei realmente. Se tipo sei magra, allo specchio sei il contrario e ti vedi brutta, inutile. Ti rifiuti addirittura di vivere, preferendo morire e scomparire dal mondo piuttosto che continuare a lottare. A te succede questo... o peggio?»
Theresa non rispose. Abbassò lo sguardo, sentendosi impotente davanti a quell'uomo che le stava di fronte. Una stretta le contorse lo stomaco e per un istante desiderò non essere in quella stanza.
«Cosa nascondi sotto ai polsini?» insistette il cioccolatiere, notando i movimenti nervosi delle sue mani.
«A lei che frega?» esclamò Theresa, ma lui non si arrese. Si avvicinò con calma e gentilezza, sedendosi sulla scrivania, fronteggiandola.
Theresa rimase a testa bassa, mentre lui, con gesti delicati, le sfilava via i polsini per osservare due braccia piene di tagli profondi e sanguinanti.
Theresa provò vergogna, una strana sensazione di disagio mista a voglia di piangere.
«Ma perché lo fai? Non serve a niente farlo!» le disse il cioccolatiere, tirando fuori un fazzoletto di stoffa per disinfettare le ferite.
Theresa crollò tra le sue braccia. Non lo conosceva, ma lo strinse forte. In lacrime, lo pregò di ricambiare la stretta ed egli, dolce e sensibile, obbedì. Con un sussurro, le disse che da quel momento in avanti poteva contare su di lui, non era più sola e che al posto delle pulizie poteva, se lo desiderava, divenire la sua apprendista.
La aiutò a diplomarsi in letteratura, le fece intraprendere un corso di lingue e la guarì dall'Anoressia. Theresa divenne una bellissima ragazza luminosa, dai capelli lucenti e gli occhi che sprizzavano energia ovunque andasse. Aveva instaurato un bel rapporto con i colleghi, soprattutto con nonno Joe, ma tra lei e il cioccolatiere stava nascendo qualcosa che andava al di là dell'amicizia, tant'è vero che le rivelò di voler costruire una grande fabbrica di cioccolato.
Poco tempo dopo, il progetto prese vita. Al centro di Cherry Street fu costruita un'enorme fabbrica di cioccolato, ma il signor Wonka non si era dimenticato affatto di Theresa: fu la prima persona, dopo di lui, a mettere piede in fabbrica.
Nel giorno di San Valentino, il cioccolatiere la portò con sé nell'ascensore di vetro e mentre guardavano le stanze dove avrebbero dormito e passato il tempo, prese coraggio e le circondò il volto con le mani, baciandola: aveva le labbra soffici, carnose e il cuore gli scoppiò nel petto.
Theresa realizzò soltanto allora quanto quell'uomo odorasse di noccioline.
«Non ti chiedo di accettare subito, ma concedimi l'onore di averti al mio fianco ogni giorno per proteggerti» le disse, la voce morbida e rassicurante come un caldo abbraccio. I suoi occhi brillavano di una sincerità profonda e amorevole, e il sorriso che gli illuminava il volto sembrava promettere un futuro radioso e sereno.
«Sempre?» gli chiese Theresa, la voce appena un sussurro, mentre un brivido di emozione le percorreva la schiena.
«Sempre, amore mio!»
Con un gesto gentile, il cioccolatiere le accarezzò il viso, la sua mano avvolta nei guanti di gomma rossa scivolava delicatamente sulla pelle, come se volesse sigillare la promessa con un tocco di tenerezza.
Theresa si rese conto che, finalmente, aveva trovato un rifugio sicuro e qualcuno che credeva in lei.
***
«Ma per colpa delle spie il loro amore finì prima ancora di cominciare» disse nonno Joe, il tono della voce intriso di tristezza. «In un'intervista, Theresa ha raccontato che una delle spie rubò l'ennesima ricetta segreta, e lei volle a tutti i costi riprenderla per consegnarla al signor Wonka. Ma egli fraintese e si infuriò con lei, senza darle nemmeno il tempo di spiegarsi. Da allora, la fabbrica fu chiusa per sempre.»
Un silenzio pesante calò sulla casa dei Bucket, come una coperta di gelo che appesantiva l'atmosfera.
«Ma non ha chiuso per sempre» disse Charlie con una scintilla di speranza nella voce. «È aperta adesso.»
«Sì, a volte, quando i grandi dicono sempre, intendono per tanto tempo» gli sussurrò sua madre, tentando di alleggerire la tensione con un sorriso gentile.
«Per esempio: mi sembra di mangiare zuppa di cavoli da sempre!» si lamentò nonno George con una punta di sarcasmo.
«Su, papà!» lo riprese il signor Bucket, ma la tensione rimase palpabile.
«La fabbrica chiuse davvero, Charlie» si intromise nonna Josephine con tono fermo.
«E a tutti sembrò che sarebbe rimasta chiusa per sempre. Inevec, un giorno, vedemmo del fumo uscire dalle ciminiere: la fabbrica aveva ripreso a funzionare» aggiunse nonno Joe, gli occhi lucidi.
«E tu hai riavuto il lavoro?» chiese Charlie, speranzoso.
«No! Nessuno di noi.»
«Ci sarà pure qualcuno che ci lavora.»
«Pensaci bene, Charlie: ti sei mai accorto di qualcuno che sia entrato in quella fabbrica o che ne sia uscito?» lo fece ragionare nonna Josephine.
«No, i cancelli sono sempre chiusi...»
«Esatto!» assentì nonno Joe, mettendo da parte il proprio piatto con un gesto deciso.
«Ma allora chi fa andare le macchine?» insistette Charlie, con la curiosità che non lo abbandonava.
«Nessuno lo sa, Charlie» disse sua madre.
«È certamente un mistero» aggiunse suo padre.
«Nessuno lo ha chiesto al signor Wonka?»
«Nessuno lo vede più. Non esce mai da lì. L'unica cosa che esce da quel posto sono i dolci, già impacchettati e con l'indirizzo. Darei qualunque cosa per poterci entrare ancora una sola volta e vedere che ne è stato di quella magnifica fabbrica» confessò nonno Joe con nostalgia.
«Ma non ci andrai, perché non puoi! Nessuno può! È un mistero e per sempre rimarrà un mistero! Possiamo guardare il tuo modellino, Charlie, ma non entrare nella fabbrica vera» disse severamente nonno George, con tono autoritario che sottolineava la gravità della situazione.
«Avanti, Charlie, è ora di lasciare che i nonni dormano un po'» lo congedò sua madre.
Charlie salutò i suoi nonni con un bacio delicato sulle guance ossute, sentendo un senso di tristezza e determinazione mentre si preparava a salire in camera. Dopo aver ascoltato la frase di nonna Georgina: «Niente è impossibile, Charlie!» salì lentamente le scale.
La sua stanza, piccola e spartana, era il suo rifugio personale. Un singolo letto con un materasso sottile era affiancato da un mini comodino, e le pareti, rovinate e sbiadite, erano adornate con ritagli di carte di tavolette di cioccolato Wonka. Mentre ammirava dalla finestra la fabbrica in lontananza avvolta dal buio, l'impossibile si stava già realizzando.
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