Prologo
Le orecchie del cavallo scattarono verso l'alto. Un lungo sbuffo biancastro si liberò nell'aria e uno zoccolo pestò con forza la terra ghiacciata, il suono rimbombò nel silenzio tra i pini.
Logan spinse gli stivali nei fianchi del castrone grigio, ma quello non si mosse. Si era bloccato: da una parte c'era una piccola scarpata che scendeva fino alla strada e dall'altra un tratto di bosco che saliva.
Socchiuse gli occhi alla ricerca di qualcosa di strano: la nebbia era calata in una cortina densa intorno a loro. La visibilità era ridotta a pochi metri, la luce mattiniera faticava a penetrare: c'erano tronchi marcescenti, alberi secchi che cigolavano sospinti dal leggero vento e l'odore particolare del muschio e del sottobosco pungeva le narici con il suo olezzo.
L'animale tirò il morso, dando uno strattone alle redini. Allungò la schiena e batté un paio di volte la mano sul pelo del collo.
«Buono, bello. Non c'è nulla. Forza, torniamo alla stalla.»
Strinse le ginocchia sulla groppa, ma, come prima, non ottenne alcun risultato. Il muso del cavallo si fissò verso la cima della montagna. Logan guardò l'orologio al polso, se non si sbrigava sarebbe arrivato in ritardo al lavoro.
Si accorse che nessun uccellino cinguettava. Sembrava che la nebbia avesse zittito qualsiasi forma di vita. Un brivido si srotolò lungo la colonna vertebrale.
Doveva smetterla di fare quelle scampagnate di prima mattina, aveva ragione Jay, dannato vecchiaccio e la sua voce roca.
Il castrone pestò ancora il terreno ed emise un mezzo nitrito. Non era la prima volta che sellava quel cavallo e di solito non aveva paura di nulla.
«Che ti succe–!»
Lo scatto dell'animale per poco non lo disarcionò. Tre falcate in avanti. Logan accorciò le redini e le tirò verso di sé: non poteva permettergli di galoppare in un punto così brutto.
«Calmati!»
Il cavallo si impennò e, quando si lasciò cadere a terra, Logan afferrò il retro della sella con una mano: gli zoccoli anteriori atterrarono sul terreno scosceso. L'acciottolio dei sassi che rotolavano si unì a un nitrito pieno di terrore.
Il corpo dell'equino iniziò a scivolare e, nel muoversi, si appoggiò sulla sua gamba continuando a scivolare di lato. Cercò di afferrare il collo dell'animale per avere qualcosa di solido tra le mani, ma quello si muoveva troppo e più scivolavano più lui finiva sotto seicento chili in preda al terrore che si dibattevano impazziti.
Il cuore gli batteva all'impazzata nel petto, serrò gli occhi. Non poteva fare nulla.
Il terreno venne sostituito dalla roccia, a ogni sobbalzo aveva la calda sensazione del sangue che fuoriesce da una ferita.
Il dolore gli annebbiava la testa. Come era iniziata, la loro scivolata si arrestò. L'asfalto sotto di lui aveva una consistenza ruvida.
Logan riempì i polmoni di aria, aveva paura di aprire gli occhi. Cercò di muoversi, ma la sua gamba era sotto al fianco del cavallo. Doveva stare calmo e non farsi prendere dal panico, cercò di muovere il piede e, oltre a percepire la staffa, una stilettata di dolore si diramò in tutto l'arto: il dolore c'era ed era un'ottima cosa. Il battito del cuore dell'equino era accelerato ed era strano percepire quella vibrazione contro il proprio ginocchio.
Le palpebre ci misero alcuni secondi per riaprirsi e la coltre di nebbia che lo inghiottì gli permetteva di vedere a malapena la riga bianca di mezzadria. Alzò la testa verso il punto da cui erano caduti: c'era troppa nebbia. Doveva trovare una via d'uscita da quella situazione, doveva muoversi da lì e tornare a casa, doveva ragionare.
Dannazione...
Era sdraiato sull'asfalto e il cavallo era riverso su di lui con il respiro affannoso, bloccato dalla paura o da qualche ferita che non vedeva.
«Ehi, bello... va tutto bene...» Non ci fu alcuna risposta dal castrone, rimase immobile. Doveva capire perché non si muoveva.
Allungò una mano verso la criniera, ma notò il sangue che gocciolava da uno squarcio nella manica della giacca. Doveva avere una ferita sull'avambraccio. Provò a stringere la mano, ci riuscì nonostante il dolore che superò la scarica di adrenalina. Ignorò il braccio, la sua priorità era il cavallo e la gamba.
Un leggero sbuffo si fece sentire e Logan puntò gli occhi verso la testa dell'animale: si stava riprendendo dallo stato di panico.
Estrasse il cellulare dalla tasca della giacca. Era sdraiato in mezzo a una strada, circondato dalla nebbia e il freddo gli stava entrando nelle ossa, nessun vestito termico lo avrebbe difeso in quella situazione.
Si portò l'apparecchio telefonico davanti alla faccia. Nessun segnale. «Cazzo.»
Anche quella sfiga andava a sommarsi a quella mattinata di merda, non poteva crederci!
Digitò il 911. Era assurdo dover comporre il numero d'emergenza per se stesso e non per gli altri, lui che da sceriffo era abituato a farlo per salvare e non per essere salvato.
Il cavallo si mosse e il rumore dei ferri degli zoccoli che sbattevano sull'asfalto fu un suono che gli gelò il sangue nelle venne. I seicento chili cercarono di tirarsi in piedi, ma scivolarono ricadendo a peso morto su di lui. Il peso sulla gamba si sollevò per quei pochi istanti e il sollievo divenne un dolore atroce. L'urlo uscì dalla sua bocca senza controllo.
Quando mai si era svegliato quella cazzo di mattina!
Il castrone ci riprovò prima che lui potesse impedirglielo, si issò sulle zampe che tenne larghe, tremavano appena, e il muso sfiorava l'asfalto.
La gamba era ancora incastrata nella staffa e si mosse con la sella. Si ritrovò con le spalle e parte della schiena appoggiate a terra. Cazzo che situazione di merda.
Il dolore pulsava in tutto il corpo, ma a una prima occhiata non vedeva ossa che sporgevano dai pantaloni e non aveva la gamba in posizioni strane, forse era solo una distorsione o qualcosa di simile; nel corso di primo soccorso non era mai stato il primo della classe e ora se ne pentiva.
La sella scivolò di pochi centimetri e lui riuscì a mettersi seduto. Emise un lungo sospiro di sollievo, un piccolo passo alla volta e poteva uscire da quella situazione. Allungò una mano verso le redini: doveva impedirgli di spostarsi da lì o di spaventarsi ancora e di iniziare a correre.
Le orecchie dell'animale scattarono in alto, raddrizzò il collo e il muso si puntò verso la montagna. Logan sfiorò con il medio una delle due cinghie, ma non riuscì ad afferrarla.
La nebbia rendeva tutto ovattato: i suoni erano delicati e la vista ottenebrata, ma ciò che arrivò alle sue orecchie fu un'accozzaglia tra un urlo disperato e una risata malvagia.
C'era qualcuno lì? Poteva forse chiedere aiuto?
Il cavallo scattò spaventato e il suo corpo venne trascinato sull'asfalto.
La sua testa sbatté e lo zoccolo del posteriore pestò vicino alla sua faccia. Era inerme, sapeva che non poteva fare nulla se non sperare che non succedesse nulla di irreparabile, pregare sarebbe stata una cosa normale se lui avesse creduto in qualcosa. Nessuno lo avrebbe salvato dalla furia di un cavallo terrorizzato, non Dio, non un essere umano, solo la fortuna.
Dalla nebbia emersero due fasci di luce immensi, erano troppo vicini, e l'animale si arrestò per impennarsi.
Il suono del clacson riecheggiò tra le piante e la foschia, l'odore dei freni impregnò l'aria e l'impatto tra la loro carne e il bisonte di metallo fu inevitabile.
∞
Il mondo intorno a lui era ricoperto da una patina rossastra, ma un alone nero pendeva da un lato. Che cosa era successo?
Girò la testa. Erano budella quelle riverse sulla strada? E quella macchia era sangue o olio? Il muso di un tir era squarciato in più punti, il resto del mezzo era inghiottito dalla nebbia. Sul parabrezza si diradavano ragnatele intorno a un buco. Riuscì a spostare lo sguardo, oltrepassò tutto, per notare un corpo che giaceva a qualche metro da lui, immobile.
Una stilettata in testa lo obbligò a riportare il cranio nella posizione iniziale e riuscì a mettere a fuoco la sua stessa mano che reggeva ancora il cellulare – dannazione qualsiasi cosa fosse successa gli si era rotto lo schermo – e notò di aver fatto partire la chiamata al 911. Una voce gli stava parlando, era ovattata e non riusciva a capire cosa gli stesse dicendo.
Aprì la bocca, non si ricordava nemmeno il suo nome, sembrava che le parole non volessero uscire dalla sua gola. Ingoiò a vuoto e tossì; una scarica di dolore e di gelo lo pervase.
«Aiu... to...»
Le palpebre si socchiusero, non aveva la forza per tenerle aperte. Non riusciva a muoversi, a pensare o a fare null'altro.
Stava per morire? O solo per svenire?
Non gli importava, aveva solo freddo.
Chi era e cosa dannazione era successo?
Gli sembrò di vedere una bambina nella nebbia. Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma si limitò a chiudere gli occhi.
Chissà se li aprirò ancora.
Salve a tutti!
Ecco il prologo di questo thriller/horror che sto scrivendo!
Fatemi sapere cosa ne pensate ♥
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