Capitolo 6
-Brooke Pov-
Le cose che possiedi alla fine ti possiedono
//Fight Club
"Agente vi ho già detto tutto quello che so" sbuffo, abbassando le spalle. Sono seduta nel soggiorno di casa ì, sulla sedia a doldolo. È la terza volte che l'agente mi rivolge la stessa domanda. Mia madre è seduta accanto al poliziotto e fissa il pavimento.
L'agente è un uomo sulla trentina, con capelli castani e sottili rughette ai lati degli occhi, non è magrissimo, ha delle maniglie dell'amore pronunciate.
I miei ricordi sono confusi, l'ultima cosa che ricordo sono le braccia di Jared che mi sorreggono mentre svengo. Mi sono risvegliata nel mio letto, non so chi mi ci abbia portato o altro. Ricordo perfettamente l'aggressione, ma il resto è come guardare da una maschera appannata.
Sento un brivido nel punto in cui si è posata la mano fredda dell'assassino ogni volta che ripenso. Chiudo gli occhi e rivedo i gigli tatuati sulla mia spalla.
"Sei sicura che non ci sia altro? Una cosa che hai notato, anche irrilevante per te, può essere un indizio importante."
Mi sposto una ciocca dietro i capelli.
Un pensiero mi balena nella mente.
La bruciatura.
Il sospetto che possa essere stato lui si insidia nella mia testa, ma lo scanso subito. È stato con me tutto il tempo, non avrebbe potuto fare nulla, nemmeno con un complice. Poi non mi sembra il tipo.
Non lo conosci
Mando silenziosamente a fare in culo la mia coscienza e sposto il mio sguardo sul poliziotto. Ha annotato tutta il mio racconto sul suo taccuino, con una grafia piuttosto disordinata.
"No. Sono sicura"
é come se la mia bugia risuonasse nelle pareti, insieme al senso di colpa nel proteggere una persona che non conosco.
Perchè lo sto proteggendo dovrei dire la verità all polizia, ma devo prima parlargli, devo prima esserne sicura.
"Quindi tu hai visto un monaco che ha tentato di aggredirti, dicendo sempre una stessa frase, ma che poi ha aggredito un altra, che era nel locale poco prima, in pochi minuti?" dice con tono scettico "Ah e dimenticavo, in questi pochi minuti l'assassino ha avuto il tempo di mettere un giglio sul cadavere e scrivere un bigliettino."
Fa una risatina strozzata. Vedo mia madre scoccargli un occhiataccia.
Sono tentata di spaccargli il taccuino che ha in grembo in testa.
Calmati, rispondi educatamente.
Potresti finire nei guai.
"Ci troviamo in presenza di Flash suppongo"
Mi metto a sedere dritta. E punto l'indice verso il poliziotto.
"Senta in quel vicolo c'eravamo io e Jared, lei era di certo in centrale a guastarsi ciambelle col suo collega perciò non venga a farmi la morale, io so esattamente cosa ho visto. E se due persone vedono un monaco assassino con le dite bianche o sono d'accordo o si sono fatti di eroina o dicono la verità. Se ne faccia una ragione" dico alzandomi per avvicinarmi al lavandino della cucina. Non mi preoccupo nemmeno di vedere l'espressione dell'uomo.
Un sorriso mi spunta sullelabbra. Mi sciacquo le mani e mi siedo sul lavello, incrociando le gambe.
Mia madre mi fa l'occhiolino, ha gli occhi stanchi.
"Agente mi scusi, ma è la prima aggresione da parte di questo serial killer?" esclama mia madre, unendosi al discorso. Ha delle occhiaie sotto agli occhi per la preoccupazione. Sembrava così serena fino a qualche giorno fa. Sbuffo.
"Purtroppo no, signora" dice l'uomo, chiudendo il taccuino con la mano destra. "È avvenuto un altro accuduto del genere, ad una ragazza qualche settimana fa, per i tagli rinvenuti pensavamo fosse stato un uomo accompagnato da un animale, stessa dinamica, un giglio sul ventre, e un messaggio in latino. La testimonianza di sua figlia e del suo ragazzo ci ha fatto comprendere particolari fondamentali, purchè sia fondata ovviamente.".
L'ultima sua affermazione colore le mie guance di rosso acceso.
"Non è il mio ragazzo, siamo solo amici" ripeto con tono deciso.
L'uomo si ferma, mi guarda negli occhi e continua a parlare ignorando la mia entrata. Ovviamente non sarò mai presa sul serio finchè non compirò diciotto anni, grandioso. Fortunatamente avverrà fra qualche mese.
"Come nome abbiamo optato per il fioraio" afferma guardando mia madre e dandomi le spalle.
"Piuttosto minaccioso come nome" commento sarcastica. Mi becco un occhiataccia dal poliziotto. Mia madre sta ridendo sotto i baffi, il suo volto è tirato in una smorfia di gusto.
Incrocio le gambe e fisso l'uomo con tono di sfida, aspettandomi una sua risposta.
Il poliziotto si alza sbuffando, alllisciandosi i pantaloni cachi. Il suo distintivo brilla fiero sulla sua spalla, come un trofeo di guerra. Mi aspetto quasi che inizi a parlare ricordandomi che sono una stupida ragazzina con le allucinazioni.
Si incammina, attraversando il soggiorno color caramello, e si precipita fuori dalla stanza. Lo sento stringere la mano a mia madre che gli porge due parole di commiato.
A divinis
Sono stata tutta la mattinata a cercare di capire il contesto di questa parola. Era una punizione inflitta ai sacerdoti ma non riesco a capirne il senso. Preferirei di gran lunga il biglietto alla Occhi Di Gatto piuttosto che messaggi da psicopatici in latino.
"Brooke" sento la voce di mia madre alle mie spalle, mi volto e vedo il suo sorriso caldo sotto le occhiaie della stanchezza. Passano gli anni ma mia madre resta ancora una bellissima donna, i capelli scuri le ricadano morbidi sulla vecchia salopette da casa, ha le mani piegate sui fianchi.
"Mamma" sposto lo sguardo sul salone di casa, il pavimento in legno chiaro, lucidato da poco, scricchiola mentre mamma percorre a grandi falcate, annullando la distanza fra di noi.
"L'hai fatto nero a quello stronzo" dice ridendo, mentre si lega i capelli in un tuppo disordinato.
Ridacchio e mi lascio cadere sul divano con un tonfo, allungo i piedi occupando quasi tutto lo spazio.
Meredith mi segue e si siede accanto a me, con i miei piedi in grembo.
"Come stai amore?" dice piegando la testa.
"Bene" mento, sospirando e girandomi su un lato.
"Sinceramente"
"Male"
Allunga una mano per darmi un buffetto sulla guancia e stringermi la spalla.
"È come se tutto quello in cui ho sempre creduto si fosse frantumato in un istante. "
Fisso il pavimento, non riesco a guardarla negli occhi.
Sento le sue braccia intorno ai miei fianchi e seppellisco la testa nei suoi capelli morbidi, ricambiando la stretta.
Inspiro il suo odore misto fra camomilla e vaniglia, da piccola amavo stare fra le sue braccia solo per sentire il suo profumo.
Percorre la mia schiena a grandi cerchi e mi posa bacetti bagnati sulla fronte. So che sta soffrendo quanto me ma cerca di non lasciarlo a vedere.
"Io giro per casa e ad ogni rumore, io mi aspetto che spunti qualcuno da sotto il letto,da dietro le tende. Come faccio a sopravvivere, se ogni cosa mi ricorda lui?"
emetto un singhiozzo strozzato dal tessuto del pigiama di Meredith
"Passerà, la paura passerà. Un giorno camminerai a testa alta, Brooke, e non avrai mai più paura."
sussurra dolcemente, nel mio orecchio.
"Ero lì e ero completamente indifesa. Odio non aver potuto fare niente, odio il fatto di aver avuto bisogno che qualcuno mi salvasse. Non voglio essere così debole, mamma. "
"Voglio poter dormire al buio senza più paure, voglio sorridere e sorridere, devo diventare più forte, mamma. Voglio salvarmi da sola".
Ho gli occhi gonfi di lacrime, sento il tessuto della maglia bagnarsi di lacrime. Mamma inizia a cullarmi dolcemente, strofinando la testa contro la mia spalla.
Mi prende per le spalle e mi costringe a guardarla, i suoi occhi verdi sono imperlati di lacrime, così come le sue guanche rosee. Fa un sorriso forzato,
"Brooke, la vera forza è quella interiore, quella di chi si rialza più forte di prima. La vera forza non sono i muscoli, la vera forza è" alza l'indice e picchietta sulla mia fronte "qui dentro"
Chiudo gli occhi e inspiro per calmarmi. Mi rendo conto solo ora di quanto mi manchi Shade, non lo vedo da ieri mattina, gli avevo promesso che dopo il cinema sarei andata a casa sua. Una fitta di senso di colpa mi stringe le viscere.
"Bene ora non voglio più musi tristi. Sorridi" dice enfatizzando l'ultima parola. Il suo viso si apre in un sorriso raggiante.
Con i pollici mi tira su gli angoli della bocca. Sorrido forzatamente.
"Andiamo Brooky" dice imitando la 'r' moscia di Shade.
Tiro un sospiro e tiro fuori la linguaccia, curvando la mia bocca in un sorriso.
"Ora per premiarti del tuo sorriso, musona, maratona American Horror Story, tre stagioni in un giorno"
"Ci sto"
Chiudo gli occhi, ma ciò che vedo nel buio mi spaventa
-Jared Pov-
Non avrei dovuto bere così tanto. Non riconosco il soffitto della stanza in cui mi trovo. Ci sono travi di legno verticali, affiancate da travi orizzontali. Giro la testa per guardarmi intorno, ho la vista annebbiata. Ci sono pareti chiare, sul baige, un arredamente base, molto vintage. C'è una scrivania piuttosto antica, con un computer bianco e vari portapenne colorati, sulle pareti ci sono quadri di navi e di un formichiere. Quale persona sana di mente compra un quadro di un formichiere?
Il pavimento è a scacchiera, le tasselle formano una decorazione che raffigura una grande x al centro della stanza. Le tapparelle sono abbassate, c'è poca luce nella stanza.
Un lampo di memoria mi attraversa la mente, la stanza mi è familiare. Mi accorgo solo ora di essere nudo. Cazzo. Le coperte sono di un lilla chiaro, e mi coprono dal busto in giù. Sento muoversi dall'altra parte del letto.
So già di chi si tratta senza nemmeno girarmi.
Mi puntello con i gomiti per alzarmi dal materasso. Lascio cadere il lenzuolo sotto i miei piedi e cerco con lo sguardo i miei pantaloni.
Dove cazzo li ho buttati
Mi gratto la nuca.
"Sono nell'armadio, Jerry" cinguetta Lucy alle mie spalle con la sua voce squillante da oca. Odio quando mi chiama Jerry, è così irritante, ma è piuttosto brava nei pompini.
L'armadio è di un arancione spento, con le ante separate da strisce bianche. Apro l'anta di destra e afferro con decisione. Mi rivesto silenziosamente e mi incammino verso la porta.
"Sembri parecchio stressato, Jared."appoggio il gomito sullo stipite della porta e mi volto verso Lucy. È stesa comodamente a pancia in giù sul letto, completamente nuda, mentre gioca con una ciocca di capelli neri. Inarca la parte bassa della schiena per mettere in mostra il culo.
Troia.
"Che cosa te lo fa pensare di preciso?" dico con tono sarcastico
"Stanotte forse" inarca un sopracciglio.
"Cosa è successo stanotte?" sposto il peso da un piede all'altro e socchiudo gli occhi. Devo sapere
cosa ci faccio qui e dove sono andato ieri sera.
"Non te lo ricordi? Eppure sei stato piuttosto focoso" fa una risatina smorfiosa "Eravamo al Gillex, tu hai bevuto un po, poi siamo venuti qua e ci abbiamo dato dentro tutta la notte"
Gli angoli delle sue labbra si curvano in un sorriso malizioso.
"Nel sonno hai blaterato parecchio, parlavi in una lingua tutta strana. Tipo quella che parlavano i tizi vestiti in rosso con le spade, uhm" dice alzando gli occhi al cielo. Odio la sua voce e lei in generale, ma sa cosa mi aspetto da lei ed è pronta a darmelo.
"Latino" dico senza espressione.
I ricordi mi attraversano come una spada trafigge un cuore.
Ieri sera, Brooke, il monaco, A divinis. La ferita d'amore la risana chi la fa
Sono costretto ad indietreggiare mentre mi mantengo la fronte con la mano. Il mal di testa continua a martellarmi le tempie.
Ci saranno i poliziotti a casa mia, cazzo.
So per certo che quello che Lucy ha detto è vero perchè ricordo di essere andato al Gilex, poi il nulla.
Devo tornare a casa, ci saranno valanghe di poliziotti e Cece finirà per pensare che sia stato io a uccidere la bionda e finirà per testimoniare contro di me.
Un immagine di lei, davanti ad una telecamera ed un microfono, con le lacrime finte e il trucco colato. 'Mio figlio è sempre stato un ragazzo violento e instabile, ma non credevo fino a questo punto'
Fanculo.
Quello che è successo ieri sera, non rimanderà il mio incontro con Nate. Ho bisogno di sapere la verità. Sono stati troppi gli anni all'ombra del fratello perfetto, del fratello con la media più alta, il fratello migliore di te in tutto. Nate non è mio fratello, non lo è mai stato.
"Tesoro, se vuoi posso farti rilassare un po" sogghigna, alzandosi dal letto. Non tenta nemmenodi nascondere le sue nudità, mentre avanza decisa verso di me, sgambettando ferocemente.
Le squadro il corpo, non c'è niente che non abbia già visto.
Nonostante l'idea di una sana scopata senza legami mi alletti, ho cose più importanti che accontentare una sgualdrina.
"Non oggi Lucy" sbotto, mentre sbatto la porta per andarmene.
Ho passato più tempo qua negli ultimi anni, che a casa mia. Non per passare del tempo con Lucy ma con Kyle. Le porte di casa Gibson sono sempre state aperte per me.
Scendo a passo veloce le scale quando sono interrotto da una voce maschile.
"Frocetto, vai di fretta? Non si saluta nemmeno?" la voce di Kyle risuona nell'ampio soggiorno. È martedì i suoi sono a lavoro non torneranno prima di mezzanotte.
Kyle è a petto nudo, indossa una tuta rossa di Declathon. Il tatuaggio sul bicipite destro brilla ai raggi solari, i capelli scuri gli ricadono disordinati sulla fronte. I suoi occhi marroni appaiono più scuri del solito.
"Non sei andato a scuola ragazzino? Poi mammina si incazza" ridacchio dandogli una pacca sulla spalla.
"Tanto alla sorellina ci hai già pensato tu eh?" mi spintona scherzosamente. Il mio sguardo si posa sull'orologio in cucina, segna le undici e quaranta. Cazzo.
Papà sarà di certo a scuola, a spiegare qualche inutile tavola matematica e Cece starà sicuramente in un qualche ufficio al telefono. E Nate?
Magari un autobus l'ha preso in pieno mentre buttava la spazzatura. Sorrido al solo pensiero.
"E tu coglione? Hai scopato stanotte?"
Lo capisco prima che parli dalla sua espressione. Fa un sorriso malizioso, e si passa la mano fra i capelli. Piega le gambe e si mette in posizione da pugile, con i pugni alzati per coprire il viso. Ridacchio mentre lo imito.
Mi tira un pugno sulla spalla sinistra imitando Rocky.
Non so perchè ma mi viene in mente Brooke. Ho un tuffo al cuore al solo pensiero di lei che indietreggia spaventata prima di svenire. Spaventata da me.
Tento di ricordare ma il terrore rende tutto poco nitido. Mi balena nella mente una cosa, un piccolo ricordo.
Sto entrando nel Gillex. Ho la sensazione di essere osservato. Qualcosa mi sta seguendo. Poi niente.
Il mio sorriso si spegne quando Kyle indietreggia, con la mano destra al petto. Ha un espressione sofferente sul volto.
La mia mente viene inondata dai ricordi della ragazza bionda. Di come abbia indietreggiato nello stesso modo in cui l'ha fatto Kyle. Possibile che l'abbia fatto di nuovo?
Ho bruciato Kyle
Mi fisso le mani, non c'è traccia delle bruciature dell'altra notte, sono sparite. Assumo un espressione confusa, non erano frutto di un allucinazione, sono certo che anche Brooke le abbia viste.
Mi viene da chiedermi che stia facendo in questo momento, è spaventata immagino. Magari è raggomitolata fra le coperte scossa dai brividi della paura.
Potrei riscaldarla io
Scaccio via il pensiero dalla mia mente e mi concentro sul viso di Kyle. Ha gli occhi soccchiusi.
"Ma che diavolo. Che hai la febbre?"
"Energia elettrostatica" il mio tono dovrà sembrare poco convinto agli occhi del ragazzo. Ma Kyle annuisce e si gira per andare a sciacquarsi le mani nel lavello bianco della cucina.
L'orologio immaginario brucia sul mio polso, così come la consapevolezza di star perdendo tempp prezioso per conoscere la verità.
Devo andarmene.
Saluto velocemente Kyle e esco dall'abitazione. Attraverso il giardinetto curato per poi iniziare a correre.
Cerco di scacciare dalla mente le bruciature ma il ricordo vivido è sempre in agguato.
Scorgo il profilo famigliare della mia casa. La casa del calore e dell'allegria.
Sono fottuto.
Percorro a grandi falcate i piccoli gradini dell'ingresso per poi entrare nella casa. È tutto come al solito fottutamente in ordine, tutti quelle cazzo di statuette della thun sugli scaffali, la tavola apparecchiata.
Il mio sguardo si posa sulla sedia accanto alla mia. È apparecchiato per quattro. La mia minuscola ipotesi che Nate sia stato investito da un auto o che se ne sia tornato in Florida va a farsi benedire.
Mi guardo intorno, è tutto stranamente calmo, non sento il fastidio rumore provocato dai tacchi a spillo di Cece, né Papà e Nate che giocano a baseball nel giardino sul retro.
"Jared"
Mi volto di scatto. Il trio della morte sta scendendo le scale. Cece apre la fila, seguita da Papà e da Nate.
Cece porta insolitamente i capelli castani sciolti sulle spalle, leggermente ondulati sulle punte. Ha un cardigan color caramello, con sotto una camicetta beige. Indossa dei pantaloni neri a vita bassa. Papà e Nate sono vestiti in modo piuttosto formale, tuta larga scesa sui pantaloni e felpa degli Eagles.
Senza fissarli negli occhi, sposto la sedi ae mi piazzo sulla sedia. Mi tolgo il giubotto e lo metto dietro lo schienale. La mia mente vorrebbe fare tante di quelle domande ma trattengo la mia lingua. Devo essere cauto.
Alzo lo sguardo e vedo la testa bionda di Nate sedersi affianco a me. Mi mordo le labbra e fisso il piatto.
"Hai ferite per ieri o altro? esclama senza alzare la testa dal piatto. Si mette una ciocca dietro le orecchie.
"No" dico con tono secco e risoluto.
Mia madre si comporta normalmente, non c'è un briciolo d'incertezza nei suoi movimenti, né nella sua voce. Sorride come se fosse nata per farlo.
Certo Cece tuo figlio non ha appena rischiato la vita no.
Sta trattando la cosa come se fossi solo caduto dalla bicicletta. Che madre di merda. Non mi chiedo nemmeno come abbia fatto a sapere della notte scorsa, se questo è l'interesse che rivolge nei miei confronti
"Jared, sai che tuo fratello ha recentemente partecipato ad un azione benefica e filantropica, è stato premiato ringraziato difronte ad una platea di seicento persone" dice Cece piegando la testa, e sorridendo al mio fratello maggiore.
Annuisco debolmente.
"Ottocento mamma" la corregge Nate, voltandosi verso di me con un ghigno. Stringo gli angoli del tavolo per non ficcargli la forchetta nell'occhio. Nate poggia un gomito sul tavolo, voltandosi completamente verso di me.
Faccio lo stesso rivolgendogli un sorrisetto beffardo.
"Come va a scuola Jared?"
"Bene" dico a denti stretti.
"È l'ultimo anno Jared. Dovresti impegnarti di più rispetto agli altri anni, sai con B non farai molta strada. Punta almeno verso una B più. So che la A è difficile per te da raggiungere." fa un sorriso senza mostrare i denti, tirando su gli angoli della bocca.
"Certo con un padre professore dovresti prendere il massimo" distoglie il nostro contatto visivo, e si gira per continuare a mangiare.
"Ecco spiegato il tuo mistero Nate"
Sento una fitta allo stomaco. Lo scopo di Nate è ricordarmi quanto fottutamente è migliore di me.
"Jared andrà al Whittemore college" ci interrompe Cece, puntellandosi gli angoli della bocca con un sottile fazzoletto.
"Io non ho scelto un cazzo, madre." dico sillabando ogni parola, come se volessi inciderle sulla pietra bollente. Rimango calmo, non posso perdere il controllo. Vincerebbe lei, le darei prova dell'effetto che ha su di me.
Uno sguardo di sfida passa nel suo sguardo, veloce come una scheggia, quasi impercettibile per chi non conosce Cece.
"Ritengo che sia la scelta giusta per te, essendo una persona......" ha il solito tono calmo e pacato. Alza gli occhi e schiocca la lingua per trovare il termine adatto.
So già cosa dirà prima di aprire bocca. La parte più remota di me spera ancora in un complimento, un esortazione da parte sua, l'altra spera solo che questa cena finisca per poter parlare con Nate. Da solo.
Non dire quella parola. Non dire quella fottuta parola.
Stringo i pugni sotto al tavolo, non so se posso mantenere il controllo ancora a lungo.
Sto per risentire l'etichetta addossatami addosso per anni, la gente mi guardava, mi guarda tuttora, e mi chiede 'Ma sei il fratello di Nate Durner'.
Ho avuto una boccata d'ossigeno quando l'anno scorso è partito per l'accademia, mi sono sentito libero di vivere la mia vita come me stesso, come se l'ombra avesse avuto il sopravvento sulla figura. Ora arranco, in cerca di ossigeno, quando non c'è altro che veleno nell'aria.
"Mediocre" dice in un sospiro.
Socchiudo gli occhi. Come se potessi non sentire. La sua voce è ovunque.
Mi accorgo solo ora della presenza di mio padre, è nell'angolo, mentalmente, ha lo sguardo fisso sul piatto e un espressione contrariata. Patrick è sempre stato dalla mia parte, giocavamo insieme a baseball, ma non è mai riuscito ad opporsi a lei. Nei momenti difficili si rifugiava nell'alcool, incapace di dimostrare un po di spina dorsale. Scuoto la testa e mi alzo puntellandomi con le mani.
Ho gli sguardi della mia famiglia contro.
"Basta pretendere che io sia Nate. Io sono Jared, mamma. Il tuo figlio minore che nessun cazzo di nessuno calcola ricordi? Eppure dovresti ricordartelo, di solito una donna ricorda cosa le è uscito dalla vagina"
Mi giro rivolgendomi a Nate.
"Ah e Nate, quando prenderai il premio Nobel per gli stronzi fammi un colpo di telefono"
Strizzo l'occhio e mi volto per uscire da questa fottuta casa.
Ma mentre apro la porta mi ritrovo davanti un distintivo puntato contro il mio naso.
Un uomo sulla quarantina, in divisa è in piedi sull'uscio, con le braccia distese sui fianchi e le gambe piegate.
"Jared Durner?"
"Sono io"
"Polizia di WhoreVillage. Lei è in arresto per tentato omicido"
Ha vinto lei, di nuovo
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