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how can i make it okay?

[Note autore:
Ciò che segue è una overdose di fluff, smut e comfort.
Forse ho preso la famosa botta in testa o troppo sole.
Ci aggiorniamo al fondo.]





Manuel è agitato e una parte di lui, forse, starebbe meglio a non conoscerne il motivo.

Eppure, lo sa e anche molto bene.

Lo sa ogni minuscolo, insignificante, microscopico frammento del suo corpo, ogni fibra dei suoi muscoli, ogni centimetro della sua pelle che prova brividi.

Il corpo sa ciò che la mente ancora ignora.

Ha cercato di non pensarci per tutta quella infinita giornata, tra una spiegazione del Paradiso di Dante Alighieri, grafici di funzioni e poesie recitate in inglese.

Il suo cervello non ha immagazzinato nozione alcuna.

Ha provato in tutti i modi a scacciar via le paranoie e le frasi ingarbugliate che gli son ronzate nella testa per ore ed ore, ma ogni tentativo è stato vano poiché davanti ha sempre avuto un solo messaggio ricevuto la sera precedente.

Poche parole, punteggiatura definita, in grado di provocare in lui un turbinio frenetico ed intricato di emozioni.

Voglio fare l'amore con te.

Ecco, di preciso non sa se si utilizzi ancora quel termine o non è mai stato abituato a sentirlo.

Tra amici e conoscenze si è sempre fatto uso di vocaboli più rozzi come scopare, paccarsi, qualcosa del genere, ragion per cui non ha mai pensato o preso in considerazione l'idea di fare l'amore.

Probabilmente perché non è mai stato innamorato per davvero e non c'è mai stato bisogno di farlo.

C'è stato il suo primo bacio e prima esperienza di preliminari con Giada, in prima superiore, ma quella frequentazione è finita senza nemmeno iniziare.

Poi c'è stata Chicca, da sua madre Anita definita sua fidanzata, però, di fatto, a livello fisico non hanno mai concluso niente, sebbene lui volesse - lei era ed è una ragazza fantastica, intelligente, simpatica, bella e con un talento per l'arte innato.

Per quanto, tuttavia, Manuel ci tenesse a lei, ne fosse attratto fisicamente, il pensiero di fare l'amore non l'ha mai sfiorato.

Ci avrebbe scopato e, col senno di poi, sarebbe stato ingiusto per entrambi.

C'è stata Alice, alla fine, quella donna del doppio della sua età della quale si è infatuato in terza superiore e si è illuso che con lei potesse, in effetti, farci l'amore; e a lei ha donato il proprio corpo, ritenendolo all'epoca qualcosa di positivo.

Per quell'attimo, Manuel ha creduto di aver raggiunto la felicità e si è illuso fosse quello fare l'amore.

Ma no, non lo era.

L'infatuazione non è amore.

Alla fine, c'è stata Nina, una ragazza madre dai capelli biondo platino, nelle braccia della quale si è rifugiato quando ancora combatteva contro sé stesso e per lei nutriva un profondo affetto, mosso principalmente dalla sua storia così simile a quella di Anita da giovane.

Nemmeno con lei, comunque, lo ha mai sfiorato quel genere di pensiero. Ci sono stati dei baci, sì, e nulla più.

Non le avrebbe mai potuto dare di più perché ogni vibrazione dei suoi muscoli lo indirizzava già altrove.

Il suo corpo già sapeva ciò che la mente ancora gli negava.






Manuel sta insieme a Simone da qualche mese ora, all'inizio della quinta superiore, però ancora non sono andati oltre.

Non hanno fatto sesso.

Non hanno scopato.

Non hanno fatto l'amore.

È stata una tacita decisione comune perché soltanto una volta, prima della loro relazione, prima che Manuel ammettesse a gran voce di essere bisessuale - se si descrivesse con platealmente tale gesto, sarebbe un eufemismo - prima che diventassero loro, si sono toccati, si sono posseduti in differente modo, ma non in quello.

Soltanto una volta è capitato, con entrambi impauriti e non esperti per determinati meccanismi.

Non erano pronti, nessuno dei due.

Il tempo è trascorso senza che se ne accorgessero, senza che si mettessero fretta: non hanno una scadenza in fronte, né ce l'ha la loro relazione.

Hanno atteso, almeno fino a quel messaggio che Simone ha inviato a Manuel nel tardo pomeriggio di un mercoledì di fine ottobre, direttamente dopo la fine degli allenamenti di rugby.

Più o meno, è andata così:

Voglio fare l'amore con te.

Manuel ha sudato freddo.

??

Non sai leggere?

so leggere... ma che me lo dici così?

Volevi una lettera su carta intestata?

nn sarebbe stato male

*Non

seh, rompicazzo!
quando?

Venerdì sera, abbiamo casa libera.


Venerdì sera è arrivato.

Manuel si è fatto la doccia cinque volte, cambiato vestiti tre.

Ha optato per qualcosa di comodo, che lo faccia stare bene e sia anche possibile togliersi velocemente di dosso - quindi niente bottoni con asole troppo dure, niente colletti stretti, tessuti non elasticizzati: ha indossato un jeans nero strappato sulle ginocchia, una t-shirt del medesimo colore e una camicia a scacchi rossa sopra.

Casual, ma al contempo elegante - crede; quantomeno, a Simone piace.

Fa particolarmente attenzione a ciò che piace o meno a Simone, nell'ultimo periodo; si tratta di piccole cose, minuscoli dettagli che non vuole lasciare da parte, come la lunghezza della barba - mai troppo lunga, se no pizzica - oppure quanto zucchero mette nel caffè, il suo gusto preferito di gelato quando va a comprare una vaschetta alle dieci di sera, il volume della televisione impostato su un numero multiplo di cinque.

Insomma, cose così.

Per quella sera, teme di sudare troppo e crede pure sia assurdo perché nemmeno deve uscire di casa, soltanto camminare fino alla stanza accanto.

Da quando la relazione tra sua madre e il padre di Simone è cominciata, lo scorso anno, condividono lo stesso tetto e hanno le stanze a pochi metri di distanza - che poi ne usano una sola, ormai da tempo, potrebbero liberare l'altra per la sala hobby che Anita tanto agogna...

Tanto che stanno insieme lo sanno tutti, non c'è bisogno di avere due stanze.

Ad ogni modo, persino i pochi passi che muove nel corridoio gli sembrano eterni, fanno troppo rumore, sono pesanti.

Giunge davanti alla porta e bussa.

Perché bussa? Potrebbe entrare e basta.

Perché si è messo in tiro, con la spuma nei capelli per definire i ricci, se ha appuntamento col ragazzo della stanza accanto?

Si sente uno stupido.

Si passa una mano sul viso, non ci pensa e gira il pomello per fare ingresso nella camera.

«Simó?» richiama subito. Però in tal luogo, non c'è nessuno.

Questo lascia Manuel interdetto.

È venerdì, sono le sette e mezza.

Certo, Simone non gli ha riferito un orario preciso, ma abitano nello stesso posto, che bisogno c'è? Possono incontrarsi in corridoio andando in bagno.

«Simó?»

Stavolta pronuncia a gran voce il suo nome, affacciandosi sul corridoio.

Nessuna replica, però ciò non lo preoccupa troppo poiché sopraggiunge un rumore nuovo, dal piano inferiore della villetta.

Scende i gradini di legno delle scale che scricchiolano sotto al suo peso. Ha messo le scarpe, forse poteva evitarle e rimanere scalzo o restare in ciabatte.

Sì, proprio il look ideale per l'occasione, complimenti.

La sua coscienza è subito pronta a rimbeccarlo.

Okay, meglio avere le scarpe.

In cucina, trova finalmente Simone e ciò lo porta a tirare un sospiro di sollievo per una serie di motivi. Il primo è che anche lui si è vestito, indi per cui si considera un briciolo meno stupido per averlo fatto - indossa un pantalone blu che gli fascia le gambe e una camicia bianca, lasciata sbottonata sul collo.

Il secondo è che sta cucinando, fermo davanti ai fornelli con una pentola e una padella sul fuoco.

Manuel vede le sue spalle, la sua schiena dritta; da quella posizione non può scorgere cosa in effetti stia preparando, però non gli interessa molto. In realtà, pensa pure che quantomeno avrebbe potuto mettere un grembiule per non sporcarsi, ma tant'è.

«Con che me vuoi avvelena'?» chiede. Smorza una risata intrisa di isterismo, intanto che si appropinqua a lui.

Simone non si volta, continua a girare con un cucchiaio di legno il cibo nella padella. Lo fa finché non sente le mani dell'altro cingergli i fianchi e il suo petto aderire alla propria schiena.

«Sto facendo il risotto» replica, con tono sommesso.

Per una frazione di secondo, Manuel appoggia le labbra sulla porzione minuscola di pelle tra l'orecchio del compagno e il suo collo.

«Dobbiamo mangiare?» gracchia. È una domanda un po' incerta, considerando che si è preparato per quella serata per fare altro.

Simone annuisce. «Sei agitato,» mormora e pone la mano libera su quella dell'altro ragazzo che si è spostata sulla propria pancia «ma se mangi, ti calmi. Quindi sì, prima mangiamo.»

C'è cura e attenzione anche in un piccolo gesto come quello.

Manuel lo comprende e in automatico sorride. Non replica, si limita a far oscillare entrambi sul posto, facendo spostare il peso del corpo da un piede all'altro.

«L'ho fatto con lo zafferano» annuncia Simone, in seguito.

«Bono lo zafferano.»

«Vuoi assaggiare?»

Manuel fa cenno di sì col capo e questo li costringe, per forza di cose, a staccarsi così che Simone possa raccattare con un cucchiaio, stavolta di metallo, un boccone di risotto e indirizzarlo verso la sua bocca.

Manuel accetta di buon grado, sebbene finisca con bruciarsi la lingua a causa della temperatura elevata del cibo. «Oh, scotta!» si lamenta.

«Devi soffiare prima.»

«Eh, dovevi dirmelo.»

«Te lo devo dire? Hai due anni adesso?»

Arriccia il naso, velatamente offeso - non per davvero. Alza gli occhi al cielo e compie due passi distratti all'indietro. «Devo apparecchia'?»

«No, ho già fatto io.»

Non è vero, perché il tavolo in cucina è immacolato, con il cesto di frutta al centro che Anita pretende sia sempre posizionato in tal punto. Prima che possa obiettare, tuttavia, Simone puntualizza: «Fuori.»

È ottobre, ma le temperature sono ancora abbastanza elevate per poter cenare fuori - questo grazie al surriscaldamento globale, non diciamolo soltanto per non rovinare l'atmosfera e il momento.

Manuel si affaccia per analizzare il piccolo porticato della villetta: vede che il tavolo lungo di legno, di solito lasciato spoglio oppure con sopra mille libri di Dante, adesso risulta agghindato con una tovaglia bianca, due calici di vino rosso già riempiti e delle candele bordeaux accese che profumano di frutti di bosco.

Aggrotta le sopracciglia e torna con facilità in cucina.

«Quando—quando hai avuto il tempo di fare tutto questo?» domanda, con sincera curiosità.

Simone non si è mosso da davanti al fornello. Sbatte il cucchiaio di legno sul bordo della padella e spegne il fuoco. Non si volta intanto che risponde: «Quando eri intento a cambiarti per la ventesima volta.»

«Io non mi sono...»

Manuel vorrebbe ribattere, contraddirlo, sostenere che non è assolutamente vero che ha cambiato i vestiti per una quantità infinita di volte, tanto da svuotare quasi tutto l'armadio, ma mentirebbe e lui non ne è capace.

Non troppo.

Cioè, glielo leggi in faccia se dice una cazzata e Simone sa decifrarlo meglio di chiunque altro.

Così incrocia le braccia al petto come se ciò servisse da scudo di difesa. Apre la bocca una volta, la chiude, la apre di nuovo.

Poi tace.

«Vabbè, è pronto?» decide di cambiare del tutto discorso.

Simone ride. Compie mezzo giro su sé stesso soltanto allora.

«Sì, vatti a sedere.»

«Ti aiuto.»

«Vatti a sedere, ho detto.»

Per quanto accaduto poco prima, Manuel nemmeno ci prova a controbattere. Obbedisce e basta, dirigendosi al tavolo e accomodandosi ad uno dei posti apparecchiati.

Di solito, non è Simone a cucinare. A dire il vero, dopo dei toast carbonizzati e degli hamburger resi la metà di quel che erano, ha concluso che neanche ne fosse in grado.

Eppure, quando il compagno lo raggiunge e gli serve il piatto di riso allo zafferano, Manuel lo assaggia ed è buono.

«Com'è?» chiede proprio Simone, con occhi sgranati e speranzosi.

In un primo momento, Manuel non vuole dargli la soddisfazione di ammettere che in effetti è un'ottima pietanza, però dura davvero poco - pochissimo.

«È buono» confessa. Lo ha appurato poc'anzi quando si è scottato la lingua, in tutta onestà.

Simone sorride, soddisfatto. «Me lo ha insegnato nonna,» racconta «cioè, io sono una frana a cucinare, ho fatto un sacco di prove con lei prima di stasera.»

«Lo hai fatto?»

La risposta corrisponde ad un cenno affermativo col capo.

«Perché?» chiede dunque Manuel.

Simone amplia il sorriso. «Te l'ho detto» replica «sapevo che saresti stato agitato e con la pancia piena lo sei un po' meno, così ho fatto il risotto.»

È vero, questo Manuel non può negarlo. Se è in ansia e non mangia, inizia a preoccuparsi anche del brontolio del proprio stomaco e la situazione precipita, tempo zero.

«Grazie» sussurra, alla fine.

«E di che, ringrazia tu che non ho bruciato niente.»

«Grazie alla nonna che t'ha insegnato, allora.»

«Grazie alla nonna.»

***

Finiscono la cena in tempi relativamente brevi.

Manuel ingurgita il risotto con foga, rischia di strozzarsi tra un boccone e l'altro, ma per sua fortuna il vino va in suo soccorso e un briciolo gli annebbia pure la mente.

Non in maniera eccessiva, però.

Vuole essere lucido, soprattutto quella sera.

Quella sera vuole avere memoria di ogni più piccolo e all'apparenza insignificante particolare.

Camera di Simone la conosce a memoria, considerato che ci trascorre la maggior parte delle notti.

Sa recitare l'elenco dei libri in ordine sistemati sulla mensola sopra alla scrivania, il colore blu delle tende, il comodino verde menta accanto al letto, la seconda ruota della sedia che è appena svitata e la fa traballare.

Conosce ogni minimo dettaglio, eppure gli sembra di entrarci per la prima volta.

Forse perché stanno per compiere insieme un passo enorme, grandioso e importante e questo lo scombussola.

In più, c'è Simone che è bellissimo, anche se adesso lo può osservare di spalle; il tessuto sottile della camicia bianca lascia intravedere la linea dei muscoli, i suoi fianchi stretti e i pantaloni gli fasciano in maniera perfetta le gambe e... sì, gli fanno pure un bel sedere.

Manuel manda giù a fatica la saliva quando si trova a soffermarsi un po' troppo su quel punto.

Le luci della stanza sono spente. C'è soltanto l'abat-jour sul comodino a tingere ogni cosa di un pallido giallo.

«Va bene così?» domanda Simone, ad un tratto.

Il quesito viene recepito da Manuel con un leggero ritardo che lo fa annaspare, boccheggiare e balbettare: «Che?»

«La luce. Va bene così o vuoi spegnere? C'è quella del corridoio, tanto, oppure...»

«No, no, va bene. Te vojo vede'.»

«Vuoi?»

Simone gli si avvicina lentamente. Resta fermo davanti a lui, con il capo inclinato su di un lato e un mezzo sorriso sulle labbra.

Manuel allunga una mano, così da sfiorare una sua guancia. Lo fa in maniera delicata, sfregando un pollice sul suo zigomo.

«Vojo vede' tutto.»

Voglio vedere te, il tuo corpo nudo, tu insieme a me.

Sono frasi silenziose che non esterna, ma fanno lo stesso del rumore quando cominciano a spogliarsi a vicenda. Lo fanno senza perdere il contatto visivo l'uno con l'altro, senza spostare gli occhi altrove come se non avessero differente punto focale.

Manuel pensa di aver fatto bene ad aver optato per vestiti comodi e facile da rimuovere, infatti non inciampa nei pantaloni quando li scalcia via.

Rimangono con soltanto i boxer indosso.

Ancora nella medesima posizione, Simone compie un passo in avanti. Abbassa il capo quel che è sufficiente a posare la bocca schiusa sulla porzione di pelle tra la spalla e il collo del compagno. In tal punto indugia per qualche secondo, succhia appena, non troppo da lasciare il segno.

Manuel fa calare le palpebre, butta la testa all'indietro rilasciando un sospiro sommesso. Le sue mani, per inerzia, si posano sui fianchi di chi gli è davanti e, in maniera inconscia o meno, lo attirano un po' di più verso di sé.

Simone si scosta un briciolo. Porta un palmo sul petto dell'altro ragazzo, al centro; percepisce il battito del suo cuore sotto le dita.

«Pensavo il risotto t'avesse calmato» sussurra ad un suo orecchio.

«Sono calmo.»

«Il tuo cuore non la pensa così» lo rimbecca e schiocca un bacio sulla sua guancia. «Non ti far venire un infarto, per favore.»

«Ma che infarto» si lamenta Manuel «sto bene.»

«Se ti agita e non vuoi più, possiamo...»

«Non sono agitato. Te vojo solo togliere 'sti boxer, Simó. T'assicuro.»

Simone sorride ancora. È un sorriso che ha qualcosa di diverso rispetto al solito, qualcosa di inspiegabile, che fa battere anche il suo, di cuore, troppo forte.

Annuisce, mentre compie mezzo passo indietro. Con la mano libera, raggiunge quella di Manuel. La solleva a mezz'aria e fa intrecciare le loro dita.

Sono come pezzi di puzzle che trovano il loro incastro perfetto.

Analizza quel gesto, dopo l'espressione assorta del compagno, quasi non avesse mai assistito ad uno spettacolo simile prima d'ora.

È meraviglioso.

«Simó?» gracchia Manuel ad un tratto e sì, vi è una lieve inclinazione alla preoccupazione che, con spavalderia, ha cercato di negare.

«Mh-m?»

«Io... io ho paura che... insomma, che sbaglio qualcosa come l'altra volta, nel senso... metti che te faccio male?»

«Non mi fai male» la rassicurazione è subito pronta.

«Se tocco un punto sbagliato» non viene ascoltata «se spingo troppo, se—boh, se arrivo dove devo arrivare troppo in fretta e se...»

È un fiume di parole inarrestabile e timoroso.

Simone è costretto a metterlo a tacere ponendo due dita sulla sua bocca in movimento.

«Non sarà come l'altra volta» attesta «perchè quella volta era sesso, adesso facciamo l'amore. E se ti fidi di me...»

«Me fido, solo—non so che devo fare.»

«Te lo insegno io.»

Da un lato, quella frase è di conforto a Manuel - perché sa di non essere solo, lasciato allo sbaraglio. Dall'altro, però, c'è quel tarlo che lo conduce a pensare che se Simone sa cosa fare, vuol dire che ha compiuto quegli stessi gesti con qualcuno che non sono io.

E fa male.

Durante il quarto anno, in effetti, Simone è stato con qualcuno, un certo Mimmo, affidato a servizi di volontariato nella biblioteca del liceo Da Vinci che entrambi frequentano.

Spesso li ha visti gironzolare nei corridoi mano nella mano, baciarsi all'uscita e va da sé che abbiano fatto qualcosa oltre a quei gesti captati.

Tale visione lo faceva impazzire all'epoca e lo tramortisce ancora in quel momento.

No, non deve farselo rovinare dai fantasmi del passato.

Mimmo è soltanto uno spiacevole ricordo lontano.

Come già appurato, Simone è capace di leggere Manuel nel silenzio più assoluto e ovviamente si accorge del malessere che lo ha travolto.

«Manu?» lo richiama, con voce roca e sottile. Sfiora il suo mento con due dita. «Ti insegno perché ti amo.»

È un sussurro dolce e soave che si insinua nelle orecchie di Manuel.

«Dillo di nuovo» supplica quest'ultimo. Sentirlo una sola volta non è sufficiente a cacciar via le sue angosce e paranoie.

«Perché ti amo» ripete Simone. La sua voce è più flebile e rauca.

Manuel si protende in avanti. Ha cercato di resistere fino a quel momento, ora cede e lo bacia sulle labbra.

È un contatto che serve a renderlo più sereno e sicuro, a cancellare dalla sua memoria l'immagine di Simone con qualcuno di diverso e a costruire un istante che sarà loro - e loro soltanto - per il resto della vita.

Simone non interrompe il bacio frattanto che indietreggia, se lo trascina dietro fino al letto sul quale lo fa sedere. Prende posto a cavalcioni sulle sue gambe, la sua testa tra le mani e un secondo bacio che toglie ad entrambi il respiro.

Oscilla col bacino, il che crea una piacevole frizione tra le loro erezioni ancora non del tutto presenti, racchiuse nel cotone.

«A-aspetta» bofonchia. Fa perno sulle sue spalle per alzarsi. «Sdraiati» sussurra. Dovrebbe suonare come un ordine, però non lo è per davvero.

Manuel obbedisce. Si stende sul letto, abbandonando la testa sul cuscino. Osserva l'altro ragazzo togliersi i boxer e allora lui fa lo stesso, gettando l'indumento sul pavimento.

Simone si corica accanto al suo corpo, riprende a baciarlo con premura.

Manuel vorrebbe mettere le mani ovunque, toccargli ogni centimetro di pelle, tuttavia teme di poter compiere un gesto inopportuno per cui resta fermo, con le dita che cercano di chiudersi in un pugno a mezz'aria.

Si lascia manovrare per non sbagliare.

Lascia che gli insegni tutto ciò che lui ha bisogno di imparare.

Forse, persino ad amare.

Ed è così che poi si trova in una posizione ribaltata, lui sopra Simone tra le sue gambe appena divaricate.

Appoggia un gomito piegato sul lato della sua testa, per mantenersi in equilibrio e con il busto appena sollevato.

Sono fronte contro fronte.

Il respiro di Manuel si è fatto improvvisamente più affannato.

Simone gli sfiora una guancia con tre dita. «Tutto okay?» chiede, con premura. Sta cercando di fare il più piano possibile.

L'altro ragazzo annuisce, sebbene un briciolo stia tremando. «Tu stai bene?» trilla di rimando, alzando la testa.

Come risposta, ottiene un ampio sorriso, un bacio sullo zigomo e una flebile risata, e dopo: «Sto per fare l'amore con l'uomo della mia vita. Certo che sto bene.»

Non sa con esattezza come dovrebbe sentirsi o in che modo dovrebbe replicare ad una simile affermazione.

Probabilmente, uno consono non esiste perché non è in grado di articolare parola alcuna, soltanto sorridere mentre il suo cuore sussulta.

Nel frattempo, non si accorge del compagno che è riuscito ad allungare un braccio verso il comodino e ha raccattato un tubetto di plastica rigido dai toni aranciati. Toglie il tappo con un fragoroso clap ed esso rimbalza tra le lenzuola sgualcite.

«Dammi la mano» ordina con dolcezza Simone.

Le palpebre di Manuel sfarfallano e lui obbedisce poco dopo. Si lascia versare sulle dita quel liquido denso e viscoso che profuma di arancia, un odore non troppo forte.

«È freddo» è la prima cosa che gli viene da dire e si sente persino stupido, pensando che poteva semplicemente restare in silenzio.

«Strofina un po' e si scalda» viene suggerito.

Si tratta di un'informazione che già conosce, dato che ha già utilizzato del lubricante in differenti occasioni, ma tant'è.

Segue le indicazioni, impiastricciando i polpastrelli con quel liquido viscoso.

Bene, solo che dopo si blocca perché non sa come procedere.

Cioè, tecnicamente lo sa, ma non vuole essere frettoloso.

Tuttavia, come successo in precedenza, Simone legge le sue sensazioni, il suo sguardo, decifra i battiti del suo cuore, pertanto afferra con delicatezza il suo polso e lo guida verso il basso, tra le proprie gambe.

Manuel solleva ancora di qualche centimetro il bacino per concedere quel movimento. Butta anche un'occhiata verso il basso, però dopo preferisce concentrarsi sul viso del compagno e null'altro.

«Lo senti?» sussurra Simone. I suoi occhi guizzano dalle proprie mani che guidano ogni gesto di entrambi e il volto di chi gli è sopra.

«Cosa?»

«Dovresti sentire—i miei muscoli. Ecco, c'è una specie di piccolo anello.»

Manuel si deve concentrare per sentire ciò che l'altro ragazzo gli suggerisce. Socchiude le palpebre, inspira a fondo. Allora percepisce qualcosa.

Manda giù a fatica la saliva e torna a vedere.

Osserva il viso concentrato di Simone, le sue sopracciglia appena aggrottate, una goccia minuscola di sudore che gli scivola lungo la tempia.

Gli viene istintivo protendersi in avanti e appoggiarci le labbra sopra, in quel punto. Deposita un bacio lieve sulla sua pelle.

A tal contatto, Simone solleva il capo e gli sorride.

Il mondo sembra avere più colori, per Manuel, quando Simone gli sorride.

«Prova a... mettere un dito» suggerisce quest'ultimo.

«Ora?»

«Sì, ora.»

«Non è presto? Non c'è bisogno di...»

«No, va bene. Puoi farlo. Nel caso ne usiamo ancora» non specifica cosa, è chiaro si riferisca al lubrificante.

Un briciolo timoroso e tremante, Manuel esegue anche quella istruzione: inserisce piano dentro al compagno una sola falange. Cerca di farlo il più piano possibile, concentrandosi sull'espressione che l'altro ragazzo assume e provando a capire se sta andando bene oppure male.

Simone trattiene il respiro e chiude gli occhi. Tiene una mano appoggiata sulla spalla di chi gli è sopra e una sul suo petto.

Manuel continua a scrutarlo: non vede smorfie di dolore e questo gli basta. Un formicolio al basso ventre lo attanaglia. Abbassa lo sguardo solo per un momento per notare che la propria erezione è ormai presente e turgida. Non si è accorto di essersi eccitato così velocemente.

«Tutto okay?» chiede ancora e non smetterebbe mai.

Simone annuisce. Solleva le palpebre. «Tutto okay» sussurra «muovilo un po' di più.»

Viene ascoltato e messo in atto pure quel gesto e anche in seguito quando viene suggerito di annettere un secondo dito.

Manuel prosegue ad analizzare la situazione così da avere quanto più controllo possibile, per far star bene il compagno, intanto che continua a muovere le falangi, dentro e fuori, dentro e fuori, ferme, e di nuovo dentro, poi fuori.

Nel frattempo, Simone riesce anche a recuperare la confezione di profilattici. Ne estrae uno, lo scarta e piano lo fa scivolare sul membro eccitato dell'altro ragazzo; non serve neppure massaggiarlo per rinvigorirlo.

Per reazione agli ultimi gesti, Manuel ritrae la mano e solleva di qualche centimetro i fianchi.

Sta per succedere e il suo cuore rischia di esplodere.

Simone lo percepisce, per cui sorride dolcemente e mormora: «Guardami.»

I suoi occhi grandi e sgranati fungono da punto di appiglio per Manuel che li fissa e si concentra su di essi. Ci si aggrappa mentre placidamente e sotto la sua guida affonda dentro di lui.

E si sente stretto, avvolto, pieno e appagato.

Tutto insieme, travolto da un'onda calma che lo abbraccia, ma non lo inghiotte.

Simone ha schiuso le labbra e stretto appena le gambe attorno al suo bacino.

Rimangono immobili, in una fase di stallo a guardarsi, a respirarsi addosso.

Poi è quest'ultimo a muoversi, a spostare una mano sulla sua vita, a premere le dita su quel punto, ad incitarlo a muoversi.

Manuel ci prova, osa una spinta, un affondo che di deciso non ha niente. Ha il terrore di essere troppo brusco e ora nemmeno più riesce a sostenere lo sguardo dell'altro ragazzo.

Ecco, stai andando male, lo stai deludendo.

«Ehi» sussurra Simone e richiama la sua attenzione, riportando i loro occhi ad incrociarsi di nuovo. «Va bene, questo... questo va bene.»

«Non—non ti faccio male?»

«Non mi fai male, è... è bello» gli sfugge una risata «devi muoverti un po', però.»

Sì, dovrebbe.

Manuel cerca di reggersi appena meglio con il braccio che ha piegato al lato della sua testa. Appoggia la fronte sulla sua e fa ondeggiare di più i fianchi. È un movimento lento, cadenzato, che però porta Simone a gemere leggermente.

Tenta di capire se sia di piacere o meno. Dal sorriso che scorge, comprende che è decisamente di piacere.

Allunga una mano, va ad accarezzare la sua guancia. Curva gli angoli della bocca verso l'alto.

«Sei bellissimo» gli viene spontaneo dire.

Le gote di Simone si tingono di un pallido rosso. «Neanche tu sei così male» ridacchia.

Manuel sa che lo prende bonariamente in giro e ciò non lo frena da rilasciare uno sbuffo sulla sua guancia intanto che ancora, piano e con delicatezza, si spinge dentro di lui e percepisce il piacere aumentare ad ogni affondo.

Le loro mani si stringono, le loro dita si intrecciano premute sul materasso.

Come pezzi di puzzle, come due individui che divengono uno solo.

Due diventano uno.

«Simo?» sussurra ad un suo orecchio.

«Mh-m?»

«Posso—posso fare un po' più forte?»

«Devi.»

Come musica nelle orecchie, Manuel si lascia guidare da nuove note, un differente e attento ritmo.

Aumenta le spinte, utilizza più vigore e più attenzione negli affondi che imprime che portano entrambi a mugolare e gemere sulle rispettive labbra.

Ed è allora che sente, vede, odora e percepisce ogni cosa.

In quel momento, dentro di lui, dentro ai suoi occhi, col suo profumo nelle narici.

Capisce che quello è fare l'amore, quello è accarezzare la felicità.

Quello è tutto.

Quando sta per venire, Manuel non lo fa per primo, non vuole. Rallenta i movimenti col bacino e allunga una mano per andare a toccare e masturbare con dolcezza il compagno. Lo osserva contorcersi, mugugnare, mordersi l'interno della guancia intanto che il piacere lo travolge. Lascia che l'orgasmo lo colga, poi viene anche lui all'interno del preservativo.

Indugia per qualche attimo per staccarsi, quasi non volesse concludere quell'attimo, non volesse lasciarlo andare.

Un po' è davvero così.

Vuole imprimersi nella mente l'immagine del volto di Simone sudato, i ricci di capelli attaccati alla fronte, le guance rosse, le labbra gonfie.

Meraviglioso, spettacolare Simone.

«Ciao, amore» dice, in modo così naturale da risultare disarmante.

È la prima volta che lo chiama in quel modo ed è assurdo che gli ci siano voluti mesi per farlo.

Che da quando l'ha incontrato, ha dato il benvenuto nella propria vita a quel sentimento strano, complesso e indescrivibile ed è stato inutile aspettare e negarlo.

«Ciao, amore» replica Simone, con il medesimo tono di voce spezzato e commosso.

Ciao, amore, t'ho aspettato tanto, ma per fortuna adesso ci sei.

Che fortuna, che ci sei.



Rimangono in quel letto stretti l'uno all'altro, con il lenzuolo stropicciato che copre i loro corpi dalla vita in giù.

Manuel giace in posizione supina, mentre Simone appoggia placidamente il capo sul suo petto e si bea delle sue dita che passano tra i propri capelli.

«Stai bene?» domanda quest'ultimo, con tono lieve.

L'altro socchiude le palpebre e sospira. «Sto bene,» mormora «perché?»

«Sei silenzioso. Mi preoccupo se non parli.»

«Me piace 'sto silenzio, sento er respiro tuo.»

Simone ride e scosta di poco la testa per depositare un bacio sul suo torace.

Manuel si gode quel suono e quel contatto.

Paradisiaco e imparagonabile.

«Lo sono ancora?» chiede, in seguito, il che porta il compagno a sollevare lo sguardo e a chiedere: «Che cosa?»

«L'uomo della vita tua. Lo sono ancora?»

«Certo che lo sei. Lo sei sempre stato.»

«Non sono andato così male? Insomma, ti è... ti è piaciuto?»

«Manuel...»

«Lo so, pare da sfigati chiedere 'na roba simile e ne ero convinto anche io, prima, cioè—prima di oggi. Invece è... è importante, no? Per capire se ho fatto bene, se qualcosa posso farla meglio, se... voglio dì, t'è piaciuto o no?»

Simone si lascia travolgere dalle sue parole che paiono tanto delle frasi dettate dall'agitazione. Mantiene una mano sul suo petto, quindi può dire, dal battito del suo cuore, sì, in effetti è un briciolo agitato anche adesso.

Così annuisce e curva le labbra in un sorriso. «Mi è piaciuto» afferma «dico davvero, sei stato—perfetto.»

«Sicuro? Sempre? Anche quando...»

«Sicuro, te lo giuro.»

«Se non fosse così, me lo diresti?»

«Te lo direi.»

Si fa confortare dal suo sussurro, Manuel, e adesso è appena più calmo.

***

La mattina dopo, Manuel si sveglia solo in quel letto da una piazza e mezza, ma viene rassicurato subito dai rumori provenienti dalla cucina. Si alza dal materasso, indossando soltanto un paio di pantaloncini blu che non gli appartengono perché non sa dove siano finiti i propri boxer e non ha voglia di avere addosso altro.

Scalzo, scende le scale fino al piano inferiore, laddove trova Simone ancora una volta davanti ai fornelli sui quali ha piazzato la moka su un fuoco.

Gli si appropinqua lentamente, appoggia una mano sul suo fianco e schiocca un bacio sulla sua guancia. «Buongiorno» gracchia.

«Buongiorno. Sto facendo i waffle.»

«N'artra ricetta della nonna?»

«No, ricetta del congelatore. Si stanno scaldando in microonde.»

«Ah.»

«Abituati, non so cucinare, di base. Mangeremo solo cose surgelate quando vivremo insieme.»

È un'affermazione che viene fuori spontanea, probabilmente Simone nemmeno ha pensato a quanto possa pesare in quel momento, tanto che controlla la caffettiera alzando il suo coperchio.

Ma Manuel la recepisce bene, lo colpisce al centro del petto che gli trema. In automatico, sorride e va a posare il mento sulla sua spalla.

Non dice nulla a riguardo, però. Piuttosto «Voglio farlo di nuovo» sussurra «quello che abbiamo fatto stanotte.»

Simone si gira nella sua direzione e annuisce. «Tutte le volte che vuoi.»

«No, ma intendo... farlo sentendo io quello che—insomma, quello che hai sentito tu.»

Non va nel dettaglio, però è chiaro cosa è inteso.

«Manu...» si scosta appena e questo li porta ad essere uno di fronte all'altro.

«Non credo accadrà domani» anticipa Manuel «cioè, penso io debba esse' pronto pe' 'na cosa del genere, ma prima o poi lo sarò. Solo che non so se sarà tra una settimana, un mese o un anno, non c'ho un timer pe' dirte quando, però lo voglio. E voglio che tu sappia che io lo voglio.»

In un gesto automatico e naturale, ancora una volta Simone ha condotto un palmo al centro esatto del petto di Manuel. Lo sente appena meno agitato, è un battito di qualcuno che è conscio d'essere al sicuro.

«Lo facciamo quando sei pronto» biascica «tanto io qua sto.»

«Non te ne vai?»

«No, resto qui.»

«Anche se magari non sarò mai pronto?»

«Anche se cambierai idea e mi dirai che non vuoi nemmeno provare a farlo, non importa. È una cosa che deve piacere ad entrambi e non devi sentirti obbligato.»

Durante quel discorso, Manuel comprende che il concetto stesso di fare l'amore è più ampio, va oltre l'atto in sé, oltre la semplice penetrazione e gesto fisico e meccanico.

Fare l'amore vuol dire parlarsi, comunicare, capirsi, esternare i propri dubbi, le proprie preoccupazioni ed insicurezze senza temere di risultare inappropriato o stupido.

Fare l'amore è toccarsi e scoprirsi, dirsi cosa piace e cosa no, suggerire una cosa invece di un'altra.

È un miscuglio di tante piccole cose che conducono due persone al culmine più alto, al traguardo più importante.

Ed è certo che solo con Simone possa usare una simile definitiva.

Per Manuel, con Simone non si tratta mai solo di scopare.

Manuel fa l'amore con Simone soltanto attraverso lo sguardo.

Ed è sempre stato così.

Così, tanto che basta.

Ciao, amore, che ci sei adesso e ci sei sempre stato.

«Okay» sussurra, alla fine, e sfiora la punta del suo naso con la propria «okay.»

Simone gli cinge allora i fianchi, lo attira di più a sé, e lascia un bacio sull'angolo della sua bocca.

Tutto va semplicemente al suo posto in quella cucina silenziosa col sole che traspare dalle finestre.

Non c'è cosa più bella di due ragazzi che fanno colazione e continuano, in qualche modo, a fare anche l'amore.

***

[Note autore - di nuovo:

Allora io di tutto questo ho pensato una parte 2 e una parte 3 ed è tutto su questo livello di fluff.
Quindi nel caso fatemi sapere se può interessare idk.

Grazie per aver letto fin qui.

Un bacio.

Lilith.]

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