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Capitolo 18

La strada che percorrevano era irregolare e aspra, ricoperta di terra e sassi che rendevano ogni passo una piccola fatica. Il freddo pungente sembrava insinuarsi tra le pieghe dei vestiti, e Theresa, con il fiato corto, si guardava attorno con un crescente senso di inquietudine.

Il paesaggio circostante non offriva conforto: molte case, probabilmente un tempo abitate, erano adesso sprangate con assi di legno e chiodi arrugginiti. I campi, un tempo rigogliosi, erano popolati da spaventapasseri deformi. Le loro teste tonde di pezza mostravano occhi di bottoni grandi e neri, e un sorriso malefico cucito a zig zag. Le braccia, rigide e spigolose, sembravano allungarsi verso il vento, quasi a voler intrappolare chiunque osasse avvicinarsi.

Theresa seguiva Willy Wonka arrancando sul terreno accidentato, il rumore dei suoi passi un ritmo regolare che rompeva il silenzio opprimente. Ogni tanto lanciava uno sguardo nervoso alle ombre tremolanti che sembravano muoversi ai margini della strada. Si sentiva fuori posto, quasi un'intrusa in quel luogo spettrale.

«Questo posto sembra maledetto», mormorò, stringendosi nella sua pelliccia per cercare calore.

Wonka, davanti a lei, non rispose subito. Avanzava con una determinazione quasi ostinata, le borse pesanti che gli tagliavano la mano. Ma anche lui sembrava stanco, e ogni tanto rallentava per permetterle di recuperare il fiato.

Il silenzio fu interrotto da un movimento improvviso. Una vecchietta, avvolta in uno scialle scuro, si affacciò a una finestra poco distante. I suoi occhi piccoli e scrutatori si posarono su Theresa con una curiosità malcelata, ma quando incrociarono lo sguardo del cioccolatiere, la donna si ritirò bruscamente, chiudendo la finestra con un tonfo.

Theresa rabbrividì.

«Non mi piace come ci guardano qui», sussurrò.

«È perché siamo nuovi», rispose Wonka con un'alzata di spalle, cercando di minimizzare. Ma il suo sorriso, solitamente sicuro, sembrava meno convinto del solito.

All'orizzonte si stagliò finalmente una figura imponente: una grande dimora oscura, circondata da una distesa di campi incolti e avvolta in una coltre di nebbia.

«Quella è la casa?», chiese Theresa, scrutando la sagoma minacciosa.

«L'abitazione dei Van Tassel», confermò egli con un sorriso stanco.

Theresa gemette. «Sembra ancora lontanissima. I miei piedi mi odiano.»

Anche il cioccolatiere rallentò, lasciando cadere le borse con un sospiro.

«Facciamo una pausa», disse, indicandole un muretto di pietra che separava la strada dai campi deturpati.

Si sedettero uno accanto all'altra, condividendo una bottiglietta d'acqua. Il silenzio tra loro era carico di fatica e pensieri non detti, ma c'era anche un senso di complicità nel modo in cui si lanciavano sguardi fugaci.

«Sai», disse Theresa, rompendo il silenzio, «ho sempre pensato che saresti stato un pessimo compagno di viaggio. E invece...»

Wonka sollevò un sopracciglio, fingendo indignazione. «E invece cosa?»

Lei sorrise debolmente. «E invece non sei così male. Quando non parli troppo, intendo.»

Lui rise, un suono basso e sincero, prima di scattare in piedi. «Andiamo, mia cara attrice. La scena finale ci aspetta.»

Theresa sbuffò, ma raccolse una delle borse, aiutandolo a proseguire. La casa dei Van Tassel sembrava finalmente avvicinarsi, sebbene ogni passo fosse una piccola battaglia contro il terreno irregolare.

Arrivarono che era ormai notte fonda. Il gelo aveva preso possesso del paesaggio e l'oscurità era spezzata solo dalla luce fioca di una lanterna che pendeva accanto alla porta principale. L'uscio era imponente: due enormi porte di legno scuro con intarsi consumati dal tempo e battenti metallici a forma di testa di leone.

Wonka prese uno dei battenti e bussò con forza, il suono che riecheggiò come un rintocco funesto nel silenzio. Mentre attendevano, i suoi occhi furono attratti da una scena sulla destra: due figure si baciavano appassionatamente, le ombre dei loro corpi intrecciate sotto la luce della lanterna.

Theresa notò il suo sguardo e lo colpì leggermente sul braccio.

«Signor Wonka!», lo rimproverò.

Lui si voltò con un sorriso furbo. «Che c'è? Non posso godermi un po' di romanticismo?»

Lei lo fissò con severità. «Sei incorreggibile.»

«Vuoi farlo anche tu?», le propose con disinvoltura, inclinando la testa. Poi aggiunse, con un sorriso nostalgico, «O preferivi quella volta in ascensore?»

Theresa arrossì e aprì la bocca per rispondere, ma proprio in quel momento le grandi porte si aprirono, interrompendo il loro scambio. Un uomo in abiti scuri e dall'aria austera li accolse con un cenno del capo.

Il cioccolatiere, senza perdere tempo, raccolse le borse e varcò la soglia con il suo tipico passo teatrale. Theresa, con un ultimo sguardo al buio che li circondava, lo seguì nella dimora.

«Spero che tu sappia cosa stai facendo», gli sussurrò.

«Io? Sempre.»

L'interno della dimora era un trionfo di opulenza e mistero. Ogni angolo sembrava raccontare una storia antica: le candele, poste su alti candelabri d'ottone finemente lavorati, proiettavano ombre danzanti sulle pareti rivestite di pannelli scuri. Il legno lucido rifletteva la luce tremolante, creando un'atmosfera che oscillava tra l'elegante e il lugubre.

I mobili erano sfarzosi, con intarsi di scene mitologiche e bordature dorate, mentre antichi oggetti di valore decoravano ogni superficie: orologi a pendolo, statuette in porcellana e vasi dai dettagli intricati, che sembravano provenire da terre lontane. Un tappeto persiano di grande fattura si estendeva per tutta la lunghezza del salone principale, attutendo i passi degli ospiti che si muovevano con disinvoltura.

Le persone presenti sembravano già essersi immerse pienamente nell'atmosfera della festa. Alcuni si radunavano attorno ai musicisti intenti a perfezionare gli accordi di un clavicembalo antico e di strumenti a corda, commentando con entusiasmo. Altri, con calici di cristallo in mano, chiacchieravano animatamente in piccoli gruppi, i loro abiti sfarzosi che riflettevano le luci dorate del salone.

I camerieri, impeccabilmente vestiti, si muovevano come ombre tra gli invitati, portando su vassoi argentati drink e dolcetti che diffondevano nell'aria un leggero aroma di vaniglia e agrumi. Theresa, che inizialmente si era avvicinata a un lato della stanza per osservare con discrezione, si ritrovò all'improvviso circondata da un gruppo di bambine. I loro occhi brillavano di meraviglia, e tirandola per le mani, la trascinarono via.

«Sei una principessa, vero?», chiese una di loro, ammirando il corsetto tempestato di pietre scintillanti che Theresa indossava.

Lei sorrise, leggermente imbarazzata, cercando di non inciampare mentre veniva trasportata nel vortice della loro eccitazione.

Intanto, Willy Wonka, rimasto indietro, scrutava la scena con un sorriso divertito prima di incamminarsi tra la folla. Camminava con la sua solita aria disinvolta, evitando con grazia il gruppo di ragazzi che circondavano una fanciulla bendata. Il centro dell'attenzione era proprio lei, con i lunghi capelli dorati che le cadevano sulle spalle e un sorriso che prometteva malizia.

«La strega Pickety!», borbottava la ragazza, girando attorno ai ragazzi con movimenti aggraziati. «Chi bacerà la strega Pickety?»

Le sue parole erano accompagnate da risatine divertite, mentre gli altri giovani la incitavano. Wonka stava per oltrepassarli, ma prima che potesse evitare del tutto la scena, si ritrovò coinvolto, afferrato per le guance dalla fanciulla bendata.

L'attenzione di Theresa, dall'altro lato della stanza, fu catturata da quel momento. Si fermò di colpo, le bambine che l'accompagnavano le tiravano la mano per continuare, ma lei rimase a fissare la scena, con una piega irritata che le apparve sulle labbra.

La fanciulla bendata si sollevò leggermente in punta di piedi, annusando l'aria come a voler riconoscere il suo interlocutore.

«Sei Theodore?», chiese con un sorriso civettuolo.

«Perdonatemi, sono solo uno straniero», rispose il cioccolatiere.

«Allora un bacio in acconto», sorrise la ragazza, posandogli un bacio sulla guancia e poi togliendosi la benda per guardarlo negli occhi.

Theresa scattò via, la rabbia e il disagio evidenti nel suo portamento rigido. Wonka la notò immediatamente e fece per seguirla, ma la fanciulla, ora visibilmente incuriosita, lo bloccò.

«Sto cercando Baltus Van Tassel», disse allora il cioccolatiere, inclinando leggermente il capo.

«Sono sua figlia: Katrina Van Tassel», si presentò la ragazza, con un tono che trasudava sicurezza.

Il fidanzato di Katrina, un giovane dall'aspetto imponente con capelli biondo grano e occhi chiari, fece un passo avanti, scrutando Wonka con fare sospettoso. «E voi chi siete, amico? Non abbiamo udito il vostro nome.»

«Non l'ho detto. Chiedo scusa!», rispose il cioccolatiere. Si inchinò leggermente verso Katrina, in un gesto teatrale che mascherava la sua intenzione di lasciare rapidamente la conversazione.

Fece per andarsene, ma il giovane lo afferrò per le spalle con una forza che trasmetteva ostilità. «Siete un maleducato!», gridò, la voce che riecheggiò nel grande salone.

La tensione nella stanza sembrò crescere improvvisamente, ma Katrina intervenne con voce ferma. «Brom!»

Fu allora che un uomo corpulento, con una corporatura tarchiata e un viso stanco segnato dalle rughe, avanzò lentamente verso il gruppo. Indossava un completo che un tempo doveva essere stato elegante, ma ora appariva leggermente trasandato. I suoi capelli bianchi e radi erano pettinati con cura, mentre un'aria bonaria contrastava con il suo tono fermo.

«Via, via! Qui non si solleva la voce!», esclamò, gettando un'occhiata severa al giovane. Poi si rivolse a Wonka con un sorriso forzato. «È solo per sollevare lo spirito, in questi tempi duri, che io e la mia cara moglie stiamo dando questa festicciola. Giovanotto, siete il benvenuto! Anche se vendete qualcosa...»

Accanto a lui comparve una figura di straordinaria bellezza: una donna alta, dal portamento elegante, con lunghi capelli color cenere raccolti in uno chignon impeccabile. Il suo abito nero, in stile medievale, era perfettamente aderente, mettendo in risalto la sua figura slanciata. Gli occhi chiari brillavano di una luce enigmatica, mentre un sorriso che sembrava al contempo dolce e sinistro le incorniciava le labbra.

«Grazie, signore! Sono l'agente Ichabod Crane, inviatovi da New York per indagare sugli omicidi a Sleepy Hollow», spiegò Wonka, esibendo con teatralità una lettera scritta su pergamena gialla. La porse a Baltus Van Tassel con un movimento misurato, assumendo un'espressione seria e autoritaria per calarsi immediatamente nel suo ruolo.

Baltus lesse la lettera con attenzione, strofinandosi il mento pensieroso. Alzò lo sguardo su Wonka con un misto di sollievo e preoccupazione.

«Allora Sleepy Hollow vi è grata, agente Crane, e spero che vorrete onorarci alloggiando in questa casa.» Accanto a lui, Lady Van Tassel annuì con un sorriso cordiale, ma i suoi occhi freddi tradivano uno sguardo malefico e quasi infastidito.

«Ben detto, cara! Vi sistemeremo noi.»

«Sono con la mia assistente», aggiunse il cioccolatiere.

«Certo. Ehm... Musica!», concluse Baltus, alzando la voce in modo esagerato per coprire qualsiasi tensione residua.

La sala tornò rapidamente rumorosa. I musicisti ripresero a suonare un allegro minuetto e gli ospiti si dispersero nuovamente tra risate e conversazioni animate. Baltus si allontanò, scortato da un piccolo gruppo di amici, dirigendosi verso una stanza appartata.

Una giovane servetta, dal volto pallido e dall'aspetto timido, si fece avanti con un inchino per condurre il cioccolatiere verso la camera degli ospiti. Indossava un abito grigio lungo e un grembiule bianco, le mani strette nervosamente davanti a sé.

La scala scricchiolò sotto i loro passi mentre salivano verso la soffitta. Lungo il percorso, i lampadari di ferro battuto proiettavano ombre tremolanti sui muri di pietra, accentuando l'atmosfera austera e opprimente della casa.

La camera assegnata era modesta. Sebbene pulita, mostrava i segni del tempo: il letto singolo, con una coperta logora di lana, era sistemato contro la parete. Una cassettiera di pietra occupava l'altro lato della stanza, accanto a uno specchio con la cornice in legno scheggiata. Sotto una piccola finestra appannata si trovava una vecchia scrivania, i cui cassetti apparivano leggermente inclinati. Una porta conduceva a un bagno angusto, privo di comfort, ma sufficiente per l'essenziale.

Willy Wonka iniziò a disfare i suoi borsoni con gesti precisi. Fu interrotto dal ritorno della servetta, che entrò nella stanza portando una brocca di ceramica bianca con dell'acqua fresca.

«Per favore, dite al signor Van Tassel che scenderò fra qualche minuto», le disse cortesemente, senza sollevare lo sguardo.

La ragazza annuì rapidamente, ma la sua voce tremò mentre rispondeva: «Grazie a Dio siete qui!»

Quella frase, pronunciata con un tono intriso di terrore, fece alzare un sopracciglio al cioccolatiere. La osservò uscire dalla stanza con passi frettolosi, il grembiule che ondeggiava dietro di lei. Un brivido gli percorse la schiena, ma decise di ignorare la sensazione e prepararsi a scendere.

«Per favore, fate rientrare la mia assistente. È fuori, in veranda.»

*

Theresa, nel frattempo, si trovava fuori, osservando il paesaggio desolato. Il freddo intenso le arrossava le guance, ma era troppo presa dai suoi pensieri per farci caso. Davanti a lei si estendevano campi morti e scheletrici, avvolti da un sottile velo di nebbia che sembrava soffocare qualsiasi calore o speranza. Un senso di rancore le si era annidato dentro, amplificato dal gioco di poco prima, che l'aveva lasciata irritata e frustrata.

Con un sospiro pesante, decise di rientrare. La servetta la accolse con un gesto educato, conducendola verso la soffitta. Salirono insieme la scala scricchiolante, ma durante il tragitto Theresa notò che Katrina Van Tassel la stava osservando dalla sala sottostante. I loro sguardi si incrociarono per un istante: quello di Theresa era carico di rabbia, mentre Katrina le rispose con un'espressione enigmatica, quasi divertita.

Arrivata in soffitta, Theresa si arrampicò con fatica sugli ultimi gradini e varcò la porta senza dire una parola. Ignorò volutamente Wonka, dirigendosi verso il piccolo bagno.

«Theresa...»

Lui la fermò con un movimento deciso, posizionandosi di fronte a lei. I suoi occhi cercarono quelli di Theresa, scrutandone l'espressione.

«Lasciami stare», mormorò lei, cercando di allontanarsi.

Ma lui, senza darle il tempo di reagire, le prese il viso tra le mani e la baciò. Theresa sentì il cuore martellare nel petto, un turbinio di emozioni contrastanti che la travolse: rabbia, frustrazione, ma anche qualcosa di più profondo e confuso.

Quando finalmente si separò, Theresa lo guardò dritto negli occhi. Le sue guance erano arrossate, ma il suo sguardo si indurì. Con un gesto improvviso e deciso, alzò la mano e lo schiaffeggiò, il suono netto che riecheggiò nella stanza.

Wonka rimase immobile, lo sguardo sorpreso, mentre lei si allontanava verso il bagno senza voltarsi.

L'atmosfera nella stanza era carica, come se ogni oggetto fosse impregnato dell'eco di ciò che era appena accaduto.

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