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29. Ciao, Sgorbio...




«Beh... È carino. In un certo senso.» Emily si chinò in avanti per osservare meglio la creatura che aveva monopolizzato l'attenzione generale con la sua apparizione improvvisa, sistemandosi gli occhiali rovinati sul naso lentigginoso. Sembrava essersi calmata dall'attacco isterico che l'aveva colta quando il colpevole si era diretto verso di lei con un biglietto stretto tra i denti e l'aveva scambiata per una scaletta, senza lasciarle il tempo di metabolizzare cosa stava accadendo. «E sembra amichevole. Secondo te posso accarezzarlo? Mi fai una foto con lui?»

Ren rispose a quelle richieste con una smorfia di disgusto che valeva più di mille parole, pentendosi di non aver permesso alla ragazza di colpire l'emissario con la propria borsa. Emily mise il broncio, ma Fievel parve non badarci, lisciandosi il pelo con la soddisfazione di chi ha la pancia piena e nessuna preoccupazione al mondo, dato che era scampato alla morte prematura. Un motivo in più per detestarlo. Accanto alla coda del roditore, il messaggio di Alex sembrava sottolineare la beffa di quella situazione, irritandolo ancora di più della natura del messaggero. Distolse lo sguardo dal tavolino dove il topo si era accampato, adocchiando di sottecchi la porta.

Che rimase chiusa.

Con un sospiro frustrato, Ren si massaggiò la nuca. Aveva sperato che accettando di non aver alcun controllo sulle azioni autodistruttive dello sgorbio avrebbe potuto vivere in pace con se stesso per almeno dieci minuti, ma come sempre si era illuso. E questa volta doveva ammetterlo: non era solo Alex a preoccuparlo, ma anche quell'idiota di Kieran. Quel messaggio non aveva fatto altro che alimentare la sua apprensione. Non ebbe difficoltà a immaginarla mentre usava l'irlandese come moccio per cancellare le tracce dei suoi piani malvagi o lo trascinava in qualche angolo oscuro per attirare i fantasmi. E la cosa peggiore è che lui glielo avrebbe permesso! Anche se Alex aveva espresso l'ambizione di aiutarli a uscire da lì, non aveva mai accennato in che condizioni. Il che era preoccupante considerando che era una maniaca dei dettagli.

Aveva bisogno di fumare.

«Avvertimento o meno, dovremmo andarli a recuperare. Ci stanno mettendo troppo.»

Nell'udire quella considerazione, Ren si voltò così di scatto da farsi venire il torcicollo. Seduti sul divano, Gregory e John avevano smesso di smistare le cartoffie che avevano recuperato e lo scrutavano inquieti. D'altronde, si era rivelato un passatempo per nulla proficuo, dato che molti dei documenti erano talmente rovinati da essere finiti dritti nel camino, che rimpinguato rallegrava l'ambiente con fiamme vivaci. E quella era l'unica nota di colore della loro miserabile serata, senza contare le tendenze discutibili dell'armadio di Emily e la passione per i glitter.

«Questa è la proposta più logica che ti è uscita dalla bocca» commentò sorpreso.

Gregory gli rifilò un'occhiataccia. Si alzò con uno sbuffo, raggiungendolo. Sebbene cercasse di apparire tutto d'un pezzo quando Emily era nei paraggi, era chiaro che non si era ancora ripreso appieno dall'attacco del demone. Anzi, Ren continuava a meravigliarsi della cocciutaggine con cui il secchione si prodigava a contestare ogni sua decisione invece di starsene buono a soffrire in un angolo. «Sono in pensiero per Kieran. Lo so che se fosse stato per te saresti già corso a tampinare Alex, ma ricordati che non è l'unica che rischia.»

Ren dovette sforzarsi di non roteare gli occhi all'ennesimo riferimento canino che gli veniva rivolto in poche ore e di non sferrargli un amichevole pugno sul nasone con cui Madre Natura l'aveva punito. Era certo che Gregory avrebbe fatto lo stesso per Emily se si fosse tolto la scopa che aveva su per il culo: era solo troppo orgoglioso per scendere al suo livello. E considerato quanto era basso... non poteva contraddirlo.

«Vedrete che torneranno presto!» esclamò Emily con ottimismo, cercando di alleggerire l'atmosfera divenuta tesa. «Alex non permetterà che accada nulla di male a Kieran. E poi siamo così vicini alla soluzione, me lo sento nelle...»

L'ultima parte si tramutò in un acuto urlo di terrore che sovrastò lo schiocco prodotto dalla apertura improvvisa della porta. Sebbene sorpresi con la guardi abbassata, Ren agì d'istinto e fece un passo in avanti per schermare Emily con il suo corpo, imitato da Gregory che lo affiancò. Con la coda dell'occhio, vide John raggiungerli armato di attizzatoio, ma quando Kieran comparve nel salotto avvolto in un lenzuolo come un burrito, la tensione scemò in pura perplessità.

L'irlandese reagì a quel caloroso comitato d'accoglienza con un sussulto così energico che per poco non inciampò, emettendo un gridolino di sorpresa che fece concorrenza a quello di Emily. «Ma che vi prende? Sono io, tranquilli!»

«Avresti dovuto bussare» soffiò Ren, incapace di rilassarsi.

«Certo, perché una porta chiusa è sufficiente a impedire ai fantasmi di entrare» bofonchiò lui con un'espressione seccata, stringendosi nel tessuto. Fece per aggiungere dell'altro, quando il suo sguardo incrociò il caminetto e ogni precedente urgenza evaporò nell'aria.

«Oh, sì. Fuoco! Calore! Luce!»

Kieran ignorò qualsiasi tentativo di approccio e si fiondò verso le fiamme, sedendosi sul pavimento a una distanza non raccomandabile per i bambini. Emise un gemito di puro appagamento quando il tepore iniziò a riscaldarlo, allentando la tensione che gli aveva irrigidito le spalle. Si liberò con difficoltà dalla mantella improvvisata che cadde moscia attorno a lui e fu allora che Ren si accorse di quanto fosse bagnato. Il suo costume da elfo, o fata o mucchio di foglie putrefacenti, già rovinato dagli eventi della serata, gli si appicciava umido agli arti secchi, così come i capelli fulvi. Sembrava uscito dal revival del Mostro della Laguna Nera e non era una visione gradevole.

«Ma che ti è successo?» gli domandò Gregory, adocchiandolo sbalordito.

L'irlandese scrutò il gruppo con stizza prima di sbottare male. Parlò così velocemente che Ren ebbe difficoltà a comprendere quel piagnisteo. «Per farla breve: io e Alex siamo abbiamo raggiunto come previsto nel seminterrato che, per l'inciso, è mezzo sommerso. Vi assicuro che non vi siete persi nulla. Io le avevo detto di lasciar perdere, ma no, lei ha insistito: classica Alex. Sia mai che dia ascolto al vecchio e saggio Kieran, per cui ci siamo cimentati in una nuotata fuori programma.» Alzò una mano e iniziò a tenere il conto con le dita. «Abbiamo recuperato i documenti che ci servivano, siamo stati attaccati dal demone, ho quasi rischiato d'affogare, Alex mi ha recuperato, il demone mi ha spedito contro un muro prima ancora che potessi reagire e mentre ero incosciente Alex deve aver vinto, perché poi mi ha trascinato nel vero senso del termine in uno degli studi del primo piano provocandomi una commozione celebrare. E questo è quanto, credo... Ah, e mi ha mandato a recuperare gli appunti di Sarah. Appena avrà chiarito alcuni dettagli ci aggiornerà tutti.»

Nessuno osò fiatare per qualche istante. La gravità di quell'elenco della spesa travolse l'intero salotto come una valanga. Ren non riuscì a quantificare la voglia di commettere un omicidio che gli fece tremare le dita, ma Emily interruppe le sue fantasie malate con una semplice domanda.

«Aspetta... Alex non è con te?» chiese, guardando la porta che era rimasta chiusa dopo l'entrata in scena dell'irlandese.

«No, è rimasta nello studio, ma...»

Prima ancora che Gregory potesse tentare di placcarlo, Ren balzò sul ragazzo e lo afferrò per il colletto, costringendolo ad alzarsi. Anche se non avevano una rilevante differenza dall'altezza, Kieran sembrò farsi microscopico quando notò l'aurea minacciosa con cui lo stava scrutando.

«E dopo questo l'hai comunque lasciata da sola? Cosa ti dice il cervello?» sbraitò, strattonandolo come un pupazzo.

«Ren, lascialo!»

Sia John che Gregory intervennero, obbligandolo a mollare la presa. Ren indietreggiò di qualche passo, tenendo le mani alzate in segno di resa, nonostante sapessero che avrebbe potuto stenderli con facilità se avesse voluto. Ma in quel momento non era arrabbiato con i presenti. Non del tutto almeno. Aveva fatto bene a preoccuparsi, dato che alla fine Alex aveva davvero usato Kieran. E la cosa divertente è che l'irlandese ancora non se ne era reso conto. Scoccò un'occhiata di fuoco verso l'idiota, che si era rintanato di fianco al caminetto e si massaggiava la gola come un cucciolo bastonato.

Sentendosi preso in causa, iniziò a cianciare scuse. «Non c'è nulla di cui preoccuparsi: mi ha promesso che non si sarebbe uscita dallo studio! È giusto una questione di pochi minuti» piagnucolò.

«Oh, certo» sbottò Ren in tono denigratorio. «Perché l'andarsene in giro da sola è la cosa peggiore che può fare, giusto?»

Kieran fu sul punto di ribattere, ma poi chiuse la bocca di scatto. Un barlume di consapevolezza iniziò a brillare all'interno dei suoi occhi man mano che gli ingranaggi arrugginiti del cervello si rimettevano in moto. Non ci volle molto per vederlo rabbrividire. E non per il freddo.

«Oh» sussurrò, il corpo irrigidito. Il panico si fece strada sul suo volto. «OH!»

«Esatto: "Oh!"» gli fece verso Ren. «Finalmente ci sei arrivato, cazzo!»

Emily passò lo sguardo dall'uno all'altro, confusa come gli altri. «Aspetta, che cosa vuoi dire?»

«Che Alex non ha bisogno di uscire da una dannata stanza per fare danni!»

E mentre pronunciava quelle parole, ricordando che cosa era accaduto non molto tempo addietro proprio in quello stesso ambiente, un tonfo soffocato echeggiò in lontananza sopra le loro teste. L'imprecazione che gli risalì lungo la gola fu superflua. Ren tornò a osservare l'irlandese con un'espressione talmente minacciosa che Kieran non tentò nemmeno di nascondersi da qualche parte. Quando un secondo colpo riverberò fino a loro, perse del tutto la pazienza.

Afferrò il ragazzo per un braccio, trascinandolo di peso verso la porta.

«Mostrami dov'è... Ora!» Ignorò il lamento di Kieran e aprì l'uscio, per poi rivolgere agli altri uno sguardo d'ammonimento. «Voi restate qua e non provate a...» non terminò la frase che il riverbero di un urlo gli si conficcò nel cranio come un coltello.

Emily tentò di raggiungerli. «Aspettate, portate con voi almeno un'ar...»

Ren le chiuse la porta in faccia e il suo corpo si mise in moto.





Non ricordò nel dettaglio che cosa accadde in seguito.

Prima ancora di rendersene conto, Ren si ritrovò a correre così velocemente che Kieran dovette urlargli le indicazioni dato che non riusciva a tenere il passo. Salì le scale di servizio tre gradini alla volta, avvertendo le grida di Alex farsi sempre più vicine. Urla di pura sofferenza che gli torsero lo stomaco al pensiero di non raggiungerla in tempo.

Flash del corpo immobile della ragazza riverso sul pavimento del bagno gli offuscarono la vista, disorientandolo in un'oppressione primordiale. La bocca gli si riempi del sapore amaro della paura. Alex glielo aveva detto: lei era sacrificabile. Ma non per lui. Non poteva perderla. Non glielo avrebbe permesso. Anche a costo di farsi odiare.

«Eccola! La porta nel mezzo.»

Ren slittò fino a rallentare, afferrando la maniglia ancora prima di fermarsi del tutto. Quella continuò a girare a vuoto, beffandosi delle sue dita tremanti. Oltre la soglia, le urla di Alex divennero sempre più roche e flebili, fino a spegnersi del tutto.

«Dannazione! È chiusa!»

«Non è possibile» ansimò Kieran nel tentativo di giustificarsi e riprendere fiato allo stesso tempo. «Era aperta quando sono uscito e non c'era la chiave.»

Ren combatté la tentazione di maledirgli i discendenti fino alla tredicesima generazione, dato che aveva preoccupazioni più impellenti di cui occuparsi. Fece un passo indietro e caricò tutto il suo peso sulla spalla, provando ad abbattere quell'ostacolo con la forza bruta. Una, due volte.

Non si spostò di un centimetro.

«Merda! Proviamo insieme!» ordinò, mentre Kieran acconsentiva a malincuore, posizionandosi accanto a lui.

«Al mio tre! Uno, due... tre!»

Si gettarono con un grido di battaglia contro la porta, la quale decise che non valeva la pena scardinarsi per così poco e si aprì al loro passaggio ancora prima che la colpissero.

Succube dalle leggi della fisica, Ren annaspò all'interno dello studio, riuscendo a centrare alcuni dei pochi mobili ancora presenti. Si raddrizzò subito, ignorando sia il dolore al fianco, sia l'irlandese che era finito lungo disteso per terra, cercando con occhi sfuggenti il soggetto dei suoi peggiori incubi, ma la stanza appariva vuota.

«Alex!» chiamò con urgenza, afferrando una sedia e togliendosela dai piedi. Affannato, si concentrò sulla scrivania, dalla quale echeggiava un tonfo cadenzato. Non fece caso ai documenti che erano sparpagliati per terra, né alla lampada ribaltata la cui luce sfarfallava debole. Circumnavigò il pesante tavolo e ciò che vide lo immobilizzò.

L'irritante e imbronciato sgorbio che gli aveva sempre tenuto testa fino a provocargli un esaurimento nervoso, in quel momento non era altro che un esserino raggomitolato su se stesso che dondolava in un angolo, sbattendo la nuca contro la parete adiacente. Appariva così fragile e ben lontana dalla ragazza che conosceva che sulle prime non seppe come reagire. Per cui rimase così per diversi secondi, paralizzato dalla sua stessa inutilità. Osservò il modo in cui si stringeva la testa tra le mani; i palmi premuti contro le orecchie e le dita infilate tra le ciocche scompigliate, come se stesse cercando di tenerla insieme. Si soffermò sulle palpebre serrate che nascondevano gli occhi che col tempo aveva imparato ad amare per la loro unicità, nonostante lo continuassero a sfiorarlo con stizza senza vederlo davvero e lo sguardo gli scivolò sulla piccola bocca socchiusa dalla qualche scappavano lamenti rauchi e respiri veloci.

Troppo veloci.

Quel dettaglio sembrò ridestarlo dallo stato di shock in cui era sprofondato. Si lasciò cadere a terra di fianco a lei, afferrandole un braccio nel tentativo di farla reagire.

«Alex! Alex, svegliati. Va tutto bene!»

In qualche modo sembrò percepire la sua vicinanza, con l'unico risultato di agitarsi ancora di più. Alex trasalì, iniziando a contorcersi nel disperato tentativo di allontanarsi da lui come una preda braccata dal predatore e ciò lo disturbò nel profondo. Ren mollò la presa come se si fosse scottato, incapace di metabolizzare la paura che Alex dimostrava nei suoi confronti.

«Che cosa facciamo?» domandò una voce spaventata dall'altro lato della scrivania, facendolo sobbalzare.

Ren non si era reso conto che Kieran li aveva raggiunti e li stava fissando sconcertato. Si era dimenticato della presenza dell'irlandese e nel vedere la sua reazione ingenua, la rabbia montò in lui.

«Non lo so, sei tu l'esperto!» ringhiò, per poi riportare l'attenzione su Alex, ormai sul punto di collassare. Il petto le si alzava e abbassava in un ritmo allarmante; i respiri non erano altro che gemiti acuti. Prestando attenzione a non toccarla più del dovuto, aspettò il momento giusto e introdusse una mano tra lei la parete, nel tentativo di attutire almeno l'impatto dei colpi sulla nuca. Ebbe l'impulso di abbracciarla per fermarla, ma s'impose di rimanere immobile.

Si schiarì la voce. «Alex, siamo noi. Sei al sicuro. Aprì gli occhi!» Continuò a chiamarla, cercando inutilmente di ridestarla. Alla fine, si voltò sconfitto verso l'irlandese. «Perché non reagisce?»

Qualcosa nel suo tono sembrò spiazzare il ragazzo. Kieran boccheggiò, non trovando una risposta da dargli. Guardò Alex per un lungo istante, prima di inchinarsi accanto a lui. «Proviamo a spostarla sul divano, così non si farà del male» propose, afferrandola dall'altro lato nonostante Alex si dibattesse come un pesce fuor d'acqua.

Ren annuì, stringendole l'avambraccio. Sistemò la presa e provò a sollevarla, aiutandosi a fare leva con la mano dietro la sua spalla in modo da accompagnare il movimento. Ignorò i grugniti di Kieran che era riuscito a farle distendere un braccio quando Alex si liberò dalla morsa dell'irlandese e nella foga gli rifilò uno schiaffo in pieno volto. Nonostante non fosse un attacco intensionale, l'impatto lo colse così alla sprovvista che Kieran ruotò il viso e si coprì la zona colpita con un gemito sbigottito.

E fu allora che Ren si accorse di un dettaglio inquietante.

«Ma che cazzo...»

Alex imitò i movimenti di Kieran. Lasciò scivolare la mano libera sulla guancia come se fosse stata lei quella ferita e dalle labbra le fuoriuscì un verso di dolore. Incominciò a dimenarsi con più irruenza, assecondando l'ansia e il panico che... provenivano da loro. Ren sgranò gli occhi, realizzando con orrore che lo sgorbio aveva iniziato ad agitarsi solo quando le si erano avvicinati. Non aveva idea di che cosa volesse dire, ma valeva la pena fare un tentativo. Fece un respiro profondo e le ghermì i polsi. Sotto le dita poteva percepire i battiti incalzanti del suo cuore affaticato.

«Kieran, calmati!» esclamò, lottando nel tentativo di tenere Alex ferma. Lo sapeva: odiava essere toccata, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi problemi.

«Calmarmi? Come potrei calmarmi quando...»

«O ti calmi o ti scaravento fuori dalla stanza. A te la scelta» sibilò in tono minaccioso, inspirando ancora a fondo. L'irlandese dovette aver capito l'antifona perché chiuse la bocca e smise di lamentarsi. Al contrario di qualcun altro.

Cercando di trovare una posizione comoda, Ren serrò la presa su Alex, che manifestò il suo dissenso con vivacità. Inghiottì l'imprecazione che minacciò di sfuggirli e continuò a mormorarle con voce calma: «Va tutto bene, Alex. Tranquilla. Nessuno ti farà del male.»

Dopo diversi tentativi, capì che doveva usare le maniere forti: doveva stabilire un contatto. Si portò un suo palmo contro il petto e uno sul viso, allargandole le dita in modo che lo percepisse quanto più possibile. Li trattenne in quella posizione, nonostante i suoi sforzi di liberarsi sempre più deboli e futili.

«Respira, Alex. Calmati» le mormorò cadenzando bene le parole, per poi espandere i polmoni ed espirare. «Sono qui con te.»

Continuò per quella che gli parve un'eternità, ma non demorse. Inspirò ed espirò finché lei non lo imitò. Dapprima a fatica e poi con più naturalezza. Piccoli colpi di tosse le percossero il petto, bagnandole le labbra di saliva, ma parve funzionare. A poco a poco, smise di agitarsi e Ren allentò la presa finché non fu abbastanza sicuro da lasciarla andare, avvertendo comunque il contatto che li collegava. E, dato che Alex poteva essere crudele anche senza volerlo, quello che fece in seguito lo destabilizzò al punto da lasciarlo sbigottito.

La mano che teneva ancora premuta contro il viso ebbe uno spasmo e dopo un momento d'incertezza incominciò a muoversi. Ren rimase pietrificato mentre avvertiva le sue piccole dita sfiorargli la pelle, seguendo la curva del sopracciglio, il ponte alto del naso, la linea dello zigomo. Quando anche le altre lo raggiunsero, percorrendo il contorno della mascella e sfiorandogli le labbra, Alex sollevò il mento verso di lui. Socchiuse le palpebre, confusa, non riuscendo a metterlo del tutto a fuoco. Ren ignorò la sensazione dei polpastrelli che gli mappavano i lineamenti e si concentrò sullo sgorbio che lo stava guardando dritto negli occhi.

Trattenne il fiato.

«...Ren?»

Come risposta metabolica a quel suono, il suo intero corpo si rilassò. Non si rese conto di sorridere, tanto fu una reazione spontanea. La sua espressione si addolcì e anche se non poteva considerarsi una vera vittoria, a lui bastò.

«Ciao, sgorbio...»

Alex sostenne il suo sguardo, ansante, ma prima che potesse accarezzarle il dorso di una mano, si tirò indietro. Ren tentò di non far caso a come la perdita di quel contatto lo fece sentire infreddolito e perso, ma si costrinse a racimolare la poca concentrazione che gli era rimasta. Si sedette meglio sul pavimento, scrutando la ragazza mentre posava la nuca contro la parete e chiudeva gli occhi, provando a regolare il respiro ancora affannato.

«Alex, stai meglio?»

Ren sussultò. Si voltò, ricordandosi solo in quel momento che Kieran era nello studio con loro. Anche se l'irlandese era del tutto focalizzato sullo sgorbio, non riuscì a impedirsi di avvampare dall'imbarazzo.

«Puoi dirci che cosa è successo?» continuò il ragazzo. «Te lo ricordi?»

Alex strinse le palpebre e deglutì sonoramente. Dalla gola le salì un gemito. «...Dahlia» sussurrò, la voce arrocchita dalle troppe urla.

«È stata lei a farti questo?» soffiò Ren, pronto a uccidere.

Alex si limitò a scuotere il capo con foga. Per un attimo sembrò confusa, come se non capisse dove si trovasse, finché non recuperò lucidità. «No, lei... L'ho invocata perché è lei... la chiave» ammise a fatica. Prima che potessero sommergerla di altre domande, si raddrizzò e li fissò. «È successo qualcosa... quella notte. Qualcosa che solo lei... sa. Per questo ho dovuto.»

Kieran s'irrigidì. «Che cosa hai fatto? Alex, ti prego. Dimmi che non...»

Ma con grande orrore dell'irlandese, lei annuì. «Le ho teso una trappola nell'Altro Mondo e l'ho...» prese un respiro sofferto. «Convinta a collaborare. Le ho dato accesso... alla mia mente e lei... mi ha mostrato i suoi ricordi. Ma tutto è andato storto.» Richiuse gli occhi, inspirando dal naso. Ren dovette reprimere l'impulso di fermarla, di convincerla a riposarsi, ma avevano bisogno di sapere che cosa era successo, anche se lo sforzo di parlare sembrava prosciugarla di ogni energia.

«È stata Dahlia a farti questo?» chiese allora Kieran.

Alex scosse il capo. Sembrò sul punto di mettersi a piangere, ma i suoi occhi rimasero asciutti. «Non ricorda... la sua morte. Lei... Il suo subconscio ha reagito. Sono troppo... in profondità. ...Qualcosa di orribile. Ed essendo collegate...»

Si bloccò, sconvolta. Alex si piegò in avanti così all'improvviso che entrambi sussultarono all'indietro, colti di sorpresa per quella reazione. Lanciò un urlo di dolore, premendo le mani contro il fianco, di nuovo succube del panico. Quando sollevò un braccio davanti a lei, Ren si pietrificò nel notare l'espressione sconvolta con cui si fissava le dita.

D'istinto gliele afferrò, stringendole nelle sue. «Alex, non c'è niente. Visto? Tranquilla.»

Ma lei non lo badò. Trattenne il fiato, per poi alzare il capo verso di loro. Pronunciò una sola parola in un sussurro spezzato, ma fu sufficiente a metterli in allerta. «Emily...»

Dal piano sottostante, l'urlo acuto della ragazza si propagò fino a loro.

Ren non fece tempo a voltarsi verso la porta che Alex era già scattata in piedi. Claudicò incerta sulle proprie gambe, cozzando contro i mobili, ma aveva dalla sua l'effetto sorpresa. E loro si mossero troppo tardi.

Ren era solo a metà strada quando vide con orrore la sagoma dello sgorbio sparire oltre la soglia prima che la porta si richiudesse alle sue spalle, intrappolandoli nella stanza. Non pensò nemmeno a rallentare, ignorando il duro impatto contro il legno.

«Merda!» urlò, cercando di sforzare la serratura. «Kieran, dammi una mano! Muoviti!»

L'irlandese lo raggiunse in un istante, unendosi a lui nel disperato tentativo di sbloccare la porta. «C'è qualcosa in questa casa che non ha una vita propria?» sbottò, dando una spallata con l'unico risultato di farsi male.

Non perse tempo a rispondergli. Ren si allontanò e rifilò un calcio nel punto più fragile dell'intelaiatura. Fece per colpirlo nuovamente quando la porta si socchiuse con un gemito e quel poco bastò. Spalancò l'uscio e si precipitò verso lo scalone, senza accettarsi che Kieran lo stesse seguendo. Gli parve di percepire un bambino dai capelli e occhi neri che lo osservava nell'ombra, ma non indagò oltre. Aveva solo due pensieri che gli martellavano le tempie: il primo era quello di raggiungere Alex; il secondo era quello di acquistare un paio di manette e di buttare via la chiave una volta catturato lo sgorbio.

Se i fantasmi non l'avessero uccisa per primi, ci avrebbe pensato lui con le sue stesse mani.

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