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6. Don't play with me. You will always lose

— Tension.
Between us just like
picket fences.



C O R A H O L T
🌸

La nuova dottoressa?
Sbattei le palpebre un paio di volte.

Aveva una postura sicura, le spalle sollevate, la schiena inarcata e il petto talmente in fuori che avrei scommesso indossare un correttore posturale.

Sembrava quasi le esplodessero le tette a furia di spingere contro alla camicia scura che indossava sotto al blazer. Eppure sembrava così a suo agio.

«La dottoressa Kimberly è un ottima cardiologa, si occuperà lei delle diagnosi e della cura di sua sorella. Per quanto riguarda i trattamenti in sala operatoria invece se ne occuperà il dott. Evans.»

Il sig. Kane aveva appena finito di presentarla quando lei mi squadrò da capo a piedi, avvicinandosi appena. Il suo profumo alle rose mi fece girare la testa.

«Infermiera Holt,» esclamò con voce piena e profonda «È un piacere conoscerla. Sono sicura che andremo d'amore e d'accordo. Le basterà fare esattamente tutto quello che dico.»

Sentii l'alito caldo punzecchiarmi la guancia. Non sapevo cosa fosse, ma sentivo di non piacerle. Penetrò lo sguardo scuro nel mio, sempre più a fondo.

«Non riscontrerà alcun problema. Sono sempre stata brava nei lavori di coppia.» risposi con una punta di sfrontatezza. Quel tanto perché lo potesse percepire e quel poco capace di farle credere averlo immaginato.

«Posso immaginare.»

Aggrottai il viso, reggendo lo sguardo affilato. Riuscivo a percepire l'attrito e la tensione colmare la conversazione e tutto ciò che ci circondava.
Non le piacevo e non ne capivo il motivo.

«Vi dispiace? Vorrei stare un po' con El.»
Scoccai un'occhiata al sig. Kane, poco più in là, immobile di fronte all'armadio in legno. Non aveva più detto una parola. Se ne stava in disparte con le braccia conserte a fissarmi con un espressione piatta in volto.

«Oh, non è possibile. Sua sorella ha bisogno di risposare. La potrà vedere più tardi. Non è così, cara?» alzò la voce lei, urlandomi in un orecchio per rivolgersi a El.

«È anemica, non sorda.»

Il taglio dei suoi occhi era allungato da un perfetto eye-liner nero e quello contribuì alla creazione dello sguardo inviperito che mi rivolse.

Qual è il suo problema?

«Dovreste uscire entrambe. A El è stato appena prelevato del sangue. Sarà Maya ad occuparsi del monitoraggio.»

Il sig. Kane aveva appena interrotto il nostro contatto visivo, quando sollevò una mano, invitandoci ad uscire.

Il fastidio lasciò subito spazio al dispiacere. Riservai uno sguardo veloce a mia sorella, che ricambiò con un sorriso comprensivo e abbandonammo la stanza.

La tristezza incombé su di me. Credevo di passare il pomeriggio con El, avevo persino pensato ad un film da guardare assieme. Sapere invece che non avrei potuto farlo, mi buttò giù.

«Non m'importa se non vi piacete,» parlò il nostro capo ad un certo punto, attirando l'attenzione di entrambe. «Siete colleghe, non amiche. Fate il vostro lavoro o una delle due finirà a pulire i gabinetti.»

Non attese risposta. Lui si voltò e ci lasciò da sole, immobili una di fianco all'altra a guardalo andare via.

«È chiaro non si stesse riferendo a me.» farfugliò Sarah, facendo per andarsene a sua volta.

Il fastidio mi si dipinse sul viso. «Ha parlato al plurale. Quindi sì, era riferito anche a lei.»

Lei si esibì in un mezzo giro, guardandomi con preminenza.
«Senta, Cora,» marcò il mio nome «Io sono una cardiologa, lei un'infermiera. I ruoli sono abbastanza chiari. Così come è chiara l'importanza del mio titolo di studio qui dentro.»

«Ogni figura professionale è importante qui dentro

Sarah chinò il viso di lato, rivolgendomi un'occhiata divertita. «Sul serio? Sua sorella non vivrà grazie alle sue flebo o alle sue punture. Se non dovessimo lavorare bene insieme, chi pensa delle due sacrificherà il sig. Kane?»

Aprii bocca per rispondere, ma le parole finirono per risuonarono mute. Quella fu la domanda a rendermi al silenzio. L'ospedale non era più in mano mia, le cose andavano come diceva lui, e il sig. Kane mi sembrava in tutto e per tutto, il tipo capace di valutare un lavoratore a seconda dell'impatto che poteva dare all'ospedale. E quello di Sarah era decisamente più forte del mio.

«Ci siamo capite. A presto, Cora.»

Odiavo non avere l'ultima parola, odiavo dovergliela dar vinta, ma nulla mi avrebbe fatta uscire vincitrice da quella conversazione. Ero cocciuta, non stupida.

Sospirai. Io avevo bisogno di quel lavoro. Ne avevo bisogno per El e avrei fatto il possibile per tenermelo.

♟️

Era buio da un paio d'ore ormai. Avevo passato l'intero pomeriggio a raccogliere e riordinare. Il sig. Kane si era appropriato del mio ufficio, così avevo deciso di approfittare della sua assenza per recuperare le mie cose.

Non avevo alcuna intenzione di abbandonare le polaroid di mio padre. Le avrei portate a casa e appese nella mia camera.

Avevo accatastato ogni cosa in un ufficio libero, decisa ad occuparmene l'indomani, dandomi poi alla ricerca.
Chi era Sarah Kimberly?

Conoscevo la maggior parte dei dottori della nostra città. Cardiologi e non. Alcuni di persona, altri di vista e altri ancora per sentito nominare. Mi occupavo quasi sempre io dell'assunzione dei dipendenti e più ci pensavo e più mi sembrava strano non averla mai vista prima.

Furono ore di ricerche inutili perché non trovai assolutamente niente. Non una biografia e non una carriera lavorativa passata. Non avevo dubbi sul fatto che fosse una cardiologa. La mia curiosità infatti dipendeva da altro. Volevo sapere qualcosa di lei, qualsiasi cosa, e avere conferma del fatto che mia sorella era in buone mani.

Avevo un'idea. Una pessima idea. Una di quelle che propone l'amica fuori di testa dopo una sbronza, ma odiavo aver perso tempo inutilmente, e se era come pensavo, allora non c'era motivo di preoccuparsi.

Volevo tornare nel suo ufficio. Il sig. Kane avrà sicuramente un fascicolo dedicato, con curriculum e relativi dati personali. Dovevo solo trovarlo, dargli una letta veloce, e sparire. In fondo dopo quel pomeriggio non si era più fatto vivo. Non aveva motivo di tornare in ospedale a quell'ora.

Giusto?

Sbucai fuori dall'ufficio. I corridoi erano liberi. Camminai a passo veloce verso il mio obiettivo senza mai voltarmi indietro. Non volevo cambiare idea. Volevo arrivare fino in fondo. Dovevo arrivare fino in fondo.

Mancava poco, qualche metro e avrei avuto la porta esattamente alla mia destra. Svoltai l'angolo e senza pensarci un secondo, m'infilai dentro la stanza.

Il suo profumo fu il primo a darmi il benvenuto. Si trovava nell'ospedale da un paio di giorni eppure l'ufficio sembrava appartenergli da sempre.
Mi scappò una smorfia, pentendomi subito di averlo pensato e mi affrettai a raggiungere la scrivania.

Cassetti. L'aveva assunta il giorno stesso, era impossibile avesse già archiviato il suo fascicolo. Doveva per forza trovarsi in uno dei cassetti.

Li aprii uno ad uno, dall'alto verso il basso, prima i tre di sinistra e poi quelli di destra. I piccoli spazi però sembravano intatti, come nessuno li avesse usati. Riconobbi lo stile della disposizione di ciò che vi era all'interno, perché era il mio stile.

«Cerca qualcosa?»

Il mio cuore perse un battito. Mi alzai di scatto, rischiando di sbattere il ginocchio contro al cassetto ancora aperto, e come fosse quello il problema, lo richiusi in fretta.

Non servì sollevare lo sguardo per capire chi fosse. Il timbro della sua voce mi provocava dei brividi ansiolitici ogni volta che la sentivo. Era come riuscissi a percepirne la presenza. Come possedesse un'aura così forte capace di distinguerlo da chiunque altro.

Il sig. Kane era lì, in piedi davanti alla porta e mi guardava nel suo abbigliamento casual. Indossava una maglia nera e dei jeans dello stesso colore, e mi sembrò assurdo come persino quegli indumenti così banali rendessero attraente il corpo che li indossava.
Possibile gli stesse bene qualsiasi cosa?

Strinse il piercing fra le labbra e capii che il mio silenzio lo stava infastidendo. «Allora?»

Deglutii silenziosamente. Dovevo pensare. Dovevo inventarmi qualcosa e all'istante.

«Stavo cercando un libro.»
«Che libro?»
«Di infermieristica.»
«E perché dovrebbe essere qui?»
«Perché questo era il mio ufficio fino a qualche giorno fa e non ho ancora avuto modo di raccogliere le mie cose.»

Lui tacque, quasi stesse soppesando le mie parole. Iniettò le iridi scure nelle mie e bastò quel innocuo contatto a provocarmi una sensazione di malessere. Era assurdo come fosse capace di far vacillare angoli della mia mente che non gli era possibile controllare.

«Perché mente? Le ho già detto di non farlo.»

Finsi sconcerto. «Non sto mentendo.»

Il sig. Kane sollevò un sopracciglio. «L'ho vista raccogliere le sue cose un paio d'ore fa.»

Rischiai di soffocare nella mia stessa aria. «Che fa? Mi spia?»

Lo vidi inspirare profondamente.
«Mi è passata di fianco. Sarebbe stato piuttosto difficile non notarla. E poi non ci sono più polaroid alle pareti. Mi dica perché è qui.»

Dio. Mi avrebbe sicuramente presa per pazza sé gli avessi detto la verità, o peggio, mi avrebbe licenziata. Che razza di dipendente s'infilava nell'ufficio del proprio capo per impossessarsi del fascicolo di un'altro dipendente?

«Gliel'ho detto. Credevo di aver lasciato qui un libro.»

Notai la mascella segnarli il viso, quando con passo sicuro iniziò a venirmi in contro. Trattenni il respiro. Lo feci quando raggiunse la cattedra e quando si fermò di fronte a me, annullando ogni centimetro di distanza.

La sua altezza fletté prepotente sulla mia. Sentii il bergamotto del suo profumo innondarmi i sensi e il calore della sua vicinanza costringermi a indietreggiare. Ma fallii subito, quando scontrai la poltrona girevole alle mie spalle.

«Glielo chiederò un'ultima volta e le conviene dirmi la verità, perché l'alternativa vede lei lasciare quest'ospedale come disoccupata,» sibilò a un passo dal mio viso. «Perché diavolo si è intrufolata nel mio ufficio?»

Non avrei ceduto. Confessare in quel momento significava accettare di andare in contro all'umiliazione, e per quanto temessi per il mio posto di lavoro, ero piuttosto certa che nemmeno lui sapesse il motivo per cui mi trovavo lì. Si spiegava così la sua insistenza.

«Io stavo cercando-»
«Di non farsi i cazzi suoi,» concluse irritato «Si. L'ho visto. Vuole perdere il lavoro?»

Due occhi saettarono nei miei per l'ennesima volta e la profondità del suo sguardo mi destabilizzò. Sentii il battito accelerare e il respiro spezzarsi. Non sapevo cosa fosse, ma quella vicinanza mi accendeva come mai nessun altro era stato in grado di fare.

Le iridi scure scivolarono sul mio viso. Mi squadrarono un paio di volte finché, anche se per un istante, si posarono sulle mie labbra. Fu per un lasso di tempo talmente breve e insignificante che quasi dubitavo di averlo visto accadere.

«Non c'è bisogno di starmi così addosso.» bofonchiai.

Un lampo di curiosità gli attraversò il viso.
«Perché? La metto forse a disagio?» sussurrò con voce così roca da provocarmi i brividi.

Lui fece un altro passo e l'aria nella stanza svanì, come l'avesse assorbita tutta. Sentii il il suo odore inebriarmi le narici ad ogni inspiro e i pensieri vacillare.

Potevo muovermi. Spostarmi e creare della distanza fra noi, ma le gambe sembravano pan di zenzero e i piedi incollati al pavimento. Non riuscivo a muovere un solo muscolo. E quando tentai di pensare a una via di fuga, lui si mosse per me.

Il sig. Kane indietreggiò, appoggiando il corpo alla scrivania. Strinse il bordo in legno con le dita e i muscoli delle braccia guizzarono sotto al riflesso della luna.

L'inchiostro che gli colorava la pelle fu una calamita per i miei occhi. Mi persi nelle sfumature dell'arte orientale che gli ricopriva l'intero braccio destro e non potei che trovarlo ipnotico.

Seguii le forme sinuose e mi persi nei dettagli. Lasciai scorrere lo sguardo fino a raggiungere il polso, dove un drago addormentato si trovava avvolto nelle fiamme.

Sentii un forte bisogno di toccarlo, e bastò quel pensiero a costringermi a rialzare il viso. Ad accogliere il mio sguardo, vi erano due pozze castane. Mi stava già guardando.

Il riflesso della luna filtrava dalla finestra alle mie spalle, creando sul suo viso un gioco di luci e ombre che mi bloccò il respiro.

Non avevo mai incontrato un uomo così. Possedeva un fascino tenebroso. Una bellezza singolare capace di stregare chiunque.

«Vuole la sua polaroid per immortalarmi?»

Sbattei le palpebre e mi ripresi, sentendomi bruciare.
Feci per aprire bocca e rispondere a tono, quando qualcosa attirò la mia attenzione.
«Come sa che ho una polaroid?»

Il suo viso non suggerì niente, quasi si aspettasse quella domanda. «Lo so e basta.»

E fu quella risposta a riportare a galla le parole del dott. Collins. Sentii la confusione impossessarsi della mia mente nello stesso istante in cui realizzai di non avere alcuna polaroid a lavoro. Erano tutte a casa.

Ricordava qualcosa? Magari mio padre? Ricordava di avergliela vista usare? O magari che la mia famiglia aveva una passione per la fotografia?

Si scollò dalla scrivania e s'incamminò verso il centro dell'ufficio, lasciandomi indietro, immersa nei miei pensieri.

«Cosa? No, aspetti!» lo inseguii subito.

«È fortunata che la stia lasciando andare, sig.na Holt. Non le conviene tirarla per le lunghe. Potrei davvero voler sapere perché si trovava qui e le assicuro che se così fosse, le farei rivelare la risposta che tanto cerca di nascondere.»

«Risponda alla domanda e io risponderò alla sua.»

Aggrottò la fronte. Non se l'aspettava.

Ne valeva della mia curiosità. Il mio segreto non era neanche lontanamente paragonabile a ciò a cui lui avrebbe potuto farmi venire a conoscenza.

Se si ricordasse di mio padre, allora ricorderà di certo anche il dott. Collins. A quel punto non avrà alcuna via di scampo. Non solo sarei stata in grado di scoprire perché lo ha licenziato, ma avrei anche scoperto se dietro all'interesse per l'ospedale c'era una ragione precisa.

«Non è nelle condizioni di barattare, sig.na Holt. Le ricordo che il suo posto di lavoro è ancora a rischio, non mi costringa a farlo. E ora, se ne vada.»

Notai subito il cambiamento. Aveva assunto di colpo un atteggiamento più brusco e sbrigativo. Quasi volesse liberarsi di me più di quanto già non volesse.

«Davvero non vuole più sapere perché mi trovavo nel suo ufficio?»
«Davvero.»
«Quindi posso tenere ciò che ho preso?»

I suoi occhi tornarono nei miei, segno che avevo ottenuto la sua attenzione.

Non ero brava.
Non ero affatto brava, ne a mentire e ne a bluffare.
Ma provare non costava nulla, perciò feci un respiro profondo e mi calai in un nuovo ruolo.

«Quindi non è solo una ficcanaso, è anche una ladra. Se voleva essere licenziata bastava dirlo.»

Lo ignorai, avvicinandomi. «Allora? Come sa della polaroid?»

Per la prima volta nella mia vita credevo di avere in mano le redini della situazione, ma non feci neanche in tempo a gioire, che il sig. Kane mi smentì subito.

Lui si mosse a sua volta, e la punta delle sue scarpe toccarono le mie, rendendomi a una statua di ghiaccio. Il suo respiro mi accarezzò la fronte e io giurai di sentire il battito del mio cuore ovunque.

«Non provi a giocare con me, Holt. Deve sapere che io vinco sempre.» sussurrò basso.

Rabbrividii. «Questo perché non ha ancora giocato con me.»

Una luce nuova gli riempì lo sguardo. Sollevò un angolo delle labbra. «A cosa sa giocare? A uno?»

Si, avrei voluto rispondere, e nient'altro.

«A qualsiasi cosa.»

Il sig. Kane incrociò le braccia al petto.
«Sa giocare a scacchi?»

No.
«Si.»

Inarcò un sopracciglio, tendendosi in avanti. Il suo naso sfiorò il mio e all'ennesima ondata di profumo, sentii le gambe sciogliersi.

Il mio sguardo venne attirato dall'anellino argentato che gli decorava l'angolo del labbro inferiore. Luccicava.

«Sta mentendo,» soffiò, prendendolo fra i denti «Lei non sa giocare a scacchi e se ci ripenso, sono piuttosto sicuro che non ha preso nulla da quest'ufficio.»

«Deve smetterla di credere di sapere sempre tutto.»

Lui mi guardò e si leccò il labbro, lentamente.
Deglutii. Lo stava facendo apposta?

«E lei di credersi più furba di quanto non è. Voleva delle informazioni e ha approfittato della situazione. Ci ha provato, ma le do un consiglio. Se vuole giocare... lo faccia con chi non sa farlo.»

♟️

«Com'è andata ieri sera? Ho saputo che è rimasta a lavoro fino a tardi.»

Sena, che si trovava seduta di fronte a me, aveva appena addentato la sua brioche al cioccolato.

«Smettila di darmi del lei, Sena. Dico sul serio, non sono più la tua titolare. E poi, questo caffè mira più a dare inizio a un'amicizia che a un meeting di lavoro.»

Lei annuì, pulendosi gli angoli della bocca con il tovagliolo. «Immagino tu abbia ragione.» disse guardandosi intorno.

Ci trovavamo in un bar. Lo stesso che era solito frequentare il dott. Collins durante le pause, o prima di cominciare il turno a lavoro. Si trovava esattamente di fronte all'ospedale. Era luminoso, spazioso e sempre pieno di gente. Pareti sul verde acqua e piante in ogni angolo. Persino i lampadari che venivano giù dal soffitto erano ripieni di fiori. I proprietari dovevano essere i figli di Flora.

Sena aveva ordinato un caffè americano e una brioche al cioccolato. Io, invece, il mio solito cappuccino e la brioche con panna e fragole. La mia preferita.

«Dovresti provarla,» mormorai prendendone un morso. «È la vita.»

L'espressione che comparì sul suo viso parlò da sé. «Non mi piacciono le fragole.»

Dovevo aver capito male. «Come hai detto?»

Lei nascose un sorriso, sorseggiando del caffè.
«Novità del dott. Collins?»

Rigirai il cucchiaino fra le mani, abbassando lo sguardo sul liquido che tagliava a metà la mia tazzina. «Non l'ho più sentito in realtà. E il sig. Kane non è di certo un tipo facile da convincere. Gli avrò chiesto la stessa cosa una decina di volte, ma niente.»

Sena annuì in senso di concordo. «È un tipo strano, in effetti. Ieri mi ha chiesto di un paio di dipendenti.»

Aggrottai la fronte. «Davvero?»

«La sua ossessione per l'ordine mi ha quasi inquietata. Ma apprezzo che, nonostante il fallimento a cui stava andando incontro l'ospedale, il sig. Kane ce la stia mettendo tutta.»

Annuii. Sarebbe stato stupido affermare il contrario. Il sig. Kane era bravo in quello che faceva. «È comunque insopportabile a volte.»

La bella coreana sorrise, strizzandomi l'occhio.
«Lo è? El mi ha detto come vi guardate.»

Sentii lo stupore congelarmi il viso e quando feci per parlare, qualcuno affiancò il piccolo tavolo in cui ci trovavamo.

«Guarda un po' chi si rivede. Tanta bellezza in un solo tavolo dovrebbe essere abolita. Non è così, Felix?»

Leon ci sorrise, mostrando i suoi perfetti trentadue denti, prima di allungare una mano e rubarmi la brioche.

«Posso?» domandò prendendone un morso.

Sena lo guardò male e un secondo più tardi, Felix raggiunse l'amico, che mi restituì il centimetro di brioche avanzata.

La guardai attonita. Avrebbe potuto lasciargliela finire.

«Che schifo le fragole.» commentò l'ultimo arrivato, con gli occhi ancora sul mio piattino.

Sena sollevò lo sguardo su di lui e io feci lo stesso. «Come fanno a non piacervi le fragole?!» domandai.

«Me lo chiedo anch'io,» Leon si leccò il pollice sporco di panna «Vi dispiace se ci accomodiamo con voi?»

«Si.» rispose Sena di getto, con l'aria di chi avrebbe preferito trovarsi rinchiusa in una gabbia con i leoni, piuttosto che sorbirsi la compagnia di Leon. 

Al mulatto però sembrò non interessare, perché le si accomodò a fianco sul divanetto. Lei gli rivolse un'occhiata truce e io non potei che trattenere una risata.

Felix in piedi al mio fianco invece, non si mosse. Così mi spostai un po', per lasciargli lo spazio. Questo lo notò e a suon di sbuffo si sedette. Educato, pensai.

«Neanche a te piacciono le fragole?» domandò il mulatto, scansando la folta chioma riccia.

Sena, che si era incollata alla finestra, inspirò profondamente, sorseggiando dell'altro caffè.
«No, infatti. Perché vi siete dovuti sedere qui? Il bar pullula di tavoli liberi.»

Leon le si avvicinò ancora, Sena si irrigidì e giurai che se avesse potuto si sarebbe sicuramente fusa con la finestra.

«Non è vero, sono tutti occupati. E comunque non mi perderei neanche per sogno la compagnia di due ragazze meravigliose come voi. Cora, lo bevi quello?»

Trattenni una risata, allungandogli il mio cappuccino ormai freddo. «No, bevilo pure.»

Leon mi fece l'occhiolino. «Sei un amore. Ma allora, a breve attaccare a lavoro giusto?»

Sentii Felix sbuffare al mio fianco. «Hai finito di romperle i coglioni? Siamo qui per Ash, non per dar fastidio alle sue dipendenti. E poi questo bar è terrificante. Non voglio neanche immaginare la quantità di parassiti in queste piante.»

«Sono sicuramente piante finte. E le piante finte sono prive di parassiti.» spiegò Sena, indicando il soffitto.

Felix si lasciò andare contro lo schienale. «Cosa sei? La fata dei fiori?»

«Non mi stupirei se lo fosse.» rispose Leon fissandola con gli occhi a cuoricino.

Felix fece una smorfia e Sena pure. Io invece ero solo confusa. Come diavolo eravamo finite a condividere il tavolo con due sconosciuti?

«Avete detto di star aspettando Ash?» domandai.

Leon annuì, tentando di rubare con l'indice il caffè americano di Sena, che però lo beccò all'istante, allontanandolo. «Il vostro capo, esatto. Ci ha detto di aspettarlo nel bar di fronte all'ospedale e quindi, eccoci qui. Dai, Sena. Solo un sorso.»

Lei gli tirò una gomitata. «Te lo verso in testa, spostati.»

«Nessun problema. Il caffè fa bene ai capelli.»

E così ci riprovò. Una, due e tre volte, finché qualcosa aldilà del vetro non attirò la mia attenzione. L'altro lato della strada si era riempito di gente. Il marciapiede pullulava di persone che indossavano lunghi camici bianchi.

Strinsi gli occhi per vedere meglio cosa stesse succedendo e quando i lavoratori ad abbandonare l'ospedale cominciarono a diventare troppi, sentii la confusione impossessarsi del mio corpo.

«Che sta succedendo?»

Il silenzio incombé sul nostro tavolo, quando più occhi si concentrarono sull'esterno.

«Ash avrà già iniziato.» bofonchiò Leon, sorseggiando il caffè americano di Sena.

«Iniziato? Iniziato cosa?»

Lui mi guardò, attendendo secondi infiniti prima di rispondere. «Sta licenziando gli infermieri.»





Fofinhas🦭

Wya è finalmente ritornata! 🌸
Ammetto che riprendere in mano questa storia dopo tanto tempo, mi spaventava e gasava allo stesso tempo. Ho tante idee in testa e non vedo l'ora di scriverle su carta.

Questo è solo l'inizio.♟️🌸

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.
Grazie mille di seguire WYA♟️

IG: @karinastrs
Tiktok: @karinastrs

Take care of urself, please.🦋✨
Karina🖤

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