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21.3 La casa dei bambini diabolici di Mrs. Pennington pt. 1

Piccola nota: giusto un perché non mi smentisco mai, ecco il capitolo pubblicato in ritardo rispetto la tabella di marcia che mi ero preparata per la giornata XD E sì, ho deciso di riaggiornare lo scherzetto di Aprile, quindi se avete già votato non angustiatevi. Se vi può far piacere lasciate un commento su come avete trovato il capitolo.

A me fa schifo.

Ad Alex fa schifo (ma penso sia evidente).

E è comunque lungo, quindi stronzate da leggere ne avete a bizzeffe.

Ora giuro che mi eclisso.









Il nuovo ricordo si manifestò allo stesso modo dei precedenti: inatteso e sviante.

Alex scrutò il corridoio silenzioso comparso davanti a lei, allettante quanto avvilente; la fioca luce delle applique a malapena garantiva una visibilità degna di questo appellativo, proiettando ombre tremolanti lungo i muri. I quadri appesi ridefinivano il concetto di "natura morta" in modo alquanto delizioso.

Non avendo altre alternative o idee migliori su come sforzare il processo, Alex s'incamminò per quella direzione, contando a mente ogni passo al ritmo dell'orologio appeso nelle vicinanze. Di tanto in tanto, tonfi soffocati e scalpitii echeggiavano dal piano superiore, segno che il gioco era già incominciato e lei stava perdendo tempo.

Doveva sbrigarsi.

Era quasi arrivata all'androne quando si rese conto di un dettaglio fuori posto. O meglio, dell'assenza di esso.

La magione era sprofondata nel silenzio più assordante. Niente rimbombi, sussurri o fruscii. Persino i vecchi pendoli sparsi nei vari ambienti non colmavano l'immobilità dell'aria con il loro persistente quanto confortante ticchettio. Alex si bloccò d'istinto, posando una mano sulla parete adiacente per non perdere l'equilibrio. Un brivido le scivolò lungo la schiena, il corpo teso e l'animo carico di aspettativa.

La conta era terminata.

Ignorando l'adrenalina che iniziava a manifestare i suoi effetti indesiderati, fece capolino con la testa, affacciandosi quanto poteva nella sala vuota in cerca di chissà quale apparizione. Non si rese conto che le luci alle sue spalle avevano iniziato a tremolare, per poi spegnersi una a una man mano che l'ombra si avvicinava. Alzò lo sguardo quando qualcuno al piano superiore incominciò a correre in preda al terrore, a giudicare dalla pesantezza con cui i passi rimbombavano nel vuoto.

E poi il buio avvolse ogni cosa.

Alex imprecò.

E lo fece di nuovo, quando fece un passo indietro e urtò qualcosa di non meglio identificato appeso al muro. Fece un respiro profondo e si costrinse a rimanere immobile. La sua vista notturna era proporzionale ai "difetti" della sua retina. Ovvero faceva schifo come quella di tutti i comuni esseri umani. Chi se lo immaginava?

Impiegò qualche momento ad abituarsi al cambio repentino luminosità. Stringendo gli occhi, riuscì quasi a distinguere la sagoma di Christopher in cima allo scalone prima che andasse a sbattere contro il parapetto e iniziasse a piagnucolare. Se i bambini erano abituati a giocare a nascondino in quel modo, la loro dipartita era quasi meritata. Alex sospirò desolata, scrutando il piccolo mentre a tentoni cercava al contempo qualcosa nelle tasche della sua giacca e di mantenere gli occhiali sul naso. Un fruscio, seguito da un piccolo sibilo.

E il fiammifero si accese.

Alex doveva dargliene atto: anche se non era il più interessante dei marmocchi, quanto meno era il più pratico. Non importava se teneva dei fiammiferi con sé perché il buio lo intimoriva ancora nonostante la sua età. Dopotutto era... da solo.

Aggrottò la fronte, comprendendo la sua attuale posizione. Non doveva nemmeno stupirsi del fallimento del loro stupido piano per incastrare i gemelli. Se Christopher era lì, non voleva nemmeno immaginare cosa stessero combinando i suoi amichetti nel frattempo. Ma quando Alex riportò lo sguardo su di lui, indecisa se cercare Jasper, qualcosa nella sua espressione la immobilizzò. Christopher fece qualche passo verso le scale; la tremola fiamma del fiammifero gettava un debole alone aranciato sul suo viso, tanto da permetterle di notare il cipiglio preoccupato oltre le lenti degli occhiali. Qualcosa non andava. Forse si trattava dell'improvviso blackout...

O forse dell'alito di vento che aveva iniziato ad accarezzarle il capo.

Alex non osò alzare gli occhi al soffitto, memore della fine che facevano le vittime di Kayako in circostante fin troppo analoghe. Era stronza, non scema. Sapeva che negli horror c'era una regola non scritta in cui la creatura di turno non poteva farti del male se non c'era contatto visivo. Quantomeno, quel piccolo imprevisto finì com'era iniziato e Alex poté preoccuparsi dei suoi capelli arruffati senza rischiare di morire tra atroci sofferenze. Perché non era lei la vittima.

Qualcuno soffiò sul fiammifero di Christopher e lo spinse con violenza giù dallo scalone: proprio ciò che serviva per dare una svolta alla serata.

Nel silenzio, Alex udì in modo chiaro il corpo del piccolo picchiare contro i gradini, lo schiocco secco delle ossa che si spezzavano e il tonfo sordo con cui terminò la sua caduta. Incapace di muoversi, osservò il punto in cui Christopher doveva essersi accasciato, incurante dell'incapacità di appurare le sue condizioni tramite la vista.

Non dovette attendere molto per il verdetto. La luce ritornò e con essa apparve la figura di Mrs. Pennington in cima allo scalone. Cerea e rigida, la donna lanciò un urlo talmente funesto che Alex se lo sarebbe ricordato per un bel pezzo.

«Signore mio! Christopher!» Si precipitò giù dai gradini, lasciando cadere la candela che reggeva in mano e quasi inciampando nelle sottane dalla foga che l'aveva colta. Si gettò sul pavimento accanto al marmocchio, girandolo con delicatezza sul suo grembo in modo da poter quantificare il danno che aveva riportato e con dolcezza gli scostò i capelli dalla fronte aggrottata dalla sofferenza. Da come il braccio gli pendeva in un angolo innaturale, doveva esserselo rotto nella caduta.

«Non è niente, non è niente» mormorò la donna, cullandolo. «Andrà tutto bene. Starai bene.»

Quando si accorse che Jasper e gli altri bambini erano attorno a lei, sconvolti e confusi, Mrs. Pennington non si fece remore del decoro e urlò contro al giovane, risvegliandolo dalla stasi in cui era caduto. «Presto, va a chiamare le inservienti e il dottor Barnes... Muoviti, Jasper!»

Il ragazzo si riscosse, quasi come se lo avesse schiaffeggiato. Abbandonò a malincuore l'amico e corse verso l'ala della servitù, urlando il nome delle domestiche mentre gli altri circondarono Mrs.Pennington e Christopher, coprendoli alla vista.

Solo Dahlia rimase in disparte. Si chinò, raccogliendo gli occhiali di Christopher dal punto in cui erano scivolati, e se li rigirò tra le dita. Le lenti si erano crepate in numerosi punti.



I successivi ricordi scorsero rapidi e offuscati, zeppi di bambini irrequieti, attacchi d'ansia e altre ricette per un'idilliaca vita famigliare. Christopher rimase un paio di giorni all'ospedale sotto osservazione. Era stato fortunato: la frattura dell'ulna si sarebbe risaldata lentamente, ma la commozione celebrale non aveva avuto alcuna complicazione. Quando ritornò nella magione accompagnato dal dottor Barnes, venne accolto come un eroe e per l'occasione Mrs. Pennington fece preparare una grande torta guarnita con cioccolato e fiori di zucchero per tutti. Dopotutto le carie erano l'ultimo dei loro problemi.

Sebbene fosse stato archiviato come incidente domestico –il bambino a causa del buio non si era accorto del primo scalino e di conseguenza era caduto­– le ripercussioni furono immense. I marmocchi abbandonarono il loro piano, ma ricominciarono a evitare e colpevolizzare i gemelli, che dal canto loro fecero ciò che gli riusciva meglio: restare impassibili. Le condizioni di Mrs. Pennington si aggravarono, divenne sempre più pallida e irrequieta man mano che la pila di documenti e lettere sulla sua scrivania aumentava; come se non bastasse, la servitù iniziò a diminuire per far fronte alle spese sempre più ingenti destinate al mantenimento della tenuta. Il ricovero di Christopher aveva peggiorato la situazione e il quadro completo non era affatto promettente.

La scarsità di manodopera iniziò ben presto a essere evidente.

Alex sbadigliò. Seduta su una poltrona della biblioteca, districò le gambe che aveva incrociato sotto di sé, cercando di mostrare interesse all'ennesima scenetta famigliare. Doveva essere passato poco più di un mese dall'incidente e, avendo introdotto il coprifuoco per impedire altri infortuni, Mrs. Pennington aveva completato la sua trasformazione in madre iperprotettiva e sotto prescrizione di ansiolitici. La donna aveva persino messo sottochiave le armi decorative sparse per la magione e fissato e limato le repliche delle armature medioevali appollaiate fuori dallo studio principale, appartenuto al capostipite Pennington.

Alex li non invidiava per niente. Correre per casa con degli utensili affilati in mano era un buon modo per formarsi e capire se la selezione naturale fosse a proprio favore. Nel suo caso aveva, purtroppo, funzionato. E senza nemmeno un graffio, per quanto riguardava la sua persona.

Scrutò annoiata i mocciosi, disinteressandosi alle turbe emotive di Mrs. Pennington, in quel momento accasciata sul divano centrale con George in grembo, intento a sfogliare un libro di fiabe.

Dalla finestra si udì uno sbuffo carico di frustrazione.

«Quando smetterà di piovere?» bofonchiò Arthur a nessuno in particolare, premendo il viso contro il vetro appannato dal fiato. «Sono due giorni che siamo chiusi qui dentro.»

«Nessuno ti ferma se vuoi prendere una polmonite.»

Arthur si voltò per fulminare con lo sguardo il fratello, impegnato a giocare a carte con Samuel, Ellery e Jasper. Christopher, con il braccio ancora ingessato ricoperto di scarabocchi dall'aspetto sconcertante, si limitava a distribuire i biscotti come se fossero fiches, sgranocchiandone uno mentre osservava gli altri. I libri che avevano selezionato quella sera erano senza dubbio un buon rialzo per il servizio da tè.

«In questo momento ti affogherei nel fango» sibilò il più giovane in risposta, gli occhi castani ridotti a due fessure.

«Non è colpa mia se sei una schiappa a carte» lo rimbeccò Raymond, mentre gli altri ridacchiavano.

«Bambini, non litigate» li rabbonì Mrs. Pennington. Allungo una mano verso la tazza di tè che aveva posato sul tavolino, cercando di nascondere il lieve tremore delle sue dita. «Siamo tutti impensieriti per questo tempaccio. Anche se non c'è nulla di male a crogiolarsi al sicuro dentro il caldo di casa e oziare un po' quando la situazione lo richiede.» Quando la luce del lampadario sfarfallò per un istante, la sua espressione si ombrò.

Alex sprofondò ancora di più nel sofà, facendo mentalmente la conta di tutti gli incidenti domestici che potevano accadere durante un temporale. Non riusciva a decretare quale fosse il suo preferito: la folgorazione in doccia o il crollo del soffitto per la troppa infiltrazione d'umidità nella struttura portante. A giudicare da come la donna si preoccupava per l'impianto elettrico, un incendio poteva essere una valida alternativa. Peccato per la pioggia. Peccato per lei che doveva subirsi un anticlimax simile quando la vicenda iniziava a essere eccitante.

«È comunque noioso» s'impuntò Arthur, incominciando a disegnare sulla condensa con aria afflitta.

Mrs. Pennington sospirò. «Avanti, Arthur. Allontanati dalla finestra prima di prenderti un raffreddore e vieni qui a leggere qualcosa.»

Ma il marmocchio non l'ascoltò. Anzi, dopo una prima esitazione schiacciò di nuovo la faccia sul vetro, come se potesse aiutarlo a migliorare la sua visione dell'esterno.

«Arthur, smettila di fare il moccioso e muoviti!» Jasper tirò fuori la voce da: sono-il-più-grande-obbedisci-o-ti-picchio.

«C'è qualcuno là fuori!»

Alex pregò che fosse l'antenato di Ghostface.

«Buon per lui» commentò Ellery, vincendo la seconda partita di fila, con grande disapprovazione degli altri.

«Vi dico che c'è qualcuno! E sta venendo da questa parte!»

«Sarà solo un'illusione creata dalla pioggia. Nessuno sano di mente si metterebbe in viaggio con questo diluvio.» Mrs. Pennington finì il tè e osservò le lancette dell'orologio, per poi sollevare con dolcezza George dalle sue gambe e sistemarlo sul divano. Emise un debole gemito nell'alzarsi dopo essere rimasta immobile per così tanto tempo. «Forza, iniziate a sistemare i libri e le carte. È arrivata l'ora di prepararsi per andare a letto.»

«Ma vi dico che...» provò di nuovo Arthur.

«Arthur è un bugiardo» cantilenò George, sgraffignando un biscotto.

«Non è vero!»

«Sì, che è vero. Come quando...»

«George, sta zitto!» esclamò Raymond, lanciando una carta sulla fronte del piccolo, che incominciò a frignare.

Dal canto suo, Mrs. Pennington iniziò a massaggiarsi le tempie come se stesse combattendo contro un'emicrania pazzesca, perdendo miseramente. «Jasper, dammi una mano per favore.»

Detto fatto, a Rosso Malpelo bastò una sola occhiata per calmare gli animi. Come piccoli soldatini, i marmocchi iniziarono a rassettare la stanza senza emettere un fiato. Samuel si prodigò di radunare le carte, mentre George e i fratelli Hemsworth intrapresero un'ardua battaglia per far scomparire le briciole degli ultimi dolcetti rimasti, contendendoseli. I gemelli, rimasti fino a quel momento nascosti nell'ombra, riposero con cura i libri, avvicinandosi poi verso la donna. Mrs. Pennington sorrise mentre faceva scivolare le dita tra i capelli neri Dahlia, sistemandole con dolcezza una ciocca dietro l'orecchio. Poco distante, Jasper sobbolliva di rabbia.

Dei colpi poderosi al portone d'ingresso fecero sobbalzare i presenti.

«Ve l'avevo detto» sogghignò Arthur con soddisfazione e parlando con la bocca piena di briciole. Raymond gli diede uno scappellotto sulla nuca.

«Oh, cielo. Chi potrà essere? Bambini, rimanete qui mentre...»

Mrs Pennington non finì nemmeno la frase che i piccoli si erano già lanciati nel corridoio, seguiti da un titubante Christopher che aveva ancora qualche difficoltà nel rimettersi a posto gli occhiali a causa del gesso. A quella visione la donna non riuscì a trattenere un sospiro stanco e si passò una mano sul volto teso. Quando finì di pizzicarsi il setto nasale, si accorse che i gemelli erano rimasti con lei e la stavano osservando in attesa.

«Andiamo» mormorò. Sorrise appena, rendendo più evidenti le piccole rughe che iniziavano a decorarle la pelle e li prese per mano. Alex seguì il terzetto da lontano, ben consapevole di ciò che stava per accadere. Solo un'anima perduta avrebbe potuto chiedere asilo in quella gabbia di bambini pazzi, killer o meno.

Fu allora che capì che cosa intendeva Emily quando cercava di seguire una serie con lei: gli spoiler mitigavano il divertimento. Ma non c'era pericolo se la storia in sé era noiosa già in partenza. Tuttavia di fece un appunto mentale per ogni evenienza.

Miss Meier aveva preceduto il resto degli abitanti della casa. In tenuta da notte con tanto di cuffia, armata di scialle e sguardo rabbioso che ben si associava al suo aspetto da bulldog rugoso, stava conversando con l'avventore ancora sull'uscio. O meglio, gli stava ringhiando contro.

Alle sue spalle, i marmocchi si spingevano l'uno con l'altro cercando di avere una visuale migliore dell'uomo che occupava gran parte dell'entrata. Sebbene l'aspetto intimidatorio e scuro, scrosciante di pioggia che si stava riversando sul pavimento con grande disgusto della governante, non sembravano affatto preoccupati... non tutti almeno.

Alex contò fino a tre, ma non ci fu nessun lampo in lontananza per il gusto del dramma.

«È uno zingaro» bisbigliò George, nascosto dietro la schiena di Jasper mentre scrutava spaventato l'uomo. «Ci mangerà?»

«Si dice rom» puntualizzò Christopher, storcendo il naso nel tentativo di raddrizzare gli occhiali. «E dubito che la loro dieta preveda bambini, seppur paffuti.»

Il diretto interessato parve non sentirli, o non ci fece alcun caso, probabilmente già avvezzo alle più disperate attenzioni. Si tolse il cappello, riversando sulle spalle una matassa umida di riccioli neri così crespi da apparire come un roveto che si confondeva con la barba, anch'essa in pessimo stato.

«Mi rincresce disturbarvi a quest'ora.» Parlava con tono modesto, nonostante il timbro baritonale. La sua pronuncia era ammorbidita da un accento musicale ed esotico appena percettibile nelle consonanti, che arricchiva il suo inglese impeccabile. «So che le circostanze non sono le migliori, ma non conosco la zona e sono stato sorpreso dal maltempo. Vi chiederei la grazia di potermi ospitare solo per questa notte. Non ho molto denaro con me, ma sono pronto a ripagare la vostra generosità.»

Mrs. Pennington, giunta di fianco a Miss Meier, lo scrutò per un istante con curiosità. Fece per rispondergli quando la governante abbaiò: «Non se ne parla.»

«Ma non possiamo farlo viaggiare con questo tempo» intervenne allora la donna con pacatezza, per nulla intimorita dall'aspetto imponente dell'uomo.

Miss Meier si voltò verso di lei, guardandola come se fosse impazzita.

«E poi abbiamo un molte stanze vuote» continuò Mrs. Pennington senza battere ciglio. «Non sarà affatto un disturbo ospitarlo finché la tempesta non sarà passata. Dove avete lasciato la vostra carità cristiana?»

Miss Meier sembrò sul punto di svenire. Le sue guance cadenti persero colorito, mentre si stringeva nello scialle usandolo come scudo. «E lasciare uno sconosciuto con voi e i bambini? È del tutto disdicevole e inappropriato! Oh, se i padroni fossero qui...» piagnucolò.

«Non voglio certo approfittare della vostra ospitalità. Andrà bene anche un piccolo giaciglio vicino a un focolare.» Se possibile, l'uomo sembrò stringere le spalle, come a volersi rimpicciolire. I suoi piccoli occhi neri erano però colmi di un'ingenua gratitudine. Almeno finché la governante riportò su di lui la sua attenzione.

«Quindi non potete dormire come i comuni cristiani?»

«Miss Meier, si controlli!» esclamò indignata Mrs. Pennington. A quel punto la donna sembrò non reggere più la situazione e decise di ritornare nella propria stanza. Se ne andò di gran lena, propinando rimproveri borbottati man mano che si allontanava dal gruppetto ancora fermo sulla soglia. I marmocchi la scrutarono fin troppo compiaciuti dal modo in cui Mrs. Pennington l'aveva liquidata, sebbene non sembravano troppo entusiasti della situazione.

Finalmente sola, Mrs. Pennington si scostò dall'uscio per farlo accomodare. «Prego, entrate pure e toglietevi quegli abiti bagnati. Vedremo di prepararvi una stanzetta nell'ala della servitù. Ecco, date a me...» Aiutò l'uomo a togliersi il logoro cappotto di cuoio e lo appese sull'attaccapanni. Lanciò un'occhiata al pesante zaino che lo straniero aveva posato per terra in una cacofonia di suoni, per poi adocchiare il fango sugli stivali. Vi fu un momento d'imbarazzo.

«Jasper, puoi andare a prendere degli asciugamani puliti in lavanderia?» chiese Mrs. Pennington con voce lieve. Se possibile, il ragazzo le riservò un'espressione più allucinata di quella di Miss Meier.

«Per favore» continuò la donna. «Gli altri invece andranno a prepararvi una stanzetta vicino alle cucine.»

«Perché non lo fa la servitù?» domandò Ellery con visibile confusione.

Mrs. Pennington non si scompose. «Perché è la loro giornata libera. E poi siete sempre pieni di energie, quindi un po' di faccende domestiche non vi faranno male.»

Alex sogghignò nell'osservare i mocciosi lamentarsi e accettare con drammaticità l'ingrato compito, oltre che bisbigliare su possibili furti e rapimenti nel corso della nottata, ma il suo ghigno ebbe breve durata. Non se n'era accorta subito a causa della conversazione tra gli adulti e dal modo in cui si stavano nascondendo dietro le sottane della padrona di casa, eppure i gemelli si stavano comportando in modo strano.

Più che strano sembravano... irrequieti. Spaventati. Era la prima reazione violenta che manifestavano da quando erano arrivati a Pennington Mansion.

Dondolandosi sui talloni, Alex fece un passo verso Dahlia, la cui impassibilità si era incrinata al punto da far intravvedere barlumi di emozioni all'interno dei suoi occhi neri. Dorian, da bravo fratello protettivo, sembrava sul punto di mettersi tra lei e l'estraneo, nonostante fosse ancora stretto alla gonna di Mrs. Pennington, riflesso speculare della gemella.

«Oh, ma dove ho lasciato le buone maniere? Mi rincresce davvero, vi sembrerò una villana. Sono Mrs. Grace Lenne Pennington, ma voi potete chiamarmi Mrs. Pennington. Spero che i miei ragazzi non vi creino troppo disagio. Sono tutti beneducati, ma alle volte hanno un temperamento peperino, soprattutto nei confronti degli estranei.»

Alex distolse lo sguardo, trovando la donna che porgeva una mano verso l'ospite, visibilmente imbarazzato per i suoi vani tentativi di non inzaccherare ancora di più l'ingresso.

Non essendo avvezzo a tali cortesie, l'incertezza dell'uomo si dissolse quando gli sorrise incoraggiante. Il loro contatto durò quanto lo richiedeva l'educazione, eppure l'unione delle loro mani servì a enfatizzare quanto fossero differenti: la carnagione pallida e delicata di Mrs. Pennington scomparve, catturata dalle dita callose e scure dello straniero.

«Thomas Gallivan. Al vostro servizio.»





Gallivan non se ne andò. La tempesta si concluse durante la notte, singhiozzando le ultime gocce fino all'alba e lasciando dietro di sé un manto di foschia che si distese sull'intera città. Non se ne andò nemmeno il giorno seguente, quando le strade erano ancora ricoperte da un viscido strato di fanghiglia e nemmeno il giorno dopo ancora, quando il sole ricomparve timido tra le nubi, asciugando gli ultimi residui di brina.

Dopo una settimana, forse su insistenza di Miss Meier, l'uomo venne spostato nel capanno situato nei pressi del boschetto, logorato da anni di abbandono e intemperie. Alex si stava dirigendo lì, lasciandosi Pennington Mansion alle spalle. Con la coda dell'occhio, studiò l'altalena che l'ospite indesiderato aveva riparato a causa dei danni subiti durante il temporale, rendendola più sicura e resistente. Non solo, a conti fatti l'intera proprietà appariva risanata dalle persistenti lesioni: le porte non stridevano quando usate, i vecchi tavoli avevano smesso di traballare, la lavanderia non era più afflitta dalle perdite e le tegole del tetto erano state riallineate per evitare infiltrazioni. Persino le vetrate sembravano risplendere di vita nuova.

Il verdetto era evidente: Gallivan sarebbe rimasto fintanto che poteva barattare il proprio alloggio col lavoro manuale.

Una volta raggiunta la sua meta, Alex si perse ancora una volta ad ammirare l'incredibile assomiglianza tra quell'uomo e un orso. Un orso all'apparenza innocuo, dato che era impegnato a levigare il legno di un rozzo tavolo con mosse celeri ed esperte. Solo i marmocchi sparsi attorno a lui stonavano nella scena, al punto che ebbe l'impulso di rincorrerli con un badile.

«Sei un ladro?»

Gallivan si fermò. Controllò il pezzo su cui stava lavorando da diverse angolazioni prima di riprendere. La sua risposta fu paziente, controllata. «Quando avevo più o meno la vostra età ero una testa calda. Mi cacciavo in continuazione nei guai e sì, ho rubato in passato, ma non sono un ladro.»

Ellery non sembrava molto entusiasta della risposta. Si voltò verso Jasper, appoggiato di schiena contro la catapecchia con le braccia incrociate e il mento ben alzato.

«Se non sei un ladro che cosa sei allora?» domandò allora il rosso.

«Mi considero un tuttofare. Nella mia carovana mi occupo soprattutto di cavalli e sono un discreto fabbro, piccolo gagé¹» sentenziò imperturbabile l'uomo. Posò la pialla sul barile accanto a lui e si sporse a eliminare i trucioli in eccesso. «Siete soddisfatti o avete altre domande?» sospirò. Per quanto cercasse di apparire padrone di sé, il linguaggio del suo corpo dimostrava il contrario. Quei ragazzini lo intimorivano e Alex non poteva certo biasimarlo.

«Suoni il violino? Ho sentito dire che i rom incantano le persone con la loro musica e le fanno ballare fino allo morte perché suonate la musica del Diavolo.» Arthur sembrava divertito dalla cosa, tanto che si guadagnò parecchie occhiatacce.

«Stai mischiando il folklore irlandese con quello romanì» lo rimbeccò Christopher.

Gallivan si limitò a inarcare un sopracciglio, inerme e confuso nel partecipare a una simile discussione. Certo, aveva avuto la decenza di rispondere a ogni loro più stupida domanda, ma stava raggiungendo il limite. Alzò una mano e la mostrò ai ragazzini. Le sue dita erano tozze, fregiate da molteplici cicatrici e segni di vecchi anelli sulla pelle bruciata dal sole. «Vi sembrano le mani di un violinista? Inoltre vi sono molte leggende in merito, ma consideriamo la nostra musica un dono che Dio ci ha fatto per portare allegria tra i popoli, non del Diavolo suo fratello.»

«Ma il Dio e il Diavolo non sono fratelli» sbottò Raymond, guardando Gallivan come se fosse stupido mentre mangiucchiava una spiga.

«Nella nostra cultura, il bene e il male sono due facce della stessa medaglia.»

«Questo è st...»

«È molto interessante, ma vi sarei grata se lasciaste il povero signor Gallivan lavorare tranquillo, invece di continuare a distrarlo.»

Come colpiti da un fulmine, i marmocchi scattarono sull'attenti, tant'è che nella foga Raymond aspirò la spiga finendo per tossicchiare in modo incontrollabile. Salda davanti a loro, Mrs. Pennington stava scrutando il gruppetto con vivido interesse, le mani giunte in grembo in una posa formale. Rimase in silenzio finché ognuno dei piccoli non riacquistò quel poco decoro che nel corso degli anni era riuscita a impartirli, dopodiché riportò il suo sguardo su Gallivan, intento a darsi goffe manate sulla logora camicia che indossava per eliminare le tracce di segatura.

«Se ha un momento libero, avrei bisogno di discutere con lei alcuni affari nel mio ufficio, signor Gallivan» sentenziò pacata la donna senza alcun segno di aggressività.

«Certamente, Mrs. Pennington. Ripongo gli attrezzi e la raggiungo.»

In risposta, lei gli rivolse un cenno del capo prima di congedarsi. Si voltò per ritornare nella tenuta e solo allora i gemelli furono visibili dietro la sua figura, ancora impegnati a tenerla per le sottane. Il broncio dei marmocchi fu evidente, ma raggiunse nuove vette quando Mrs. Pennington ritorno a rivolgersi a loro: «Invece di bighellonare perché non andate a vedere se Miss Meier ha bisogno di aiuto per la cena?»

E detto ciò prese per mano i gemelli, precedendoli.Tre,

Tre, due, uno...

«È sempre con lei.» Jasper schioccò le labbra in direzione di Dahlia. «Ormai è diventata la sua ombra.»

«Ha occhi solo per loro» sospirò affranto Arthur. A nessuno sfuggì il sorriso che la donna rivolse alla piccola, demolendo il già fragile umore generale.

«Vi sbagliate.»

Si voltarono verso Gallivan. L'uomo era tornato all'interno dell'abituro per deporre la tavola e gli strumenti da lavoro, approfittandone in seguito per recuperare la giacca e lisciarsi alla meglio i capelli ribelli. Mentre disfaceva e sistemava il nodo al fazzoletto che portava al collo, rivolse un'occhiata ai bambini, soppesandoli. «Vuole bene a tutti voi, non lasciatevi ingannare dalla gelosia.»

«E come fai a esserne così sicuro? Tu non sai un bel niente!» sbottò Jasper con foga, le orecchie arrossate per la rabbia.

Gallivan non si scompose. «Perché ha lo sguardo di una madre.»

Ciò sembrò mitigare l'animo dei mocciosi, nonostante la visibile confusione e perplessità nei loro volti improvvisamente vulnerabili.

«Come se potessi fidarmi del tuo giudizio. Dubito persino che tu abbia conosciuto la donna che ti ha generato» continuò a infierire Jasper, questa volta senza avere il coraggio di sostenere lo sguardo dell'uomo.

Gallivan soppesò le sue parole per qualche istante. Allungò una mano, pronto a scompigliare i capelli del giovane, ma si bloccò in tempo. Scosse il capo, avviandosi verso la magione.

«Lo so perché lei non ci ha mai guardato così.»

Fu solo un sussurro appena percettibile, tanto che Alex credette di aver capito male. Riportò la sua attenzione sui marmocchi, ma a giudicare dal loro atteggiamento dubitava avessero udito quell'ammissione. Per quanto la riguardava, poteva bastare per confermare la sua ipotesi.

La sua attenzione fu calamitata dalla tenuta. Le sue dita ebbero un fremito e decise che era ora di lasciare il gruppetto. Le briciole di pane che stava accumulando man mano si stavano trasformando in una fragrante pagnotta, ma era ben consapevole che lì, da qualche parte, una torta attendeva solo di essere divorata. E lei stava incominciando ad avere fame.

Sapeva che non doveva essere ingorda, ma le memorie di quegli umani in miniatura erano troppo caotiche e focalizzate sulla figura di Mrs. Pennington come da manuale di psicologia sotto la dicitura: complesso di edipo. Che fossero affidabili o meno non le importava, in un modo o nell'altro avrebbe ottenuto ciò per cui era stata disposta a lasciare il suo corpo fisico in balia di quegli idioti.

Soprappensiero, entrò nell'abitazione. I piedi la condussero nel prossimo ricordo, offerto da George e Samuel, nascosti dietro la porta dello studio di Mrs. Pennington. Non che servisse a qualcosa origliare: la possente voce di Miss Meier era udibile anche a distanza e un muro non avrebbe potuto contenere la sua collera.

«Tre generazioni. In questa casa ho assistito e allevato tre generazioni di Pennington e mai ho dovuto assistere a un tale scempio! Cosa direbbero i Signori? Cosa?»

«Non saprei» rispose con semplicità Mrs. Pennington. «Dato che sono morti o dall'altra parte del paese dubito lo scopriremo mai. E dubito anche che darebbe peso a questa faccenda dato che hanno preferito abbandonare la loro nuora.»

La governate emise un verso strozzato. Vi fu una pausa così lunga che Alex credette che la donna avesse raggiuto i suoi datori di lavoro tramite un attacco cardiaco fulminante.

«Piccola ingrata. Solo perché avete acquisito il cognome dei Signori vi sentite in dovere di comportarvi come se foste la padrona di questa dimora, ma vi sbagliate! Dio solo sapeva a cosa pensava il signorino Nicholas quando vi ha sposata.»

«A questo punto direi ai soldi della mia dote. No, Miss Meier, non guardatemi così. Rispetto voi e le vostre competenze, oltre alla lealtà che vi lega a questa famiglia. Tuttavia, la realtà dei fatti è ben diversa da quella che vi ostinate a ricordare. Mio marito, che riposi in pace, mi ha lasciato una dimora schiacciata dai debiti e a meno che non desideriate trovare una nuova mansione alla vostra età, vi consiglio di lasciarmi operare come meglio credo.»

Passi pesanti riecheggiarono nell'aria, accompagnati da un fruscio di gonne. «Non posso crederci! Mi rifiuto! Potevo capire l'idea di un collegio per bambini, ma questo? Volete strapparci anche l'ultimo briciolo di dignità che c'è rimasta? Quell'essere se ne deve andare! Non vedete la lordura che porta con sé? Non è sicuro!»

Alex udì un respiro sofferto. «Dato che Mr. Gallivan sta per arrivare, potete avere la compiacenza di abbassare la voce?»

Come per sfida, Miss Meier aumentò il tono già alto senza pensarci due volte. «Meglio che mi senta, così capirà che non è benvoluto! Doveva restare per una notte! Una notte di troppo, si intende, ma ormai è già trascorsa una settimana!»

Mrs. Pennington sospirò nuovamente. Incredibile come avesse mantenuto la calma fino a quel momento. «Posso comprendere il vostro disagio, ma intendo discutere con lui anche di questo argomento quando arriverà. E posso garantirvi che, per quanto grosso sia, dubito vi sfiorerà mai con un dito data l'aggressività che dimostrate nei suoi confronti. Motivo per cui non avete nulla da temere.»

«Oh, ragazzina, io non temo per la mia incolumità» sbuffò Miss Meier con tono tutt'altro che rassicurante. Altra pausa. «Vado a prepararvi la medicina. Quando torno voglio conoscere il giorno in cui se ne andrà.»

Detto questo, la governante spalancò la porta dello studio quasi colpendo il naso di George e marciò impettita nel corridoio giusto in tempo per incrociare la figura mastodontica di Gallivan. Mrs. Pennington ci aveva visto giusto; l'occhiata che Miss Meier riservò all'uomo fu così gelida che Gallivan si scostò, schiacciandosi contro il muro per farla passare e chinando il capo come se fosse davvero colpevole di qualcosa, ad eccezione delle sue origini. Il colpo di grazia arrivò assieme al fazzoletto che la donna si sventolò davanti al viso nell'atto di dissipare un odore sgradevole.

Alex non si stupì di tale scena: decenni di lotte civili e distruzioni di film col politically correct e l'umanità non aveva ancora fatto alcun passo per migliorare la propria condizione di primate ignorante.

Ma al momento non le importava granché dei diritti di un morto.

Gallivan bussò con delicatezza sull'uscio, ignorando i piccoli impiccioni ancora rannicchiati nel loro improponibile nascondiglio. Attese fin quando Mrs. Pennington non lo invitò a entrare. Accompagnò la porta con una mano mentre accedeva nello studio, ma non la chiuse del tutto. Sarà stato un caso o un atto di benevolenza nei confronti dei bambini, dimostrando loro che non aveva nulla da nascondere, ma Alex non si arrovellò per questo. Si piazzò davanti allo spiraglio, cercando di ignorare la vicinanza con i marmocchi, divenuti sempre più numerosi. Jasper e i fratelli si erano avvicinati in fretta, cercando senza troppo successo di non rivelare la loro presenza. Cosa alquanto ridicola visto che ora si spintonavano per accaparrarsi la visuale migliore di ciò che stava accadendo nella stanza.

Mrs. Pennington non si alzò dalla poltrona. Rivolse uno sorriso cordiale a Gallivan, ma i suoi occhi rimasero fermi e impassibili. Alzò un braccio, indicando la sedia alle spalle dell'uomo.

«Prego, si accomodi. Le prometto di non rubarle troppo tempo.»

Gallivan scosse il capo, contemplando per un istante le proprie calzature logore e rassettate alla meglio. «Preferisco stare in piedi.»

L'espressione di Mrs. Pennington si affievolì, lasciando intravvedere una sfumatura di velata pietà. Non dovette nemmeno sforzarsi di capire qual era il problema. «Non dovete preoccuparvi di Miss Meier. I suoi modi saranno antiquati e bruschi, ma è innocua. Come si dice: can che abbaia non morde.»

«Mi permetto di dissentire. Ho conosciuto molti cani capaci di fare entrambe le cose» sentenziò l'uomo con cinismo. Forse troppo dato che strinse subito le labbra quando si rese conto di ciò che aveva detto.

Nella stanza scese un silenzio opprimente, nel quale i due alternavano sguardi ai pochi mobili che decoravano lo studio. Fu Gallivan a riprendere la parola per primo. «Ma non mi avete convocato per parlare del comportamento "canino"... Non vi preoccupate, non ci vorrà molto a radunare i miei averi. Prima però vorrei...»

«Non vi sto cacciando, se è questo che temete» lo interruppe Mrs. Pennington, alzando una mano. «Siete un ospite, potete andarvene quando volete. Volevo solo farvi presente che so chi siete e perché siete qui.»

E questa confessione fu peggio di un fulmine a ciel sereno.

Gallivan perse l'imbarazzo e la remissività che aveva dimostrato da quando era arrivato sulla soglia di Pennington Mansion. Il suo sguardo si fece più acuto, il corpo teso e pronto a scattare secondo i dettami dell'istinto di sopravvivenza. Tuttavia, Mrs. Pennington rimase calma e controllata, ignorando la belva che le era apparsa dinanzi.

«E vi confido che sono d'accordo con voi e non posso impedirvelo» continuò con voce ferma. «Ma non sono dalla vostra parte.»

A quel punto la rigidità che aveva ghermito le spalle dell'uomo si era sciolta, sebbene fosse ancora guardingo. «Posso assicurarvi che non ho cattive attenzioni» ammise.

Mrs. Pennington annuì. «Ne sono sicura, ma ve lo dico chiaramente: questi bambini sono la mia vita. E farei qualsiasi cosa per loro, per cui...»

«Allora abbiate più cura di voi stessa.»

La donna s'interruppe, incredula. Sbatté le palpebre un paio di volte, socchiudendo la bocca per minimizzare la sua sorpresa. «Come?»

Gallivan si avvicinò di un passo, mantenendo comunque una distanza tale da non far sentire la sua ospite minacciata. «Con tutto il dovuto rispetto per la vostra persona, avete un aspetto orribile. E questo i bambini lo percepiscono. Si preoccupano per voi. E stanno diventando fin troppo suscettibili alla vostra condizione. State facendo del vostro meglio per non far ricadere su di loro il peso che vi affligge, ma ormai non potete più nasconderglielo. Sono più svegli di quanto crediate e...»

Si azzittì, distogliendo lo sguardo.

Mrs. Pennington alzò il volto verso il soffitto nel fallimentare tentativo di combattere contro le lacrime che le scivolavano lungo le guance. Si morse l'interno della guancia, chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.

«Lo so» ammise con voce flebile. «Lo so bene. Ed è per questo che, nonostante tutto, non vi ho ancora cacciato come vorrebbe Miss Meier.» Si passò la lingua sulle labbra secche, combattuta e provata, cercando di arginare ancora la tempesta che imperversava dentro di lei. Dopo qualche momento, tornò a osservare Gallivan, incurante del fatto che lui non la ricambiasse ancora.

«Sono ammalata» esclamò più a se stessa che al suo ospite. «E ormai non ce la faccio... Non ce la faccio più. Sono sola e stanca e ho paura di perderli. Non voglio perderli. Loro...» un singhiozzo le strinse la gola. «Loro hanno bisogno di me. Io ho bisogno di loro. Siamo una famiglia, più di quanto siano le loro e...»

Trattenne il fiato quando Gallivan le coprì le mani con le sue in un gesto goffo.

«Per questo dovete prendervi cura di voi stessa. Non rimarrò ancora a lungo, giusto il tempo di accertarmi che vada tutto bene e che siano al sicuro. Mi dispiace di non avervi detto da subito la verità, ma non sapevo se vi sareste opposta. Potete ben immaginare perché» esclamò, indicando la propria figura e strappando un sorriso alla donna. «Nel mentre mi occuperò dei lavori di restauro in cambio di vitto e alloggio come abbiamo concordato.»

«Devo ancora capire se siete una benedizione o una maledizione» sospirò Mrs. Pennington, riprendendo il controllo di sé.

«Se può consolarvi non lo so nemmeno io.» Gallivan alzò le spalle con indifferenza.

Nel frattempo, Alex stava mormorando tra sé e sé, calcolando e ragionando, sbrogliando un altro nodo della matassa. Non fece caso alla reazione dei marmocchi accanto a sé, né alle lacrime silenziose di Jasper. Nessuno osò prenderlo in giro. Il senso di smarrimento era comune, proprio come la paura. Si osservarono l'un l'altro, annuendo grevi come se di comune accordo avessero già in mente un piano già fallimentare in partenza. Jasper si asciugò il viso sulla manica della camicia e fece cenno agli altri di seguirlo per discutere su quanto avevano scoperto. Alex li lasciò andare, restando da sola con George nel corridoio, rimasto di vedetta.

«Vi chiedo un unico favore» finì Gallivan, dirigendosi verso l'uscio. «Vi prego di non rivelare ai bambini ciò che avete scoperto.»

Mrs. Pennington si alzò con qualche difficoltà dalla poltrona, seguendolo. «Ne siete certo? Per quanto sia più semplice per me ignorare tutto ciò rimane comunque un loro diritto.»

Gallivan annuì. «Sì, credo sia meglio così. Come vi ho detto sono solo di passaggio.»

La donna parve rimuginare su tutto ciò per qualche istante, dopodiché acconsentì con un cenno del capo. «Venite, vi scorto all'entrata. Dio non voglia che Miss Meier scelga questo momento per tendervi un'imboscata.»

L'espressione di Gallivan si aggrottò così tanto da risultare comica. «Non avete di che preoccuparvi, sarà troppo occupata ad arieggiare la tenuta per avvicinarsi a me.»

Nonostante la confusione, Mrs. Pennington affiancò l'uomo e insieme si incamminarono lungo il corridoio. A vederli così vicini, la differenza di ceto sociale che li divideva era più sconfinata dell'oceano. Alex aspettò che George si alzasse e li seguisse prima di imitarlo a sua volta. Libertà di movimento o meno, non doveva scordarsi che quella che stava vedendo era una ricostruzione composta dai ricordi combinati dei marmocchi. Se non prestava attenzione alle sue mosse rischiava di ritrovarsi in un vicolo cieco e ciò le avrebbe fatto perdere fin troppo tempo prezioso.

Lasciò George con la faccia infilata nel corrimano e scese lo scalone.

Mrs. Pennington aveva appena messo alla porta Gallivan, ma invece di tornare nello studio e attendere Miss Meier stava temporeggiando nell'androne. Fece qualche passo sovrappensiero, fermandosi sotto il quadro che aveva commissionato non molto tempo prima. Alex seguì il suo sguardo, scrutando a sua volta il ritratto di famiglia di lei e i marmocchi. A differenza di quello a cui era abituata, i colori del dipinto erano vibranti e lucidi per lo strato di vernice finale che ricopriva la tela. Sebbene preferisse la versione vintage e horror del suo tempo, Alex dovette ammettere che era un'opera di tutto rispetto. E a giudicare da come Mrs. Pennington lo stava fissando, doveva rappresentare qualcosa di davvero speciale.

La donna tirò fuori dal colletto della blusa il ciondolo che Dahlia le aveva regalato, rigirandolo tra le dita con gesti divenuti ormai meccanici. Chiuse gli occhi, respirando a fondo e cercando di racimolare la forza necessaria per affrontare la governante, ma quando si voltò per ritornare sui suoi passi sussultò bruscamente.

«Piccoli, mi avete spaventata» esclamò, portandosi una mano al petto e nel notare i gemelli comparsi alle sue spalle senza che se ne accorgesse. «Avete bisogno di qualcosa?»

Dahlia e Dorian rimasero in silenzio. Si osservarono l'un l'altra e se ne andarono, lasciando Mrs. Pennington confusa. «Che strano...»

«Che ci fate in mezzo all'androne? Spero per voi che abbiate cacciato quel losco individuo una volta per tutte.»

Mrs. Pennington sussultò di nuovo, questa volta a causa dell'apparizione improvvisa di Miss Meier, che tra le mani teneva un piccolo vassoio con sopra un bicchiere colmo di una sostanza lattiginosa.

«Non ancora, ma...»

«Santo Iddio!»

«Miss Meier, capisco il vostro astio» incominciò Mrs. Pennington, ma la governante la bloccò con urgenza.

«Per quanto tempo ancora intendete continuare a sforzarvi in questo modo? Forza, venite nel salottino, avete bisogno di stendervi un momento. Ma non pensiate che la discussione sia finita qui. Nossignore, appena starete meglio vi striglierò a dovere!» E detto questo incominciò a spingerla per il corridoio adiacente, ignorando la confusione sempre più evidente della donna.

Almeno finché non si portò una mano sul viso.

Quando la ritrasse le sue dita erano macchiate di sangue.





¹ Persona non che non appartiene alla stirpe romanì.

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