Where I want to be
A volte le domande sono complicate e le risposte sono semplici. Beh, relativamente.
«No» dico. E so che siamo alla resa dei conti.
«Come scusa? Eve?»
Rob mi guarda come se gli avessi dato uno schiaffo. Certo, ha ragione, considerando che ho appena mandato a monte un matrimonio. Il mio.
Sento le guance andare a fuoco, la pelle pizzicare come se stessi per trasformarmi, anche se so che non è possibile. Prendo la cura ogni giorno, ormai.
Il Sacerdote non sa che fare. Chiede se deve rifare la domanda, ma al mio scuotere la testa resta lì impalato, come un pesce lesso. Dev'essere sconvolto, e a giudicare dal pesantissimo silenzio tutto intorno non è l'unico.
Sento il senso di colpa come un veleno, si infiltra in ogni atomo del mio essere, marchiando la mia anima in un modo che porterò sempre con me.
Sembra strano: ognuno di noi passa la vita a pensare a sé, nel quasi totale egoismo. Chi magari per natura, chi per proteggersi... Me compresa. Eppure adesso, essere egoista è la cosa più difficile che abbia mai fatto.
Il cuore sembra impazzito, galoppa nel petto tanto forte che, per un attimo, credo che sia uscito dalla gabbia toracica. Ma non sento il sangue macchiarmi l'abito, né lo vedo, quindi non c'è pericolo, almeno al momento.
Lo stomaco invece si sta rivoltando come un calzino. Potrei vomitare seduta stante, ma se mi abbandonassi alle mie sensazioni perderei il poco tempo che mi rimane.
Pensare a questo mi dà la forza di riscuotermi, per questo mi dico che ho solo due secondi.
Devo guardare Rob negli occhi. È il minimo, dopo quello che ho fatto, per questo mi dico che ho solo due secondi.
Il primo guardo i miei suoceri. Lei è così agghindata che somiglia vagamente ad un albero di Natale; stringe la mano del marito, altrettanto in shock.
Dio, fa che non abbiano un infarto. Per oggi ho già causato abbastanza danni, prego.
L'altro secondo punto mia madre e Kelly, la mia migliore amica. Un luccichio nei loro occhi mi dice che sono stupite, ma non quanto dovrebbero.
Hanno sicuramente un intuito molto migliore del mio, solo che non se lo aspettavano adesso. Ammetto che neanche io avrei mai immaginato nulla del genere... Credo di aver superato le mie stesse aspettative.
Sperando di non morire di vergogna, guardo finalmente Rob.
I suoi occhi color cioccolato esprimono un dolore totale, inarrivabile. Il mio cuore si spezza, di nuovo, eppure so che è così che deve andare. Siamo entrambi così giovani, ed io non posso rischiare il tutto per tutto, se non è ciò che voglio.
Sospiro, poi mi decido a parlare; la voce è poco più che un sussurro. «Mi dispiace. Io...»
Credo di stare per avere un attacco di panico, ma non è il momento. «Non posso.»
Poi mi volto, e corro all'uscita.
Il vestito è scomodo e ingombrante. Sollevo la gonna quanto basta per non ruzzolare, e sperando di non cadere sui tacchi corro più veloce che posso.
Confido in Kelly e mia madre per ristabilire la situazione. Spero che, di comune accordo, non abbiano deciso tutti di giocare alle belle statuine. Nello stato semi-catatonico in cui li ho lasciati, non credo che qualcuno farà ripartire la musica molto presto.
L'unica cosa che so è che non posso fermarmi adesso. Nella mia testa c'è solo un pensiero: Inigo.
L'ho incontrato per caso un mese fa, dopo cinque anni senza vederlo né parlargli. Non mi ero neanche resa conto di quanto mi mancasse in ogni sfumatura.
Il suo sorriso un po' storto, il luccichio nel suo sguardo ogni volta che ci capivamo al volo, senza parlare. Le labbra ad arco di Cupido, le sue iridi color cioccolato che si trasformavano in distese ambrate luminose, infinite, nella sua forma di lupo.
Non mi ero resa conto di quanto mi mancasse, fino a quando non l'ho incontrato di nuovo, e mi è sembrato di implodere.
Se ripenso a questi cinque anni trascorsi senza la mia vecchia vita, senza di lui; mi rendo conto che ho sempre saputo che essere solo una semplice umana non fa per me. Immagino di aver avuto solo bisogno di tempo per superare quello che è successo.
Mi sembra solo ieri, e invece è passata una vita. Non posso fare altro che tornare con la mente a quella sera.
Eravamo in missione segreta per conto della National Security Agency – o NSA. Leighton ci aveva avvertiti, quei criminali erano particolarmente pericolosi. Inigo e Keith, mio fratello gemello, sembravano anche troppo tranquilli per i miei gusti.
«Rilassati, Eve. Siamo lupi mannari!» disse Inigo.
Keith scoppiò a ridere. «Ha ragione lui. Potremmo sbranarli, se solo volessimo.»
Si batterono il cinque, ma avevo una sorta di peso sul cuore. Come una brutta sensazione, qualcosa che sapevo mi avrebbe scosso.
«Devo ricordarvi che probabilmente sanno della nostra natura? Purtroppo non è così difficile ucciderci, dato che tutta la storia dell'argento non è affatto un cliché» borbottai. A volte sapevano essere davvero stupidi, quei due.
«Dai Eve» borbottò il mio gemello, scostandosi i capelli rossi dalla fronte. «Non metterti a fare la civetta della situazione. Siamo già sfortunati così!»
Alzai gli occhi, mentre Inigo scoppiò a ridere. «Ed ecco che arriva il suo lato da drama queen» disse, rivolto all'altro. «Rilassatevi, entrambi. Andrà tutto bene.»
«Guarda che io sono calmo, è lei che questa sera è più fifona del solito» rispose Keith.
A volte riuscivano ad esasperarmi in pochi secondi, ma non c'era quasi nessuno più in gamba di noi tre insieme, al quartier generale. Ci chiamavano Il Trio delle Meraviglie.
E poi eravamo diventati due, e poi più nulla. Sciolti, spariti e dispersi come solo la cenere nel vento può fare. Morti come Keith quella notte.
Mi lanciai tra di loro, prendendoli sotto braccio. Inigo mi sorrise e mi strinse la mano, e il mio cuore sembrò librarsi in aria come se fosse diventato vapore, leggero come una nuvola.
Ma fu l'ultimo istante di felicità. Eravamo ben nascosti, ma ci avevano visti comunque. Uno di quei criminali sparò, la stretta di Keith si fece prima leggera, poi inesistente. Vidi il suo corpo accasciarsi di fianco a me, il suo sangue zampillare dal foro che aveva sul petto.
Ricordo di aver scalciato, urlato, tutto mentre Inigo mi costringeva alla fuga. Potevamo solo sperare di restare vivi, ma mio fratello gemello non c'era più.
Mi ci sono voluti anni per superare la cosa.
Nei miei incubi vedevo continuamente morire lui, tutti i miei cari... Così decisi di lasciare tutto, lasciare Inigo, e laurearmi in medicina. Riuscii addirittura ad elaborare una cura per sopprimere il mio lato di lupo mannaro. Poi, durante un turno in ospedale conobbi Rob. Era stato ricoverato per un edema polmonare, le infermiere non facevano altro che ripetermi di quanto gli piacessi.
E lui era carino, e gentile, e tutto sommato mi piaceva, e così siamo arrivati a oggi. Il resto lo sapete.
Quando un mese fa Inigo mi ha chiesto di ritornare all'NSA per una missione importantissima, sono scappata via dopo avergli detto bruscamente di no.
Ma non si trattava solo della missione. Mi aveva detto quanto gli mancassi, e a me bastava guardarlo per capire quanto fosse sincero, e poi... Non penso di aver mai smesso di amarlo.
E sono stata così stupida da arrivare a capire solo ora che insieme a Rob non sarò mai totalmente felice.
Inigo partirà per New York entro mezzogiorno. Manca mezz'ora ed io devo farcela assolutamente.
Devo dirgli che lo amo, che avevo bisogno di tempo, ma soprattutto... Prima di tutto devo dirgli che quelle cose che gli urlai dopo quella sera non le pensavo davvero.
Che Keith non è morto per colpa sua, perché lui aveva sottovalutato il pericolo. Che non oso immaginare come dev'essere stato rimanere da solo improvvisamente. Perché se ha provato anche solo la metà del mio dolore, allora dev'essere stato terribile.
Non ho neanche un secondo da perdere. Sperando di non essere investita attraverso l'incrocio anche se il semaforo è rosso, e per poco non mi faccio investire.
Se continuo di questo passo non arriverò mai, per questo, disperata, chiamo un taxi.
Il viaggio fino all'aeroporto sembra infinito. Mancano ancora dieci minuti alla partenza, spero che lui sia qui.
«Inigo!» lo chiamo ripetutamente, correndo come una matta ovunque.
Una settimana fa mi ha detto che se avessi scelto Rob non sarebbe mai più tornato da me, mi avrebbe lasciato alla mia vita. Ma io non posso perderlo ancora.
Quando vado a sbattere contro qualcuno, ci metto un secondo a riconoscere le sue braccia. Affondo il viso nella sua maglietta e l'odore di vento e foglie mi conforta all'istante.
«Sono qui, tesoro. Sono qui» mi rassicura, carezzandomi i capelli.
È qui, e finalmente siamo insieme.
«Voglio stare con te. È l'unica cosa che conta» sussurro, mentre lo tengo abbracciato.
Poi le nostre labbra si incontrano ed io mi sento così leggera che potrei fluttuare, e so che sono esattamente dove vorrei essere. Sempre.
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