13. (S) Trust issues
S E N A K I M
☯️
Non ero brava a controllare le mie emozioni.
A dirla tutta, ero davvero pessima. Ero semplicemente un libro aperto scritto in maniera che tutti potessero leggerlo.
Questo ero stata due giorni fa. Un libro aperto.
Ero sicura tutti avessero notato la mia reazione alla comparsa di quell'uomo. Cora, Ashton, Felix e persino Leon. Ognuno di loro l'aveva notato e io non sapevo più come comportarmi.
Mi avrebbero fatto delle domande a riguardo? Avrebbero cercato di intromettersi con la scusa di volermi aiutare?
Non ne avevo idea, e proprio per questo motivo, dopo l'uscita al locale notturno, avevo deciso che avrei fatto il possibile per evitare di incrociarli.
Sapevo che sarebbe stato difficile, con due di loro condividevo il posto di lavoro, ma sarebbe stato momentaneo. Il giusto affinché si dimenticassero dell'accaduto.
Quando, in quel primo pomeriggio, Ashton fece il suo ingresso in ospedale, io non lo guardai neanche. Tenni il capo basso, fingendo di lavorare al computer e lui non mi disturbò.
Immaginai non si sarebbe fermato a chiacchierare neanche se avesse voluto. Era il giorno dei colloqui con gli infermieri e di conseguenza lo aspettava una lunga giornata.
Speravo soltanto accogliesse più gente possibile. L'ospedale necessitava disperatamente di nuovi dipendenti.
Terminai di raccogliere i miei affetti personali e mi voltai verso la Torres, la receptionist del turno serale. «Buona serata.»
Lei mi sorrise, ricambiando l'augurio ed io mi affrettai a raggiungere l'uscita, vogliosa di tornare a casa ed infilarmi sotto la doccia.
Quando il cielo si aprì su di me, il vento tirò talmente tanto forte che mi ritrovai a cercare riparo all'interno della mia giacca bianca.
Feci per incamminarmi verso casa quando, tutt'un tratto, del vociferare attirò la mia attenzione.
Sollevai una mano come scudo contro il vento, e quando capii di chi si trattava, era troppo tardi. Loro si erano già accorti di me.
Trattenni uno sbuffo maledendomi per essermi voltata, quando Maya prese a corrermi incontro. Non potei non paragonarla ad una bambina di cinque anni.
«Ehi, Sena! Hai appena finito?» domandò la rossa, con un entusiasmo così esagerato da uccidere il mio.
Quando anche il secondo ci raggiunse, il desiderio di voltarmi ed iniziare a correre raggiunse livelli altissimi. E come se non bastasse, al freddo pungente che stavo provando, si aggiunse anche un forte mal di pancia. Sentii il mio stomaco gorgogliare.
«Che piacevole visione,» Leon mi squadrò da capo a piedi, sorridendomi. «La tua amica Maya mi stava giusto parlando di te.»
Il mio sguardo cadde su di lei che, sentitasi presa in causa, si affrettò ad aggiungere: «Gli stavo giusto parlando della mia festa di compleanno di dopodomani. Gli ho detto che saresti venuta e che sarebbe stato il benvenuto. Ho saputo che siete molto amici, immaginavo ti avrebbe fatto piacere.»
Molto amici?
Mi assicurai di guardarlo male abbastanza, prima di tornare sull'immensità di cavolate che avevo appena udito.
«Primo, non è mio amico. Secondo, non ho mai detto che sarei venuta. Quel giorno avrò da fare.»
Bugia, ma piuttosto che presenziare al compleanno di Maya avrei preferito lavorare entrambi i turni, di fila e senza pausa.
«Ma come? Credevo avessi detto-»
«Hai sentito male, Maya.»
Il suo sguardo toccò il cemento a terra, ma fu per un'istante brevissimo, perché le iridi verdi tornarono presto su di me. «Avresti potuto dirmelo subito, no?»
«Non avresti ceduto e lo sai bene anche tu.»
Era cocciuta come poche persone e per qualche motivo fingeva sempre di non saperlo.
Lei sembrò rattristarsi e l'ennesimo capo giro della giornata mi provocò un leggero sbandamento.
Mi ci volle un attimo per riacquistare l'equilibrio, ma quando capii non essere stato per merito mio, una mano mi aveva già afferrato il braccio, aiutandomi.
Mi sentii penetrare dall'ambra dei suoi occhi, quando con sguardo preoccupato, Leon sembrò ispezionarmi a fondo.
«Ti senti bene?» domandò.
Riuscì a cogliere il tono serioso nella sua voce.
«Si. Puoi lasciarmi ora.»
Mi liberai della sua presa, creando della distanza fra noi, la stessa che aveva annullato e che sembrava in procinto di annullare ancora una volta.
«Sei pallida,» proseguì, indicandomi il viso. «Sicura di stare bene?»
Mi trattenni dal riservargli l'ennesima occhiataccia, perché il malessere che stavo provando cominciava ad amplificarsi ed io volevo soltanto andare a casa.
Alzai una mano, salutandoli silenziosamente, prima di incamminarmi verso il parcheggio.
Riuscii a percepire il suo sguardo bruciarmi la schiena, ma lo ignorai, proseguendo per la mia strada.
Quello era uno dei pochi giorni in cui ero andata a lavoro con l'auto, e col senno di poi, ringraziai il cielo per averlo fatto. Nelle condizioni in cui mi trovavo, a piedi non sarei riuscita a fare neanche metà della strada di ritorno.
Scorsi la mia auto, un'Audi rossa, a qualche metro di distanza quando, all'ennesimo passo, una fitta mi trafisse lo stomaco.
Mi bloccai di colpo nel bel mezzo del parcheggio, piegandomi per il dolore.
Strinsi le labbra, soffocando l'urlo.
Premetti una mano sulla giacca, nella zona dello stomaco, facendo pressione nella speranza potesse alleviarsi, ma come risposta, un'altra fitta mi strappò il respiro.
Caddi sulle ginocchia. Strinsi i denti dolorante, lo sguardo s'incollò al suolo mentre sentivo il corpo venir percosso da brividi di freddo, uno dopo l'altro.
Dovevo raggiungere la mia auto.
Dovevo soltanto raggiungere la mia auto.
Posai una mano sul cemento, facendo pressione per tirarmi su. Spostai la mia intera attenzione sull'auto, concentrando ogni singolo neurone su quell'immagine, come volessi sottolineare quale fosse l'obiettivo.
Approfittai della prima pausa di sollievo per correrle incontro, ma non appena raggiunsi lo sportello, estrarre le chiavi mi fu impossibile.
La testa prese a vorticare così forte che, in un battito di ciglia, mi sentii succube di quel malessere.
Il mio corpo scontrò la mia auto e poi ancora, il suolo.
Vidi nero per qualche istante, dopodiché tutto prese a girarmi attorno. Di nuovo.
L'ennesima sensazione pungente ed improvvisa mi colpì allo stomaco ed io non riuscii più a controllarlo, liberai un lamento, poi un'altro e un'altro ancora.
Le palpebre cominciarono a pesarmi. Non riuscivo a combattere la stanchezza. Morivo dalla voglia di assecondarle e lasciarmi risucchiare dalle tenebre.
Sentivo che stava avendo la meglio su di me, quando, all'improvviso, il mio corpo abbandonò il cemento freddo.
Una mano mi circondò il collo. Mi sentii sollevare e sbattere con forza contro alla mia auto.
Ci fu un gran tonfo ed il dolore che da subito quell'impatto mi aveva provocato, s'irradiò per tutto il corpo, pulsando sotto alla carne.
«Ci si rivede, sig.na Kim.»
Aprii gli occhi a fatica, ma bastò quel tanto perché riuscissi ad intravedere un paio di occhiali da sole neri.
Il mio cuore perse un battito, non appena lo riconobbi.
Era lui. Era lo stesso uomo.
Ricordai la pelata, il viso squadrato, ed il completo scuro. Ricordai persino l'aria misteriosa che emanava e l'irrequietezza che la sua sola presenza mi aveva provocato.
Volli parlare. Volli aprire bocca e dirgli che non c'era bisogno di fare così, che l'avrei seguito ovunque avesse voluto portarmi e di mollare la presa.
Ma non feci in tempo, perché la presa aumentò sul mio collo, costringendomi al silenzio.
Rimasi a corto d'aria, la sentii venirmi strappata via dai polmoni ed i sensi presero a fibrillare.
Non toccavo terra. I miei piedi non toccavano terra.
«Non parli. Le avevo già dato la possibilità di farlo. Evidentemente le buone maniere non le piacciono. È ora di passare a quelle forti.»
Trovai la forza di sollevare le braccia, colpendolo disperatamente. Scalciai ripetutamente, sfruttando le poche forze che ancora avevo in corpo.
Mi dimenai come più potevo, ma l'ossigeno smise di arrivare al cervello ed i colpi si indebolirono, secondo per secondo, fino ad annullarsi.
«Dorma sogni tranquilli, Sena. Al suo risveglio sarà il primo giorno della sua nuova vita.»
Gli occhi si spensero e il corpo si sciolse di tutta la tensione, completamente privo di qualsiasi forza.
Sentii il buio calare gelido, lo sentii avvolgermi lentamente, finché qualcosa non accadde, qualcosa di inaspettato.
Udii dei passi. Un tonfo sordo mi esplose nelle orecchie e poi, la mano dell'uomo svanì di colpo, liberandomi da quella presa infernale.
A quel punto, priva di qualsiasi sostegno, precipitai, sbattendo violentemente il fianco contro al suolo.
Mugugnai qualcosa di incomprensibile in preda ai dolori, ansimando alla ricerca d'aria.
Boccheggiai freneticamente.
Tentai di guardarmi attorno. Tentai di capire cosa fosse successo, di capire dove fosse finito quell'uomo, ma non appena riuscii a mettere a fuoco, tutto ciò che vidi mi stravolse completamente.
L'uomo si trovava a terra, sdraiato e con il viso pieno di sangue, mentre un'altro ancora, di spalle, si trovava a cavalcioni su di lui e lo colpiva con violenza, senza accennare a smettere.
A quella visione, percepii lo stomaco contorcersi nella pancia. La testa vorticò, costringendomi a chiudere gli occhi, mentre il petto saliva e scendeva ed io sentivo il cuore in procinto di esplodere.
Tremai da capo a piedi, e non seppi più se dare la colpa al freddo. Sollevai una mano, posandola sul collo indolenzito e lo sentii pulsare sotto la pelle, quando una tosse ossessiva mi riempì la bocca, raschiandomi la gola.
«Ehi, ehi,» Una mano si posò sulla mia spalla. Sobbalzai impaurita. «Tranquilla. Apri gli occhi, sono io.»
Il suo profumo dolce mi raggiunse prima dell'immagine del suo viso. Era Leon ed era lì, in ginocchio di fronte a me.
«Che ci fai qui?» domandai con un filo di voce.
La gola mi faceva più male del previsto.
La sua mano mi afferrò il braccio, aiutandomi a mettermi a sedere.
«Non ti ho vista uscire dal parcheggio. Ci stavi mettendo troppo, così sono venuto a controllare.» spiegò. «Dove tieni le chiavi?»
«Nella tasca posteriore dei miei jeans.»
Leon fece per avvicinarmisi, quando sembrò realizzare le mie parole soltanto un secondo più tardi.
Si ritrasse di colpo. «Perché proprio lì?»
«Leon...» soffiai, chiudendo gli occhi.
«Hai ragione, hai ragione. Scusami.»
Sentii le sue mani calde afferrarmi sotto alle ascelle e sollevarmi come non pesassi nulla.
«Ce la fai? Appoggiati a me. Faccio subito.»
Mi aggrappai al suo petto e lui proseguì con il recupero delle chiavi. Infilò le mani sotto alla mia giacca, percepii le sue braccia accarezzarmi i fianchi quando tastò entrambe le tasche, per poi recuperarle da quella destra.
«Forza, ti porto a casa.»
Aprì la macchina, e poi ancora lo sportello. Il suo braccio scivolò sotto alle mie gambe e prima che potessi prevederlo, lui mi sollevò da terra.
«Mettiti comoda, io torno subito.»
Il mio corpo, sul sedile, s'irrigidì all'istante.
«Non lasciarmi.»
Leon si voltò e mi sorrise, fissandomi intensamente.
«Non lo farei mai.»
Quando lo sentii allontanare, mi sistemai sul sedile, facendo attenzione al fianco su cui ero atterrata e lo aspettai.
Qualche attimo più tardi udii un'imprecazione e poi, qualcuno montare sul sedile del guidatore. «È scappato. Il coglione è scappato.»
Leon accese il motore, facendo retromarcia.
«Dio, non avrei mai dovuto dargli le spalle. Avrei dovuto controllarlo. Avrei dovuto, ma tu avevi bisogno di me. Io non... Merda!»
Leon prese a farneticare ed io afferravo la metà delle parole che esalava. Non riuscivo a stargli dietro. Non riuscivo a concentrare la mente su nient'altro non fosse il dolore che provavo. E lo provavo ovunque.
Sembrava convergere su più punti differenti. Lo percepivo pulsare sotto la pelle. Lo percepivo bruciarmi la pelle e irradiarsi nelle zone affianco.
«È tornato,» udii ad un certo punto. «Ha provato a tramortirla. Se non fossi arrivato in tempo ce l'avrebbe fatta.»
Capii stesse parlando al telefono soltanto quando la voce metallica dall'altro capo della linea gli rispose.
Non capii una sola parola di ciò che gli disse.
«Potrebbe stare meglio,» sentii il suo sguardo su di me. «Si, la sto portando a casa mia. Ti chiamo più tardi, avvisa Felix.»
Stava parlando con Ashton?
Mi ci volle qualche istante per realizzare ciò che aveva appena detto, e quando questo accadde, il mio viso palesò sconcerto.
«Cosa? No. Voglio andare a casa mia.» brontolai fissando il cruscotto.
«In altre circostanze obbedirei ad ogni tuo desiderio, ma non posso permettere allo stronzo di risalire al tuo indirizzo di casa. E a meno che tu non abbia qualcun altro da cui passare la notte, dovrai passarla da me.»
Rimasi in silenzio, meditando sulle sue parole e su quanto sensato fosse il suo ragionamento. L'uomo era scappato. Chi poteva sapere che non ci stesse pedinando?
Non servì dire niente. Non servì sottolineare quanto fossi sola, perché Leon lo capì. Portò la mano sul cambio e accelerò.
«Sarai al sicuro con me.»
Quando l'auto si fermò ero sicura di aver dormito. Era passato del tempo, ma non sapevo di preciso quanto.
Feci per raddrizzarmi sul sedile, ma il dolore mi piegò subitamente, pulsando più forte che mai.
Un gemito sfuggì alle mie labbra e nello stesso istante, lo sportello si aprì e l'aria fresca di quella sera, invase la macchina con una velocità impressionante.
Tremai come una forsennata.
«Piano, piano. Vieni, ti prendo io.»
Scossi il capo, bloccandolo con una mano.
Mi rifiutavo di farmi trasportare di nuovo. Non avrei sopportato quella vicinanza di nuovo.
Avrei fatto da sola.
Non importava quanto tempo mi ci sarebbe voluto.
Avrei fatto da sola.
Mi lasciai guidare da Leon. Pestai il marciapiede di un quartiere di cui non conoscevo le strade ed immaginai ci fossimo allontanati parecchio dall'ospedale. Quel poco che riuscivo a mettere a fuoco di quel luogo mi era completamente sconosciuto.
Riuscivo a percepire la carne fremere sotto la pelle ad ogni gradino. Percepivo ogni singola fitta, ogni singola pulsazione, ogni singolo bruciore. Passo dopo passo.
Era come m'infilassero dei coltelli affilati e li rigirassero su loro stessi, più e più volte.
«Lascia che ti aiuti.»
«Ce la faccio.»
Era più forte di me.
Respingerlo mi risultava più facile, più giusto.
Scoprire che gli ascensori erano fuori uso mi mandò in palla il cervello e la stanchezza sembrò aumentare al solo udire del numero di piani che avremmo dovuto affrontare per raggiungere il suo appartamento.
Cinque piani.
Dieci rampe di scale.
Cominciai a sudare freddo.
«Sei pazza se credi che te lo lascerò fare in queste condizioni.»
«Non spetta a te decidere.» sputai infervorata.
Ero troppo stanca per discutere, ma lui sembrava continuare a non capire. Mi ero già lasciata sorreggere una volta, non sarebbe capitato di nuovo.
«Cadrai, Sena.»
Era incredulità quella che riuscii a percepire nella sua voce. Incredulità mischiata a rabbia.
Sollevai il viso per la prima volta da quando scendemmo dall'auto e ciò che vidi mi bloccò.
Il suo viso era un mix deleterio di emozioni ed io non capii perché. I suoi occhi mi guardavano preoccupati, ma le sopracciglia aggrottate lasciarono intendere dell'altro.
Il suo corpo era teso. Riuscivo a scorgere i muscoli contratti nascosti dalla giacca nera che indossava. Quasi stesse aspettando solo il momento in cui il mio corpo avrebbe ceduto, pronto a sorreggermi.
«Allora fai in modo che non cada.» esalai infine, costringendolo ad arrendersi.
Le prime quattro rampe di scale furono un'impresa, ma riuscii a raggiungere la quinta senza troppe cerimonie.
Continuavo a percepire un dolore allucinante all'altezza dei fianchi e un'altro ancora all'altezza dello stomaco.
Le fitte non vollero proprio abbandonarmi ed il gorgoglio insistente proseguì, riecheggiando fra le mura di quella scalinata.
«È la milionesima volta che il tuo stomaco brontola. Mi vuoi dire perché non mangi?»
Leon era alle mie spalle, ed esattamente come gli avevo chiesto, si stava assicurando che non cadessi, precipitando giù per le scale come un sacco di patate.
«No.» risposi, aggrappandomi alla parete per raggiungere il gradino successivo.
Non sapevo quanto sarei riuscita a resistere ancora.
Le gambe avevano iniziato a tremare e di punto in bianco tutto il freddo che credevo di provare si trasformò in caldo torrido.
Sudavo come un cammello.
«Allora vuoi dirmi perché tutto questo? Se mi avessi lasciato fare saremmo già arrivati.»
Mi sfuggì una risata. Il caldo doveva aver cominciato a bruciarmi i neuroni.
«Perché la fai tanto grande? Ti scoccia starmi dietro? Vai allora, ci vediamo al quinto piano.»
Lo sentii sbuffare. «Lo sai che non è questo.»
«Allora finiscila di-»
Non riuscii a terminare la frase, che la gamba destra cedette sotto al mio peso.
Due mani mi afferrarono i fianchi e prima che potessi anche solo pensare di perdere l'equilibrio, queste mi sorressero.
«Dio, Sena. Se non mi piacessi così tanto ti avrei già insultata.»
Leon mi adagiò contro di sé. Le sue possenti braccia mi avvolsero ed io percepii il suo corpo aderire completamente al mio.
«Ora faremo come dico io.» soffiò fra i miei capelli.
Il suo odore mi raggiunse come il più dolce dei tranquillanti. Il suo petto premette contro alla mia schiena ed io riuscii a sentire il battito del suo cuore, accompagnare il mio.
«Ti prendo in braccio e ti porto a casa. Se provi a scalciare, Sena, ti assicuro che ti faccio cadere con me. Mi hai capito?»
Mi scappò un sorriso.
Fu soltanto per una frazione di secondo, però.
«Ho capito.»
Quando raggiungemmo il quinto piano, qualche minuto più tardi, mi accorsi di essere arrivati soltanto quando mi sentii adagiare sul letto.
«So che stai male, ma se riuscissi ad ignorare il disordine mi faresti un grosso favore. Ho passato l'ultimo periodo con Ash e Lix. Quest'appartamento deve aver fatto la muffa nel frattempo.»
Leon si allontanò, e tutto ciò che riuscii a fare fu accarezzare il piumino color verde militare che ricopriva il letto matrimoniale. Era morbido, faceva venire voglia di dormire.
«Mi cambio un attimo e ti do un'occhiata.»
Bastarono quelle parole perché i miei occhi si alzassero. Fu un gesto automatico ed involontario.
E accadde nello stesso istante in cui la sua schiena si scoprì di ogni indumento.
È solo una schiena, Sena.
Una schiena abbronzata. Una schiena ampia e muscolosa. Virile come solo poche erano. Il sudore che gli faceva brillare la pelle lo rese persino più attraente ai miei occhi ed io non riuscii più a staccarglieli di dosso.
La luce soffusa, che filtrava dalla finestra alle mie spalle, contribuiva ad un gioco di luci ed ombre per cui ogni singolo centimetro del suo busto era muscolo.
Dovevo stare davvero male. Fare apprezzamenti di quel genere non era da me, così come non era da me continuare a guardare quando si sfilò i jeans.
Era troppo. Serrai le palpebre e mi lasciai andare all'indietro, sdraiandomi sul materasso.
«Non addormentarti. Devo prima controllarti.»
Aprii le braccia, occupando tutto lo spazio.
«Non lo farò.»
«Continua a parlare.»
Aggrottai la fronte, sicura di aver capito male.
«Come?»
«Parlami. Così saprò che non ti sei addormentata.»
Ero tornata ad essere una bambina e non lo sapevo?
«Chiedimi qualcosa.» suggerii.
Per quanto stupido potesse sembrare, io non sapevo che dire. Non ero conosciuta per essere una chiacchierona. Anzi. Se avessi potuto tacere a vita, probabilmente l'avrei fatto, consapevole del fatto che spesso il dolore ce lo infliggevamo da soli.
Bastava una parola di troppo alla persona sbagliata, e questa, così come una fiducia mal riposta, ti si ritorceva contro.
Le persone si armavano delle tue paure più grandi, dei tuoi segreti più profondi... e te li puntavano contro.
Soltanto alla fine capivi di essere stata tu, con le tue stesse mani, a consegnare l'arma che ti avrebbe uccisa.
«Perché guardi gli uomini come fossero spazzatura?»
Il mio cuore perse un battito, ma lui non mi diede tempo, perché aggiunse subito dell'altro.
«Riformulo. Perché mi guardi come fossi spazzatura?»
Mi ci volle più tempo del dovuto per assimilare e comprendere il significato dietro a quella domanda. E non seppi se dare la colpa al malessere generale o al fatto che ero stata completamente presa alla sprovvista.
«Perché non ti conosco.» risposi incerta.
«Ho picchiato un uomo per te,» il tono di voce si abbassò. Mi vennero i brividi. «Non ti ho molestata e non ti ho violentata. Mi sono preso cura di te fino ad adesso. Sei nella mia casa. Sdraiata sul mio letto.»
Leon fece una pausa. Sentii un'anta dell'armadio chiudersi e poi dei passi farsi sempre più vicini.
«Dammi la mano.»
Piegai il viso, quando questa apparì nel mio campo visivo. La afferrai e lui mi aiutò a rimettermi seduta.
Il mio viso finì a pochi centimetri dal suo. Due grandi occhi color ambra si tuffarono nei miei e senza volerlo, mi ritrovai a passarli a rassegna.
Il mio sguardo passava da un'iride all'altra, ammirandone il colore mozzafiato, mentre il suo profumo tornava a riempirmi l'olfatto.
«Ti sembro un uomo spazzatura, Nana?»
Morii dalla voglia di chiedergli da dove gli fosse uscito quel soprannome, ma il desiderio di rispondere e portare avanti quella conversazione era più forte.
«Le persone non fanno schifo subito.»
Diedi voce alle parole che tempo prima una persona mi aveva rivelato. Quanta verità ci poteva essere in una frase sola?
Leon si abbassò, rimanendo in bilico vicino alle mie gambe. «Non generalizzare, Sena. Abbi un po' di fiducia nell'umanità. Non siamo tutti dei pezzi di merda.»
«Evidentemente non sei mai stato ferito.»
A quell'affermazione le sue folte sopracciglia scattarono all'insù.
«Perché? Perché sorrido e mi godo la vita?»
«Perché non sembri avere paura.» risposi di getto, mordendomi l'interno guancia subito dopo.
Cazzo.
Leon sembrò notarlo. Mi osservava attentamente, quasi riuscisse a cogliere ogni emozione il mio viso trasparisse. Non importava che si trattasse di una frazione di secondo, lui avrebbe colto anche il più piccolo cambiamento.
«Paura? Di che cos'è che hai paura?»
Ed eccola lì. La domanda che tanto odiavo e temevo. La domanda che non avrebbe mai visto riposta e che ogni volta era ragione di fuga. E in quel momento, infatti, volli soltanto fuggire.
Mi agitai nel mio stesso corpo, non riuscendo a soffocare l'ansia che aveva preso a crescere dentro di me, stringendomi il petto in una morsa.
Quella domanda mi faceva sempre lo stesso effetto. E non importava quanto tempo sarebbe passato, io sarei rimasta per sempre quella bambina di dieci anni.
Quella bambina di dieci anni.
Mi guardai attorno, incapace di mettere a fuoco la stanza che mi ospitava, finché una mano non si posò sulla mia ed io scattai, allontanandola.
«Ehi. Non devi rispondere, per forza. Non devi, okay? Va tutto bene.» la sua voce si addolcì, quando sollevò entrambe le mani per mostrarmele.
Come quando si è a contatto con un agente di polizia.
«Dimentichiamo quest'ultima parte della conversazione. Ti va? Torniamo a parlare della spazzatura?»
Leon si esibì in un sorriso raggiante e contagioso, ed io sentii lo stress abbandonare il mio corpo, quando le mie labbra s'incresparono a formare un debole sorriso.
«Dovresti farlo più spesso.» m'indicò con un dito.
«Che cosa?»
«Sorridere,» rispose. «Dovresti farlo più spesso.»
Questo si allargò in un movimento totalmente involontario, e Leon sembrò compiacersi ancora di più, quando si risollevò, mettendosi in piedi.
«Come ti senti? Devo portarti qualcosa?»
Non mi diede tempo di rispondere, che la sua mano si posò sulla mia fronte. «Cazzo, Sena. Stai bruciando.»
Leon corse fuori dalla stanza e come non riuscissi a credere alle sue parole, posai a mia volta una mano sulla fronte.
Aveva ragione.
La pelle bruciava sotto alla mia mano fredda e mi sorse spontaneo domandarmi come avessi fatto a non accorgermene.
La mia mente, occupata a portare avanti quella conversazione, aveva isolato il resto per tutto quel tempo. Aveva isolato il dolore, le fitte, il mal di testa... ogni cosa.
Era come le avesse silenziate momentaneamente.
Quando Leon ricomparì, il mio sguardo cadde su un farmaco, sorretto proprio di fronte al mio naso. «Prendilo, aiuterà ad abbassare la febbre.»
Obbedii. La posai sulla lingua e con l'aiuto dell'acqua la mandai giù in un sorso. Di colpo mi sentii stordita. Il respiro rallentò, mentre Leon mi sfilava la giacca.
Venni percossa da dei brividi.
«Devi farti una doccia calda.»
«Perché?» domandai.
Leon mi sfilò le scarpe, gettandole in un angolo della stanza. «Ti aiuterà a rinsavire ed a stabilizzare la temperatura corporea. Ci vorrà solo qualche minuto. Poi mangi. Devi mangiare, per forza.»
Mi sembrò stesse parlando una lingua nuova. Non capii una solo parola di ciò che stava dicendo. Sentivo soltanto il mio corpo venir spostato da un'angolo all'altro del letto, ed ogni indumento di cui venivo spogliata era un fremito incontrollabile.
Faceva sempre più freddo.
Quando varcammo la porta del bagno, il suono dell'acqua della doccia mi riempì i sensi.
Percepii il calore del vapore caldo sulla mia pelle e mi sentii subito meglio.
Quando Leon mi liberò le gambe, mi sentii adagiare lentamente, finché i miei piedi non toccarono le mattonelle fredde.
Non riuscii a capire quanto grande fosse il bagno, il vapore aveva già riempito l'intero spazio, a stento riuscivo a vedere Leon.
Percepii il getto d'acqua vicinissimo quando, senza pensarci due volte, mi ci infilai sotto. Il mio corpo si sciolse completamente. Sollevai il viso permettendo all'acqua di accarezzarmi la pelle. Fu una sensazione benefica.
«Se hai bisogno di sederti, siediti. Per qualsiasi cosa io sono qua fuori.»
Percepii del movimento e prima che potesse allontanarsi definitivamente, la mia mano lo raggiunse, afferrandogli un braccio in un gesto non meditato.
«Resta.»
La sua espressione risaltò fra i vapori.
E giurai di provare lo stesso identico stupore, sebbene fossi io ad aver parlato.
La febbre doveva avermi dato alla testa, perché di colpo tutto ciò che ero si era smaterializzato. Come le paure non esistessero, come conoscessi Leon da una vita e non avessi nulla da temere.
Fu una sensazione tanto strana quanto piacevole. Mi sentivo liberata da qualsiasi stress fisico o mentale.
Mi sentivo come avessi raggiunto il massimo della mia pace interiore, e lo amai.
Leon non se lo fece ripetere. Riuscii a percepire dell'esitazione iniziale, ma questa svanì quasi subito, quando prese posto di fronte a me, sotto al soffione della doccia.
Trattenni un sorriso quando mi accorsi si fosse unito a me, con addosso la maglia.
«Sei vestito.» lo presi in giro.
Il suo petto tremò. Stava ridendo.
«Sai com'è. Non capita tutti i giorni di essere invitato in doccia da una divinità. Mi hai stordito.»
Parlava e mi guardava dritto negli occhi. Sapeva che lo stavo guardando. Immaginai non volesse mettermi a disagio, ma non ero nuda.
Indossavo l'intimo. Un reggiseno nero e un paio di slip dello stesso colore. In fondo era come fossi in costume, ma lui continuava a tenere lo sguardo incollato al mio.
«Come ti senti?» domandò, leccandosi le labbra bagnate dall'acqua.
Seguii quel movimento ipnotizzata. Aveva della labbra perfette. Grandi e carnose al punto giusto. Sembravano così morbide.
«Benissimo,» esalai, respirando ad un passo dal suo viso. «Non sento più male al fianco.»
Leon corrugò la fronte, quando rivolse immediatamente il viso al suolo.
«Porca troia... Lo stronzo deve averti fatto penare parecchio. Ti ha lasciato un bel livido.»
Sembrò riderci su, immaginai quella frase fosse nata con quel presupposto, ma il tono di voce consigliò tutt'altro. Era arrabbiato.
«Passerà.»
Leon tornò su di me. I ciuffi ricci, che scapparono al codino, mi accarezzarono la fronte, ed io non capii come ci fossimo finiti così vicini.
«So che te l'ho già chiesto,» soffiò sulla mia bocca. «Ma sono preoccupato per te.»
«Che cosa vuoi sapere?»
Sollevai il viso, accogliendo il suo sguardo. Due iridi ambrate si mescolarono con le mie, per poi scendere e soffermarsi sulle mie labbra.
Il mio calore corporeo raggiunse numeri altissimi.
«Perché non stai mangiando?»
Sussurrò. La voce così bassa e roca da farmi venire i brividi.
Perché gli interessava tanto?
Perché continuava ad insistere in quel modo?
Non volevo dirglielo. Non potevo dirglielo.
Non avrei potuto neanche se avessi voluto.
Non avrei potuto confessargli della quantità di messaggi che mi erano arrivati dopo quel giorno all'ospedale. Non avrei potuto rivelargli le minacce velate e non, che continuavano a perseguitarmi.
Non avrei potuto descrivergli la paura che mi attanagliava il petto. Mattina, pomeriggio e sera.
Non potevo rivelargli che mi stavo stressando così tanto dal aver perso completamente l'appetito.
Non riuscivo a mettere niente sotto ai denti. Non importava quanto ci provassi, finivo sempre per rimettere ogni cosa. Ci avevo rinunciato.
Avevo rinunciato a mangiare da due giorni.
Leon mi guardava in silenzio, in attesa di una risposta che sapevo non sarebbe mai partita, mentre l'acqua continuava ad andare, bagnandoci da capo a piedi.
«Non posso.»
Ruppi il contatto visivo, allontanando il viso dal suo, quando due dita mi avvolsero il mento, riportandomi allo stesso identico punto.
Ad un centimetro dal suo viso.
«Non importa. Qualsiasi cosa abbiano usato per ricattarti io la scoprirò e ti ci tirerò fuori. Te lo prometto.»
Quando uscimmo, apparendo nella camera da letto, riuscii finalmente a dare colore e forma alle immagini.
La stanza era piuttosto spaziosa. Il grande letto matrimoniale si trovava alla mia destra, davanti alla finestra. Un armadio in legno scuro affacciava il letto mentre subito fuori dal bagno, alla mia destra, vi era un comò con tanto di specchio. La decorazione era semplice, sui toni del beige e del verde.
Ignorai gli innumerevoli panni abbandonati qua e là sul parquet.
Leon si allontanò, per recuperare dei vestiti ad entrambi ed io ne approfittai, per raggiungere il mio cellulare all'interno della giacca.
Immaginai fosse spento, ma quando premetti sullo schermo, questo mi provò il contrario, accendendosi, ed il pop-up che apparì subito dopo, mi provocò l'ennesimo brivido di terrore.
Le palpebre tremarono, mentre tentavo disperatamente di leggere le parole di quel messaggio... il sesto nel giro di due giorni.
"Non solo sei riuscita a sfuggirmi,
ma vedo che ti stai anche divertendo.
Cosa devo fare con te, piccola Sena?
Devo uccidere il tuo caro amico, Leonel?"
Fofinhas🦭
Questo capitolo sembrava non finire più.
Mi sono letteralmente data alla pazza gioia con questi due, più andavo avanti a scrivere e più aggiungevo parti. 🥹✋🏽
A parte la scena Sena 🤺 Uomocattivo, questo è stato un capitolo quasi interamente incentrato sulla comunicazione. E, per chi mi conosce da un po' e legge l'angolo Autrice, sa che ho da sempre un po' di timore quando si tratta di scrivere grosse parti composte da dialoghi.
In ogni caso, spero di averli resi al meglio, nelle sequenze e nei tempi giusti. E, soprattutto, che vi sia piaciuto. 💗✨
Se così fosse lasciatemi una stellina e io vi aspetto su IG per commentare il capitolo insieme.🖤
Ci vediamo al prossimo aggiornamento.🫂
Grazie mille di seguire WYA♟️
IG: @karinastrs
Tiktok: @karinastrs
Take care of urself, please.🦋✨
Karina🖤
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