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Capitolo 11

Percorsero un corridoio che per Theresa significava molto più di un semplice passaggio: anni addietro, il signor Wonka le aveva chiesto di seguirlo, dicendo che doveva mostrarle qualcosa di speciale. Fu in quel momento, proprio lì, che mise piede per la prima volta nell'ascensore di vetro.

Quella prima esperienza fu tutt'altro che piacevole. L'ascensore si era mosso con una velocità impressionante, quasi violenta, sfrecciando tra i vari livelli della fabbrica. Le pareti di vetro lasciavano intravedere scene che sembravano appartenere a un altro mondo: dalla maestosità della Stanza del Cioccolato, alla bizzarra Stanza delle Invenzioni. Passarono per la Stanza delle Caramelle, con montagne di dolci colorati, e quella delle Praline, dove l'aria era talmente zuccherina da lasciare un leggero bruciore in gola.

Dopo quel frenetico viaggio, quando l'ascensore finalmente si fermò, accadde qualcosa che Theresa non avrebbe mai immaginato. Incerto e quasi esitante, il signor Wonka le si avvicinò lentamente, il suo solito sorriso sfrontato era scomparso, sostituito da un'espressione di vulnerabilità. I suoi occhi, solitamente sfuggenti e pieni di idee stravaganti, erano ora fissi sulle labbra della ragazza che aveva davanti. Con il cuore che batteva in modo irregolare, la baciò. Fu un momento magico, tanto inaspettato quanto travolgente, più dolce del cioccolato che permeava l'aria. Nessuna parola fu necessaria. Si guardarono, e in quel silenzio complice capirono che qualcosa era cambiato per sempre. Ormai erano legati, in modo profondo e irrimediabile, e non avrebbero potuto tornare indietro neanche volendo.

Da allora, vissero momenti indimenticabili, una storia d'amore fatta di alti e bassi, dolcezze e litigi. Non mancarono le incomprensioni, i giorni in cui le loro personalità eccentriche si scontravano. Il signor Wonka era spesso stravagante, bizzarro, a volte persino troppo imprevedibile, ma Theresa sapeva che la sua follia faceva parte del fascino irresistibile di quell'uomo così unico. Lei, d'altronde, non cercava mai la normalità, e nulla in lui era ordinario.

Arrivarono infine a destinazione, riportando Theresa al presente. Svoltarono l'angolo, e lì, di fronte a loro, si ergevano le porte in vetro dell'ascensore, scintillanti come cristallo sotto le luci della fabbrica.

«Non so perché non ci ho pensato prima» disse il cioccolatiere, e senza aspettare oltre, premette con decisione il pulsante bianco incastonato nel muro. Le porte si aprirono e lui vi entrò senza esitazione, seguito dagli altri. «L'ascensore è il modo più efficiente di girare per la fabbrica.»

Mike, sempre scettico, osservava le pareti di vetro, i cui pannelli erano costellati di pulsanti che si estendevano in file interminabili, dal pavimento al soffitto, sia a destra che a sinistra. Ognuno di quei piccoli bottoni rappresentava una porta verso un mondo diverso.

«Non possono esserci tutti questi piani!» esclamò incredulo.

1°Miniera di Zucchero-Carbone.

2°Pista di Pattinaggio su Granatina al Limone.

3°Pistole a schizzo alle Fragola.

4°Albero di Mele Candite da piantare in giardino. Misure assortite.

5°Caramelle Esplosive da regalare ai nemici.

6°Lecca-Lecca luminosi da leccare di notte.

7°Giuggiole alla Menta da regalare al bambino dei vicini. Gli faranno venire i denti verdi per una settimana.

8°Caramelle per otturare carie. Niente più dentista.

9°Bloccamascelle per genitori brontoloni.

10°Bon-Bon formicolanti che una volta inghiottiti vi faranno formicolare il pancino di piacere.

11°Stecche di Cioccolato invisibili da mangiare in classe.

12°Matite allo Zucchero da succhiare.

13°Piscine alla Limonata gassata.

14°Crema magica manuale al Cioccolato Fondente. La tieni in mano e senti il sapore in bocca.

15°Pastiglie arcobaleno. Succhiandole si può sputare in sei colori differenti.

Ce n'erano tanti.

«Come fai a dirlo, signor saputello?» lo schernì il cioccolatiere. «A proposito, questo non è un normale ascensore che va su e giù. Quest'ascensore può andare di traverso, avanti, indietro e in qualsiasi direzione ti venga in mente. Basta premere il bottone e... push! Si parte!»

Non appena premette un pulsante, l'ascensore scattò con una forza improvvisa, sbalzando gli ospiti l'uno contro l'altro, mentre cercavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa per mantenere l'equilibrio. Le pareti di vetro sfrecciavano a velocità vertiginosa, mostrando una serie di stanze bizzarre e straordinarie.

Entrarono in una stanza avvolta da una tempesta di zucchero a velo così densa che quasi sembrava neve. Al centro della sala svettava una montagna imponente di cioccolato, completamente ricoperta di bianco candido.

«OH, GUARDATE LÀ!» esclamò il signor Wonka, con gli occhi che brillavano di eccitazione. «SIGNORE E SIGNORI, BENVENUTI A MONTE FONDENTE!»

In alto, sui fianchi della montagna, i piccoli Umpa-Lumpa si arrampicavano con agilità, quasi come formiche operose. Alcuni si fermarono per salutare il loro capo, agitando le braccia con un'energia contagiosa. Ma l'ascensore, subito dopo, si catapultarono in un'altra stanza, dove l'aria era intrisa di un dolce aroma di zucchero filato. Al centro, si poteva vedere una schiera di pecore dal vello rosa acceso, che pascolavano pacificamente tra i macchinari scintillanti.

Theresa si era sempre chiesta perché il signor Wonka facesse tingere le pecore di rosa e, ancora di più, perché permetteva ai suoi operai di tosarle con tanta regolarità.

«Oh!» esclamò il cioccolatiere, come se avesse collegato i puntini in un istante. Gli altri si girarono a guardarlo, in attesa di una spiegazione.

«Meglio se di questo non parli» gli suggerì Theresa, lanciandogli uno sguardo eloquente.

«Di questo preferisco non parlare» rispose il cioccolatiere, arrossendo leggermente sotto il suo cappello.

L'ascensore proseguì senza sosta, e dopo un altro rapido scatto, si ritrovarono in una stanza completamente diversa: un ambiente caldo, di un pallido giallo pastello. Due file di letti bianchi si estendevano lungo i lati, mentre gli Umpa-Lumpa vestiti da infermieri si affrettavano da un letto all'altro, spingendo barelle su cui erano adagiate delle bambole malridotte.

Una voce flebile, metallica, proveniente da un altoparlante sopraelevato chiamava i vari medici, elencando casi di emergenza. Alcuni Umpa-Lumpa controllavano con grande serietà i malati, sollevando delicatamente le teste delle bambole per somministrare strani rimedi colorati.

«E questo è l'ospedale per le marionette ustionate» Wonka fece una pausa, lasciando che il concetto si sedimentasse tra gli ospiti. «È... re-relativamente nuovo.»

Theresa, con un sorrisetto ironico, non poté fare a meno di aggiungere: «Giustamente, dopo averle bruciate, ci vuole una cura a pronta guarigione.»

Il signor Wonka, divertito ma leggermente infastidito, la canzonò: «Neanche tu dovresti parlare oggi.»

L'ascensore lasciò l'ospedale e scivolò senza intoppi verso la successiva destinazione. Precipitò velocemente fino a raggiungere il livello del suolo, fermandosi davanti a una stanza completamente diversa dalle altre: gli uffici amministrativi della fabbrica.

La stanza era modesta, quasi insignificante rispetto alle meraviglie viste fino a quel momento. Le pareti erano buie e la luce era soffusa, creando un'atmosfera quasi solenne. Alle piccole scrivanie di legno erano sedute Umpa-Lumpa donne, tutte impeccabilmente vestite con vestitini eleganti e trucco perfetto. I loro piccoli occhi erano fissi sulle macchine da scrivere che producevano un ticchettio costante, come un orologio ben oliato.

Theresa non poté fare a meno di sorridere. Trovava le Umpa-Lumpa femmine incredibilmente adorabili, più dei loro colleghi maschi, che spesso si lasciavano andare a scherzi infantili e a comportamenti bizzarri.

«Salve, Doris!» salutò cordialmente il signor Wonka, facendo un cenno a una delle Umpa-Lumpa. La piccola creatura alzò lo sguardo e lo salutò a sua volta prima di tornare a battere freneticamente sui tasti.

Si spostarono rapidamente di lato, urtandosi l'un l'altro nella fretta, e l'ascensore li proiettò all'interno di una delle stanze più caotiche e rumorose dell'intera fabbrica.

Il rumore era assordante, un turbinio di esplosioni continue riempiva l'aria: rimbombanti fuochi d'artificio colorati esplodevano senza sosta, lanciando scintille e scie luminose in ogni direzione. Il pavimento vibrava sotto i loro piedi e le pareti sembravano pulsare al ritmo degli scoppi, mentre gli Umpa-Lumpa si dedicavano a una bizzarra partita a bersaglio. Armati di piccoli lanciatori di caramelle, sparavano proiettili dolci con una precisione sorprendente, mirando a sagome fluttuanti in aria e, occasionalmente, anche all'ascensore stesso.

Le caramelle rimbalzavano sulle pareti di vetro, facendo tintinnare la struttura e aggiungendo ulteriore caos alla già frenetica scena. Gli ospiti si guardavano intorno con espressioni tra il perplesso e l'annoiato, senza capire il senso di tutto quel frastuono.

«Ma qui è tutto senza alcun senso!» esclamò Mike, con una punta di frustrazione.

Charlie rispose senza pensarci troppo: «I dolci non devono avere un senso, per questo sono dolci.» Il cioccolatiere guardò il bambino con uno sguardo compiaciuto, soddisfatto che qualcuno avesse capito il suo modo di vedere il mondo.

Theresa, che fino a quel momento aveva lottato contro la sonnolenza, trovò la forza di sorridere. Con uno sguardo complice a nonno Joe, disse: «Neppure Willy Wonka ha molto senso, eppure eccolo qui.»

«È stupido!» sbottò Mike, scuotendo la testa con disprezzo.

La sua voce risuonava alta sopra il caos della stanza, ma nella mente incasinata del signor Wonka, quelle parole si mescolarono a ricordi ben più lontani. All'improvviso, la voce di Mike sembrò fondersi con quella di Wilbur Wonka.

***

«I dolci sono una perdita di tempo! Non avverrà mai che mio figlio diventi un cioccolatiere!» esclamò Wilbur Wonka.

«Allora io scapperò!» gridò il piccolo Willy Wonka, con la voce piena di determinazione e ribellione.

Davanti al padre, elencava con fervore tutte le capitali mondiali dei dolci che avrebbe visitato. La sua mente giovane e curiosa sognava laboratori di cioccolato, botteghe di caramelle e luoghi dove il dolce regnava sovrano, lontano dalla rigida austerità di quella casa e, soprattutto, dalle regole inflessibili del padre.

Wilbur Wonka non si scompose. Lo guardava dall'alto con sguardo freddo, le braccia incrociate e i guanti di lattice ben tesi tra le mani.

«Argh, fa' pure!» esclamò. «Ma al tuo ritorno non sarò più qui!»

Il piccolo Willy, con le guance arrossate dalla rabbia e dal dolore, prese il suo zainetto dall'attaccapanni nell'atrio stretto e angusto, dove le pareti sembravano stringersi su di lui, e si guardò indietro prima di chiudersi la porta alle spalle.

Wilbur Wonka restò immobile, con lo sguardo fisso sulla porta chiusa, come se aspettasse qualcosa che sapeva non sarebbe mai arrivato. Per un istante, una fitta di vuoto lo pervase, come un'ombra che lo avvolse senza preavviso. Le sue mani si contrassero nervosamente, strinse e rilasciò i pugni, un riflesso involontario di quel nervosismo che non osava ammettere.

Quando il piccolo Willy decise di fare ritorno, qualcosa era cambiato. L'appartamento non esisteva più. Al suo posto, solo uno spiazzo vuoto, dove un tempo sorgeva l'edificio. Nessuna traccia delle scale che separavano lo studio dentistico dalle camere al piano superiore, nessuna porta che cigolava. Solo il vuoto. La casa era stata spazzata via, come se non fosse mai esistita.

Il giovane Willy restò immobile, lo sguardo fisso su quel vuoto, incapace di muoversi o di comprendere appieno ciò che stava vedendo. Il vento soffiava leggero, sollevando polvere e piccoli frammenti di ciò che un tempo era stato il suo passato.

***

Il cioccolatiere sembrava distante, come se la sua mente fosse altrove, immersa in pensieri che non riusciva a scacciare. I suoi occhi, solitamente vivaci, erano velati da una tristezza profonda e da una leggera lucentezza malinconica. Ricordi del passato lo affliggevano, catene invisibili che lo tenevano ancorato a un tempo lontano. Mike, però, non perse l'occasione per stuzzicarlo, come se volesse mettere alla prova la sua pazienza.

«Scelgo io una stanza!» esclamò.

Wonka lo osservò per un attimo, ma prima che potesse dire qualcosa, Theresa gli sussurrò a bassa voce: «Lascialo fare, così te lo togli di torno.»

«Coraggio!» lo sfidò il cioccolatiere, sorridendo.

Mike lanciò un'occhiata rapida ai numerosi pulsanti dell'ascensore. Con uno scatto deciso, premette il pulsante della stanza Television Room.

L'ascensore scattò con un movimento brusco, quasi violento, proiettando i passeggeri verso la loro nuova destinazione. Quando si fermò con uno stridio metallico, il cioccolatiere fu il primo a scattare fuori dalla cabina. Afferrò in fretta un paio di grandi occhiali da sole che erano appesi accanto alla porta, indossandoli con la consueta teatralità.

«Ecco» annunciò. «Mettete questi e non toglieteveli per nessun motivo: questa luce potrebbe bruciarvi gli occhi e accecarvi. E non vogliamo che accada, non è vero?»

Theresa ribatté senza pensarci troppo: «Gli occhi mi servono per lavorare.»

Wonka si voltò verso di lei e la fissò per un attimo, le labbra incurvate in un sorriso enigmatico. Poi, senza aggiungere altro, la vide scrollare le spalle, come a dire che non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni.

La stanza era sorprendentemente luminosa, quasi accecante, tanto che anche con gli occhiali scuri gli ospiti faticavano a tenere gli occhi aperti. L'intero ambiente era dipinto di bianco, brillante come la neve, con pareti lisce e lucide. Il pavimento era immacolato, e tutto aveva un aspetto sterile, quasi innaturale. Intorno, telecamere montate su cavalletti metallici ruotavano lentamente, mentre gli Umpa-Lumpa, vestiti con tute bianche, premevano pulsanti e tiravano leve, come piccoli ingegneri al comando di una macchina futuristica.

Al centro della stanza, oltre alcune scalinate, c'era una poltroncina minuscola, su cui sedeva un Umpa-Lumpa, completamente concentrato a fissare lo schermo di un televisore.

«Questa è la sala prove per la mia ultima e più grande invenzione» annunciò Wonka con orgoglio. «La Televisione Cioccolosa!» Fece una pausa teatrale, allargando le braccia come a presentare il suo capolavoro. «Un giorno...»

«Che non aveva nulla da fare» sopraggiunse Theresa.

«...mi sono detto: ehi!»

«Sono un cretino!»

«Se la televisione può spezzettare un'immagine in milioni di frammenti e spararli veloce nell'aria e ricomporli da un'altra parte, perché non posso fare lo stesso col cioccolato? Perché non posso spedire una vera tavoletta pronta da mangiare attraverso la televisione?» concluse il cioccolatiere, sovrastando la voce di Theresa, la quale soffocò un risolino.

«A me sembra impossibile» disse il signor Tivù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

«Ed è impossibile!» intervenne Mike. Il cioccolatiere, infastidito, prese per mano Theresa e la trascinò via, come per allontanarsi dall'ignoranza del ragazzo. Questi, però, non si arrese. «Lei non capisce niente di scienza! Prima di tutto, bisogna convertire l'energia in materia, no? Secondo, per ottenere la forza di gravità occorrerebbe la potenza di nove bombe atomiche!»

«BORBOTTONE!» scoppiò il cioccolatiere, esasperato. «Te l'ho detto: non capisco una sola parola di quello che dici.»

«Se non lo capisci, allora perché rispondi?» si intromise Theresa, ma l'occhiata truce che ricevette in risposta fu sufficiente a farle scappare un sorriso.

Nel frattempo, il signor Tivù assunse un'aria minacciosa, ma non aggiunse altro.

«Dunque, dunque», riprese il cioccolatiere, «adesso spedirò una vera tavoletta di cioccolato da un lato all'altro della stanza attraverso la televisione.» Si voltò verso gli Umpa-Lumpa e urlò con foga: «PORTATE IL CIOCCOLATO!»

Una decina di Umpa-Lumpa trasportarono sulle loro minuscole spalle una grossa tavoletta Wonka. Il loro passo era lento ma sincronizzato. Con uno sforzo finale, adagiarono il cioccolato al centro dell'obiettivo di una massiccia telecamera e si allontanarono di corsa.

«Serve una tavoletta bella grossa, perché sapete quando viene ripreso un uomo normale e in tv ne appare uno piccolo così?», il signor Wonka fece un piccolo gesto con la mano. «È lo stesso principio.»

«No, non lo è» lo contraddisse Theresa.

Il cioccolatiere la guardò con una smorfia di fastidio, trattenendo un sospiro come un attore che recita per il pubblico sbagliato. Senza aggiungere altro, si voltò verso il quadro comandi e premette un pulsante rosso che emise un suono stridulo e pungente. La tavoletta di cioccolato tremolò leggermente sul podio, poi cominciò a sollevarsi lentamente, fluttuando nell'aria come se fosse stata sostenuta da un filo invisibile, sempre più in alto.

Uno degli Umpa-Lumpa si sistemò dietro una macchina da ripresa, aggiustando con cura l'inquadratura. Al momento giusto, con la precisione di un esperto, azionò una leva enorme e un lungo tubo trasparente scese velocemente a coprire la tavoletta. In un lampo, un fascio di luce avvolse la scena e, in un battito di ciglia, il cioccolato scomparve.

«È sparita!» esclamò Charlie.

«L'avevo detto. Quella tavoletta sta viaggiando sopra di noi divisa in milioni di particelle» disse trionfante il cioccolatiere, gettando un'occhiata di sbieco a Theresa, che nel frattempo lo stava deridendo con smorfie esagerate.

«VENITE, VENITE! FORZA!» gridò il cioccolatiere, facendo segno agli altri di seguirlo, mentre correva a grandi passi verso il televisore al centro della stanza.

Gli altri lo seguirono, ammucchiandosi attorno allo schermo, tutti trattenendo il fiato. Ma ciò che videro inizialmente fu solo confusione: il monitor mostrava immagini sgranate di piccole scimmie arrabbiate che si agitavano furiosamente.

«Sta arrivando...» sussurrò Wonka. Poi all'improvviso gridò: «Eccola!» La tavoletta apparve magicamente in mezzo al caos delle scimmie. «Prendila!» disse, rivolgendosi a Mike.

«È solamente un'immagine» rispose egli, con tono sprezzante.

«Scettico!» Wonka si voltò verso Charlie. «Prendila tu! Coraggio. Allunga una mano e afferrala.»

Charlie, colpito dall'invito, non si tirò indietro. Con un po' di esitazione, avanzò verso lo schermo, allungando il braccio. Il suo respiro si fece più rapido mentre la sua mano attraversava il vetro, come se fosse d'acqua, e le dita afferrarono la tavoletta. Estrasse lentamente il cioccolato dall'immagine e lo tenne fra le mani, incredulo.

Mike rimase a bocca spalancata, incapace di credere a ciò che vedeva, mentre il cioccolatiere esultava, incitando Charlie a dare un morso.

Il ragazzo aprì con entusiasmo la confezione e, dopo aver dato un morso, esclamò: «È buonissima!»

«È un miracolo» disse nonno Joe.

Il signor Wonka, con un sorriso compiaciuto, si rivolse ai presenti: «Immaginate di essere seduti comodi a casa, a guardare la televisione. Passa una pubblicità e una voce dice: la cioccolata Wonka è la migliore al mondo. Se non ci credete, provatene una. E voi allungate una mano e la prendete! Che ne pensate?»

«Che sei fuori di testa!» rispose Theresa senza mezzi termini.

Wonka però la ignorò con il solito entusiasmo e si girò verso il signor Tivù che, perplesso, chiese: «E può spedire anche, chessò, fiocchi d'avena?»

«Ha idea di cosa siano fatti i fiocchi d'avena? Di quei riccetti di legno di quando si fa la punta alle matite.»

«Non credo sia così» lo contraddisse di nuovo Theresa.

Charlie intervenne: «Ma potrebbe spedirli per televisione, se volesse?»

«Certo che sì!» rispose Wonka.

«Anche le persone?» domandò Mike.

«Perché dovrei spedire delle persone? Non hanno un buon sapore.»

«Quando mi tenevi sotto, dicevi il contrario» obiettò Theresa, beccandosi uno sguardo truce.

«Ma si rende conto di che cosa ha inventato? È un teletrasporto! L'invenzione più grande della storia del mondo, e lei non pensa ad altro che al cioccolato!» esclamò Mike, con la voce che tremava di eccitazione e frustrazione.

«È un cioccolatiere, che ti aspettavi? Che parlasse di videogiochi?» lo apostrofò Theresa.

Mike era pronto a ribattere, ma intervenne suo padre: «Calmati, Mike! Credo che il signor Wonka sappia di cosa sta parlando.»

«Non credo» rise Theresa, mentre il cioccolatiere non si scompose minimamente.

Mike non la prese bene. Il suo volto si trasformò in una maschera di rabbia, le guance si colorarono di rosso e i pugni si strinsero così forte che le nocche divennero bianche.

«No, invece! Non ne ha idea! Tu pensi che sia un genio, invece è solo un idiota! Ma io non lo sono.»

Con uno scatto selvaggio, Mike si lanciò verso il centro della stanza. Due Umpa-Lumpa che si trovavano sul suo percorso furono travolti come fuscelli al vento, rotolando per terra con piccoli gemiti di sorpresa. Senza pensarci due volte, il bambino schiacciò con forza il pulsante rosso e saltò sul podio.

La gravità sembrò improvvisamente ribaltarsi mentre il tubo trasparente scivolava giù dal soffitto e lo avvolgeva. Mike venne sollevato in aria, ma anziché spaventarsi, si girò verso gli altri con un sorriso arrogante, come se stesse dimostrando quanto fosse superiore a tutti.

Il signor Tivù si allontanò di qualche passo, il volto pallido e gli occhi spalancati per l'incredulità. Guardava il figlio come se fosse sospeso tra il terrore e la speranza che tutto fosse un brutto sogno, mentre un Umpa-Lumpa azionava la macchina e faceva scattare il fascio di luce. Il tubo trasparente si chiuse intorno al podio, e con un bagliore abbagliante, Mike scomparve.

«È sparito...» biascicò l'uomo.

«Andiamo al televisore, vediamo cosa succede!» esclamò il cioccolatiere con un entusiasmo quasi infantile. Sembrava più eccitato che preoccupato, come se stesse assistendo alla parte più divertente di un gioco. Invitò tutti gli altri a seguirlo, e mentre si avvicinavano allo schermo, aggiunse con nonchalance: «Spero non si perda qualche pezzo per strada...»

«Che significa?» chiese il signor Tivù, con una nota di allarme nella voce.

«Be', ecco, a volte solo la metà delle particelle arriva a destinazione» spiegò Wonka. Poi, con un sorriso che fece gelare il sangue nelle vene del signor Tivù, aggiunse: «Se dovesse scegliere una metà di suo figlio, quale metà sceglierebbe?»

«Ma che razza di domanda è?»

«Una domanda da idiota» intervenne Theresa.

«Non si agiti troppo, stavo solo chiedendo» disse il cioccolatiere, per poi rivolgersi a uno degli Umpa-Lumpa, che aspettava pazientemente accanto alla console. «Provate su ogni canale, comincio a essere un po' in ansia.»

Tutti fissarono lo schermo mentre i canali cominciavano a saltare freneticamente da un programma all'altro. Prima un cartone animato, poi uno spettacolo di cucina, un documentario sugli animali e infine... Mike! Apparve improvvisamente nel notiziario degli Umpa-Lumpa, con una faccia smarrita e incredula, mentre gli omini lo circondavano per cantare un allegro motivetto rock in suo onore.

È assai importante che si impari
di per sé. È assai importante chi
lo scorda che i bambini li riguarda,
dovete non lasciarli più appiccicati
alla tv. Non gli installate suonerie,
neppure altre diavolerie. Non vanno
mai lasciati, non vanno mai lasciati...
I sensi gli fa perdere, i sogni può
confondere, fonde il cervello a chi è
normale, la sola vista può accecare.
Può accecare! Non riesce più a
distinguere le favole dalla realtà, fa
ballare, fa ballare! È uno stracchino
insipido, il suo cervello e livido. Non
pensa più, non sogna piùùù! Riguardo
al nostro Mike Tivù ci spiace non trovarlo
più. Trovarlo più. Possiamo solo perdere,
sì, sì, sì. Ci spiace non trovarlo più,
dobbiamo solo attendere che lui torni a
ricrescere, se non lo fa-a-a-a... Bene gli sta!

Sull'ultima nota del motivetto, dopo aver subito il notiziario degli Umpa-Lumpa, una padellata in testa, botte da un gioco assurdo, la furia omicida di una scena di doccia che sembrava uscita da un film horror e un concerto sfrenato che lo aveva stordito, Mike si ritrovò schiacciato come un verme sul bancone da un Umpa-Lumpa armato di giornale.

«Eww, qualcuno lo prenda!», ordinò Wonka con una smorfia di disgusto.

Il signor Tivù, titubante, allungò il braccio dentro lo schermo e tirò fuori Mike come si tira un giocattolo da una macchinetta acchiappapupazzi, e si ritrovarono tutti e due a fissare il minuscolo, molliccio e microscopico corpo del ragazzo.

«Ah, grazie al cielo, è del tutto incolume» borbottò il cioccolatiere.

«INCOLUME?» urlò il signor Tivù, alzando il suo minuscolo figlio di fronte al cioccolatiere. «PERCHÉ A LEI SEMBRA INCOLUME?»

«Fatemi tornare com'ero prima!» strillò Mike, con una voce talmente ridotta che sembrava più un sibilo che un grido.

«Non c'è la marcia indietro» rispose il cioccolatiere. «È un televisore, non un telefono. C'è differenza.»

«E ora che cosa suggerisce di fare esattamente?» chiese il signor Tivù, adirato.

«Non lo so... Ma i ragazzini sono elastici, li si allunga come si vuole. Ah! Mettiamolo nel tira impasto!»

«NEL TIRA IMPASTO?»

«È stata una mia idea, eh!» replicò Wonka con un tono offeso. Si voltò poi verso il piccolo Mike, studiandolo con sguardo critico. «Diventerà magrolino... sì, tira impasto...» Wonka si rivolse all'Umpa-Lumpa più vicino. «Voglio che portiate il signor Tivù e il suo... figlioletto... al tira impasto, okay? Tiratelo per bene.»

L'Umpa-Lumpa si inchinò rispettosamente e, con efficienza, prese il signor Tivù per l'orlo del pantalone, trascinandolo insieme a suo figlio verso l'uscita. Mentre questo accadeva, per poco il ragazzino non finiva in faccia al cioccolatiere, il quale trattenne il respiro.

In seguito, era pronto a rimettersi in marcia, ma Theresa lo trattenne. Il suo sguardo era assente, come se stesse vagando in un mondo tutto suo.

Per un attimo, ci fu silenzio tra loro. Wonka, sempre pronto a lanciare qualche battuta o a parlare del suo cioccolato, rimase stranamente quieto. Comprese che Theresa voleva ritirarsi dalla guida del gruppo, non servivano ulteriori parole. Allora guardò mentre si allontanava, chiedendosi se quella era l'ultima volta che la vedeva.

Note: le quindici stanze della fabbrica le ho prese dal libro originale di Roald Dahl.

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