Capitolo 14
Il sole di un nuovo giorno illuminò la città, avvolgendola in una luce dorata. La pioggia della notte precedente era ormai solo un ricordo, e le strade, ancora umide, riflettevano timidi barlumi di luce mattutina.
Nella fabbrica Wonka tutto era avvolto in un silenzio delicato, quasi irreale, come se il mondo stesso attendesse di risvegliarsi con calma.
Theresa si svegliò poco dopo le otto, stiracchiandosi con un sorriso leggero. Era strano per lei trovarsi lì, ancora avvolta nella calma della stanza come se il tempo si fosse preso una pausa. Seduta sul bordo del letto, si guardò intorno: le pareti adornate con carte da parati dai motivi stravaganti, le piccole sculture di cacao che adornavano i mobili, ogni cosa sussurrava il tocco eccentrico e visionario del padrone di casa.
Si alzò piano, il pavimento freddo sotto i piedi nudi, e afferrò distrattamente la camicia del cioccolatiere, la prima cosa a portata di mano, dal profumo dolce di noccioline.
Con la camicia a coprirla come una morbida armatura, si diresse verso la porta del bagno. Proprio sull'uscio, però, si fermò, sorpresa: lì, in piedi, impeccabile e mattiniero come sempre, c'era il signor Wonka, un sorriso enigmatico sulle labbra e un vassoio tra le mani, pieno di leccornie preparate con la stessa cura di una sinfonia.
Il cioccolatiere la osservava in silenzio, con quegli occhi che parevano in grado di scrutare ogni sfumatura del mondo. Sotto il suo sguardo, Theresa si sentì improvvisamente incerta, come se ogni suo pensiero le fosse stato letto e analizzato. "Cosa hai da guardare? Smettila!", disse mentalmente, notando la sua espressione fissa e quasi teatrale.
La tensione si sciolse quando lui, finalmente, rompendo il silenzio con un tono dolce ma riservato, le chiese dove stesse andando. Le sue parole, benché gentili, nascondevano un interesse attento.
«Volevo fare un bagno», rispose Theresa, il tono più sicuro di quanto in realtà si sentisse.
Il cioccolatiere si fermò, un piccolo sorriso appena accennato sulle labbra, e annuì lentamente. Sembrava quasi riflettere su quella risposta, come se nella semplicità del gesto di lavarsi ci fosse una qualche verità nascosta da cogliere. Fece un cenno verso il bagno, invitandola a procedere, ma non fece altro. Rimase in attesa, con il vassoio ancora tra le mani, come se ogni sua mossa fosse parte di una coreografia invisibile, un passo dopo l'altro.
Theresa, tuttavia, si lasciò scivolare di nuovo sul letto, l'impulso del bagno messo da parte, almeno per il momento. Aveva fame e la tentazione di quella colazione ricca e stravagante la vinse. Afferrò un biscotto e lo addentò, un sapore di caramello e cannella che le esplose sulla lingua, risvegliandola più della luce mattutina.
Wonka la guardò addentare il biscotto con un lampo di soddisfazione negli occhi, come se ogni reazione alla sua creazione fosse per lui la più grande delle conferme.
Era decisamente un uomo enigmatico, pensò Theresa mentre lo osservava di sottecchi. Chi mai preparerebbe una colazione come quella, all'alba, senza apparire minimamente stanco?
Quello che seguì non fu tanto un momento di imbarazzo, quanto piuttosto una strana sospensione, una specie di distanza silenziosa, come se entrambi faticassero a trovare le parole giuste per commentare la notte passata insieme. Ogni tentativo di parlare sembrava un azzardo, e l'aria era tesa, intrisa di sguardi pieni di domande mute e di quel vuoto allo stomaco che arriva quando si avverte che qualcosa è cambiato.
Theresa lo osservava con un misto di tenerezza e incertezza, mentre Wonka, perso nei suoi pensieri, fingeva di concentrarsi sulla colazione, ma il suo sguardo vagava inquieto. Sembrava quasi... confuso. Era un lato di lui che lei non vedeva spesso, e che, se possibile, lo rendeva ancora più vulnerabile e umano.
«Come ti senti?», gli chiese finalmente Theresa, in un sussurro che spezzò il silenzio.
Wonka la guardò, con quegli occhi che parevano in grado di decifrare qualsiasi emozione, ma che in quel momento rivelavano solo una nube d'incertezza.
«Credo confuso», rispose piano, la sua voce più fragile e meno teatrale del solito.
C'era una sincerità nel suo tono che lei non si aspettava, e quel piccolo segnale la fece sentire ancora più a disagio. Sembrava impotente di fronte a quel suo turbamento, come se non avesse gli strumenti per aiutarlo. Aveva paura di aver fatto una sciocchezza che lui, proprio lui, non sapeva come gestire.
Dopo un attimo di silenzio, il cioccolatiere sollevò lo sguardo e le fece un'altra domanda, una che aveva il peso di un interrogativo profondo e complesso: «Pensi di restare?»
Theresa abbassò gli occhi, sentendo il cuore battere più forte, confuso come i suoi pensieri.
«Non lo so...», rispose, quasi a bassa voce, con un velo di tristezza che non riusciva a nascondere.
Si raggomitolò sul letto, portando le ginocchia al mento e nascondendo il viso, come per cercare una protezione. Wonka le si avvicinò lentamente, come per non spaventarla, e le accarezzò i capelli, in un gesto tanto lieve quanto sincero.
«Rimani», mormorò lui, quasi implorante, e Theresa lo sentì con tutto il cuore. Nonostante l'incertezza, le faceva male pensare di lasciarlo così, mentre lui cercava di trattenerla con quella semplicità disarmante.
Lo guardò a lungo, gli occhi lucidi di emozioni contrastanti. E alla fine, quasi per istinto, si tuffò tra le sue braccia, cercando calore, conforto e forse anche un po' di chiarezza. Restare, anche solo per un po', le sembrava la scelta giusta, nonostante il leggero disagio che ancora le aleggiava addosso. Wonka sorrise, un sorriso piccolo, quasi timido, ma che racchiudeva un profondo sollievo. Si sentiva rasserenato, come se quel semplice abbraccio lo avesse riconfermato in qualcosa di importante.
Quando finalmente Theresa si alzò, il momento si era sciolto un po', ma la sensazione di irrequietezza persisteva. Decise che aveva bisogno di un po' di tempo per schiarirsi le idee e ritrovare sé stessa.
Il cioccolatiere, che aveva intuito la sua necessità, annuì con un sorriso gentile. Non l'avrebbe trattenuta, purché lei tornasse.
«Va' pure», le disse, e lei lesse in quegli occhi un desiderio sincero che l'avrebbe aspettata.
Theresa, con un sospiro, decise che avrebbe recuperato le sue cose, per mettere un po' di ordine nei suoi pensieri. Si avviò verso il numero 10 di via Cherry, dove sapeva che la sua amica Ana l'avrebbe accolta. Suonò il citofono e aspettò, già immaginando le mille domande che Ana avrebbe avuto da farle.
Quando la porta si aprì, Theresa salì al secondo piano e, una volta arrivata, Ana la avvolse subito in un abbraccio caloroso.
In quell'abbraccio, Theresa si sentì per un momento sollevata, protetta.
«Allora, com'è andata? Voglio sapere tutto!», esclamò Ana, con occhi luccicanti di curiosità e un sorrisetto malizioso.
Theresa sospirò, abbassando per un attimo lo sguardo, poi prese un respiro profondo.
«Sì, Ana, lo abbiamo fatto!», confessò, lanciando un'occhiata incerta alla sua amica.
Ana la guardò, aggrottando le sopracciglia con un'aria esageratamente scandalizzata.
«Sporcaccioni!», la prese in giro, scoppiando in una risata. «Quindi... state di nuovo insieme?»
Theresa scosse il capo e distolse lo sguardo, mordicchiandosi il labbro.
«No...», mormorò con un tono che lasciava intuire tutta la sua confusione.
Ana la fissò con dolcezza, intuendo il turbamento che si nascondeva dietro la risposta.
«Ma Theresa...», iniziò, con un tono che mescolava disappunto e comprensione.
Theresa non rispose subito. Si perse per qualche istante con lo sguardo nel vuoto, come se cercasse una risposta tra i frammenti di emozioni che le si agitavano dentro. Si lasciò avvolgere dall'abbraccio della sua amica, e in quel gesto trovò il coraggio di parlare.
«Ana, sono un disastro, lo so. Ma capiscimi almeno tu», disse, con una nota di implorazione nella voce. «Non voglio passare una vita con lui, se poi non mi dà neanche fiducia. Non posso...»
«Theresa, ha solo commesso un errore... come chiunque altro», le sussurrò Ana, sperando di calmarla. C'era qualcosa di sinceramente umano, secondo lei, nei difetti di Wonka.
Theresa sorrise appena, malinconica, e si strinse di più nell'abbraccio. Sapeva che c'era del vero in ciò che diceva Ana, ma una parte di lei non riusciva a lasciar andare il senso di insicurezza che le si era annidato nel cuore.
«Comunque... resto lì», disse alla fine, come a convincersi di una decisione già presa.
Ana annuì, comprendendo la scelta dell'amica senza aggiungere altro.
Le due trascorsero qualche minuto insieme, mentre Theresa cedeva a Ana il suo appartamento e ogni piccola cosa che le appartenesse, come se quel gesto simbolico potesse liberarla un po' dai dubbi che la attanagliavano.
Con il tempo rimanente, Theresa le raccontò il resto della giornata, dalle sue piccole gioie fino ai capricci degli ultimi bambini rimasti in fabbrica. Raccontò ogni dettaglio, sorridendo agli aneddoti e dimenticando per un momento la sua incertezza.
Ana ascoltava affascinata, incuriosita dal premio speciale che l'ultimo bambino aveva vinto. Solo allora Theresa si rese conto di non sapere esattamente quale fosse quella vincita tanto speciale. Era certa solo di una cosa: Charlie, quel piccolo ragazzo dallo sguardo onesto e brillante, era stato l'ultimo a lasciare la fabbrica...
Quando arrivò il momento di andare, Theresa salutò l'amica con un abbraccio stretto, promettendole che avrebbe riflettuto sulla sua relazione con Wonka.
Le strade erano quasi deserte, coperte di un velo di neve appena caduta. Theresa decise di fare un giro per schiarirsi le idee, e, camminando, si ritrovò alla periferia della città. Notò una piccola casa, dall'aspetto modesto quanto malandato, e riconobbe la figura di Charlie nel cortile, intento ad aiutare i suoi genitori con qualche lavoro manuale.
«Ehi, Charlie!», lo salutò con un sorriso, avvicinandosi. «Cosa è successo al tetto?»
Charlie si voltò, illuminandosi al vederla.
«Oh, il signor Wonka l'ha sfondato con l'ascensore di vetro», rispose il ragazzo, sospirando; Theresa rise.
«Ah, alla fine ha ceduto alla tentazione», commentò con un sorriso. «E nonno Joe?»
«Nonno Joe è entusiasta!», disse Charlie, scuotendo la testa con un sorriso. «Ha passato tutta la mattinata in piedi, non si sente affatto stanco! Dice che è merito del signor Wonka se si sente così bene.»
Theresa sentì un calore dentro di sé, ammirando quella semplicità che rendeva Charlie così speciale. Tra loro si instaurò un'immediata complicità e il ragazzo, ormai a suo agio con lei, le raccontò anche che il signor Bucket aveva appena iniziato un nuovo lavoro: stava riparando la vecchia macchina avvita-tappi che lo aveva sostituito in fabbrica.
«È felice, davvero», aggiunse Charlie, sorridendo. «Finalmente ha detto addio al cavolo... col cavolo!», rise, e Theresa rise con lui.
Charlie descrisse con entusiasmo la cena che la famiglia aveva in programma per quella sera: pollo, patate, carote e piselli, un banchetto che, per loro, significava abbondanza e festa.
«E un bel bicchiere di vino per mamma e papà!», aggiunse, gli occhi che brillavano.
Theresa era felice di aver visto Charlie così entusiasta, ma non voleva intralciare i suoi impegni e si preparò a salutare. Tuttavia, una domanda le bruciava dentro e doveva chiederglielo prima di andarsene.
«A proposito, Charlie, cosa hai vinto esattamente?»
Charlie abbassò lo sguardo, un'espressione di lieve tristezza velò i suoi occhi.
«Il signor Wonka voleva che gestissi la fabbrica con voi, ma... ho rifiutato», confessò, scuotendo la testa con un'espressione dispiaciuta. «Non voglio rinunciare alla mia famiglia, Theresa. Sono tutto quello che ho.»
Theresa si accovacciò per trovarsi alla sua altezza e gli posò una mano sulla spalla. C'era tanta maturità in quel bambino, e non poteva che ammirarlo.
«Charlie, capisco benissimo», iniziò, cercando le parole giuste per non ferirlo. «So che Willy potrebbe averti fatto un'impressione un po' strana con quella richiesta, ma... devi sapere che lui ha avuto un'infanzia difficile. Non ha avuto un bel rapporto con suo padre. È scappato di casa da piccolo e da allora non ha mai avuto una vera famiglia. In un certo senso, sei la cosa più vicina a un figlio che abbia mai avuto.»
Charlie la guardò con occhi profondi e attenti.
Theresa proseguì: «Io credo che potresti pensarci un po' su. Willy non è sempre facile, ma ti assicuro che sta cercando di cambiare, anche se ha i suoi... "grattacapi". Mi piacerebbe averti in squadra. Io ora torno lì, parlerò con lui. Va bene?», concluse con un sorriso rassicurante, stringendogli la spalla in un gesto di incoraggiamento.
Charlie annuì lentamente, restando pensieroso mentre Theresa si allontanava.
Una volta tornata in fabbrica, decisa a risolvere la situazione, Theresa si mise subito a cercare il cioccolatiere. Lo trovò nel corridoio a sinistra, sprofondato in una delle sue amate poltrone rosse di velluto, avvolto in una lussuosa pelliccia con un'espressione afflitta sul viso. Sembrava immerso in una conversazione profonda con il suo Umpa-Lumpa di fiducia, l'unico al quale confidava i suoi dilemmi più tormentati.
«Non riesco a focalizzare il punto», stava borbottando, il tono teso e sconfortato. «I dolci erano l'unica certezza che avevo e adesso non ho più nemmeno quella. Non so più che gusti creare, quali idee sperimentare, mi correggo da solo. Il che è pazzesco! Ho sempre fatto tutti i dolci che mi sentivo di fare e ora... » Con un improvviso lampo di consapevolezza, quasi una folgorazione, si tirò su. «Ecco cos'è, è questo: faccio i dolci che mi sento, ma mi sento uno schifo, quindi anche i dolci sono uno schifo! Sei molto bravo», disse al piccolo Umpa-Lumpa, che annuì saggiamente, sistemandosi gli occhiali da vista con aria complice.
Theresa osservava in disparte, le braccia incrociate e un sorriso misto di affetto e malinconia. Quando ebbe l'impressione che il suo soliloquio fosse finito, si fece avanti.
«Willy, possiamo parlare?», chiese in tono serio, catturando immediatamente la sua attenzione. Wonka le fece cenno di sedersi accanto a lui e congedò l'Umpa-Lumpa, che li lasciò soli con un cenno rispettoso.
Theresa si accomodò al suo fianco, guardando il cioccolatiere negli occhi.
«Penso che dovresti riconciliarti con tuo padre», disse con calma, scegliendo con cura le parole. «Non è giusto chiedere a un bambino di lasciare la sua famiglia solo perché tu lo hai fatto.»
Wonka abbassò lo sguardo, colpito dalle sue parole. Le rifletté per qualche istante, in silenzio, e il peso di anni di orgoglio, di decisioni prese per difendersi dal dolore, sembrava schiacciarlo. Lentamente, alzò lo sguardo e, senza dire una parola, si avvicinò a Theresa per abbracciarla, come in cerca di conforto. Sospirò, un lungo sospiro che sembrava liberare un po' del suo tormento interiore. Aveva evitato questo pensiero per anni, e ora capiva che Theresa aveva ragione. La sua solitudine, il suo modo di isolarsi, gli avevano portato successo ma anche un dolore che non aveva mai voluto affrontare.
Alla fine, si staccò da lei con un'espressione determinata, come se fosse giunto a una decisione.
«Io... devo andare», disse, sollevandosi dalla poltrona, una luce nuova nei suoi occhi.
Theresa gli sorrise, con quella dolcezza che lui trovava sempre rasserenante.
«Sì, devi andare», disse piano, e si allontanò, lasciandolo alla sua decisione, consapevole che, per la prima volta, Willy Wonka stava affrontando il suo passato per cercare un vero futuro.
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