Capitolo 13
L'odore pungente della zuppa di cavolo impregnava le vecchie pareti della vecchia casa dei Bucket, tanto che sembrava essersi annidato nei mattoni stessi, mescolandosi all'aria fredda e umida che filtrava dalle finestre con gli infissi malconci.
La signora Bucket era ai fornelli, con le mani che si muovevano agili e abituate, canticchiando un allegro motivetto di una vecchia canzone popolare. Il fuoco nel camino scoppiettava dolcemente, mentre la pentola di zuppa borbottava con un gorgoglio continuo. Suo marito, il signor Bucket, sedeva al tavolo di legno consumato con un vecchio libro tra le mani, le pagine ingiallite che emettevano il fruscio di una lunga vita vissuta. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo per osservare la moglie con affetto.
I tre nonni, con le coperte tirate fin sotto il mento, dormivano serenamente nell'unico grande letto della stanza, i loro respiri profondi e regolari che contribuivano a quell'atmosfera di quiete domestica.
Nella piccola casa regnava una pace semplice, una serenità che, sebbene fragile, sembrava sufficiente per affrontare le sfide quotidiane.
«Quando pensi che torneranno?» chiese la signora Bucket con una punta di preoccupazione nella voce, mentre con un mestolo rimestava la zuppa, facendo sollevare un'ondata di vapore caldo.
Il signor Bucket rispose: «Difficile a dirsi.»
Proprio mentre la signora Bucket aggiungeva altre foglie di cavolo alla zuppa che sobbolliva, il silenzio della casa venne improvvisamente squarciato da un fragore assordante. Un tremito percorse l'intera struttura, mentre il soffitto sembrò esplodere in una pioggia di tegole e assi di legno che si frantumarono con un tonfo sordo sul pavimento.
La signora Bucket strepitò allarmata, lasciando cadere il mestolo, che rotolò sul pavimento. Il signor Bucket si gettò sul divano, cercando riparo, mentre i nonni si risvegliarono di soprassalto, sbarrando gli occhi confusi e terrorizzati. La polvere si posò ovunque come nebbia densa. Al centro della cucina, fra i detriti e i mobili ribaltati, si materializzò un'enorme struttura scintillante: l'ascensore di vetro di Wonka. Con un sibilo quasi impercettibile, le porte si spalancarono, rilasciando un fioco ronzio e un fascio di luce che tagliò l'aria pesante della stanza.
«Credo che abbiano bussato alla porta!» annunciò nonna Georgina con voce tremante.
«CIAO, MAMMA!» esclamò Charlie, sgattaiolando fuori dall'ascensore di vetro.
La sua faccia era illuminata da un largo sorriso, e prima ancora di toccare il pavimento, si lanciò tra le braccia della signora Bucket, che lo accolse con un abbraccio forte e protettivo. Subito dietro di lui, nonno Joe saltellò fuori dall'ascensore con la rapidità di un uomo molto più giovane, riempiendo la guancia della signora Bucket di baci rumorosi e affettuosi.
Il signor Wonka rimase in disparte. I suoi occhi attenti osservavano la scena con curiosità, ma il suo volto era imperscrutabile, come se fosse immerso nei propri pensieri.
«Vi presento Willy Wonka. Ci ha dato un passaggio a casa» disse Charlie con orgoglio, facendo un gesto verso il cioccolatiere. La sua eccitazione era palpabile, mentre cercava di contenere l'entusiasmo.
La signora Bucket, ancora sorpresa dall'improvvisa entrata e dal caos che aveva devastato la cucina, sollevò lo sguardo verso il soffitto pieno di crepe. «Lo vedo...» commentò ironicamente.
Il signor Wonka si schiarì la gola, cercando di mantenere un'aria formale.
«Voi dovete essere i suoi p... p... p...» balbettò, sforzandosi di trovare la parola giusta, mentre il suo sguardo sfiorava distrattamente il disordine intorno a lui.
«Parenti?!» lo aiutò il signor Bucket, alzando un sopracciglio e sorridendo debolmente.
«Sì, quelli!» esclamò il signor Wonka, infastidito per essersi impappinato.
«Dice che Charlie ha vinto qualcosa» intervenne nonno Joe, con gli occhi che brillavano di orgoglio. La sua voce tremava di eccitazione, come se fosse lui stesso il vincitore di quell'improbabile premio.
La signora Bucket sorrise, sorpresa e confusa, cercando di assimilare quella notizia incredibile. Anche i tre nonni, ancora sotto le coperte, si scambiarono occhiate di stupore, con i loro volti segnati dal tempo che si illuminarono di gioia.
Nel frattempo, Willy Wonka, con l'andatura leggera e quasi danzante, iniziò a passeggiare per la casa. Le sue dita sottili sfioravano i mobili consumati, le mensole cariche di vecchie foto e gli oggetti sparsi qua e là. Il suo sguardo curioso si soffermava su ogni dettaglio, quasi come se stesse valutando l'ambiente con un misto di fascino e distacco.
«Non solo qualcosa, ma il qualcosa più qualcosa di tutti i qualcosa mai esistiti» dichiarò Wonka con enfasi, facendo una pausa teatrale. «Darò a questo ragazzo la mia fabbrica intera. Ovviamente sarà condivisa con Theresa.»
La stanza cadde in un silenzio carico di tensione, mentre tutti cercavano di comprendere il peso di quelle parole.
«Ma lei ha voglia di scherzare?» chiese nonno Joe con voce rotta dall'incredulità, il cuore che batteva all'impazzata.
«No, no. È la verità!» rispose Wonka. «Qualche mese fa stavo facendo il mio taglio di capelli semestrale e ho avuto la più strana delle rivelazioni...» continuò, perdendosi nel ricordo. I suoi occhi blu si velarono, come se stesse rivivendo quel preciso istante in cui l'idea gli era balenata nella mente. Si vedeva chiaramente il suo sorriso nostalgico mentre immaginava l'Umpa-Lumpa con le forbici tra le mani, intenti a sistemare la sua chioma. «Mi sono ripromesso di trovare qualcuno con cui condividere i miei progetti futuri assieme a Theresa e ai miei cari Umpa-Lumpa -e ai miei figli, se ne avrò- e l'ho trovato, Charlie: sei tu.»
Le parole di Wonka aleggiavano nell'aria come un sogno a occhi aperti, e solo allora, mentre si muoveva tra i mobili consunti, notò i tre vecchietti stesi a letto, che lo osservavano con sguardi gentili e accoglienti. I loro volti rugosi si distesero in sorrisi amichevoli.
Willy Wonka rimase immobile, come bloccato. Per la prima volta da quando era entrato nella casa, una sorta di esitazione si fece strada nel suo atteggiamento normalmente eccentrico e sicuro. Il suo sguardo si fissò su quei volti, e un'improvvisa profondità attraversò il suo solitamente enigmatico sorriso.
«Ecco il perché dei biglietti d'oro» sorrise Charlie.
«Ah-ah!» confermò il cioccolatiere, senza distogliere lo sguardo dai vecchi mobili.
Continuava a curiosare, tirando delicatamente i cassetti e sfiorando con le dita i soprammobili polverosi. La sua figura slanciata si muoveva con eleganza, ma la mente sembrava lontana, concentrata su pensieri noti solo a lui.
Nel frattempo, la signora Bucket si voltò verso suo marito, con una ruga di perplessità sulla fronte. «Che cosa sono gli Umpa-Lumpa?» gli chiese sottovoce.
«Non lo so» le rispose il signor Bucket con un'alzata di spalle, lanciandole uno sguardo altrettanto confuso.
Il signor Wonka, nel frattempo, continuò a parlare come se fosse immerso in un monologo personale.
«Ho invitato cinque bambini alla fabbrica e quello meno fastidioso avrebbe vinto» disse, la sua voce fluttuava nell'aria mentre apriva un vecchio armadio che scricchiolava.
«E quello sei tu, Charlie» disse nonno Joe, il cui volto era pieno di orgoglio. Le sue mani tremavano leggermente, ma il sorriso non si spegneva. Guardava Charlie come se non potesse credere che il suo nipote fosse stato scelto per qualcosa di così straordinario.
Il signor Wonka si voltò di scatto verso Charlie, il suo sguardo si fece serio, quasi penetrante.
«Allora, che ne dici? Sei pronto a lasciare tutto e venire a vivere con me e Theresa alla mia fabbrica?» chiese con un misto di eccitazione e attesa, come se stesse offrendo al ragazzo il mondo intero su un piatto d'argento.
«Sì, certo! Va bene se viene anche la mia famiglia?» domandò il ragazzo, sperando che quella piccola richiesta fosse accolta senza problemi.
«Oh, mio caro bambino, certo che no!» esclamò Wonka, con un tono di voce che non lasciava spazio a compromessi. Le sue parole colpirono tutti come una doccia fredda. I sorrisi nella stanza svanirono, e un silenzio carico di tensione si diffuse. «Non puoi mandare avanti una fabbrica con una famiglia che ti sta addosso come un peso morto. Senza offesa», aggiunse, rivolgendosi con indifferenza ai nonni nel letto.
«Si figuri. Carogna!» lo apostrofò nonno George, le labbra che si torsero in una smorfia di rabbia trattenuta.
Il signor Wonka si riprese subito, come se nulla fosse accaduto. «Un cioccolatiere deve essere del tutto indipendente. Deve inseguire i suoi sogni e al diavolo le conseguenze!» esclamò, con lo sguardo fiero e un'energia teatrale che lo pervadeva. Entrò nel suo ascensore di vetro con un gesto ampio, quasi trionfale, come un re che si prepara a ritirarsi nel suo regno. «Guarda me: non avevo famiglia e ho avuto un successo gigantesco.»
«Ha avuto Theresa con sé...» gli ricordò Charlie, la voce bassa e un po' amara.
«Lei è venuta dopo.»
«Quindi, se vengo con lei, dovrò rinunciare alla mia famiglia?»
«Già! È un fatto positivo!»
«Allora non vengo. Non rinuncerei mai alla mia famiglia... neanche per tutto il cioccolato del mondo.»
L'espressione di Willy Wonka cambiò. «Oh, capisco. È molto strano...» disse lentamente, forzando un sorriso che sembrava più una smorfia. «Ma ci sono altri dolci oltre al cioccolato...» aggiunse, cercando disperatamente di salvare la situazione.
«Mi spiace, signor Wonka, ma io resto qui» concluse Charlie con fermezza.
«Wow!» esclamò il cioccolatiere, alzando leggermente le sopracciglia. «Questo è inaspettato e... e strano... Ma suppongo che in questo caso dovrei... Addio allora!»
Proprio mentre la sua mano raggiungeva il pulsante, rivolse un ultimo sguardo a Charlie.
«Sicuro di non voler cambiare idea?» gli chiese con una voce quasi speranzosa.
«Sicuro!» ribadì Charlie, il volto determinato.
«Bene. Addio!» concluse Willy Wonka.
L'ascensore di vetro si mosse lentamente verso l'alto, scomparendo tra i detriti del soffitto, mentre il cioccolatiere abbassava lo sguardo, sconsolato.
Nella casa dei Bucket, invece, calò un silenzio profondo. Tutti si guardarono, sorpresi da quanto appena accaduto, finché nonna Georgina, con la sua solita calma, disse: «Le cose, ora, andranno molto meglio!»
Non si stava di certo sbagliando.
Il cioccolatiere tornò in fabbrica sotto il cielo ormai scuro, attraversando i corridoi labirintici con passi affrettati. Ogni angolo familiare sembrava opprimerlo, mentre la sua mente vagava tra pensieri confusi. Depose la sua tuba e la giacca con movimenti automatici, come se il peso che portava non fosse quello dei vestiti, ma delle sue emozioni. Mise da parte Charlie per un istante; c'era qualcosa di più urgente che lo tormentava. Un'ansia pungente gli strinse lo stomaco, accompagnata dalla paura che lo seguiva come un'ombra: temette che Theresa se fosse ormai andata.
Camminò rapidamente verso la camera da letto, il cuore che batteva forte contro il petto, come se sapesse già che qualcosa era cambiato. La porta era socchiusa, e con un filo di esitazione la spinse delicatamente. A sua sorpresa, la trovò addormentata a terra, rannicchiata tra le pieghe delle sue sottovesti, l'abito che le cingeva il corpo come una coperta improvvisata. I capelli le ricadevano scomposti sul viso, la sua figura sembrava così fragile, quasi fuori posto in quel mondo di ingranaggi e cioccolato.
Un sorriso involontario si aprì sul volto del cioccolatiere, una dolce sensazione di sollievo gli scaldò il petto. Si avvicinò lentamente, cercando di non svegliarla subito. Si chinò e con delicatezza la sollevò da terra, stringendola forte tra le braccia, come se avesse temuto di perderla per sempre. Il suo profumo, familiare e rassicurante, lo avvolse completamente.
Theresa si svegliò piano, le palpebre che si aprivano a fatica, trovando subito il suo sguardo in quello di lui. I loro occhi si incontrarono, e in quel momento sembrava che tutto il resto si fosse dissolto. Erano solo loro due, immersi in un'intimità silenziosa.
«Ehi», disse lei, con la voce ancora impastata dal sonno.
«Ehi, tu», le rispose il cioccolatiere con dolcezza.
Non dissero altro. Le parole sembravano superflue, come se avessero già comunicato tutto ciò che era necessario con un semplice sguardo. Si desideravano in silenzio, le loro anime attratte l'una dall'altra come due magneti. Le labbra si sfiorarono appena, timidamente, quasi come se non volessero rompere quel momento perfetto. Fu solo un accenno, un bacio delicato, ma portava con sé tutto il peso di ciò che provavano l'uno per l'altra. Il vuoto nello stomaco di entrambi si riempiva, trasformandosi in un calore dolce e penetrante.
I cuori battevano all'unisono, accelerati, mentre i loro corpi si avvicinavano senza fretta, ma con un'intensità crescente. Il semplice bacio si tramutò in un trasporto così profondo e passionale che per un attimo sembrava che nulla al mondo potesse separarli. Le mani di lui le circondarono la vita, mentre le dita di Theresa si aggrappavano alla sua camicia, incapaci di resistere all'impulso di avvicinarsi ancora di più.
Ma poi, come un fulmine a ciel sereno, Theresa si fermò, ritraendosi. «Scusami, non posso» sussurrò, la sua voce tremante. Le sue mani scivolarono via dalle spalle di lui, cercando di allontanarsi.
Il cioccolatiere, tuttavia, non era pronto a lasciarla andare. La paura di perderla si fece strada tra le pieghe della sua mente, prendendo il sopravvento. Con un gesto deciso, la bloccò delicatamente sul letto, impedendole di alzarsi.
«Non questa volta» sembrava dirle con gli occhi. Non poteva permettersi di lasciarla andare di nuovo, non quando tutto il suo mondo sembrava dipendere da quel momento.
Le loro labbra si unirono di nuovo, ma stavolta con una foga travolgente, quasi disperata. La baciò con passione, stringendola a sé come se volesse fondersi con lei. Theresa, inizialmente rigida, si arrese presto a quel desiderio che le ardeva dentro, e si lasciò andare.
Il vestito azzurro scivolò via, le dita del cioccolatiere esploravano ogni angolo del corpo con la stessa delicatezza con cui si maneggia qualcosa di prezioso. Le labbra si posarono sui seni turgidi, risalendo lungo il collo, lasciando una scia di brividi lungo la pelle. Theresa ansimò, lasciandosi trasportare dalla marea di emozioni che la travolgevano, il desiderio di sentirlo sempre più vicino, più profondamente.
Le loro mani, i loro corpi, i loro respiri si intrecciarono in una danza frenetica e incontrollabile, come se ogni carezza fosse una battaglia e ogni bacio una resa. Giacquero insieme, uniti dal desiderio e dalla passione che avevano tenuto nascosti troppo a lungo. Le mani di Theresa afferrarono la schiena di lui, graffiandola leggermente, mentre le sue gambe lo avvolgevano con forza.
Fecero la guerra su quel letto, una battaglia di emozioni che non richiedeva parole, ma solo gesti. Nessuno dei due parlava, erano soli con i loro sentimenti e con ciò che era appena accaduto, una tempesta emotiva che li aveva travolti entrambi.
Dopo, giacquero uno accanto all'altra, i respiri ancora irregolari, ma non si guardavano. Sembrava che l'intensità di ciò che avevano appena condiviso fosse troppo da sostenere per entrambi.
«Non doveva finire così» mormorò Theresa, lo sguardo fisso sul soffitto, come se cercasse di trovare una via di fuga dai suoi stessi pensieri.
Il cioccolatiere non rispose subito. Allungò una mano verso il volto di lei, accarezzandole la guancia con una dolcezza infinita. Il suo tocco era leggero, quasi impercettibile, ma trasmetteva tutto il suo affetto, tutto il suo desiderio di tenerla accanto.
Theresa si girò lentamente, i suoi occhi incrociarono di nuovo quelli di lui. In quel momento, tutto il dolore, la confusione e il desiderio sembravano mescolarsi in un'unica emozione incontrollabile. Senza dire nulla, si abbandonò al suo abbraccio, trovando rifugio in quel calore dove si era sempre rifugiata.
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