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16. ...I'm addicted to the way you look at me (2)




C O R A  H O L T
🌸

Dovevo essere stata cattiva con qualcuno nella mia vita. Dovevo aver fatto qualcosa di davvero terribile, sennò non si spiegava il perché di tutte quelle disgrazie in una volta sola.

Avevo trovato a fatica la voglia di venire alla festa e, una volta arrivata, non solo avevo già discusso con Ashton, ma ero a tanto così dall'avviare una rissa con la sua accompagnatrice.

Mi domandai perché Maya l'avesse invitata. In fondo non si conoscevano nemmeno. Era forse stato Ashton a richiedere la sua presenza?

Lui e Leon se la stavano raccontando. Seduti uno di fronte all'altro, sembravano parecchio immersi nella loro conversazione, ma io non riuscii a seguire una sola parola.

Perché Ashton e Leon parlavano, ma lei guardava me e non sembrava intenzionata a smettere. Non mi staccava gli occhi di dosso.

Era come sentisse il bisogno costante di farmi sapere della sua presenza, come avesse deciso di rovinarmi la serata.

E per quanto sentissi a mia volta la necessità di sfogare la mia rabbia repressa su di lei, sapevo che tutto quello che voleva era una mia reazione, ed io non gliene avrei data alcuna.

«Volete qualcosa da bere?» domandò Leon ad un certo punto, rivolgendosi a me ed a Sarah, che nel frattempo ce ne stavamo zitte.

Ci riflettei qualche istante. Dovevo andarci piano, non avevo alcuna intenzione di ubriacarmi prima ancora di aver dato inizio alla vera e propria festa.

«Per me un-»
«Un Champagne Cocktail, per favore,» scattò Sarah, parlandomi sopra. «E grazie.»

Non potevo crederci. I nostri sguardi si scontrarono e lei mi sorrise compiaciuta. Strinsi il manico della poltrona su cui sedevo ed inspirai. Inspirai forte.

«D'accordo,» esclamò Leon al mio fianco, prima di passare a me. «Tu, tesoro? Cosa prendi? Andiamoci piano questa volta, va bene?» scherzò lui, richiamando alla memoria la sbronza dell'ultima volta.

Doveva aver notato il clima teso che avvolgeva la nostra seduta.

Gli rivolsi un debole sorriso, imbarazzata. «Va bene. Prendo un Americano, allora.»

Lui mi indicò con l'indice, mettendosi in piedi insieme ad Ashton. «Ottima scelta.»

I due si allontanarono e noi rimanemmo sole per la prima volta da quando varcammo la soglia dell'enorme abitazione.

L'esterno non era niente in confronto alla maestosità con cui la villa ti accoglieva. L'entrata ti catapultava direttamente nell'enorme soggiorno che disponeva di una piccola zona bar.

Il design moderno prevedeva accostamenti creativi a livello cromatico, sebbene fossero colori neutri come il nero ed il bianco.

Vi erano diverse sedute. Dalle comode poltroncine color cinereo, alle tavole rotonde, con all'incirca sei sedute ciascuno.

La cosa più bella in assoluto, però, era il soffitto. Aveva le sembianze di una volta celeste. Era completamente cosparso di stelle e di piccole sfere specchiate che riflettevano le innumerevoli luci viola, ed io non riuscii a non perdermici.

Era in tutto e per tutto l'atmosfera perfetta. Festosa e lussuosa allo stesso tempo, e grazie alla leggera nube di fumo che attorniava i presenti, alcuni di questi avevano già creato una pista da ballo improvvisata.

«Credevo fossi malata. Vedo che ti sei ripresa in fretta.»

La sua voce, solitamente matura, aveva di colpo assunto un tono più acuto per farsi sentire ed io non riuscii a non paragonarlo ad un ronzio fastidioso.

«E io vedo che sei ben informata. Non hai avuto di meglio da fare in quei due giorni?»

Lei lisciò le pieghe del suo abito blu notte, accavallando le gambe subito dopo, quasi mi volesse mostrare il suo tacco quindici firmato Saint Laurent.

Tornai a guardarla in faccia.

Aveva optato per un make-up semplice. Una sottile linea di eye-liner ed il classico rossetto rosso sangue a tingere le sottili labbra a forma di cuore.
Infine, ad incorniciare il tutto erano i corti capelli castani, leggermente mossi.

Nonostante il disgusto che provavo nei suoi confronti e l'astio che scorreva fra noi, dovevo ammettere che stava molto bene. In fondo era una bella donna e sarebbe stato stupido da parte mia affermare il contrario.

«Ne ho avuto parecchio, in realtà, e proprio con tua sorella.»

Lo sguardo provocatorio che mi scoccò a fine frase mi fece ribollire il sangue nelle vene.

Talmente tanto da farmi desiderare di ritirare il complimento che le avevo appena rivolto.

Se ripensavo alle condizione di mia sorella, al silenzio che Sarah le aveva promesso, escludendomi, mi veniva soltanto voglia di accanirmi su di lei.

«So cosa stai facendo, ma ti assicuro che non funzionerà. E già che ci siamo, toglimi una curiosità. Com'è avere trent'anni e comportarsi come ne avessi dodici?»

Mi assicurai di sostenere il suo sguardo fino all'ultimo. Fino a quando la sua espressione superba non crollò, per lasciare spazio al nervosismo.

«Non ho trent'anni. Ne ho ventisette.»

La guardai impassibile. E chi se ne frega?

«C'è una bella differenza.» aggiunse, quasi sentisse il bisogno di spiegarsi.

Tutto ciò era surreale.

Sbattei le ciglia più volte e concentrai la mia attenzione altrove. Più precisamente verso il bancone.

Cercai con lo sguardo un paio di figure in particolare, ma non riuscii ad adocchiare nessuno dei due nel cumulo di persone.

Dove diavolo erano finiti? Ci voleva davvero così tanto per ordinare qualche cocktail?

«Maya ha chiesto di noi.»

Il mio capo scattò in sua direzione. Sarah teneva il capo chino sul cellulare, quando aggiunse: «Dice che dobbiamo raggiungerla al piano superiore.»

«Vai tu,» consigliai. Dovevo cogliere la palla al balzo e liberarmi di lei. «Qualcuno deve rimanere ad avvisare i ragazzi.»

Sarah non se lo fece ripetere e in men che non si dica la poltrona dinanzi a me si svuotò. Avrei tanto voluto urlare per la gioia.

Mi trattenni a stento ed esattamente qualche minuto più tardi, il latino dai codini dorati si presentò a me, con i cocktail in mano. Solo, perché Ashton non c'era.

«A te, tesoro,» mi servì. Poi si guardò attorno. «E la ragazza caschetto?»

Il modo con cui continuava a partorire nomignoli dal nulla, prima o poi, mi avrebbe uccisa. «Sarah?»

Leon prese posto al mio fianco. «Sono pessimo coi nomi, per questo chiamo tutte tesoro.»

Il bicchiere si bloccò a mezz'aria. Mi aveva chiamata tesoro soltanto dieci secondi prima. Gli rivolsi uno sguardo offeso e lui sembrò subito cogliere il messaggio.

«Guarda che so come ti chiami,» sentenziò. «Penny, giusto?»

Strabuzzai gli occhi. «Leon!»
Gli caricai una manata sul braccio, fingendomi offesa.

Lui scoppiò a ridere ed io lo seguii a ruota quando, tutt'un tratto, nell'abitazione si sollevarono delle vere e proprie incitazioni, ed ogni singolo presente cominciò ad applaudire.

Quando ci alzammo, fu soltanto una volta aver adocchiato la scalinata, che capimmo cosa stava succedendo. Maya stava facendo la sua entrata in scena.

Io applaudii a mia volta mentre Leon cominciò a fischiare fortissimo con le dita fra le labbra.
Gli invitati si riunirono tutti in un punto, mentre la festeggiata, vestita e truccata di tutto punto, ci raggiungeva.

«Cora! Leon! Sono così felice di vedervi! Fatevi abbracciare.»

«Auguri, Maya!» esclamai stringendola.

Più la guardavo e più apprezzavo ciò che vedevo.
Maya si era davvero superata.

Indossava un vestito corto, smanicato e di color bianco. Era attillato sulla zona del seno e cadeva leggero sulle gambe con degli strati di pizzo che veniva ripreso anche dai polsini.

I capelli rossi erano perfettamente raccolti in una coda alta che accentuava la forma a diamante del viso truccato.

Era di sicuro la più bella della serata.

«Direi che è ora di smuovere un po' questo mortorio, che dite?»

Lei fece un cenno ad uno dei bodyguard che si occupava di mantenere l'ordine e quando questo spalancò la porta in vetro che portava al retro della villa, si sentii uno schiocco e la musica raggiungere volumi altissimi.

Leon si assicurò di andare a posare i regali con quelli degli altri, in un tavolo poco più in là, sotto ai gradini di marmo, mentre Maya mi trascinava verso la pista all'esterno con il mio Americano ancora in mano. Fu un miracolo che non lo rovesciai durante il tragitto.

«Posalo e balla con me!» mi sollecitò, saltellando emozionata. Così, ne bevetti un gran sorso e lo abbandonai su uno degli innumerevoli tavolini allestiti.

Non feci in tempo a guardarmi intorno che la musica del DJ mi riempì i sensi, stordendomi, nel momento esatto in cui mettemmo piede sulla pista da ballo.

Era una zona abbastanza ampia e distava qualche metro dall'enorme piscina interrata che la villa possedeva.

Maya cominciò a ballare, muovendosi a ritmo di musica e, quando il suo braccio mi cinse la vita, io la seguii a ruota, ondeggiando a mia volta.

I nostri corpi a quel punto erano incollati. Oscillavano l'uno contro l'altro ed io mi sentii al settimo cielo.

La musica EDM era semplicemente un richiamo troppo forte e non sarei stata in grado di ignorarla neanche se avessi voluto.

In fondo venire non era stata poi una così cattiva idea. Col senno di poi, ero contenta di essermi fatta convincere.

Mi trovavo lì, a festeggiare il compleanno della mia amica e avrei fatto il possibile per godermi quella serata, per liberare la mente da qualsiasi pensiero intrusivo e divertirmi. Volevo soltanto divertirmi.

Ballammo per un lasso di tempo lunghissimo, quando Leon ci raggiunse e sfoggiò le sue sensuali movenze latine, conquistando l'attenzione di tutti.

Le persone formarono un cerchio perfetto, dedicandogli il centro della pista ed in quel momento, io venni completamente soggiogata da lui.

Ballava come soltanto un ballerino professionista sarebbe stato in grado di fare. Come la musica gli scorresse nelle vene, come gli bastasse lasciarsi andare perché il suo corpo acquisisse il ritmo.

Come la pista da ballo fosse il suo posto da sempre.

La folla lo acclamava. Le persone lo applaudivano. Le luci stroboscopiche lo seguivano e lui si muoveva, attirando sempre più sguardi apprezzanti.

Leon muoveva il bacino e le ragazze andavano in visibilio per lui. Grida estasiate bucavano l'atmosfera ad ogni suo passo.

E quando i suoi occhi ambrati si posarono su di me, non capii cosa avesse in mente, finché non mi allungò una mano.

Presa alla sprovvista ed intimorita dalle innumerevoli persone che ci circondavano, scossi il capo per rifiutare. Ma non servì a niente, perché delle mani mi spinsero all'interno del cerchio, facendomi finire fra le sue braccia.

«Non temere,» sussurrò al mio orecchio. «Stai per stenderli tutti.»

Lui mi fece l'occhiolino ed il lampo di sicurezza che gli attraversò lo sguardo non fece altro che fomentare la mia frenesia.

La sua mano mi solleticò il fianco e prima che potessi predirlo, Leon aveva preso le redini della situazione.
In men che non si dica, il suo corpo si muoveva ed il mio si muoveva con il suo.

Non riuscii neanche a capire come fosse possibile essere così sincronizzati, ma immaginai che la mano che continuava a tenere sul mio bacino c'entrasse qualcosa.

Era come riuscisse a guidarmi sulla pista da ballo, facendo più o meno pressione a seconda della direzione che doveva prendere quella danza.

Il suo corpo alto era così abile che mi sentii fortunata a ballarvi insieme. Gli applausi aumentavano, esaltandoci, ed ogni contatto visivo era un suo sorriso che allargava il mio, prima di guidarmi verso il prossimo passo.

«Cora Holt, signori e signore!» gridò ad un certo punto, sollevandomi la mano ancora unita alla sua per lasciarci un bacio sul dorso.

Fu così che poi afferrò la festeggiata e dedicò anche a lei un ballo.

Quando raggiunsi il balcone colmo di persone ero disidratata. Ballare ti affaticava e sentivo di aver bisogno di un bel drink potente per proseguire quella serata, così, quando arrivò il mio turno, ordinai un Martini e mi diressi verso l'esterno.

Raggiunsi una seduta un po' appartata, un salotto da giardino di legno chiaro e ricoperto di cuscinetti, e mi accomodai. Afferrai lo stuzzicadenti e mangiai un oliva, lasciandomi andare ad una visione celestiale.

Il retro della villa, un giardino spazioso con zona DJ, pista da ballo e diverse sedute, era decisamente il paradiso per gli amanti delle feste.

Il mio sguardo cadde nell'acqua azzurra della piscina. Era grande, aveva forma rettangolare e divideva me dalle persone che ancora ballavano.

Ingerii un gran sorso del mio cocktail quando mi accorsi che il bicchiere era vuoto. Era già finito? Com'era possibile?

Liberai una smorfia e mi alzai, intenzionata ad andarne a prendere un'altro. Seguii il bordo della piscina, per raggiungere l'ingresso, ma poco prima di varcare la soglia, la mia spalla urtò contro qualcosa.

«Non ci vedi forse? Fai un po' di attenzione,» Sarah. Possibile me la ritrovassi ovunque? «Cos'è? Sei già ubriaca? Hai almeno l'età giusta per bere?»

Feci per rispondere, quando sentii un paio di occhi nuovi posarmisi addosso. Non servì verificare, avrei riconosciuto l'intensità del suo sguardo ed il suo profumo da chilometri di distanza.

Ashton era lì, con lei. In piedi accanto ad uno dei tavoli alti, con in mano quello che sembrava essere del whisky.

M'imbambolai un'istante.
Quell'immagine era così familiare.

Due dita schioccarono davanti ai miei occhi.
«Hai perso la lingua?»

«No,» risposi secca. «La sto solo controllando. Ho così tante cose da dire che temo di farti piangere.»

Sarah mi rivolse un'occhiata di cui ignorai il messaggio e le voltai le spalle, precipitandomi all'interno.

Raggiunsi il bancone, che nel frattempo si era un po' svuotato, ed ordinai un altro Martini, due shottini di vodka e poi un altro Martini ancora.

Strinsi la mano attorno al calice freddo, godendomi il sapore dell'oliva sotto ai denti. Era così dannatamente buona che ne avrei mangiate altre migliaia.

Quando feci per recuperare l'ultima, conficcata nello stuzzicadenti, un braccio s'insinuò sotto al mio, precedendomi.

Qualcuno mi aveva appena rubato la mia oliva.

«Ehi!,» sbottai, girando sullo sgabello di pelle. «È mia! Ridammela subito!»

A giro fatto, il mio ginocchio sfiorò la sua coscia muscolosa quando constatai di avere il suo corpo ad esattamente un passo da me.

Due occhi color cioccolato penetrarono nei miei ed io mi sentii stordita dal suo profumo. Era semplicemente impossibile resistere alla potente scia che emanava.

Non importava quanti altri odori ci fossero, il suo avrebbe vinto su ognuno di questi.

Ashton sollevò lo stuzzicadenti. Avvicinò l'oliva alle labbra e si assicurò di avere la mia completa attenzione prima di prenderla fra i denti. Il piercing che aveva sulle labbra luccicò e a me sembrò di vedere le stelle.

«La vuoi ancora?» farfugliò.

«Si.»
Quella era la mia oliva.

Tenni lo sguardo incollato alle sue labbra, in attesa del più piccolo errore, ma quando questo arrivò io fui colta completamente alla sprovvista.

Ashton la risucchiò, infilandosela in bocca. Riuscii a cogliere il movimento di lingua. Lui continuava a leccarla ed il suo sguardo a riempirsi di piacere.

«Perché l'hai fatto?»

«Non fingere di non saperlo. Ti farà male mangiare tutte quelle olive.»

Lo guardai spaesata. «E tu come lo sai?»

«Ho letto i risultati ai tuoi test di routine. Sei sensibile al sodio, Cora. Il consumo eccessivo può-»

«Causare problemi digestivi. Lo so, Ashton, sono un'infermiera. Come cavolo ti sei procurato i miei risultati? E comunque non ne ho mangiate così tante.»

Lui si accigliò. «Due per ogni Martini che hai ordinato. Sette sono i calici, quattordici le olive che ti sei mangiata. Quindici con quella di adesso. E tutto questo in meno di un'ora.»

Lo fissai stralunata e di colpo sentii il bisogno di appoggiarmi al bancone.

La verità? Mi ero persa al primo numero. Il resto era soltanto una matematica che il mio cervello si rifiutava di accogliere e non riuscii a non dare la colpa all'alcol.

Non mi ero neanche resa conto di aver ingurgitato tutto quell'alcol da quando avevo abbandonato la pista da ballo.

Eppure mi sentivo bene. Sentivo di non aver ancora raggiunto l'ubriacatura, e proprio per quel motivo, la mia mano recuperò il calice.

«Sul serio?» domandò, ma io lo ignorai, sfilandogli davanti per raggiungere l'esterno.

La musica era ancora altissima e la pista si stava lentamente svuotando. Senza pensarci due volte, cominciai a correre, facendo attenzione a non versare il mio amato cocktail.

«AUGURI A MAYAA!!» gridai, sollevando il mio calice in aria e ottenendo l'appoggio delle persone attorno a me.

Cominciai ad ondeggiare. A scuotere la testa, i fianchi e le spalle a ritmo di musica. A bearmi di quello che sembrava in tutto e per tutto un paradiso terrestre, finché qualcosa non decise di rovinare tutto.

O meglio... qualcuno.

Il mio calice svanì ed una mano calda mi afferrò il polso, trascinandomi lontano dal DJ.
Cercai disperatamente di non inciampare nei miei piedi nel tentativo di stargli dietro, finché finalmente non si fermò a qualche metro dalla fine della piscina.

«Che diavolo fai?» domandai.

Ashton sbuffò e la mano libera finì fra i capelli neri. Seguii quel movimento con fascinazione. Sembravano così morbidi al tatto.

«Basta con questa merda, hai già bevuto abbastanza. Per quanto ancora hai intenzione di andare avanti così?»

Se non fossi stata sotto l'effetto dell'alcol avrei giurato essere arrabbiato con me, ma non ne capii il motivo.

«Qual è il tuo problema? Perché continui a starmi così addosso? Siamo ad una festa. Sto cercando di divertirmi. Ma tu continui a rovinare tutto.»

L'espressione incollerita che mi rivolse, mi fece sentire piccola. «A rovinare tutto? È così che lo chiami quando qualcuno cerca di evitarti il coma etilico?»

Scossi il capo, colta da una profonda frustrazione.
«Io lo reggo benissimo l'alcol! Non sono una bambina, non ho bisogno di una ramanzina e ne tanto meno della tua protezione.»

«E invece si!» gridò, finendo ad un palmo dal mio viso. «Tu hai bisogno della mia protezione, e sai perché? Perché sei una persona imprudente. Sei la persona più irresponsabile e capricciosa che conosca e la cosa peggiore è che lo sai, ma continui ad ostentare una maturità che è chiaro non possiedi!»

Quando finì, il suo petto saliva e scendeva con frenesia, percepii il suo respiro irregolare sulla pelle, ma io non riuscivo a pensare a nient'altro non fosse il calore che mi ribolliva nelle vene.

Capii troppo tardi che era rabbia e che ero ad un passo dall'esplodere, perché avevo già agito. Gli sfilai il mio cocktail dalle mani e gli scagliai il liquido giallognolo dritto in faccia.

Ashton serrò le palpebre giusto in tempo, ma quando le riaprì, non capii se il tremolio che prese a scuotermi il mio corpo, fosse paura o semplicemente nervoso.

Il liquido scivolò giù. Gli bagnò il collo e solcò il pomo d'Adamo, fino a raggiungere la maglia che indossava, e bagnarla.

«D'accordo.» esalò lui, allontanandosi appena.

Lo guardai confusa. Seguii ogni suo movimento finché Ashton non afferrò le estremità della sua maglia e se la sfilò, rimanendo a petto nudo.

Ingoiai a vuoto.

Il suo sguardo si affilò, la mascella si indurì e intanto lui si avvicinava. Ancora ed ancora. Il suo petto sfiorò il mio naso ed io mi sentii bruciare dal suo calore corporeo.

Quando poco dopo, però, dell'aria fredda si innalzò scagliandosi su di noi, qualcosa dentro di me si mosse.
Si sarebbe ammalato.

«Rivestiti, Ashton.»

Lui chinò il capo su di me. Trattenni il fiato per un istante quando spostò lo sguardo sulle mie labbra.

«Perché? Ora sei tu quella preoccupata?»

Non feci in tempo a dire una sola parola, perché lui fu più rapido, si piegò in avanti e mi prese fra le braccia.

L'attimo dopo, i miei piedi abbandonarono il suolo ed io finii sotto sopra. Tirai un gridolino, quando mi sentii appoggiare sulla forte spalla.

Non riuscii a capire quali fossero le sue intenzioni, finché non iniziò a camminare. Ad un certo punto, sentii un tonfo e l'impatto con l'acqua fredda mi svuotò i polmoni.

Risalii subito, ma la piscina era fonda e stare a galla in quelle condizioni non era affatto facile.

Mi sentivo pesante. Il mio corpo non ne voleva sapere di galleggiare, e proprio quando l'ansia stava per prendere il sopravvento, due mani mi afferrarono le gambe.

Ashton mi avvicinò a sé, inducendomi ad allacciarle attorno al suo bacino per non affogare. Sentii le sue dita affondare delicatamente nelle mie cosce ed i pensieri che partorì la mia mente, mi fecero arrossire.

«Perché lo hai fatto?» domandai in imbarazzo, consapevole del fatto che ero completamente aggrappata a lui.

«Se tu puoi vedermi bagnato...» pronunciò con voce roca e profonda. «Anch'io posso.»

I nostri respiri divennero un tutt'uno ed io sentii una scarica elettrica invadermi il basso ventre.

I nostri nasi si sfiorarono e le mie labbra fremettero al modo in cui i suoi occhi mi guardavano. Il contatto visivo era forte. Le sue pupille alternavano le mie e quando fece passare la lingua sul labbro, io non ci capii più niente.

«Quindi non è così?»

«Che cosa?» riuscii a dire.

«Non sei attratta da me?»

Mi sentii avvampare e nessuna delle risposte che avrei voluto dare sembrava intenzionata a prendere vita.

Sentii il bisogno di interrompere quel contatto per riuscire a dire qualcosa, ma il mio sguardo finì per posarsi sul suo petto. Ampio, muscoloso e pieno di tatuaggi.

Deglutii.
Pessima idea, Cora. Davvero pessima.

Tornai a guardarlo negli occhi e, come morisse dalla voglia di stuzzicarmi, lui fece lo stesso.

Ashton fissò il mio seno ed il mio corpo ebbe una risposta istintiva al suo sguardo allusivo, perché mi si inturgidirono i capezzoli.

«Allora?»

«No,» balbettai. «Lasciami sul bordo, ti prego.»

«Perché?»

«Perché questo è sbagliato.»

Ashton rise. «Che c'è? Cerchi ancora di dimostrare di essere una ragazza fedele?»

Assimilai quelle parole con una lentezza dilaniante. Era come se il mio cervello si fosse rifiutato di ricevere quell'informazione, nel disperato tentativo di rendere duratura quella pace apparente.

Ma non sarebbe andata così, perché lui continuava ad infierire ed io non gliel'avrei perdonata.

Me lo scollai di dosso e, anche se con fatica, riuscii a raggiungere la scaletta e ad uscire.

Camminai a passo pesante, bagnata fradicia, e con i nervi a fior di pelle, stufa marcia del suo comportamento scostante.

Sembrava tutto un gioco per lui, soltanto un dannato gioco. Ed era fastidioso da morire. Sentirsi in quel modo era fastidioso.

Il senso di colpa cominciava ad essere reale. Cominciavo a sentirmi male per John, a domandarmi come avessi potuto permettergli di avvicinarsi tanto.

Il nervoso raggiunse livelli altissimi e gli occhi cominciarono a pizzicare.
Ma io non avrei pianto. Non avevo pianto per cose peggiori. Di sicuro non l'avrei fatto per un uomo.

Continuai la mia marcia lungo il perimetro della piscina, finché la vista non cominciò ad annebbiarsi ed io mi ritrovai costretta a fermarmi.

Capii immediatamente che si stava trattando di un capogiro. Il mio corpo sbandò leggermente, ma poi eccolo di nuovo, il suo profumo che mi innondava le narici e inebriava i sensi.

Ashton mi avvolse il corpo, evitandomi di cadere, e nella mia testa era un susseguirsi di menta e bergamotto. Menta e bergamotto.

«Che stai facendo?»
Tentai di liberarmi, ma lui oppose resistenza.

«Ti evito un'altro bagno in piscina.»

«E a te che importa? Lasciami.»
Lo spintonai, ma in risposta, lui mi schiacciò contro al suo corpo con forza.

«Non voglio che tu affoga.»

Sbuffai. «E perché no?»

Doveva smetterla di fingere che gli importasse qualcosa di me. Non sarei più caduta nelle sue trappole. Non più.

«Perché non sarei io a farti la respirazione bocca a bocca.» esalò, ad un niente dalle mie labbra.

Tremai e non per il freddo.

La confusione mi colpì come un treno in corsa ed io non seppi più dove sbattere la testa. E tanto meno come giustificare quelle sue uscite che, giorno per giorno, sembravano divenire sempre più insensate.

Cosa voleva dire quella frase? Che non ne era in grado? Che non sapeva fare la rianimazione? Che non aveva fatto alcun corso di primo soccorso?

Quando cercai di venire a fondo a quella questione, Ashton mi aveva già stretto la mano e spinta a seguirlo.

Recuperò la sua maglia ed entrambi i nostri cellulari da terra, per poi avviarsi a passo deciso verso l'interno.
Faticavo a stargli dietro, ma in quel momento la mia mente aveva ben altro a cui pensare.

Mi rigirai il mio iPhone fra le mani.
«Perché il mio telefono era lì?»

Il mio sguardo scontrò la sua schiena nuda ed io m'incantai a seguire i tratti di inchiostro che gli decoravano gran parte della pelle.
Era una visione paradisiaca.

«Perché te l'ho sfilato prima di sollevarti.»

Non mi ero accorta l'avesse fatto, ma ero felice che il mio telefono avesse evitato un bagno che avrebbe sicuramente segnato la sua fine.

«Resta qui, torno subito.»

Si fermò di fronte al bancone, si assicurò che avessi capito e si allontanò. Inutile dire che il primo pensiero che mi passò per la testa in quel momento era di ordinare qualcosa da bere. Giusto per avere qualcosa da fare durante l'attesa. E così feci.

Passarono i minuti ed io ero sicura di aver bevuto all'incirca cinque shottini, uno di fila all'altro. Probabilmente stavo esagerando, ma quella era una festa.

Quando mai mi sarebbe capitata una serata del genere. Una serata in cui potevo fare quello che volevo? In cui non c'era John a controllare ogni mia singola mossa o parola?

Dovevo approfittarne.

«Ma che fai? Bevi ancora?,» Ashton torreggiò su di me, privandomi del bicchierino. «In piedi. Ce ne andiamo.»

Mi trascinò fino all'ingresso della villa quasi con la forza, e fra le diverse cose, mi accorsi che si era rivestito.

«Lasciami!» i miei tacchi stridevano sul cemento. «Io voglio restare! La festa non è ancora finita.»

«È finita per te,» obiettò. «Smettila di opporre resistenza, Cora, o ti metto in braccio di nuovo.»

Cominciai a colpirgli il braccio perché mi liberasse la mano, e la cosa sembrò infastidirlo parecchio, perché lui si bloccò di colpo ed i nostri corpi si scontrarono.

«Hai finito?»

«Perché ce ne andiamo? Maya aprirà i regali a breve.»

«Davvero? Non me ne frega niente,» sputò freddo. «Io devo andare e tu verrai con me.»

Ashton riprese a camminare, ma io non ne volli sapere niente. Quella spiegazione non mi andava bene.
E anche se debole, mi impegnai a renderli quella camminata, la peggiore della sua vita. 

Quando raggiungemmo la sua costosissima auto fui quasi tentata di graffiargliela con il tacco per dispetto, ma scartai subito quell'idea malsana e mi accomodai nel sedile anteriore del passeggero.

Incrociai le braccia al petto arrabbiata come mai prima, finché Ashton non salì a sua volta.

«Mi dici almeno dove andiamo?»

«In ospedale,» rispose, recuperando la chiave dalla tasca dei suoi jeans. «Felix ha bisogno di me.»








Fofinhas🦭

Aggiornamento a sorpresa!! Dopo l'ultimo capitolo mi ero messa subito a lavorare sulla seconda parte, così da farvelo avere il prima possibile. Spero vi abbia fatto piacere. 🎀
Ma ora... Cosa ne pensate?💗

Questo capitolo è stato parecchio intenso anche per me. Le descrizioni, la scena di ballo con Leon e la tensione fra Ash e Cora...
Un bel miscuglio di roba, ma sono abbastanza soddisfatta.
Ps: Loro insieme mi piacciono sempre di più.✨💗

Stellina se vi è piaciuto e io vi aspetto su IG per commentare il capitolo insieme.🖤

Ci vediamo al prossimo aggiornamento.🫂
Grazie mille di seguire WYA♟️

IG: @karinastrs
Tiktok: @karinastrs

Take care of urself, please.🦋✨
Karina🖤

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