Capitolo 8
-Jared Pov-
Disteso sul pavimento c'era un uomo, in abito da sera, con un coltello piantato nel cuore. era sfiorito, rugoso, con un volto ripugnante. Solo quando esaminarono i suoi anelli lo riconobbero.
\\Il ritratto di Dorian Gray
"Ne vuoi una ragazzo?"
L'uomo difronte a me ha uno spinello premuta sulla bocca mentre tenta di ravvivarla con un accendino che ha visto tempi migliori.
L'uomo ha un viso molto allungato, una mascella decisamente squadrata, coperta da una coltre di barba scura, incolta da due o tre giorni probabilmente. I suoi capelli sono rasati quasi a zero, sarà un militare. Indossa un gilet da motociclesta antecedente a Grease con una squallida fantasia a elefantini rosa e due stivaletti parecchio country, con degli spuntoni lunghissimi. Ha un pantalone a zampa strappato.
È seduto contro il muro grigio spento, con le gambe accavallate e la testa rivolta verso l'alto.
Avrà una cinquantina d'anni.
Mi guardo intorno e sposto lo sguardo sulle grate della piccola cella ai domiciari, quelli stronzi della polizia hanno ritrovato impronte e traccia di saliva nel cadavere, sono saltati a conclusioni sbagliate, e mi hanno messo al fresco con John Lennon il ritorno. L'avranno messo dentro per il suo modo di vestire.
"Passamene una Johnny" allungo la mano e il vecchio mi passa la canna. Mi accende la punta e me la porto alla bocca. Tiro voracemente.
"Johnny?" ha una voce roca, graffiata, sarà per l'alcool. Sento un odore misto a gin tonic, formaggio andato a male e pino.
"Sei la versione più rock di Lennon" dico buttando fuori il fumo dalla mia gola. Vengo invaso dalla senzasione di piacere che mi passa per la bocca mista ad un retrogusto amaro, mi viene in mente solo ora che mia madre sta parlando col Sergente di sta minchia. Magari gli farà un pompino per levarmi da qui.
"Johnny." Puntualizzo con un sorissetto.
"Se lo dici tu ragazzo." il vecchio continua a gustarsi la sua canna senza batter ciglio.
"Come hai fatto a portare la roba qui dentro?" mi vengono in mente diversi scenari, decisamente irrealizzabili.
"Ognuno hai suoi metodi" dice in tono aspro, alzando le spalle.
Il vecchio fa il furbo con me?
Aspetta e spera.
"Tipo ficcarsela nel culo e farsela risalire fino al cervello?"
"Tipo ascoltare i consigli di chi è più vecchio e ne sa più di te."
Johnny si alza e spegne la cicca sulla parete opposta alla grata. La stanza è piuttosto piccola, ma non mi stupisco, essendo in centrale. C'è spazio si e no per due branche per dormire ed un piccolo lavandino.
"Non rientra nella mia lista di priorità Johnny"Replico stizzito, spegnendo la cicca per terra.
"Ho amici qui dentro, loro mi portano la roba in cambio di protezione"
Scoppio in una fragorosa risata che risuona per le pareti della stanza. Penso sia un effetto dello stress, ho letto in una tesi di Freud che la conseguenza dello stress può sottoporsi in diverse maniere, una di cui è ignorare il problema.
"Quindi tu sei una specie di boss?" Mi copro la bocca ma non riesco a non ridergli in faccia. Quest'idiota con la faccia di cazzo? Ma perfavore. "Il boss delle torte"
"Non dovresti sottovalurtarmi, ragazzo." fa una lunga pausa "So essere molto cattivo"
"Lo terrò mente" sorrido sarcastico "Per cosa sei dentro?"
Jhonny si puntella sui gomiti per mettersi a gambe incrociate.
"Importunio a sfondo sessuale ai danni di un agente" dice passandosi una mano negli ispidi capelli rasati.
"Ad un maschio? Devi avere gusti particolari non solo nell'erba" replico.
Parlare con Jhonny mi rilassa, mi distolglie dalla perenne preoccupazione, rallegra queste pareti grigie prive di felicità. Volto la testa e inspiro pesantemente, spero vivamente che vada tutto bene. Per quanto odi la mia famiglia, preferisco stare in casa mia a marcire per l'eternità piuttosto che in una cella con un hippie mezzo sballato.
"Era un troione con due tette e un culo" gesticola con la mano, mentre il suo viso assume un espressione compiaciuta, incomincia a starmi simpatico. Il boss.
"Tu, ragazzo? Che hai combinato? Incursione in un negozio di giocattoli o hai derubato il lattaio?"
Stronzo
Non posso fare a meno di sorridere per la sua battuta, il vecchio ha stile.
"Allora, da dove incomincio? Ah si, ero con una ragazza poi sono andato in bagno con un altra ma ho salvato l'altra ragazza da un monaco fissato col latino e ho ucciso l'altra ragazza, contemporaneamente ho schiaffato un pugno contro il tizio ed ho messo un giglio e un messaggio sul corpo della vittima. Tutto questo in circa due minuti."
Sorrido senza mostrare i denti, e vedo Jhonny ridere istericamente.
"Quando avevo la tua età ne ho fatte di puttanate, ho distrutto la macchina del mio vecchio"
"Esistevano le macchine nell'età della pietra?" Dico sollevando l'angolo sinistro della mia bocca.
"Non sono vecchio quanto pensi tu ragazzo." esclama spolverandosi il vecchio gilet
"Mika lo sa che gli hai fregato il leggins? Rivorrà i suoi elefantini rosa"
Mi aspetto di vedere il vecchio ridere ma la sua espressione rimane impassibile, sposta il suo sguardo verso di me, incrociando i miei occhi. Il suo sguardo è come demoniaco, è cambiato rispetto ad un mometo fa.
Una scossa di paura ed adrenalina mi colpisce tutto ad un tratto.
Vattene
Mi acquatto verso il muro, tentando di schiacciarmi sulla parete. Sento, inespigabilmente, le mani calde, un lieve bruciore mi solletica i palmi.
"Sta arrivando qualcuno ragazzo"
Il suo sguardo è rivolto verso l'esterno, odo dei liebi passi che si dirigono verso la cella.
"Qualcuno di tormentato" il suo tono di voce, già rauco in precedenza, è sceso di un ottava, ha gli occhi socchiusi e i muscoli delle braccia, guizzanti e tesi. Sembra un leone, pronto a balzare sulla preda.
Va via
"Avrei voluto ancora parlare con te ragazzo" dice facendo una risatina strana, quasi malevola, cattiva. Si mette le mani in grembo e sorride fra sé e sé, senza guardarmi negli occhi.
Le mie mani cominciano a farmi male, il lieve bruciore si è trasformato in un fastidio acuto, sono costretto a sfregarmele. Ho il respiro accellerato, come se stessi correndo.
I passi sono sempre più vicini. Mia madre è sempre più vicino.
"Sta attento, il male è in agguato. Lui è in pericolo" dice prima di appoggiare la testa al muro e chiudere gli occhi.
Le mie mani non smettono di pulsare ferocemente.
Sento delle voci indistinte e giro la testa in un attimo. Mia madre è difronte alla cella e sta parlando fitto fitto con un agente in borghese, un uomo sulla trentina, con capelli castani e sottili rughette ai lati degli occhi marrobi, non è molto in forma. Il bottone della sua giacca di tweed color beige implora pietà, sembra in procinto di saltare da un momento all'altro.
Il tizio stringe in mano un taccuino marroncino.
Mia madre ha la solita espressione alla Cece. Che novità.
"Le conviene tirare fuori mio figlio da questa cella o dovrò citarla per averlo trattenuto senza la presenza di un legale" sentenzia Cece, piegando leggermente la testa a sinistra.
Vengo appagato da un senso di sollievo improvviso. È così strano sentirle dire queste parole, una parte della mia mente è ancora convinta che se ne avesse la possibilità mi lascerebbe qua a marcire per l'eternità.
L'uomo assente silenziosamente e tira fuori dalla tasca del suo tweed, una chiave dorata. Con mano ferma, ficca la chiave nella serratura. Apre la porta scoccandomi un occhiataccia.
Mi alzo velocemente, puntellandomi con i gomiti e mi dirigo verso l'uscita. Prima di allontanarmi, lancio un ultimo a sguardo al vecchio. Ha gli occhi chiusi.
"Fatti curare" sussurro rivolto più verso me stesso che verso di lui.
Seguo mia madre e l'agente lungo il percorso dal quale sono venuto. Ci sono circa sei celle in centrale, tre sono nel corridoio di destra, tre nel corridoio di sinistra. Le pareti sono di un bianco sporco e il soffitto è piuttosto basso. Attraversiamo una porta rinforzata, e ci ritroviamo nella stanza principale dell'edificio.
È una stanza rettangolare piuttosto ampia, al centro ci sono alcune postazioni compiuterizzate, penso per le intercettazioni. Il mio sguardo si posa sulla scritta brillante
Contea di ShoreVillage
La legge è uguale per tutti
Certo sopratutto per quelli che hanno soldi e puttane da dare.
Questa città è il cuore pulsante della corruzione, ci vorrebbe un Batman a salvare la situazione. Magari Nate starebbe bene con la calzamaglia.
Entro nella stanza e richiudo la porta dietro di me. La stanza è completamente spoglia, al centro della stanza c'è una scrivania vuota, con l'eccezione di una targhetta rialzata. Ci sono alcune mensole, con delle cornici ancora nuove. Se non fpsse per l'enorme archiviario dietro la scrivania, dedurrei che l'agente si sia appena trasferito.
L'uomo si lascia cadere sulla sedia dietro la scrivania, facendoci cenno di sederci.
"Vicesceriffo Allen, potrebbe gentilmente spiegarmi? O non mi è concesso sapere perchè mio figlio è stato messo in cella senza l'ausilio di un legale?" ribatte mia madre con il suo sorriso da agente immobiliare.
Sai mamma mi sono portato in bagno questa ragazza per scoparla ma non l'ho uccisa io no, è stato un monaco fissato con il latino, che prima ha aggredito la ragazza che mi sono portato al locale, che poi io ho salvato, ma poi siamo tornati indietro e così abbiamo trovato la ragazza, ma non sono io il killer, al massimo lo stupratore.
"Abbiamo preso in custodia suo figlio per interrogarlo, sono state rinvenute nuove prove che testimoniano la sua colpevolezza, in ogni modo......" afferma Allen, raddrizzando la schiena sulla sedia.
"Interrogare non è sinonimo di rinchiudere, signor Allen" lo interrompe educatamente Cece.
Non avevo mai visto mia madre scomporsi tanto, starà cercando di difendere la sua reputazione. Un figlio in gattabuia non giocherebbe a favore del buon nome dei Durner.
Mentre il sorriso di mia madre non vacilla, Allen sembra in procinto di scoppiare. Soffermo il mio sguardo sulla sua carotide, pulsa ad un ritmo inimmaginabile.
Il vicesceriffo ignora l'entrata di mia madre e continua a parlare coinciso:
"Sono state rinvenute impronte digitali appartenenti al signor Durner qui presente sul corpo della vittima, Rachel Salf." sentenzia Allen.
"Non basta per rinchiudere un ragazzino" il sorriso intimidatorio di Cece è sparito dal suo viso, ora vi è solo una smorfia di rabbia.
"Non è colpa mia se lei non ha saputo educare suo figlio, magari avrebbe potuto accennagli che l'omicidio e lo stupro sono illegali in America"
Bastardo
La mia vita è una fottuta serie tv.
Sento rinforzarsi il fuoco nelle mie mani, i brividi mi stanno perforando le braccia.
"E le testimonianze non contano? Brooke può confermare" sbraito alzandomi in piedi, ho le mani strette a pugno, vari scenari su cosa potrei fare a questa testa di cazzo mi invadono il cervello, ma la mia coscienza frena i miei istinti.
"Una persona instabile come Brooke Hostilia non può dare una testimonianza attendibile"
il viso di Allen ha assunto un colore rosso peperone, le sue sopracciglia sono corruciate in un espressione rabbiosa.
Instabile?
"Instabile?" dico quasi sussurrando.
Senza alzarsi dalla sedia, Allen si gira per prelevare un fascicolo dall'archiviario alle sue spalle. È una cartellina color turchese, con su scritto in caratteri cubitali "Brooke Amelia Hostilia".
Pensavo si chiamasse Chase di cognome.
Allen si lecca la punta delle dita prima di girare la prima pagina.
"Brooke Hostilia, genitori separati, in terapia allo studio psichiatrico per dieci anni, tre richiami per quiete pubblica, due effrazioni proprietà privata, problemi di schizzofrenia e isteria, soggetto instabile" legge con tono monotono e sprezzante. "Soddisfatto?"
Abbasso lo sguardo, umiliato.
Non la giudicherò per ciò che ha fatto in passato, sono convinto che quelle cose siano legate alla morte del fratello e del brutto periodo che ha affrontato.
Pensavi di conoscerla? Ti sbagli
"Non vedo cosa centri questa...." dice Cece cercando il termine per definire la ragazza "....spastica con mio figlio. Pazza o no, ha dato una testimonianza."
Allen fa per ribattere ma viene interrotto dal rumore del cigolio della porta.
Un agente di colore fa capolino con un cappuccino in mano.
"Vicesceriffo, c'è una ragazza nell'anticamera che vuole parlarle d'urgenza, si chiama Brooke Chase"
Merda
Non me ne frega un cazzo di quello che pensa mia madre di lei ma ho paura che la sua presenza peggiori la mia condizione.
"Falla entrare"
Il volto di Allen si piega in un sorriso soddisfatto. Il vicesceriffo di drizza sulla sedia e stende le braccia dietro il suo collo.
"Ora siamo veramente al completo" dice spaparanzandosi sulla sedia. Sono convinto che quella sedia sia destinata a cedere sotto il culo pesante di Allen.
Volto la testa verso mia madre, ha gli occhi socchiusi, come due fessure e le labbra ridotte ad un filo, sta fissando la porta.
Chiudo gli occhi, ed inspiro. Odio sentirmi così impotente e frustato allo stesso tempo. Un tonfo interrompe i miei pensieri, un tonfo di una porta che si chiude.
Apro gli occhi e vedo la ragazza in piedi sull'uscio della porta.
Non ha un bell'aspetto. Indossa una vecchia maglietta grigia e dei jeans scuri in brutte condizioni, la borsa marrone che stringe nella mano sinistra sembra decente. I suoi capelli sono legati in uno chignon disordinato, poco sopra la nuca. Le profonde borse sotto agli occhi testimoniano che non abbia dormito
Riesco ad immaginarmi i pensieri di mia madre sul suo abbigliamento, "sciatta" "poco curata" "che persone frequente Jared" la canzono mentalmente.
Mi giro per vedere la sua reazione. Sta scquadrando Brooke dalla testa ai piedi come se fosse una coscia da spolpare.
"Che ci fa il mio fascicolo lì" ha la voce ferma, stranamente calma, non riesco a trovarla instabile nemmeno ora, penso solo che abbia avuto un brutto periodo.
"Ho mostrato ai signori Durner quanto sia affidabile la tua testimonianza, visti i tuoi precedenti"
Stronzo.
Brooke sussulta, prima di lanciare un dito accusatore verso il poliziotto.
"Provi lei ad essere testimone di un incidente stradale e a veder morire tuo fratello sotto i propri occhi. Provi lei ad avere una madre che non sa badare a se stessa, figuriamoci ad un altra persona. Provi. Voglio vedere se ne uscirebbe senza conseguenze e senza una lunga lista di conti dello psicologo da pagare"
Brooke butta fuori le parole tutto d'un fiato. Fisso il suo viso in cerca di una reazione, magari delle lacrime, ma non si scompone. I suoi occhi restano chiari e lucidi.
"E se lei prova a tirar di nuovo fuori quel fascicolo, io la denuncio per diffamazione" sputa.
Allen ha perso la sua strafottenza, ora sta fissando il soffitto con guardo truce.
"Sono venuta qua, perchè ho dimenticato una cosa nella mia testimonianza. Mi sarà di certo sfuggita" borbotta con tono aspro.
"E cosa può essere sfuggito ad una persona così attenta" boffonchia Allen, sillabando l'ultima parola"e affidabile"
Brooke ridacchia sarcastica e sposta il peso da un piede all'altro.
"Dopo aver bevuto il drink, io e Jared siamo andati in bagno, con la vittima, sarà questo il motivo delle impronte, signor Allen"
Geniale.
Mi sta salvando la pelle, non ne capisco il motivo, ma mi sta salvando il culo.
Cece sembra in procinto di strozzarsi, ha le mani strette a pugno e le sopracciglia aggrottate.
Allen ha la faccia di uno che ha appeno visto un fantasma.
"A fare cosa, se posso chiedere?" domanda perplesso l'agente.
"Se te lo dico vomiti" dice sorridendo sorniona.
Mi lascio sfuggire una risatina strozzata.
Non avrei mai immaginato questo lato del suo carattere, ha mille sfumature. Ieri era una ragazza ubriaca e timida, oggi è un instabile stronza. Mi piace sempre di più.
Rido amaramente della smorfia digustata di Cece.
Amo quando qualcosa riesce ad infastidire mia madre, essendo me stesso uno di questi.
"Si da il caso che abbiate un alibi per le impronte digitali, ma siete comunque iscritti al registro degli indagati." balbetta Allen
"E quante persone sono iscritte? Due?" è la prima volta che mia madre prende parola dopo l'arrivo di Brooke, mi sorprende il fatto che non sia dalla parte dell'agente, che sia dalla mia parte più che altro.
"Stiamo facendo l'impossibile per voi e per i genitori della vittima, i signori Salf. Verrete informati di ogni evoluzione del caso" esclama, tamburellando le dita sulla scrivania.
"La mia presenza non è più necessaria, è meglio che tolga il disturbo" mormora la ragazza allargando le braccia, un sorriso forzato le si apre sul volto. Indietreggia lentamente per poi rivolgermi un occhiolino ed uscire dalla porta, con passo solenne.
Seguila. Ti darà risposte
Ci metto circa due secondi a decidermi di seguirla attraverso la porta principale, lasciandomi alle spalle le proteste di mia madre e del vicesceriffo.
Esco fuori in strada, il mio sguardo si posa subito sul cielo, è bluastro, saranno le otto di sera, quanto diavolo sono stato in cella?
Cerco la sagoma di Brooke con lo sguardo, mentre cammino per la strada. Non c'è nessuno per strada, forse ci sarà qualche partita di baseball o altro. Individuo a circa cento metri, una chioma bruna svolazzante. Non sono sicuro sia lei ma inizio a correre velocemente.
Afferro per le spalle la ragazza e la costringo a guardarmi. Due occhi verde scuro incrociano i miei.
Brooke si scrolla dalla mia presa e incrocia le braccia.
Bingo
"Che vuoi?" bibiglia, con le braccia incrociate.
Fa piuttosto freddo per essere a maniche corte, noto che sulle braccia le si sono drizzati i peli, ha la pelle d'oca. Se avessi una giacca gliela darei ma sono anche io nella sua stess condizione.
"Come hai fatto a trovarmi?" le chiedo con voce ferma
Un suono. Una parola. Nella mia mente
Ha un espressione confusa. Apre diverse volte la bocca per parlare ma non esce alcun suono.
"Hai detto qualcosa"
"Si, ti ho chiesto come hai fatto a trovarmi"
"No, hai detto anche un altra cosa"
Sembra sconvolta.
"Hai sentito qualcosa" le appoggio una mano sulla spalla.
"Era come un eco, ma nella mia mente. L'avrò immaginato" dice scuotendo la testa
"Un nome?"
"Come fai a saperlo?" dischiude le labbra e mi fissa confusa.
Inspiro e mi volto, dandole le spalle.
"Perchè l'ho sentito anch'io"
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