Wicked
«Cos’è la normalità, Ludovica? Vuoi essere mediocre come il resto delle persone che ci circondano? Tu sei una pietra preziosa, uno spreco per un mondo così bieco. Tu devi brillare, ma per splendere, è necessario che qualcuno si prenda cura del tuo benessere, che vegli sui tuoi passi. Hai altresì bisogno di essere educata, seguita, indirizzata nel modo giusto. Prendi, ad esempio, la lezione in palestra di ieri mattina. Eri completamente scoordinata. Ho visto volteggiare i manubri dell'ellittica da soli, mentre tu fissavi il vuoto, limitandoti a usare semplicemente le gambe. Anche quando ci si allena bisogna seguire un ritmo, come per la musica e per farlo, bisogna restare concentrati! Se un pianista suonasse semplicemente una parte delle note del proprio spartito, cosa pensi ne uscirebbe fuori?» disse Andrea, con tono fermo, senza scomporsi minimamente. Anche se, in quei mesi, avevo imparato a mie spese a percepire chiaramente il lento risalire della sua ira.
In quelle situazioni era capace di portarmi all'esasperazione a tal punto da desiderare che mi tenesse appesa al soffitto a testa in giù, così da alleggerire il peso della mia anima.
Scossi il capo, non sapevo come giustificarmi, perché con lui era sempre così: mi accusava di qualcosa, magari di aver tenuto un comportamento scorretto in un determinato contesto, e io chinavo il capo, dispiaciuta per qualcosa della quale non avrebbe dovuto che importarmi relativamente.
Quella fu l'ennesima dimostrazione, a me stessa, di quanto tutta quella relazione stesse diventando sempre più tossica, ma questo non mi impediva di desiderare persino le sue torture, pur di fargli piacere, pur di ricevere le sue attenzioni. Più lo compiacevo, più lui era in grado di regalarmi momenti di quella normalità che anelavo come l'aria dopo una lunga apnea.
Perché a volte l'amore è capace di renderci prigionieri, portandoci addirittura a perseguire vie assolutamente inconcepibili per un essere umano, dotato di un minimo di buon senso. E io mi ero accorta di amarlo, pur essendo consapevole di alimentare, con il mio sentimento così inopportuno, quella macchina distruttrice.
In tutto quel cammino verso l'autodistruzione, ci fu un momento, uno solo, del tutto simile a un battito d'ali, come di respiro delicato, in cui ebbi la chiara sensazione che sarebbe stato proprio Andrea il mio per sempre.
E così mi ero ritrovata da giovane libraia sognatrice, speranzosa di riuscire finalmente a vincere uno stramaledetto dottorato presso la facoltà di lettere, a concubina concupiscente di un uomo conosciuto per caso, col quale avevo scoperto di condividere le medesime passioni per la letteratura, l'arte e il teatro.
Tutto era iniziato una mattina di maggio, dopo settimane di sguardi dapprima fugaci, poi insistenti, indagatori, ossessivi.
Ogni mattina, in palestra, aspettavo con trepidazione il suo arrivo, facendo in modo di trovarmi a una postazione tale da permettermi di tenere sotto controllo l'ingresso alla sala attrezzi e quando, finalmente, lo vedevo varcare quella soglia, meraviglioso come un dio greco, distoglievo a malincuore lo sguardo per non essere scoperta. Lui mi girava intorno, faceva in modo di passarmi sempre davanti per raggiungere la sua postazione, ma non mi guardava mai, consapevole che in quel modo avrebbe alimentato il mio desiderio. Pensai addirittura di non piacergli affatto, fino a quel giovedì pomeriggio, in cui fui costretta a spostare la mia seduta di allenamento perché la mattina ero stata troppo impegnata con il lavoro. Non mi aspettavo di ritrovare anche Andrea in palestra. Quel giorno, non riuscii a varcare nemmeno la soglia della sala che Andrea mi intercettò immediatamente, come un predatore in attesa della propria vittima. Con un balzo me lo ritrovai affianco e, senza dire una parola, mi afferrò per un braccio e mi trascinò nello spogliatoio degli istruttori.
M'inchiodò al muro del bagno e chiuse la porta a chiave, poi si mise a fissarmi e mi sentii spogliata, dapprima con quel suo sguardo magnetico e infine da quelle sue mani, che svelte cercavano di liberare il passaggio tra le mie gambe. No, non tentai minimamente di fermare quella follia, che mi sembrò così necessaria e inevitabile, dopo tutto quel flirtare compulsivo che ci aveva consumati nelle settimane precedenti.
Andrea mi prese con una passione talmente violenta da non lasciare scampo. Ricordo ancora il sapore metallico del sangue, dopo che mi ebbe morso il labbro inferiore per non farmi urlare, mentre affondava dentro di me veloce e con forza.
Nei nostri successivi incontri, e durante tutta quella specie di relazione nella quale l'unica sentimentalista ero solo io, dovetti imparare a mie spese che non potevo toccarlo se non con il suo esplicito “permesso”. Ed era sempre lui a stabilire dove potessi toccarlo; per questo mi teneva sempre legata, nei modi più disparati, oppure prediligeva le posizioni in cui lui era dietro di me.
Con quell'uomo avevo siglato un accordo in cui rinunciavo per sempre alla mia anima. Andrea era il mio Lucifero, un angelo nero, che con la sua perfezione mi aveva lentamente trascinata nell'oblio della perversione.
Avevo iniziato a convincermi che forse anche lui, a modo suo, mi amasse, nonostante questa verità, lo scoprii poco dopo, non avesse il ben che minimo fondamento se non nell'illusione artificiosa della mia mente. Mi ero aggrappata a una sensazione innescatasi quando mi entrava fin dentro l'anima, violento e disperato, al punto da farmi pensare che cercasse, in quel suo modo primitivo e carnale di prendermi, un rifugio, un luogo dove nascondersi dal mondo intero, dove poter essere al riparo persino da sé stesso.
E più era violento, più sentivo che non si trattava più di una mera scopata, bensì di qualcosa di più intenso, assoluto… Estremo. Diventavamo un’unica goccia in un oceano di disperazione, in cui lui cercava in me, come un mendico, una gioia che si era negata troppo a lungo.
Quel mio viaggio nell'anima persa di Andrea mi aveva permesso di comprendere che ogni mia certezza, su quello che era stato il nostro rapporto fino quel momento, si era evaporata, dissolta, come se non fosse mai esistita.
Così, col veleno dell'amore a generare altro tormento nel mio animo, ero divenuta schiava e non più semplicemente sottomessa.
Questa mia totale e malsana abnegazione verso quell'essere, che invece compresi non cercare assolutamente il mio aiuto da buona volontaria soccorritrice di anime perse, mi aveva ridotta a essere muta spettatrice della mia disfatta.
Andrea aveva infettato ogni cellula del mio corpo portandomi ad amarlo in un modo talmente estremo da condurmi quasi alla follia. Non esisteva più una Ludovica, ma la Ludovica di Andrea. Un essere soggiogato al punto da arrivare a commettere “un'imprudenza” per poter essere punita e supplicare poi la misericordia del proprio master, per quella sua carne annientata dalla lussuria, bramosa di essere liberata e potersi così soddisfare di quel piacere estremo che solo lui poteva offrirle. Così le nerbate divenivano più violente e mentre la mia pelle bruciava fino alle ossa, lui si prendeva un altro pezzo della mia anima, portandomi su una vetta sempre più alta e lasciandomi finalmente precipitare in un oblio in cui solo dopo mi accorsi di essere sola. Sentii di non essere più padrona di me stessa, prigioniera di una vita che non riconoscevo più come mia, nonostante l'avessi scelta consapevolmente. Quel rapporto drammatico, tossico, in cui lui era semplicemente un depravato che desiderava solo di asservirmi ad ogni suo capriccio, mi stava avvelenando.
Non toccare, non baciare, non amare, non soffrire, non guardare, non rispondere, se non interpellata, non contravvenire agli ordini impartiti.
Fino a quella tragica presa di coscienza non avevo mai pensato ad Andrea come il primo, l'unico, il devastante grande amore della mia vita, eppure lo era diventato in un modo inaspettato, quasi sconcertante. Di colpo mi accorsi di quanto fossi stata stupida a credere che Andrea potesse maturare, un giorno, la volontà di trasformare il nostro rapporto in qualcosa di più normale.
E per questa ragione avvertii la necessità di lasciarlo andare via, prima che trascinasse ancora più a fondo. Era troppo: un'esasperata esagerazione, una follia che mi stava inghiottendo in un abisso senza fine, facendomi perdere persino il contatto con la mia anima.
«Ti ho visto parlare con Federica e…» dissi con un filo di voce.
Ecco come mi ero ridotta: una mendicante d'amore, proprio come lui.
«Cristo, piccola! Non posso più nemmeno parlare con la gente? Sei gelosa? Ti ho già detto che è finita tra noi. Nella mia vita esisti solo tu, ora. Vuoi che lasci quella dannata palestra? Ne sei davvero sicura? Posso frequentare quella aziendale, se per te è meglio, ma sappi che ci sarebbero altrettante distrazioni... Se solo uno avesse la voglia di farsi distrarre da un paio di gambe che non fossero le tue», rispose sfacciatamente e maledettamente sensuale.
«Sei tu ad avere problemi, piccola. Io ho occhi solo per te. Sono più fedele di un marito idiota! Quando ci siamo scelti, abbiamo fatto un accordo, rammenti? Il nostro doveva essere un rapporto esclusivo, ma senza le complicazioni di una stupida storia d'amore e tu mi eri sembrata abbastanza d'accordo, vero? Detto questo, vorrei che svolgessi le tue occupazioni in modo ineccepibile solo perché ho una certa intolleranza verso chi non porta a termine i propri impegni, con un certo zelo.»
Disse esasperato.
«Ecco cosa è diventato tutto questo! Il mio lavoro è solo quello che svolgo in libreria. La palestra doveva essere solo uno svago, un modo per rilassarmi e star bene», ribattei adirata, sollevandomi da terra, dove ero rimasta inginocchiata per quasi un'ora, aspettando che mi rivolgesse finalmente la parola.
Avevo preso posizione, finalmente. Col cuore che mi galoppava forte nel petto, la testa in preda al delirio, il fuoco dell'ira che mi bruciava la pelle.
«Ok! Cosa ci sarebbe, allora, di male se un hobby potesse anche “regalarti” buoni risultati in termini di salute fisica, necessaria tra l'altro per…» ribatté sospirando rumorosamente e tenendosi la radice del naso tra pollice e indice con gli occhi chiusi a forza.
Aveva il volto livido e contrariato, vedevo la sua guancia pulsare sotto i continui sfregamenti dei suoi denti. Mi avrebbe punita come non mai, ma non mi importava più nulla. Volevo dire la mia su tutta quella faccenda. Volevo poter esplodere come può succedere in una coppia qualsiasi, senza paura. Strinsi i pugni e mi misi sull'attenti, col petto in fuori, pronta all'attacco.
«...necessaria a sopportare i tuoi giochi come l’essere legata tipo un salame».
Interruppe l'inizio di quello che doveva essere un fiume di emozioni che stava risalendo la bocca del vulcano, con le sue puntualizzazioni piccate: «Shibari. Si chiama Shibari. Quante volte sarò costretto a ripeterlo, prima che tu capisca di cosa stai parlando? È arte! Io sono un artista, hai visto i miei quadri, sei venuta alle mie mostre, sei entrata nelle mie opere. Tu stessa sei stata la mia modella! Esigo che non ti rivolga all'arte con quel piglio da ignorante, visto che non lo sei affatto», ringhiò.
Lo guardai per qualche istante come se mi avesse appena trascinata sotto un getto di acqua ghiacciata. Ero nuda, stringevo ancora il mio vestito nero e le scarpe col tacco a spillo tra le braccia. Quella serata sarebbe dovuta finire diversamente, molto diversamente, pensai. Poi ritornai in me e subito ritrovai il vigore necessario per vomitargli addosso tutto ciò che avevo serbato nel mio cuore, troppo a lungo, con la veemenza che ti fa fischiare le orecchie per via dell'aumento della pressione sanguigna.
«Bene, allora diciamo pure che l'allenamento dovrebbe rendermi, come dire…? Più resistente alle tue dolci torture. Per carità, non pensavo potessero piacermi certe cose, ma quando sono diventati veri e propri supplizi, solo perché non avevo rispettato la tua tavola delle leggi, ho capito che non era ciò che volevo realmente!»
«Che cazzo significa? Hai un altro? È tutta una farsa per nascondere il tuo tradimento? Io ti ho dato tutta la mia vita, in questi tre mesi. Sei diventata la padrona assoluta di… Ogni mio pensiero!» era fumante di rabbia.
Quanto era cieco. Non riusciva a immaginare che mi stessi riferendo a ben altro.
«Sai qual è la differenza tra noi? Io, non voglio dominanti, non voglio niente da te. Voglio solo il tuo cuore e il tuo rispetto!» risposi mentre iniziavo a rivestirmi.
Scosse la testa frustrato.
«Hai già il mio rispetto, non posso e non voglio darti altro, solo perché non sono fatto per queste cose e, sinceramente, neanche mi interessano. È amore quello che cerchi? Bene, seppur a malincuore, devo dirti che hai sbagliato persona. L'amore rende deboli, annichilisce le menti. Non mi va di perdere il senno dietro queste stronzate.»
«Non sono stronzate, ma sentimenti che anche tu puoi provare. La sofferenza fa parte del gioco, lo hai detto anche tu. Beh, con l'amore vale la stessa regola. Io, ti amo e credo che anche tu provi qualcosa per me», ribattei risoluta battendo violentemente i palmi delle mani sulla scrivania davanti a me e dietro la quale c'era seduto Andrea.
«Rispetto!» rispose lapidario.
«Bugiardo!» ribattei.
«Vorresti lasciarmi perché non ti amo?» chiese e quelle parole fecero più male di qualsiasi altra sua tortura.
«Voglio lasciarti perché merito di più!» continuai fissandolo e sperando che lui potesse cambiare la direzione delle sue intenzioni.
«Cosa meriti, Ludo?» chiese alzandosi in piedi e sostenendosi con le mani sulla base della scrivania, sporgendo con il busto verso di me, che ero dall'altra parte.
«Te! Voglio l'amore oltre il sesso», risposi con le gambe che iniziavano a tremarmi per il freddo e l'adrenalina che si stava lentamente consumando.
«Come cazzo fai a chiedermi una cosa del genere? Lo sai che non si può amare qualcuno e fargli determinate cose. A me piace ciò che faccio, non voglio altre complicazioni!» rispose ricadendo all'indietro e affondando nuovamente con la schiena nella sua poltrona.
«Fammi capire, preferisci darti ai giochi sadomaso, con partner sempre differenti, piuttosto che provare a impegnarti in qualcosa di serio e magari più duraturo? Preferisci rinunciare a me? Sei tanto geloso eppure preferiresti vedermi avvinghiata a qualcun'altro. Oh, mio Dio. Quanto tempo della mia vita ho sprecato in questo assurdo gioco.»
Scossi il capo frustrata e delusa. Avevo sbagliato tutto.
«Ne eri consapevole», non mi guardava più, non gli interessava nemmeno incenerirmi con il suo sguardo.
«Già. Hai ragione. Sai, a volte, bisogna sbatterci il muso contro per comprendere che una cosa non fa per noi», risposi con la gola in fiamme per i troppi singhiozzi ricacciati a forza indietro.
«Allora mi stai lasciando?» continuò guardandomi di sottecchi.
«Non siamo mai stati una vera coppia», dissi scoppiando in un risata amara.
«Credevo di sì! Ci sono così tanti tipi di coppia al mondo…» agitò una mano per aria.
«Non come intendo io!»
Finii di rivestirmi e raccolsi la borsetta, che giaceva ancora sull'altra poltrona presente nella biblioteca, lasciando infine quella stanza e lui. In una parte remota del mio cuore però speravo mi corresse dietro per fermarmi, ma non successe.
Era finita così.
Le prime settimane dopo Andrea, furono le peggiori della mia vita: non c'erano più lacrime che potessi ancora versare. Mi sentivo svuotata, annientata, inutile. Spesso accadeva che mi ritrovassi a compiere gesti comuni, divenuti rituali durante la mia permanenza nella casa di Andrea, come il semplice stare seduta a tavola da sola e tenere una postura composta, i gomiti ben stretti al busto, le posate tra le dita come le bacchette di un direttore d'orchestra.
Andrea continuava, in qualche modo, ad avere potere sulla mia mente, come se il mio cuore non gli fosse già abbastanza.
Poi, una mattina di fine settembre, accadde qualcosa di inaspettato.
Avevo appena consegnato dei libri scolastici ad alcune ragazzine del liceo e la libreria sembrava temporaneamente deserta, così chiesi alla mia collaboratrice di sostituirmi per il tempo di una pausa caffè.
Me ne andai nel deposito, dove avevo sistemato un piccolo scrittoio e un PC portatile. Da qualche tempo avevo trovato nella scrittura di brevi storie, un certo conforto alle mie pene, quando improvvisamente vidi lampeggiare sul monitor la notifica di una mail proveniente dalla mia facoltà.
Per uno strano scherzo del destino, la prima classificata per il dottorato aveva rinunciato al suo incarico e, di conseguenza, il suo posto era stato affidato a me. Quell'opportunità piovuta dal cielo, servì a farmi riprendere contezza della mia vita e di quelli che erano realmente i miei obiettivi.
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