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Capitolo 17

Intorno a mezzanotte, l'abito azzurro di Cenerentola giaceva sul manichino accanto alla finestra della camera da letto, il tessuto scintillante rifletteva i raggi argentei della luna come una promessa sospesa nel tempo. I cristalli sembravano stelle catturate, pronte a raccontare un sogno che non voleva svanire.

Wonka e Theresa erano distesi uno accanto all'altra, separati solo dall'invisibile barriera dei pensieri non detti. Lui teneva le mani intrecciate sul petto, fissando il soffitto con un'espressione indecifrabile, mentre lei giocherellava con un lembo del lenzuolo, gli occhi fissi su un punto indefinito dell'oscurità. Non c'era stato alcun contatto oltre un abbraccio timido, quasi rubato, e un bacio rapido, ma non per questo privo di peso.

Il canto dei grilli filtrava dalla finestra socchiusa, un sottofondo vivo che accompagnava i loro silenzi. Fuori, i passanti si muovevano come ombre nella notte, guidati dalla luce calda dei lampioni, inconsapevoli del microcosmo fragile che si era formato in quella stanza.

Theresa si alzò senza far rumore, come temendo di spezzare un incantesimo, e accese la lampada sul comodino. La luce soffusa accarezzò i tratti del cioccolatiere, rivelandone la quieta vulnerabilità. Egli rimase immobile, i suoi occhi blu -due profondità insondabili- si spostarono lentamente su di lei, come se aspettasse da sempre quel momento. Non c'era impazienza nel suo sguardo, solo la silenziosa predisposizione di chi sa ascoltare.

Theresa sedette sul bordo del letto, il suo sguardo che si posava su di lui con esitazione.

«Tu pensi che ci sarà un domani tra noi?», chiese infine, con un filo di voce, come se temesse di rompere qualcosa di prezioso.

Wonka non rispose subito. Le sue labbra si mossero appena, il pensiero prendendo forma in un lieve sorriso che non raggiunse mai del tutto gli occhi.

«Non lo so», rispose. Poi aggiunse, con un accenno di dolcezza quasi infantile: «Ma lo vorrei tanto.»

Per un istante, l'aria nella stanza sembrò farsi più densa, come se il tempo si fosse fermato per lasciare spazio a quella confessione. La luce del comodino tremolò leggermente, e il riflesso dell'abito azzurro baluginò sulle pareti come un'ombra danzante. Theresa non distolse lo sguardo, ma sentì il peso di ciò che non veniva detto: il desiderio di un domani, il timore di un futuro incerto, e tutto ciò che li teneva sospesi, in bilico tra un sogno e la realtà.

Nel silenzio, una lacrima solitaria le scivolò lungo il viso, brillando debolmente alla luce tenue della lampada. Wonka la osservò in silenzio per un istante, poi alzò la mano con delicatezza, asciugandole la guancia con il dorso delle dita, il gesto così lieve da sembrare quasi un soffio.

Theresa distolse lo sguardo, fissando il vuoto.

«Sento il costante bisogno di scappare, di allontanarmi da tutto quello che può farmi male», confessò con voce tremante. Poi, più sommessamente, aggiunse: «A volte penso che non sappia fare altro.»

Il cioccolatiere abbassò lo sguardo, le sopracciglia che si piegarono in un'espressione di rimorso.

«Mi dispiace», mormorò. «È stata colpa mia?»

Lei scosse la testa con un sorriso triste. «No... o forse sì, non lo so. È la mia natura, credo. Ogni volta che qualcosa inizia a contare troppo, sento una voce dentro che mi dice di andare via.»

Non ci fu una risposta immediata. Il cioccolatiere si sporse verso di lei, la prese per le spalle e la spinse con dolcezza contro il suo petto.

«Io non voglio che tu scappi», le sussurrò. «Non ancora. Non questa volta.»

Theresa rimase immobile per un istante, poi si lasciò andare, posando la fronte sulla sua spalla. Il suo respiro si calmò, e si ritrovarono avvolti in un abbraccio che sembrava voler sfidare il tempo. Passarono la notte così, aggrappati l'uno all'altra come naufraghi su una zattera, dormendo e sognando a tratti. E nei momenti di dormiveglia, ricordarono. Rividero il giorno in cui si erano conosciuti, quella dolce e amara consapevolezza di essere destinati, ma mai davvero completi.

Al mattino, la quiete della notte lasciò spazio al familiare frastuono della stanza delle invenzioni. Charlie, con un grembiule troppo grande per la sua figura minuta, ascoltava attentamente mentre Wonka spiegava i segreti del mestiere con il suo inconfondibile tono eccitato. Il grande tavolo in acciaio, perfettamente lucido, vibrava occasionalmente per il ronzio delle macchine circostanti, mentre gli Umpa-Lumpa andavano avanti e indietro con il ritmo di un'orchestra ben rodata.

Theresa, in disparte, era concentrata su una serie di esperimenti con la Theresa, un dolce a forma di rosa blu dal profumo inebriante. Aveva le dita macchiate di colorante perché, contro il parere del cioccolatiere, si era ostinata a lavorare senza guanti, consapevole che fosse poco igienico.

«Mi sento le mani imprigionate!», esclamò a un certo punto, cercando di strofinare via il colore blu con scarsi risultati.

Wonka, intento a seguire Charlie, si girò appena, alzando un sopracciglio con aria di rimbrotto.

«Allora arrangiati!», le disse, agitando il mestolo di cioccolato che teneva in mano come una bacchetta.

Theresa gli lanciò un'occhiata irritata, ma le sue labbra si piegarono in un sorriso involontario. La loro interazione fu interrotta da un Umpa-Lumpa che avanzò rapido verso cioccolatiere, stringendo tra le mani una lettera sigillata con un vistoso marchio rosso.

Il cioccolatiere prese la busta con curiosità, osservandola attentamente. La carta era spessa, elegante, e il sigillo recava un simbolo raro.

«Interessante», mormorò, mentre rompeva il sigillo. Gli occhi di Theresa si sollevarono dalla sua rosa blu, catturati dalla curiosità. Anche Charlie si avvicinò, trattenendo il respiro.

Wonka estrasse il foglio contenuto all'interno e lesse in silenzio, il suo sguardo che si trasformava da curioso a serio, e infine enigmatico. Rimase fermo per un lungo momento, poi piegò il foglio con cura e lo infilò nella tasca interna della giacca.

«Qualcosa di importante?», chiese Theresa, cercando di mascherare l'ansia nella voce.

«Forse. Ma prima dobbiamo finire il nostro lavoro qui.»

Fu solo nel tardo pomeriggio, con la luce dorata del tramonto che filtrava dalle finestre della fabbrica, che Theresa trovò il coraggio di affrontarlo. Wonka era intento a sistemare alcune carte nel suo ufficio quando lei irruppe, decisa a ottenere spiegazioni.

«A proposito di quella lettera», iniziò, incrociando le braccia davanti al petto. «Di cosa si trattava davvero?»

Wonka alzò lo sguardo, un sorriso giocoso che sfiorava le sue labbra. «Oh, quello? È un invito. Mi sono iscritto a un gioco di ruolo.»

Theresa inarcò un sopracciglio, sorpresa e confusa. «Un gioco di ruolo?»

«Sì!», confermò lui con entusiasmo, agitando una mano come a minimizzare la questione. «Un'esperienza immersiva. Assumeremo le vite di qualcun altro per un po'.»

«Assumeremo?», ribatté Theresa, con una punta di esasperazione nella voce. «E tu hai deciso per entrambi senza nemmeno consultarmi?»

Wonka chiuse il fascicolo che aveva in mano e si appoggiò al bordo della scrivania, le braccia incrociate davanti al petto. «Se ti avessi consultata, avresti detto di no.»

«Ovviamente! Ma perché mai dovremmo prendere il posto di qualcun altro? Non ha alcun senso.»

«Per schiarirci le idee», rispose lui con calma. Poi aggiunse, con una nota più leggera: «Sei un'attrice, no? Io sono solo un cioccolatiere. Perché non provarci? Sei stata me per tutto questo tempo... ora è il mio turno. Sarà divertente.»

«E se non fosse solo un gioco, Willy? Se fosse qualcosa di più pericoloso?»

«Rischieremo», replicò lui, il tono ora più serio.

La conversazione finì in un silenzio teso.

Per il resto della giornata, Theresa evitò il cioccolatiere, sentendosi irritata e inquieta. Aveva un brutto presentimento: l'idea di prendere il posto di qualcun altro le sembrava sbagliata, artificiale e le faceva pensare a una fuga dai problemi anziché a una soluzione.

Wonka, dal canto suo, sembrava irremovibile. Il suo desiderio di vivere un'avventura diversa lo spingeva avanti, convinto che mettersi in gioco fosse l'unico modo per riaccendere qualcosa tra loro.

Più tardi, quando il sole era ormai calato e la fabbrica immersa nell'oscurità, Wonka entrò in camera. Theresa era sdraiata sul letto con il cellulare tra le mani, ma al suono della porta che si apriva, sollevò lo sguardo.

La figura che vide davanti a sé la lasciò senza parole. Wonka era irriconoscibile: vestiva completamente di nero, con un lungo cappotto scuro che gli sfiorava le ginocchia, alti stivali di gomma lucida e una camicia bianca senza la sua caratteristica spilla dorata. I capelli, normalmente spettinati e selvaggi, erano stati tirati indietro con precisione, lasciandolo sembrare più austero e distante. Ai suoi piedi, accanto alla porta, c'erano due grandi borsoni neri, gonfi di oggetti misteriosi.

Theresa scoppiò a ridere, ma il suono era più di scherno che di allegria. «Tu sei matto!»

Wonka si avvicinò lentamente, fissandola con quel suo sguardo penetrante, gli occhi blu che brillavano come cristalli al chiaro di luna.

«Tutti i migliori sono matti», rispose, con un accenno di sorriso.

Theresa si mise a sedere sul letto, stringendo il telefono tra le mani. «Io non voglio stare al tuo gioco, Willy. Non mi piace questa idea.»

Wionka si fermò ai piedi del letto, incrociando le braccia. La sua voce si fece più ferma, meno scherzosa.

«Io al tuo continuo a starci», ribatté. «Sto portando pazienza, Theresa. È da mesi che ti lascio tutto il tempo che vuoi. Per una volta, fa' quello che ti chiedo.»

Il peso di quelle parole cadde su di lei come una pietra. Abbassò lo sguardo, indecisa se rispondere o ribellarsi. Ma alla fine sospirò, arrendendosi.

«Che cosa devo fare?», mormorò, con un filo di voce.

Wonka si rilassò appena, il sorriso tornando a incurvargli le labbra.

«Vestiti», disse. «Prepara una borsa con qualche cambio. Partiamo tra un'ora.»

Theresa lo fissò per un lungo istante, cercando di interpretare il miscuglio di emozioni che passava sul suo volto. Poi annuì lentamente, anche se una parte di lei non poteva fare a meno di chiedersi se stesse facendo la scelta giusta.

Willy Wonka si sistemò il cappello inclinato sulla testa, osservando Theresa con un'espressione quasi solenne prima di decidersi a metterlo via.

«Nel posto dove stiamo andando, le apparenze sono tutto», le spiegò, indicando l'abito che le aveva preparato.

Theresa rimase a fissarlo con un misto di curiosità e incredulità. L'abito che le porgeva era uno spettacolo di contrasti: la gonna acquamarina, con strati di tulle rosa che si sovrapponevano come onde di zucchero filato, era abbinata a un corsetto decorato con pietre scintillanti che riflettevano ogni scintilla di luce. Sembrava uscito da un sogno fiabesco, eppure c'era un tocco di teatralità che lo rendeva perfettamente in linea con l'estrosità di Wonka.

«È un po'... eccessivo, non trovi?», osservò Theresa, tenendo il vestito davanti a sé.

«Eccessivo? Pff! Il troppo non è mai abbastanza», rispose lui con un sorriso enigmatico. Poi, le porse una pelliccia bianca morbida come zucchero a velo, insieme a un paio di cuffie per le orecchie e guanti pelosi. «Non vorrei che ti congelassi.»

Theresa sospirò, ma alla fine accettò. Quando la sua valigia fu pronta, si incamminarono verso la loro nuova destinazione, il cuore appesantito dal timore dell'ignoto.

Ad attenderli nel gelo della notte c'era una carrozza nera imponente, con sedili rivestiti di velluto scuro e dettagli intagliati nel legno lucido. Tre destrieri altrettanto neri, con gli occhi luccicanti come carbone acceso, erano pronti a trainarla attraverso il paesaggio innevato.

Theresa si fermò un attimo, rabbrividendo mentre osservava la scena.

«Chi baderà alla fabbrica?», chiese, cercando di rompere il silenzio.

Wonka la guardò sopra la spalla, il suo sorriso disinvolto illuminato dal bagliore lunare.

«Non preoccuparti», rispose, facendo un gesto teatrale con la mano. «È tutto sotto controllo.»

Ma Theresa non ricambiò il sorriso. Salì sulla carrozza senza fare altre domande, il suo sguardo fisso sul paesaggio che lasciavano alle spalle. Attraverso il piccolo finestrino, vide i contorni familiari della fabbrica scomparire nella distanza, mentre il rumore dei cavalli che avanzavano spezzava il silenzio della notte.

Per un po', non si dissero una parola. Wonka era immerso in un libricino che aveva ricevuto insieme all'invito, i suoi occhi che scorrevano veloci sulle righe come se cercasse di decifrare un enigma. Theresa, invece, lo osservava in silenzio, cercando di capire cosa lo spingesse a voler partecipare a una follia del genere.

«È sicuro, il posto dove stiamo andando?», chiese finalmente, rompendo il silenzio.

«Sarà tutto finto, vedrai», rispose con leggerezza. «Dobbiamo solo recitare la nostra parte.»

Theresa non sembrava del tutto convinta. Si sistemò meglio sul sedile, incrociando le braccia.

«Ho partecipato a giochi di ruolo prima, ma non sono mai stati così... strutturati», disse, lanciando un'occhiata al libricino che il cioccolatiere teneva tra le mani. Notò una frase scritta in caratteri eleganti: Ragione più dedizione scoprono la verità.

«Che significa?», chiese, indicandola; Wonka alzò un sopracciglio e fece una pausa teatrale.

«È un mistero!», esclamò, portando una mano al mento come se stesse riflettendo profondamente.

Theresa scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Poi si lasciò andare, stendendosi con la testa sulle sue gambe.

«Sei impossibile», mormorò, ma il suo sorriso tradiva un'ombra di affetto.

Wonka, intanto, si mise a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli, il suo sguardo che vagava tra i fili dorati e quegli occhi luminosi che lo fissavano. Per un momento, tutto sembrò tranquillo, quasi normale.

Ma la tranquillità non durò a lungo. La strada divenne sempre più tortuosa e il cielo notturno si riempì di nuvole scure. Era notte fonda quando un ululato lontano li fece sussultare. La carrozza traballò su un solco, e Theresa si raddrizzò di colpo.

«Lupi?», mormorò, con una punta di ansia nella voce.

Wonka posò una mano rassicurante sulla sua spalla, ma non disse nulla. Entrambi abbassarono istintivamente la testa, ascoltando gli ululati che sembravano sempre più vicini.

Finalmente, dopo un tempo che sembrò infinito, la carrozza si fermò con uno scossone. Il cioccolatiere e Theresa scesero, raccogliendo i loro bagagli. Davanti a loro si estendeva un paesaggio desolato: metri e metri di campi spogli, congelati dal gelo invernale, che circondavano un piccolo villaggio in lontananza. Una sottile nebbia avvolgeva ogni cosa, rendendo il panorama ancora più spettrale.

Theresa si strinse nella pelliccia, rabbrividendo.

«Che posto lugubre...», constatò, la sua voce un sussurro. «Ma dove siamo?»

Wonka si fermò accanto a lei, guardando il villaggio con un sorriso enigmatico.

«Benvenuta a Sleepy Hollow!», annunciò, sollevando le borse e incamminandosi verso le tenebre senza voltarsi.

Theresa rimase ferma per un istante, lo stomaco stretto in una morsa. Poi, con un ultimo sguardo al cielo plumbeo sopra di loro, sospirando, lo seguì nelle ombre.

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