Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

2. (A) A bend to the rules can kill you

— Trust?
Trust who?



A S H T O N K A N E
♟️

Non ci voleva davvero niente per finire in rissa.

Desideri violenti, pazienza inesistente ed una quantità spropositata di trogloditi a piede libero in un mondo in cui le persone buone erano le eccezioni e quelle cattive ormai la normalità.

Lui aprì bocca e giurai non aver bisogno di nient altro. Capii subito avere un'infinito numero di ragioni per spaccargli la faccia.

Afferrai il mio whisky e ne buttai giù un lungo sorso. Roteai il liquido attorno alla lingua, lentamente, attivai tutti i recettori e ne apprezzai le note speziate, agrumate e torbate.

Quando poi il bifolco parlò ancora, una smorfia mi riempì il viso.

«Vieni con me, ti faccio vedere una bella cosa.»

La mia mano strinse il calice di vetro.

«Giù le mani! Sono a posto.»
Era troppo ubriaca perché le si potesse dar retta.
Non era in grado di parlare come si deve, ne tanto meno di portare avanti una conversazione senza oscillare. Non si reggeva sulla sedia e non ero l'unico ad averlo notato.

«Andiamo, non fare la difficile. Vedrai che ti divertirai.» insistette lui ed eccola di nuovo, la voglia di spaccargli il setto nasale.

Pensai alla luna. Pensai ai prati ed alle cazzo di rose rosse. Pensai a qualsiasi cosa potesse regalare calma e tranquillità cercando di estraniarmi da quel bar e dalla conversazione che mi ritrovai costretto a sorbire.

Intravidi uno spostamento, lo sgabello al mio fianco si mosse e lei gridò: «La smetta! Mi sta facendo paura.»

Serrai la mascella e contro ogni previsione la mia mano scattò, ritrovandomi a fare esattamente ciò che mi ero promesso di non fare.
«Non l'hai sentita? Ha detto di no.»

Strinsi la presa sul polso sudato del viscido e non appena i nostri occhi si incontrarono sperai nel profondo della mia malasanità fosse tanto coglione quanto vomitevole.

Speravo disobbedisse.

«Stanne fuori, amico. Sto avendo una conversazione piacevole con questo bocconcino.»
La guardò come carne sulla brace.
La squadrò come non indossasse alcun indumento.
Sbavò come un animale dinanzi al suo piatto ed il fastidio non potè che esplodermi nelle vene.

«Hai due secondi per andartene.» proferì troppo serio in volto perché mi si potesse fraintendere.
Lui alzò le mani e contro ogni mia aspettativa questo obbedì. «Non sapevo foste insieme.»

Lo ignorai. Quel dettaglio non mi sfiorò minimamente, mentre la voglia invece di saltargli addosso non sembrava volersi placare, anzi, diveniva sempre più forte.

Era la sua faccia da cazzo, pensai.

Erano le bastonate che i suoi genitori si erano scordati di dargli la ragione per cui certi uomini, semplicemente, non si potevano definire uomini.

Era un cavernicolo ed a dispetto del suo patetico gesto di tentata obbedienza, lui si trovava ancora lì.
Di fronte a me e di fianco a lei.

Lanciai lo sguardo sulla ragazza alla mia sinistra, stravaccata sullo sgabello con solo il bancone alle sue spalle a reggerla e la domanda volle essere spontanea ma la scacciai immediatamente.

Non mi interessava conoscere la risposta così come le ragioni per cui un solo shottino non poteva essere abbastanza. Quando alzai nuovamente lo sguardo, lui la stava ancora guardando con un espressione in viso che sentii subito il bisogno di cancellargli.

Non riuscii più a trattenermi, così, prima ancora che il cervello ne leggesse il movimento, il mio braccio si mosse da solo ed il pugno che gli assestai fu tanto violento quanto rumoroso.

Dovevo avergli rotto qualche dente.

Lui si schiantò contro al bancone in un tonfo sordo ed i bicchieri finirono a terra seguiti dal rumore del loro frantumarsi.

L'attenzione di ogni singolo individuo all'interno di quel bar fu attirata da quel gesto e quando i camerieri fecero per intervenire sentii i suoi occhi addosso.

Due occhi grigi che mi ricordarono il cielo in tempesta, le labbra piccole e carnose, spalancate. La sua espressione scioccata alla vista dell'uomo privo di sensi scivolare lentamente sul bancone, finendo al suolo.

«Che diavolo fai? Fuori da qui o chiamo la polizia!» minacciò il barista.

Lo guardai impassibile.
Non appena però sentii la sua mano toccarmi la spalla, la mia reazione fu istantanea: l'afferrai e gliela rovesciai contro alla schiena, levandomela di dosso.

Lo sguardo dell'amico gridò confusione ed in mezzo a quel bar colmo di ubriaconi, sentii la rabbia esplodere e l'aggressività innalzarsi minacciosa.

«Fai un respiro profondo, Ash.»
Liberai il barista, frastornato.
«Forza, respira.»

Obbedii ed il suono della sua voce nella mia testa calmò, anche se lievemente, la rabbia che mi stava punzecchiando le mani, vogliose di darsi libero sfogo.

L'aria mi divenne tutt'un tratto ostile, irrespirabile.
Una concentrazione disgustosa di sudore mi stava avvelenando le narici mentre il mix letale di alcolici palpitava in ogni molecola di ossigeno.

Cercai la calma negli angoli più remoti del mio spirito e feci l'unica cosa che lei avrebbe voluto facessi: Andare via.
Mi feci largo fra la folla a spallate ed una volta fuori, l'aria fresca, leggiadra e gradevole, m'investì come un treno in corsa.

La visione paradisiaca di un cielo costellato mi si aprì sopra la testa e solo allora respirai.
Respirai e respirai ancora sentendo di non averne più abbastanza.

Il suo sorriso apparì nei miei ricordi ed il cuore si strinse in una morsa, devastandomi come ogni singola volta che la cercavo.

Sentii la mancanza della sua presenza gridare qualcosa al mio corpo perché nel secondo a venire, sentii la tensione bruciare nelle vene ed i muscoli esplodere nella carne.

Mi mancava.
Mi mancava da stare male.

Avvistai il primo oggetto su cui poter liberare quella frustrazione e caricai.
I muscoli delle gambe guizzarono, tagliando l'aria come una lama e prima che potessi sentirne il contatto il grosso bidone si schiantò sulla strada.

«Che ti ha fatto?» sentii domandare.

Voltai il capo e lei era lì, in piedi di fronte all'ingresso del bar con il milionesimo alcolico stretto in una mano.

«Il bidone,» lo indicò con la mano libera «Che ti ha fatto?»

Lo sguardo che gli riservai carico di fastidio, sebbene non lo avrebbe potuto cogliere, mi fece giungere ad una sola conclusione: Questa ragazza era una palla al piede ed io me ne dovevo liberare.

Mi avviai così verso la mia auto quando la sua voce parlò ancora: «Dove vai? Aspetta!»

Proseguii ignorandola ma quando dopo neanche un secondo un grido raggiunse le mie orecchie, un tonfo seguì, il bicchiere si frantumò e mi ritrovai costretto a voltarmi.

La ragazza si trovava a terra. Il bicchiere che teneva fra le mani altro non era che un ricordo mentre le schegge di vetro erano tutto ciò che ne rimaneva.

Lei fece per alzarsi ma premette sul terreno ed il dolore che ne seguì la costrinse a ritirare la mano. Aveva poggiato sul vetro.

Porca troia.

Chiusi gli occhi esasperato e per la seconda volta nel giro di qualche ora mi ritrovai a fare quello che non avrei dovuto.

Mi ci avvicinai e non appena la raggiunsi, mi piegai sulle gambe per controllarla.
«Fá vedere.»

Lei sembrava ad un niente dal mettersi a piangere ma nonostante l'ubriacatura, si impegnò a collaborare ed allungò la mano.

Ne studiai ogni centimetro e conclusi non essere grave.

Aveva un diverso numero di schegge conficcate all'interno del suo palmo ma non erano profonde, bastava estrarle e bendare la mano finché non sarebbe rientrata a casa per medicarle.

Mi guardai attorno e le strade sembravano deserte.

Mi maledii mentalmente per star per fare ciò che stavo per fare e prima che potessi anche solo pensarci quanto avrei dovuto, la mia mano le afferrò un polso ed il secondo dopo l'aiutai ad alzarsi.
«Forza, in piedi.»

Ignorai il fastidio del contatto che stavo avendo e l'attirai a me per poterla sorreggere.

Ci avviammo verso la mia auto ed una volta dinanzi alla porta del passeggero, sfilai le chiavi dalla tasca dei miei jeans e aprii.

La misi a sedere, facendo attenzione alla testa e non appena si accomodò, il sonno sembrò avere la meglio perché il suo corpo sbandò, rischiando di finire contro al parabrezza.

«Porca puttana,» ringhiai, recuperandola e posandola contro al sedile. «Ma che fai? Non provare a dormirmi in macchina.»

«Non mi sento molto bene.» biascicò lei con voce impastata dal sonno e gli occhi ancora chiusi.
«Ma non mi dire.»
«Credo che... Credo che...» tentò ancora ma prima che potesse terminare, liberò un conato.

Indietreggiai, preso alla sprovvista.
Per dio. «Tu prova a vomitare nella mia auto ed userò i tuoi capelli per pulire.»

Lei scosse il capo liberando una smorfia di disgusto e quando tornò con il capo sul sedile, finalmente potei cominciare. Aprii il cruscotto e ne feci uscire un paio di fazzoletti puliti che posai sulle sue gambe, momentaneamente. Afferrai la sua mano e ne cominciai ad estrarre le schegge.

Sentii il suo corpo tremare all'estrazione della prima ed immaginai non averle fatto proprio del bene, così riprovai con più delicatezza.

Estrassi ogni singolo pezzo ed una volta concluso, afferrai i fazzoletti puliti e glieli avvolsi per poter fermare la fuoriuscita di sangue.

Cercai qualcosa per poter stringere ed impedire che i fazzoletti cadano ma dopo già qualche secondo di ricerca, mi arresi e strappai il bordo della mia maglia.

Avvolsi la stoffa attorno alla mano e finii legandola, assicurandomi di non stringere troppo.
Posai infine la mano sulla sua gamba e non appena alzai il viso, lei si trovava nel mondo dei sogni.

Grandioso.

Presi fra i denti il piercing che portavo al labbro inferiore, avviando gli ingranaggi all'interno del mio cervello. Non potevo rischiare di farci vedere insieme, dovevo svegliarla e levarmela di torno prima che fosse troppo tardi.

Scacciai qualsiasi pensiero suggerisse il contrario e le presi una spalla, scuotendola perché si svegliasse.

«Mh? Piano, piano. Ma che modi sono?»
«I miei. Ora alzati, devi andare a casa.» proferii guardandomi attorno.

Lei sembrò afferrare subito il messaggio e quando fece per alzarsi per poco non finì con la fronte contro al soffitto della portiera. Posai il dorso della mano sul metallo, impedendole di sbattere e quando finii contro al mio palmo non potei far a meno di domandarmi come facesse ad essere così goffa.
Doveva essere colpa dell'alcol, pensai.

«Sei proprio cattivo, lo sai Mr. Whisky?» disse una volta in piedi. La guardai piatto.

«Ero uscita per ringraziarti,» riprese «Quell'uomo mi avrebbe fatto del male se non fosse stato per te e volevo che...» un capogiro la fece sbandare finendo contro allo sportello posteriore. «Volevo che sapessi che te ne ero grata.»

Chiuse gli occhi a causa del sonno che sembrava star avendo la meglio su di lei e contro ogni mia previsione mi ritrovai a guardarla.

Ne studiai il viso, ne ammirai la sinuosità femminile dei tratti, apprezzai l'assenza di trucco nella sua pelle e il rilassamento dei suoi occhi, ad un niente dal chiudersi nuovamente. Lottava per tenerli aperti e se non mi fosse stato proibito dal fato, avrei potuto anche trovarla carina.

«Perché lo hai fatto?» domandò ad un certo punto.
«Che cosa?»
«Perché mi hai aiutata?»

Puntai lo sguardo altrove e mi ritrovai per la prima volta nella mia vita incapace di dare una risposta alle mie azioni. Chiunque si sarebbe aspettato il contrario da me. Non ero conosciuto in città per la mia bontà ne tantomeno per il mio altruismo. Il che rendeva quel mio gesto doppiamente insolito.

Quando le rivolsi la parola all'interno di quel bar, mai avrei creduto sarei arrivato a tanto. Mai avrei creduto di rompere una promessa e far quasi partire una rissa.
Mai avrei creduto di andare contro ai miei stessi principi e offrire aiuto a coloro che di aiuto ne avevano bisogno solo una volta avermi conosciuto.

«Non lo so,» risposi. «Dammi il cellulare.»

Lei non sembrò contenta della risposta ed alla mia richiesta i suoi occhi si strinsero.

«Il cellulare,» ripetei e nonostante non ci stesse capendo nulla, lei obbedì e nel mio palmo apparve un iPhone undici mini.
Lo guardai occupare un terzo della mia mano e proseguì con la ricerca, prima di fare qualsiasi tipo di commento. 

Accesi lo schermo convinto di trovare una password e invece non ve ne era alcuna. Sorvolai anche su quel dettaglio e pigiai sulla rubrica telefonica.
Lèssi alcuni degli infiniti numeri salvati ed optai per la sezione preferiti dove vi erano tre nomi: El, John e papà.

Decisi che avrei provato a chiamarli tutti, così tentai con il primo: El.

«Che fai? Ridammelo.»
Lei si allungò per cercare di rubarmi il telefono ma il risultato fu stupidamente patetico perché le bastò scollarsi dalla vettura perché le venisse un'altro capogiro.

Posai una mano sulla sua spalla e la costrinsi a tornare contro alla mia auto. «Sto cercando di farti tornare a casa sana e salva, cerca di collaborare.»

Lei sbuffò e la chiamata non ricevette risposta.
Tentai quindi con il secondo numero e dopo qualche squillo questo, sorprendentemente, rispose.

«Pronto amore? Che succede? Hai visto che ore sono?»

Amore?
I miei occhi la cercarono.

«Aha. Ho visto, si,» risposi e lei tentò nuovamente di prendermi il cellulare. La guardai storto e la feci tornare contro all'auto.
«Mi spiace aver disturbato il tuo sonnellino ma che ne dici di venire a recuperare la tua ragazza?»

Sentii il cigolio del letto dall'altra parte della linea e capii aver catturato la sua attenzione. «Chi cazzo sei?»

Scontato.

«Mr. Whisky,» risposi «e tu il fidanzato peggiore del secolo. Ora che ci siamo presentati, hai cinque minuti per venirla a prendere prima che se la porti via qualche viscido. Ti consiglio di fare in fretta.»

Lui tentò di parlare ma non ascoltai nemmeno una sillaba, perché riattaccai prima che potesse anche solo iniziare. Entrai nella sezione messaggi e gli inviai la posizione.

«Chi era?» domandò lei subito dopo.

«Il tuo discutibile fidanzato,» risposi prendendole un braccio «Arriverà a momenti, perciò, fai la brava bambina ubriaca e aspettalo qui.»

Liberai la presa e lei si sedette sul marciapiede.
«Che ha detto?»
«Ha abbaiato.» risposi.

Che razza di uomo permetterebbe alla sua donna di frequentare bar del genere?
«Lo sapeva?» domandai.
«Che cosa?»
«Che ti trovavi qui.»

Le sue labbra s'incresparono ed il sorriso che le si formò emanò da subito immensa tristezza.
«No. John non mi lascia uscire.»

La voce si abbassò di colpo e la strana sfumatura che liberarono i suoi occhi mise, inevitabilmente, in allerta i miei.

«Come ti chiami?» domandò.
I suoi occhi s'incastonarono nei miei e la risposta tardò ad arrivare, così continuò: «Puoi dirmelo, tanto non me lo ricorderò.»

Speravo davvero fosse così.
«Ashton.»

Lei piegò il viso, come stesse cercando di capire se le piacesse o le facesse cagare al cazzo.

«Cora.» disse poi allungando una mano dal basso della sua posizione.

La guardai come mi avesse appena allungato un cucciolo di alieno e dopo qualche secondo, allungai la mia a mia volta.

Strinsi la sua mano decisamente più piccola ed esattamente in quel momento il mio cuore sembrò provare qualcosa di umano per la prima volta dopo anni: Pena.

«Bene. Ora credo che dormirò.»
Esalò quelle parole ed esattamente un secondo dopo si lasciò ricadere all'indietro rischiando di schiantarsi sul marciapiede. Strinsi la presa sulla sua mano e l'attirai a me, evitando per un pelo quello scontro.

«Non è un letto questo. Stai su, cazzo!»

Lei sbuffò per la milionesima volta da quando decisi di accollarmela ed obbedì, tornando seduta.
«Sei sempre così volgare?»

Inarcai le sopracciglia e la voglia di lasciarla lì aumentò a dismisura.
«Tu sempre così sconsiderata?»

«No. Non sono sempre così,» fece una pausa «Dovresti conoscere la me sobria. Ti piacerebbe, sai? Piace a tutti.»

Roteai gli occhi al cielo e mi guardai attorno.
Dove cazzo era finito sto John?
Avevo deciso di levarmi dal cazzo prima del suo arrivo, non avevo alcuna voglia di sorbirmi una scenata di gelosia, ne tanto meno di doverlo prendere a sberle.

«Io devo andare,» iniziai «Non so dove sia finito il tuo ragazzo ne perché ci stia mettendo tanto ma promettimi che resterai qui seduta finché non verrà.»

Lei annuì. «Starò qui seduta finché non verrà.»

Un sorriso apparve sul mio viso per un secondo così breve che avrebbe potuto benissimo essere stata un'allucinazione.

«Buona vita, allora.» disse lei stropicciandosi gli occhi.

Annuii e fu allora che le nostre mani si divisero.
Mi assicurai non esserci nessuno nei dintorni avviandomi verso la mia auto ed una volta dentro, la controllai dallo specchietto retrovisore.

Accesi l'auto e avviai il motore, parcheggiando un incrocio più in là.
Potevo essere il figlio di puttana più grande del pianeta, ma non l'avrei lasciata così.

Scesi dall'auto dopo essermi assicurato di averla nascosta per bene e mi affacciai sulla strada principale, dove lei si trovava.

Mi ci volle una gran forza di volontà per non insultare il deficiente del fidanzato ma giurai che se avessi potuto, avrei creato nuovi orribili vocaboli per descriverne la razza.

La guardai per un tempo infinito.
Lei rischiò di addormentarsi un'altro paio di volte ma si sforzò a non farlo. Osservai come giocava con i piedi lungo l'asfalto, come si mise a contare le stelle in cielo e la trovai pericolosamente carina.

A riportarmi con i piedi per terra fu il mio cellulare che insultai non appena lèssi da chi proveniva la chiamata.
«Che c'è, Leon?» risposi «Ti manco già?»

Lo sentii ridere.
«Si, infatti. Non riesco a vivere senza di te.»

Era uno dei miei migliori amici e chiariamoci, l'unico a poter scherzare con me in quella maniera. Era una cosa sua e la trovavo disgustosamente divertente.
«Parla.» lo spronai.

«Quanto vuoi tardare ancora? Ti stiamo aspettando da più di un'ora e sai com'è fatto Felix. Che stai combinando? non dirmi che ci stai dando dentro con qualche bella-»

«Niente del genere,» lo interruppi «Cinque minuti e sono da voi.»
«Cinque minuti all'americana o alla coreana?» domandò ancora di proposito.

Adorava farmi perdere le staffe e mi dispiaceva dargliela costantemente vinta ma era davvero bravissimo in quello.

«Ti spacco il culo appena ti vedo.»
«Coi tuoi tempi insomma. Ho capito.»

Detto questo lo salutai ed esattamente in quel momento un'auto parcheggiò accanto a Cora.
Una BMW nera. Lo sportello si aprì e l'uomo che immaginai essere John, si affrettò a raggiungerla.

Era robusto e poco più alto di lei. Indossava dei pantaloni della tuta ed una maglia blu a maniche lunghe.

Capelli scuri di chi doveva essersi appena svegliato, sopracciglia aggrottate ed espressione piuttosto arrabbiata. Se mi fossi impegnato avrei sicuramente intravisto le vene esplodergli nella fronte per quanto la stesse tenendo corrucciata.

Sembrò semplicemente fuori di sé, le gridò qualcosa che non riuscii a sentire o a leggere dal labiale e non ricevendo alcuna risposta decise di arrendersi ed aiutarla ad alzarsi. 

Immaginai avesse capito che litigare con un'ubriaca non avrebbe portato a nulla, così la fece accomodare e una volta fatto il giro dell'auto, salì a sua volta e fece partire il motore.

Vidi la macchina passarmi di fianco e la realizzazione di ciò che avevo appena fatto mi scombussolò profondamente, incapace di comprendere esattamente quello che era appena successo.

Non c'era altra spiegazione, il whisky doveva avermi dato alla testa. Decisi di eliminare una volta per tutte quella serata bizzarra e montai sulla mia Bugatti Mistral per raggiungere Leon e Felix.

Speravo soltanto quell'incontro non le si sarebbe ritorto contro.

Non avevo voglia di assistere ad altri funerali.


Fofinhas🦭

Regalino per le amanti di questa storia. :)

Inizio con il botto direttamente dalla testa di Ashton Kane (La scelta del protagonista coreano non è una casualità, io follemente innamorata di lui e del suo presta volto)♟️🖤

Beneee, ora vi lascio piccole foche.

Grazie mille di seguire WYA♟️

IG: @karinastrs
Tiktok: @karinastrs

Karina🖤

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro