Capitolo dieci
Vengo scaraventata su un divano di pelle.
Emetto un sibilo, imprecando contro Travor.
"Idiota!" Sbotto incazzata massaggiandomi la testa, dato che ho sbattuto contro un bracciolo del divano.
Lui ridacchia.
"Scusa Audrey, non era mia intenzione farti del male."
Non so perché, ma quelle parole mi fanno scoppiare a piangere.
Non ha senso, lo so. Ma dopotutto, nulla di tutta questa situazione ne ha.
Due braccia sottili mi circondano la vita, e io mi lascio coccolare.
Quando la persona indistinta si allontana, mi asciugo le guance, e mi guardo intorno.
È tutto buio.
Da qualche angolo spunta un leggero spiraglio di luce, ma che comunque non mi permette di vedere chiaramente la stanza in cui mi trovo, nè tanto meno le persone in piedi davanti a me.
Decido di spezzare il silenzio angosciante che ci avvolge, e faccio l'unica domanda sensata che mi passa per la testa.
"Cosa ci faccio qui?" Chiedo confusa, prima di passarmi una mano fra i capelli.
Devo tagliarli, perché sono diventati troppo lunghi.
Da piccola amavo i capelli lunghi, e non li tagliavo praticamente mai. Poi mia madre si incazzava ed ero costretta a dargli una spuntatina.
Ma ormai è da quasi quattro anni che non li taglio, e ammetto di essermi stufata.
Ho bisogno di cambiamenti. Ne sento davvero la necessità.
Nessuno si decide a darmi una risposta, e la stanza si riempie di sospiri.
Qualcuno alza e abbassa la punta del piede velocemente, creando un rumore che in altre circostanze mi avrebbe irrittato.
Ma adesso mi tranquillizza: non sono l'unica ad essere agitata.
"Sentite" Interviene prontamente Travor, avvicinandosi a non so chi. Perché lui ci vede ma io no?
"L'ho dovuta portare qui con l'inganno, perché so che ne aveva bisogno, ma se queste sono le circostanze, ce ne andiamo. Adesso."
È incazzato, e non riesco a capire se la cosa mi faccia stare meglio o peggio dello stato in cui mi trovo ora.
Faccio per alzarmi, ma una voce mi blocca.
Mi congelo letteralmente sul divano, e devo sbattere più volte le palpebre per evitare di svenire.
Mi sento male.
Vedo tutto nero, e non per via del buio.
"Perdonali." La sua voce è diversa. Non la sentivo da tanto tempo.
"Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?" Scatto.
Non sono io a parlare, ma la a
Audrey incazzata e delusa di tre mesi fa che si è tenuta tutto dentro. E troppo a lungo.
La immagino mentre ghigna.
Poi si avvicina un po', tanto che riesco a sentire il suo profumo nauseante.
"Ascoltami bene Benson, perché non te lo ripeterò due volte" Benson. Evviva il calore umano.
"È stata una mia idea. Mi assumo tutte le responsabilità, okay? Smettila di avercela a morte con tutti loro, perché tanto non ti porterà da nessuna parte." Lo dice con tanta convinzione che quasi ci credo.
"Quello che mi stupisce, Katleen, è la facilità con cui menti. E devo ammettere che ti riesce anche bene." Sputo velenosa.
Lei ignora la mia frecciatina, e continua a parlare. E per me è inevitabile non ascoltarla.
"Li ho ricattati, non mi sembra difficile da capire. Ti credevo più sveglia, ma a quanto pare mi sono sbagliata" Sta dando la colpa a me, per caso? "Conosco segreti che nessuno sa, e sono venuta a conoscenza di alcuni fatti che potrebbero rovinare l'esistenza ad ognuno di loro. Per questo hanno ceduto e deciso di aiutarmi. Naturalmente mi serviva una scusa per quando avresti scoperto tutto. L'intento era quello di spifferare poi ai quattro venti i segreti indicibili dei tuoi amichetti, ma ho capito una cosa: per quanto mi costi dirlo, e fidati che non hai idea di quanto io stia facendo fatica in questo momento, tu sei una persona splendida, e un'amica che non si trova ovunque. E quindi averti persa mi sembrava già un brutto colpo. A che scopo contribuire a rovinargli l'ultimo anno delle superiori?"
Fa una lunga pausa, durante la quale io cerco in più modi di convincermi che tutto quello che sta dicendo sono solo enormi cazzate.
Ma perché Katleen dovrebbe mentirmi riguardo agli altri? Insomma, ha raggiunto il suo intento. Voleva distruggermi? Missione compiuta. Sono a pezzi.
"Quindi, ora ti chiedo di perdonarli. Non hanno fatto niente, sono io il genio malvagio." Ridacchia divertita, ma io in tutta questa situazione non ci trovo nulla di divertente.
Rimango in silenzio.
Non riesco proprio a decidere cosa devo fare.
Se Travor mi ha portato qui, significa che ha parlato con i ragazzi.
Quindi ci tengono veramente a me?
"Voglio sapere solo una cosa" Dico alla fine, alzandomi dal divano. Mi devo muovere. Quando sono agitata non riesco proprio a restare ferma. "Innanzitutto, accedendete una dannata luce, perché non vedo niente."
Qualcuno si avvicina all'interruttore e un attimo dopo la stanza viene illuminata da una luce fin troppo bianca.
È abbagliante e fastidiosa.
Mi guardo intorno, e loro sono tutti lì, in piedi che mi fissano.
Ci sono tutti, all'appello non ne manca nemmeno uno.
Prendo un profondo respiro, poi ricomincio a parlare.
"Quale motivo avevi?" Mi soffermo su Katleen, che mi fissa con insistenza.
Lei scrolla le spalle, e arriccia il naso.
"Perché tu sei sempre stata più di me. A scuola, con gli amici, nelle relazioni...e Cameron ti ha sempre visto per la persona splendida che sei. Avevo una cotta per lui dalla seconda media, maledizione, ma tu eri troppo impegnata ad accuparti dei tuoi problemi per accorgerti che stavo male."
Mi sento uno schifo. Non dovrei, ma è così che mi sento.
"Mi dispiace se ti sei sentita così. E mi dispiace ancora di più che tu sia tanto stupida ed infantile da non riuscire a risolvere un problema come una persona normale. Hai dei seri problemi, Katleen. Curati."
La sensazione di schifo è svanita nel nulla. Così, improvvisamente.
Mi fissa a bocca aperta.
"Riguardo a voi" Mi volto ora verso gli altri. "Siete degli stronzi, e anche dei vigliacchi. Mi avete presa in giro, e avete ferito i miei sentimenti. E per quanto vi possa sembrare stupido, è così."
Mi volto verso Travor, esitante, e lui mi fa cenno di continuare a parlare.
Non so cosa farei senza di lui.
Probabilmente mi sarei buttata sotto qualche macchina.
"Vi perdono" Faccio un piccolo sorriso. "Ma se provate solo un'altra volta a..."
Non faccio in tempo a finire la frase che vengo travolta da un gigantesco abbraccio di gruppo.
In tutto questo trambusto, le uniche braccia che attirano la mia attenzione sono quelle di Cameron.
Quando sciogliamo l'abbraccio, Katleen alza gli occhi al cielo e esce dalla casa senza proferire parola.
È davvero andata via senza lasciarmi la possibilità di insultarla per almeno un quarto d'ora?
Cameron si avvicina a me, puntanto gli occhi scuri nei miei.
Un brivido mi sale lungo la spina dorsale.
Mi mette le mani sui fianchi, e le palpitazioni del mio cuore aumentano.
Odio come mi fa sentire.
Con lui sto sempre bene. E io mi sto uccidendo.
"Deduco sia troppo presto per chiederti un appuntamento." Osserva sfoggiando un bellissimo sorriso.
"Deduci bene."
Abbassa lo sguardo, e vedo il suo sorriso spegnersi.
Non ci penso due volte, e lo abbraccio forte. Lo stringo più che posso.
"Possiamo almeno essere amici?" Mi chiede con una luce strana negli occhi.
Sorrido.
"Va bene" Annuisco, come per confermare ciò che sto dicendo. "Siamo amici."
Molti si chiederanno per quale motivo non abbia opposto resistenza.
Altri, probabilmente, perché abbia ceduto così velocemente a delle semplicissime scuse.
Ma è così e basta.
Non c'è un motivo, o un perché ben preciso. È solo che io ho bisogno di lui.
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