26. Appuntamento a tre nel seminterrato
Buon Halloween miei piccoli bradipi malvagi 🎃
Vi auguro una terrificante giornata e una buona evocazione demoniaca. E anche scusa. Perché ho (ri)scritto questo capitolo in un giorno in preda alla disperazione, quindi spero sia abbastanza leggibile. In realtà il mio maggior timore è quello di essere diventata troppo ripetitiva. Tra il nuovo lavoro e altri impegni, trovare un buon ritmo è stato quasi impossibile, quindi si va di forza maggiore.
Come sempre, ogni commento o turbe psichica è ben accetta ✨
5 agosto 1965
Sono rimasto da solo. Sempre se non contiamo la bambina.
L'ho intravista un paio di volte con la coda dell'occhio in questi ultimi giorni ma, per quanto ci provi, non riesco a togliermi dalla mente la sua espressione: vuota e confusa, come se avesse perso tutto. Sarà colpa dell'istinto paterno che sente nostalgia delle gemelle, ma voglio tentare un approccio con lei. Forse potrò aiutarla a passare oltre? Non lo so. Per il momento non è successo nient'altro d'inquietante, a patto di stare lontani dal pianoforte.
Ho come l'impressione che non riuscirò mai a venderlo...
7 agosto 1965
Oggi ho deciso di prendermi la giornata libera e sono sceso in città per un paio di commissioni. Ne ho approfittato per fare una capatina alla biblioteca pubblica. Quando ho chiesto alla bibliotecaria se c'era una sezione dedicata al soprannaturale, mi ha guardato come se fossi un buzzurro, ma non appena ho specificato che ero il nuovo proprietario di Pennington Mansion la sua espressione si è fatta strana.
Inutile dire che la maggior parte dei libri che ho esaminato erano robaccia, ma tutti confermavano una cosa: i fantasmi non appaiono di giorno.
Questo è tutto tranne che confortante.
12 agosto 1965
Si chiama Dahlia.
Da quando sono tornato dalla biblioteca, avevo la testa piena di idee contradditorie su come procedere. Alla fine ho deciso di usare le maniere forti e provare a chiamarla di persona, giorno e notte. Ci sono voluti giorni, ma sono stato ripagato con il suo nome scritto sul vetro della finestra della camera questa mattina. Quando mi sono svegliato, la condensa dell'alba ha fatto la sua magia. Dopotutto i papà sanno come farsi obbedire, a costo di diventare fastidiosi.
15 agosto 1965
Dahlia inizia a essere più a suo agio ad apparire di fronte a me. Per quanto la nostra comunicazione sia a una sola direzione, mi è capitato più spesso di notarla mentre mi seguiva da un capo all'altro della magione durante i lavori di manutenzione. Ho preso così l'abitudine di parlare ad alta voce del più e nel meno, raccontandole qualsiasi cosa mi venisse in mente. Alla fine me la sono ritrovata di fianco, che mi fissava incuriosita e affascinata. E allora ho commesso l'errore di chiederle di lei.
I suoi occhi si sono oscurati ed è scomparsa.
18 agosto 1965
Oggi è stata la prima volta che ho visto Dahlia furiosa. Stavo proseguendo con i lavori al primo piano, ma non appena mi sono inoltrato nell'ala del dormitorio l'atmosfera si è fatta strana. Mi sono sentito provato, come se avessi esaurito le energie e quando ho tentato di assicurare meglio una delle porte delle camere, Dahlia è apparsa e mi ha spinto via con la forza della mente.
Era agitata e mi guardava come se... beh, non ne ho idea. So solo che mi ha trascinato via a spintoni, facendo scomparire molti dei miei attrezzi. Ammetto che sul momento non sapevo come reagire, ma ora sono davvero confuso.
19 agosto 1965
Questa notte Dahlia è riapparsa mentre mi coricavo. Sembrava triste e mi ha fatto riapparire gli attrezzi che aveva preso. Si è scusata, a modo suo. Non ho più resistito: le ho chiesto perché era ancora lì, perché era da sola, perché non potevo andare al primo piano e questa volta meritavo delle risposte.
Non mi sono piaciute.
Dahlia non poteva parlare, ma a gesti mi ha fatto capire ciò che non volevo conoscere per davvero.
Lei non è mai stata sola.
Sono ancora tutti all'interno della magione, addormentati.
E Dahlia non vuole svegliarli. Non devono svegliarsi.
Ha bisogno di aiuto.
Rivuole suo fratello.
20 agosto 1965
Ho scritto a Martha che non posso tornare a casa. Non ancora.
Immagino già la sua delusione e quella delle gemelle, ma ho ancora tanto lavoro da fare. Sta mattina mi sono informato e sono certo che negli archivi pubblici ci siano ancora tutti gli articoli usciti quando è avvenuta la tragedia. E non solo: ho deciso che andrò a fare una visita al dipartimento locale spacciandomi come reporter. Se tutto andrà come dovrebbe, dovrei riuscire a reperire i certificati dei bambini che hanno alloggiato tra queste mura.
Dahlia mi ha evitato per tutta la mattina, ma nel pomeriggio mi ha seguito come d'abitudine. Sembrava preoccupata, eppure nei suoi occhi c'era una scintilla di speranza. Per essere un fantasma, riesce a far prevalere il mio lato paterno e non so se sia una cosa buona. Ho intenzione di andare a capo a questa faccenda. Non solo per lei, ma anche per ristabilire il nome della mia famiglia e trovare un luogo dove vivere in pace. Se solo...
Quando l'ennesimo lamento si propagò nell'aria, rimbalzando tra i muri e i viventi fino a colpire i suoi timpani, Alex si costrinse a non sbuffare irritata. Strinse le palpebre nel tentativo di intrappolarci la concentrazione che la stava abbandono, ma alla fine sollevò lo sguardo dalle pagine segnate dalla grafia di Mr. Gilman con una smorfia infastidita.
Si era seduta dall'altro lato dello scalone con l'unico intento di mettere quanta più distanza possibile tra lei e il gruppetto intento in una sezione straordinaria di terapia per John, che da quando aveva appreso della scomparsa di Sarah non aveva fatto altro che piagnucolare, ma ciò non era bastato. Non aveva nulla contro il teppista, tuttavia concordava con una delle tante manfrine che le punzecchiavano il sistema nervoso: sarebbe dovuto toccare a lui.
Di certo Sarah non avrebbe fatto tutto quel chiasso inutile.
A ragion del vero, la capacità analitica della ragazza era un vantaggio di cui aveva ancora bisogno. Secondo il piano che aveva ideato, lei ed Emily avrebbero dovuto esaminare le carte trovate nel mentre, tenendosi occupate con quel futile passatempo in modo da permetterle di dedicarsi a una ricerca più mirata. Ma per quanto apprezzasse una pianificata organizzazione, l'improvvisazione poteva rivelarsi comunque fruttuosa. Peccato che quella sparizione avesse decimato la fiducia collettiva al punto da diventare un problema non indifferente.
Sospirò affranta, accorgendosi solo allora che Fievel stava rosicchiando un angolo del diario che teneva aperto sulle ginocchia. Appoggiando il viso pensoso sul palmo della mano, Alex strappò un frammento della pagina a cui era arrivata e glielo mise davanti al musetto; lasciò che il topo lo annusasse e ne mordesse un pezzo, per poi allontanarlo dalla sua portata. Fievel si allungò nel tentativo di afferrarlo, ma lei continuò a stuzzicarlo finché non squittì dal disappunto. Solo allora gli permise di mangiarlo.
«Mi darai molte soddisfazioni» mormorò fiera, facendogli qualche grattino. Col tempo e il giusto addestramento, Fievel sarebbe diventato un alleato inestimabile. Peccato che la sua stazza non gli permettesse di causare gravi danni, sebbene potesse comunque mettere in atto alcune torture medioevali per scopi puramente didattici.
«Quel sorrisetto divertito è preoccupante.»
Alex sollevò lo sguardo, scrutando torva Ren che la fissava dall'alto in basso appoggiato al corrimano, i capelli neri che gli ricadevano sul viso. Tenne Fievel sul palmo della mano mentre chiudeva il diario con uno scatto del polso, per poi riporlo nella borsa. «E la tua presenza riesce persino a infastidire i miei muscoli facciali» brontolò. Si era avvicinato così di soppiatto che l'irritazione che le formicolava sottopelle aveva subito una sgradevole impennata.
Ren non cambiò espressione. «Che posso dire? Sono un favoloso portento.»
Rimasero a guardarsi per un lungo momento nel modo più naturale che conoscevano, ovvero in cagnesco, finché Ren non riprese la parola.
«Ora che facciamo?»
«Continuiamo come da programma.»
Il viso del giovane si contorse dal disappunto. Continuando così si sarebbe ritrovato la fronte piena di rughe. «Oh, buona fortuna allora. Perché ho come l'impressione che nessuno sia disposto a fare un granché dati gli ultimi avvenimenti.»
Alex scattò in piedi, lasciando che Fievel s'intrufolasse nella camicia. Spazzò via la polvere dai leggins rovinati e si limitò a scoccare al giovane un'occhiata di sufficienza, per una volta al suo stesso livello d'altezza. «Sei tu il capo: è compito tuo tenerli in riga.»
Ren fece per ribattere, ma lei fu più veloce. Saltò gli ultimi gradini con un balzo, pronta a riunirsi al gruppo. «E poi io e Keiran abbiamo da fare.»
Alle sue spalle ci fu una pausa. «Ho paura di chiederti cosa, ma dato che quell'idiota è quasi incapace di difendersi mi vedo costretto a farlo: che cosa?»
Alex si limitò a rispondergli con una scrollata di spalle, proseguendo a passo di marcia verso l'aurea di disperazione che circondava ciò che rimaneva della squadra iniziale. Per quanto fosse affascinata da quelle reazioni così logiche e appropriate per il contesto, non aveva il tempo di studiarle, così come loro non avevano il tempo di piangersi addosso per qualsiasi piccolezza. Persino i morti si erano resi più utili ai suoi scopi.
«Sarah sta meglio di voi» esordì fredda, fermandosi davanti a loro. «Avete già dimenticato che cosa vi ho detto?»
I mormorii sommessi s'interruppero. Alex sapeva che quel meraviglioso silenzio non sarebbe durato a lungo, per cui cercò di assimilarlo il più possibile. Ignorò le occhiate angosciate che si concentrarono su di lei, focalizzandosi sul vuoto alle spalle dei ragazzi finché Emily si fece avanti.
«Ma Alex... come possiamo essere sicuri che stia bene?» domandò, tirando su con il naso. Sembrava sul punto di rimettersi a piangere. «Voglio dire, ho fiducia in te. Sono sicura che sai quello che stai facendo, ma di questo passo...»
«Come possiamo fidarci di quei fantasmi? Andiamo, siamo seri!» tuonò John, che aveva superato la parte della disperazione per sprofondare nella rabbia. «Prima Leyla, poi Dakota e ora Sarah... Chi sarà il prossimo? Ammiro il tuo sangue freddo, ma qui stiamo parlando di persone in carne e ossa! Questo giocare ai detective potrà davvero aiutarci a uscire da qui? Inizio ad avere i miei dubbi se il prezzo da pagare siamo noi.»
La prima reazione di Alex fu quella di sorridere vittoriosa, ma dopo un breve briefing mentale si rese conto che non era la mossa migliore per scongiurare un ammutinamento. Non che non l'avesse previsto: anzi, un po' ci contava per scrollarsi di dosso quel peso superfluo. Ma se quegli idioti volevano sopravvivere avrebbero fatto meglio ad azionare il cervello e a cucirsi la bocca. Mantenendosi composta, Alex si concentrò sullo spazio che separava le sopracciglia del teppista.
«Noto che state finalmente imparando. Bravi, apprezzo la vostra crescita personale. Tuttavia mi vedo costretta a ribadire ciò che ho detto fin dall'inizio: non mi fido di nessuno, benché meno dei morti. Ma se devo scegliere tra due mali, il minore è sempre il compromesso più accettabile. In questo caso, posso confermarvi che Sarah è in un luogo sicuro. Almeno per il momento. E ciò è sempre meglio che vederla cadere dal soffitto ridotta a pezzi, non credete?»
Forse avrebbe fatto meglio a evitare quell'ultima parte. John sbiancò, Emily emise un verso strozzato e Gregory e Keiran la fissarono sconvolti. Avvertì il suono della mano di Ren che colpiva il suo stesso viso con un brontolio che poteva essere una risata soffocata come un gemito esasperato. Difficile notare la differenza senza una conferma visiva. Continuò imperterrita.
«Posso comprendere la vostra esitazione e se avete troppa paura di esporvi non vi costringerò, almeno finché non sarà davvero necessario. Ma non vi ho mai nascosto i rischi e Sarah sapeva a quali pericoli andava incontro accettando di aiutarci, eppure non si è tirata indietro. Ora avete due alternative: rimanere fermi a piangervi addosso e vanificare così gli sforzi di Sarah o continuare a cercare una via di fuga. A voi la scelta.»
Il gruppo si fermò a contemplare le sue parole. John apparve per nulla convinto, ma alla fine si limitò ad annuire contrito.
«Molto bene. E ora torniamo a concentrarci sul piano originale: ci sono ancora stanze da esaminare, per cui...» fece un passo indietro, allineandosi accanto a Ren. Dato che non parve aver capito l'antifona, Alex gli sferrò una gomitata sul fianco. Non gradì per nulla quell'incoraggiamento.
«Emily e Gregory torneranno nel salotto per riordinare ed esaminare le carte trovate nel mentre... o quello che volete. Solo una cosa: controllate se Mark si è fatto vivo» sbuffò, senza metterci un minimo d'impegno a sembrare un leader incoraggiante. «Nel frattempo io e John finiremo il sopralluogo e Keiran... Tu andrai con Alex per assecondare i suoi desideri perversi.»
Il sorriso dell'irlandese sembrò così sollevato che Alex si sentì obbligata a intervenire.
«Proprio così. Dobbiamo ancora controllare il seminterrato.»
Le labbra dell'irlandese fecero un'inversione a u. Ren sembrò sul punto di ridacchiare, entusiasta da quella reazione, ma Alex gli rifilò un'altra gomitata.
«Aspetta! Perché dobbiamo andare noi nel seminterrato?» esclamò il giovane con un ansito.
«C'è qualche problema, Keiran?»
«Mò Alainn, sai benissimo che cosa accadrà in quel buco! Prima la lampadina appesa a un filo si fulminerà, lasciandoci scendere le scale nel buio più totale con l'ansia che qualcosa ci ghermisca. Poi, una volta arrivati sul fondo, ci ritroveremo circondati dall'ammasso di cianfrusaglie lasciate dai precedenti proprietari che, non contenti, avranno ridecorato le pareti con simboli blasfemi utilizzando il sangue di qualche animale rapito dal vicinato. E come ciliegina sulla torta, ad aspettarci ci saranno: un portale per una dimensione demoniaca, dei manichini assassini, alcuni mostri affamati, bambole possedute e clown strabici col fetish dei palloncini. E tu vuoi andarci lo stesso?»
Alex si limitò ad alzare un sopracciglio, non sapendo se essere impressionata da quella recensione da film horror scadente o delusa perché ciò le creava fin troppe aspettative. «Primo, stai esagerando; là sotto non ci sarà comunque corrente. Secondo, dubito che i Pennington si siano mai sporcati le mani con sangue animale e terzo, è per questo che gli altri controllano le stanze, lasciandoci il meglio. Non è emozionante?»
«No!»
«Suvvia, ti proteggo io.»
«Questo non mi conforta.»
«Keiran, smettila di lagnarti e accompagnala» sentenziò Ren, intromettendosi spazientito. Emily e Gregory si stavano già incamminando verso il salotto, ma prima d'imboccare il corridoio, il giovane si voltò verso l'amico rivolgendogli un cenno d'incoraggiamento. Ren ignorò quella bromance genuina. «Ricordati che i fantasmi non sono la cosa peggiore che si aggira per questa casa. Né quella più pericolosa.»
John parve confuso da quell'ammissione, ma Alex ne intuì il significato. Come se ce ne fosse davvero bisogno: Mark era il più manipolabile tra loro e le andava bene così. Era l'unico a seguire il copione.
L'irlandese ci mise qualche istante a rendersi conto del sottotesto. S'irrigidì, annuendo. «Oh, va bene. Ho capito.» Alex ne dubitava. «Quindi... procediamo?»
«Prima iniziamo e prima finiamo» cantilenò Alex, incominciando a trascinarlo verso la loro metà. Non perse tempo a congedarsi dagli altri, né si voltò per sincerarsi che si stessero muovendo. Dopotutto avevano i loro ordini da eseguire.
Dato che Keiran continuava a incespicare come un cerbiatto appena nato, provò ad alleggerire l'atmosfera con una canzoncina, ma dallo squittio spaventato che ricevette in risposta ebbe l'impressione di aver sbagliato qualcosa. Forse l'intonazione.
«Inizio a pensare che Mark abbia ragione.»
Ren continuò a osservare lo sgorbio mentre si allontanava, preparandosi psicologicamente a ciò che stava per accadere. Sospettava che fosse solo questione di tempo, ma la scomparsa di Sarah aveva velocizzato quel cambio di rotta degli altri, in particolare John. Ed era certo che Alex l'avesse previsto, dato che l'aveva nominato leader del gruppo senza prendere in considerazione i suoi desideri: in fondo era l'unico in grado di patteggiare per lei e al contempo mantenerli uniti. Che grandissima seccatura.
«Mark è sconvolto per la morte di sua sorella. Come dovrebbe essere» sentenziò, riportando la sua attenzione su John. «Ma proprio per questo non è in grado di pensare con lucidità. È facile dare la colpa agli altri per le proprie sciagure e lo è ancora di più affibbiarla ad Alex, dato che di natura è irritante quanto una zanzara molesta. Tuttavia sappiamo bene chi è il vero responsabile.»
John si limitò a sostenere il suo sguardo, immobile come una statua. Sembrò soppesare quell'affermazione, ma poi scosse la testa rasata. «Come fai ad avere così tanta fiducia in lei...»
«Il segreto? Non ne ho. E non se la merita. Ma so bene che senza una valida motivazione non farebbe del male a una mosca e quindi se devo scegliere se farmi comandare dalle mie paure o fidarmi di un'attraente sociopatica, preferisco di gran lunga la sociopatica. Almeno mi rifaccio gli occhi.»
«E lei ti rifarà la faccia» finì John, per nulla impressionato. Storse le labbra piene, per poi sbuffare. «Spero davvero che tu abbia ragione.»
«Lo spero anch'io» ammise Ren, avviandosi su per lo scalone. «Ma ti prometto questo: farò il possibile per farvi uscire di qui.»
John lo seguì a capo chino. «Anche Mark?»
«Sì, anche lui.» Sempre che non sia troppo tardi, finì a mente.
«If you happy and you know it clap your hands/ If you happy and you know it clap your hands/ if you happy and you know it and you really want to show it... Keiran, perché non ti sento battere le mani?»
«Perché me ne stai stritolando una e mi stai facendo venire i brividi» si lamentò l'irlandese. Alex lo ignorò, riprendendo a cantare e a saltellare a ritmo per il corridoio, finché il ragazzo non decise di fermarsi di colpo, strattonandola all'indietro.
Alex claudicò per il contraccolpo, impreparata a quella reazione. Si voltò, pronta a rimproverarlo per quell'interruzione, quando si accorse che lo sguardo di Keiran era divenuto serio. Così serio che Alex serrò le labbra, capendo che era arrivato il momento di ascoltare ciò che aveva da dire ed eliminare sul nascere qualsiasi inconveniente futuro.
Keiran non si fece pregare. «Perché io? Perché non Ren? Alex, stai cercando di farlo ingelosire?»
La buona volontà di Alex nell'essere più sociale ed empatica verso il prossimo si nebulizzò nell'aria, aggiungendosi al pulviscolo. «Uh? Di che cosa stai parlando?» chiese irritata. «Ti sembra questo il momento per una domanda del genere?»
Keiran si limitò a incrociare le braccia al petto, cercando d'apparire minaccioso nonostante pesasse di più da bagnato. «Sì, direi che è il momento adatto, visto che stiamo per morire... forse.»
Alex sbatté le palpebre, incredula. Il suo primo istinto fu quello di recuperare Fievel, che si era raggomitolato all'interno del polsino della camicia, e gettarglielo in faccia, ma sarebbe stato considerabile come maltrattamento animale. Per cui si limitò a inspirare a fondo, prima di soffiare seccata dato che non gli doveva nessuna spiegazione. «Molto bene. Ecco i fatti: Tom non è mentalmente stabile al momento; Emily ha paura del buio e lo so, fa ridere pensando che questa è stata una sua idea; Gregory sarebbe stato il candidato migliore dato che è un ottimo scalino improvvisato, ma è off limits; Jack vuole farmi saltare il cervello e Ren... Ren ha sempre qualcosa da ridire. Anche se abbiamo stipulato una tregua, ha sempre quell'espressione di disapprovazione stampata sul brutto muso che si ritrova e ci tiene a farmi presente quanto lo faccia impazzire ogni cinque minuti a ciclo continuo. Quindi è stato un processo di eliminazione.» Si bloccò ripensando all'ultima frase e ignorando i suoi tentativi di correggere i nominativi sbagliati. Sebbene non fosse la persona più esperta in relazioni interpersonali, era consapevole che ammettere di averlo scelto solo perché era il più facile da manipolare fosse una pessima idea. Ma l'irlandese non sembrò affatto colpito da quella rivelazione.
«O forse preferisci tenermi appresso perché hai bisogno delle mie conoscenze in materia, le stesse con cui potrei mascherare le tue reali intenzioni.»
Per un breve istante, Alex si sentì braccata. E ciò non le piacque per nulla. Scrutò gli occhi nocciola screziati di verde dell'irlandese, superando le difficoltà di quell'approccio per mettere bene in chiaro chi dei due era al comando. «Lo sai che non ti conviene dirmi una frase del genere quando sia soli, vero?»
«Certo, e so anche che mi hai scelto perché non puoi permetterti che un altro di noi sparisca nell'immediato. Sono la tua assicurazione, non è così?»
Rimase zitta. Era inutile negarlo: persino un'idiota l'avrebbe capito, ma confermarlo avrebbe dato all'irlandese più potere di quel che gli serviva. Poteva permettersi di perdere Mark, ma non John. Sebbene il livello d'attaccamento con gli altri non fosse così maturo, avrebbe lasciato comunque una profonda spaccatura dopo Sarah. Nelle situazioni d'emergenza, gli umani erano più reattivi ai legami sociali, tant'è che esistevano patologie come la rinomata Sindrome di Stoccolma. Non che le fosse di qualche utilità in quel contesto, dato che bastava Ren a mandarla sull'orlo di un omicidio volontario aggravato, ma per garantire la riuscita del piano quegli idioti dovevano collaborare. Giocare secondo le regole non era il suo forte, visto che preferiva creare le sue, tuttavia non poteva permettersi di essere schizzinosa.
Soddisfatto del silenzio che perdurava, Keiran incominciò a gongolare. «Ammettilo, ci ho azzeccato. Non sono così stupido come sembra.»
«Lo so che sei intelligente, Keiran. E ti apprezzo per questo» gli disse Alex con l'unico risultato di mandarlo a fuoco. «Anche se sei un fifone.»
I bollenti spiriti dell'irlandese si raffreddarono.
«Quindi, dato che siamo in modalità domande inutili, ne ho una per te mentre camminiamo. Hai mai sentito parlare di fantasmi visibili in pieno giorno?»
Keiran cambiò espressione, per poi incespicare nei propri passi quando si rese conto che era già ripartita, lasciandolo indietro. La raggiunse trafilato, rimanendo in silenzio per qualche istante; per eliminare il fiatone o per analizzare la sua domanda, non le importava fintanto che le forniva le risposte che cercava.
«Non è poi così raro, in realtà» incominciò, meditabondo. «Certo, sono più attivi di notte e nei momenti in cui la loro vittima è vulnerabile per ragioni che puoi ben immaginare, ma non c'è un orario specifico. Dipende tutto da quanta energia hanno a disposizione per rendersi visibili e interagire con il nostro piano.»
«Quindi possiamo presumere che nei momenti di scarsa attività siano semplicemente in letargo per conservare i rimasugli della loro energia latente?»
«Sì, direi così. Dipende sempre dalla tipologia degli spiriti e dalle loro motivazioni. Ma tutt'altro discorso sono i demoni. Insomma, loro... Aspetta. Alex, cosa stai insinuando?»
Alex non si fermò, costringendolo a mantenere l'andatura. «Sarebbe assurdo affermare che il demone all'interno di Mrs. Pennington si sia mantenuto in forze per un secolo utilizzando l'energia dei bambini, in attesa di una preda più idonea? Se fosse così, ciò confermerebbe la teoria secondo la quale la barriera attorno la magione non serve a impedire a noi di scappare, ma...»
«... a lui di uscire. Quindi non dobbiamo far altro che trovare l'origine della barriera e distruggerla. Però...»
«...se la distruggiamo il demone potrebbe andarsene attraverso uno di noi e fare danni ben peggiori rispetto a una decina di bambini morti» concluse Alex. Si fermò, adocchiando la porta chiusa del seminterrato. Il suo sguardo vagò sulla maniglia d'ottone ossidata, per poi ritornare sull'irlandese. «Al momento rimane solo una teoria, e proprio per questo abbiamo bisogno di prove. Sei pronto?»
Keiran sussultò, come se la gravità della situazione l'avesse colpito a tradimento. Deglutì a vuoto prima di annuire, recuperando il cellulare per azionare la torcia. «Procediamo.»
Alex allungò la mano, chiudendo le dita attorno alla manopola liscia e fredda. Provò a ruotarla una, due volte, ma questa rimase con ostinazione al proprio posto, gemendo in segno di protesta. Alex non demorse. Fece perno con un piede sul telaio, mettendoci ancora più forza, ma la porta non si spostò di un centimetro. Dal canto suo, l'irlandese sembrò piuttosto sollevato per quelle difficoltà tecniche.
«Beh, direi che l'entrata è bloccata. Forse c'è un'altra via d'accesso, ma...»
Alex indietreggiò di un passo, prendendo lo slancio per assestare un potente calcio appena sopra la serratura. Il legno attorno si piegò fino a spezzarsi a causa dell'usura, facendo sibilare i cardini mentre l'uscio si apriva con un tonfo secco verso le tenebre.
«... ah, si è sbloccata» finì con un filo di voce.
«E poi dicono che la violenza non serve» sentenziò Alex, soddisfatta di se stessa. Incominciò a scendere i gradini, facendo attenzione a dove appoggiava i piedi, mentre il fascio di luce del cellulare di Keiran saettava sopra la sua testa.
Capì che c'era qualcosa di strano a metà della scalinata.
Non fu solo una sensazione dettata dall'istinto. L'odore umido che impregnava l'aria e il tenue scrocio che risuonava sul fondo furono inequivocabili.
Alex scese in fretta gli ultimi scalini deteriorati, bloccandosi all'angolo. Quando Keiran la raggiunse, il riflesso della luce riverberò contro il suo viso.
«Acqua...» mormorò pensosa, fissando la superficie nera e increspata che ricopriva il pavimento interrato. Il senso di déjà-vu che la travolse le procurò la pelle d'oca.
«Alex, rinunciaci. Dubito che si sia salvato qualcosa in questo stato» gemette Keiran dietro di lei, la torcia alzata a illuminare quel tugurio. Scandagliò il lago improvvisato, soffermandosi sugli scaffali: le prime mensole scomparivano sla superficie, rendendo il loro contenuto inutilizzabile. «E poi vuoi davvero entrare lì de...?»
Alex saltò sul pavimento del seminterrato, ritrovandosi bagnata fino quasi alle cosce. Non aveva ascoltato una sola parola di quello che il ragazzo le aveva detto, troppo impegnata a collegare ciò che aveva dinnanzi con la visione che aveva avuto nell'Oltre Mondo. Acqua... c'era sempre l'acqua. Tentò di esaminare i dintorni nonostante l'oscurità ricoprisse i muri più lontani, iniziando a calcolare le dimensioni della stanza in relazione alla planimetria trovata in precedenza.
Alle sue spalle, degli spruzzi spezzarono la superficie. «Cazzarola se è fredda!»
Alex chiuse e riaprì gli occhi, tornando a focalizzarsi sul suo sfortunato compagno. Si voltò quel tanto che bastava per scorgere Keiran avanzare rigido come un pezzo di legno, nonostante l'acqua gli arrivasse alle ginocchia.
«Ehm... Mò Alainn?»
«Cosa?»
«Mi stai guardando come se volessi spezzarmi le gambe.»
Alex si sforzò di concentrarsi su altro. «Te lo meriteresti. Forza, mettiamoci al lavoro.»
Avanzò con qualche difficoltà, sfiorando il liquido con la punta delle dita. L'odore non era dei migliori e una volta uscita da lì avrebbe dovuto bruciare i vestiti per disinfettarli a dovere, ma ormai il danno era fatto. Quando raggiunse le prime file di scaffali, si sbottonò il polsino, facendo uscire Fievel dal suo nascondiglio. Il topo non sembrò felice di quella gita fuori programma, i baffi che vibravano dalla tensione. Con premura, lo posò su una mensola, per poi strappare un altro angolo a una pagina del diario di Mr. Gilman.
«Fievel, cerca!» ordinò, mostrandogli la carta.
Il topo sbatté le palpebre un paio di volte, allungando il corpo verso l'altro per annusare meglio i dintorni. Dopo un attimo di esitazione, sparì nelle tenebre.
«Non ci posso credere... Alex, un topo!» sbottò Keiran, mal celando il disgusto nella voce.
«Risparmia il fiato, Ren ti ha preceduto. E poi perché la gente ce l'ha così tanto con i topi? Non siamo più nel Medioevo e la peste è già stata debellata dai Paesi sviluppati da secoli. Che, tra l'altro, non era trasmessa dai roditori in sé, ma dalle pulci.»
Fece per aggiungere altro, quando un lieve squittio riecheggiò tra le pareti.
«E poi si sta rendendo molto più utile di voi, che non fate altro che lamentarvi.»
Con qualche lieve difficoltà, Alex riuscì a identificare il punto in cui Fievel si era fermato. Lo scaffale era relativamente moderno, segno dello zampino di Mr. Gilman, e nonostante buona parte degli scatoloni si fosse logorata a causa dell'umidità, quelli sulla mensola superiore sembravano ancora in buono stato. C'era solo un piccolo problema.
«Dammi il cellulare» disse Alex, allungando una mano verso Keiran.
«Perché? Guarda che l'ho appena cambiato.»
«Perché ti serviranno entrambe le mani per recuperare lo scatolone dove Fievel si è rintanato e tranquillo...» sentenziò, mentre il ragazzo glielo cedeva di malavoglia. «Se dovesse cadermi te ne ricomprò uno nuovo.»
Keiran sbuffò, ma ebbe l'acume di non commentare. Alex indietreggiò, lasciando campo libero al ragazzo. Ne approfittò per scrutare il resto dei ripiani: la quantità di vasetti di conserve fatte in casa era riguardevole, tanto che si domandò se i Pennington fossero di bocca buona a dispetto dei loro passatempi poco convenzionali. Poté quasi visualizzare le matrone di casa scegliere quale marmellata servire a colazione tra un omicidio e l'altro. Inoltre, il ragazzo ci aveva visto giusto su un aspetto: lì sotto c'era davvero il cimitero delle cianfrusaglie, compresa una vecchia sedia a rotelle che...
«Keiran, muoviti» commentò fredda, senza distogliere lo sguardo dalla parete adiacente.
«Facile per te parlare» gemette il ragazzo, tirando giù a fatica la scatola senza ribaltarsi. Quando se lo portò al petto, ebbe un sussulto nello scorgere Fievel fissarlo da sopra le cartelline che conteneva. Lo porse ad Alex, fin troppo contento di liberarsene, ma lei si stava già avviando verso le scale. Senza troppi complimenti, gettò il telefono sugli scalini, al sicuro dalla probabilità d'annegamento.
«Ehi! Ti avevo detto di fare attenzione!» sbottò Keiran, guardandola stralunato. «Perché l'hai lanciato in quel modo?»
«Perché così posso salvare entrambi.»
Il volto di Keiran si aggrottò per la confusione. E poi per lo shock. Aprì la bocca per urlare, ma una forza invisibile lo strattonò di nuovo al centro del seminterrato, facendolo scomparire sotto il pelo dell'acqua. Grazie al cielo ebbe la prontezza di mollare la presa sullo scatolone, permettendo così ad Alex di afferrarlo al volo.
«Merda» sbraitò senza fiato, piegandosi su se stessa per il contraccolpo. Un angolo del cartone si bagnò, ma riuscì a evitare danni maggiori. Si raddrizzò con la schiena a pezzi, ignorando gli squittii d'allarme di Fievel, che aveva incominciato ad agitarsi in preda al panico nel tentativo trovare riparo.
«Non ti muovere!» ordinò Alex, mentre posava il pacco sui gradini ancora asciutti, per poi scrutare l'immobilità che aveva corrotto l'area. Nessuna increspatura sospetta, nessuna bolla rilevatrice.
Ingoiando l'ennesima imprecazione, Alex ritornò indietro, ignorando il fascio di luce tremolante del cellulare abbandonato sulla scala. Sfiorò il liquido scuro con la punta delle dita, concentrandosi. Ripercorse i propri passi, non badando a ciò che si muoveva famelico nell'ombra ai lati del suo campo visivo. Perché lui era lì. Lo sapeva. Lo percepiva. E l'unica cosa che le suscitava era un incredibile fastidio perché era costretta ad assecondare i suoi giochi perversi. Che perdita di tempo.
Controllò la respirazione e affinò i sensi. Non fu facile dato il tanfo stantio che impregnava l'aria e il costante sciabordio che echeggiava tutt'intorno a lei, ma alla fine riuscì a percepire un lieve dissonanza. Si bloccò, infrangendo la superficie con un braccio. Ripescò un ansante Kieran che, per puro istinto di sopravvivenza, tentò di aggrapparsi a lei alla cieca, inondandola di schizzi, con l'unico risultato di esserle strappato via dalle braccia quando il demone si palesò. L'irlandese si ritrovò scaraventato all'indietro, andando a sbattere contro il muro accanto alla scalinata. Emise un rantolo preoccupante.
Alex ebbe l'impulso di voltarsi per capire quali fossero le sue condizioni, ma si costrinse a fronteggiare l'avversario ammantato di tenebre che la scrutava ridacchiando in modo grottesco. A dispetto della reazione che aveva avuto durante il loro primo incontro, si era preparata al richiamo che suscitava in lei. Sapeva che quelle non erano le sue vere sembianze, ma era solo l'ombra corrotta di Mrs. Pennington, imprigionata nell'Altro Mondo. Non poteva toccarla.
Non poteva nuocerle.
Non ancora.
Fece un passo in avanti, avvicinandosi alla creatura. In risposta, quest'ultima sollevò le labbra putride, scoprendo le fauci affilate.
«Provaci» sibilò Alex, per nulla intimorita, mostrando a sua volta i denti.
L'essere schioccò le zanne con fare intimidatorio e sollevò una mano artigliata nel tentativo di ghermirla, ma non riuscì mai ad avvicinarsi abbastanza per sfiorarla.
«Come pensavo» mormorò Alex con voce profonda, abbandonando l'aria di sfida per sostituirla con un'espressione di superiorità. Le bastò un gesto deciso del braccio per tagliare in due l'ombra, che ritornò nel buco dal quale era fuoriuscita senza lasciarle il tempo di emettere un suono.
Non osò muoversi per quello che le parve un istante interminabile e solo quando si rese conto che non c'era più pericolo si concesse di respirare. Con i nervi sovraeccitati da quell'incontro, Alex arrancò verso l'uscita. Dovette fermarsi un attimo per coprirsi il viso con entrambe le mani nel tentativo di calmarsi. Per quanto riuscisse a mascherare il disagio che le squassava il corpo ogni volta che interagiva con quell'entità, rimaneva comunque uno schifo. Con la vista ancora offuscata, si avvicinò a Keiran che ormai galleggiava privo di sensi accanto agli scalini. Il fascio di luce della torcia gli illuminava parzialmente il volto, ostentando il livido che si stava formando sul suo zigomo latteo. Almeno respirava ancora.
Alex lanciò una rapida occhiata alla scatola che giaceva sulle scale e a Fievel, che la fissava tremolante e arruffato. Si mise le mani sui fianchi: non per apparire superiore, ma per sostenersi. «Beh, immagino che tu non possa aiutarmi a trasportarlo fuori da qui» commentò affranta, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi. Incominciò a rimpiangere di non essersi portata appresso anche Ren, ma quando si rese conto che avrebbe gestito la faccenda in preda a una crisi isterica ritornò in sé.
Afferrò Keiran per il colletto del costume e incominciò a trascinarlo di peso verso la parte asciutta delle scale, un gradino alla volta, ignorando il dolore che le si radiava dalla spalla al resto del corpo e la testa del giovane che cozzava contro ogni scalino. Era proprio vero che da bagnato pesava di più.
Quando tutte le membra dell'irlandese furono messe in salvo, Alex decise che la cosa più saggia da fare fosse depositare lo scatolone in un luogo sicuro, dato che era l'oggetto più importante, e poi recuperare la bella irlandese addormentata, dato che non sarebbe comunque andata da nessuna parte. O almeno era quello che sperava. Alzò lo sguardo verso la rampa di scale, contando ogni gradino con astio. Non si accorse degli occhi dorati della serpe che la studiavano nell'ombra, né delle onde prodotte dal suo corpo squamoso quando scomparve oltre la superficie dell'acqua. E forse era meglio così.
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