21.2 La casa per bambini quasi normali di Mrs. Pennington
«Che cosa significa tutto ciò?»
Alex sollevò lo sguardo nell'udire quella domanda. Smise di intorcinare la catenina del ciondolo tra le dita e accantonò le supposizioni in elaborazione nella sua mente in un angolino, lasciandole in standby. Impiegò qualche istante a mettere a fuoco la scena che si stava compiendo davanti a lei, troppo assorta per decretarla di qualche utilità, sebbene fosse consapevole della vitale importanza di ogni più piccolo particolare. Malvolentieri, incrociò le braccia al petto, spostando il peso da una gamba all'altra mentre si raddrizzava; appoggiata contro la libreria dello studio di Mrs.Pennington, poteva ben intuire su cosa vertesse quella spiacevole conversazione.
Così come la donna, a giudicare da come si fingeva concentrata sui documenti che stava finendo di compilare. Jasper era dall'altra parte della massiccia scrivania, lo sguardo contrito e la mascella serrata. Osservava la Mrs. Pennington con un misto di rabbia e delusione, il senso di tradimento ben visibile sul suo volto. Dopo qualche momento di opprimente silenzio, pestò per terra.
«Allora?»
La penna mise di strusciare sulla carta. Mrs. Pennington emise un lieve sospiro e si rassegnò all'inevitabile. Accantonò i fogli, posando le mani delicate sopra il ripiano lucido e sostenne lo sguardo del bambino. Parlò con tono calmo. «Esattamente ciò che ho detto, Jasper. Dahlia e Dorian Reynor rimarranno con noi.»
«Perché? Avevate detto che non avreste più accettato iscrizioni» rimbeccò Jasper.
«Infatti.» Pausa. «Ma loro sono un caso speciale.»
A quel punto le labbra già sottili del marmocchio si assottigliarono fino a scomparire in una linea dura e le punte delle sue orecchie arrossarono. Attese qualche istante, per poi mormorare deluso: «È tutto quello che avete da dire?»
«Non ti devo alcuna spiegazione sulle mie decisioni, Jasper» sentenziò Mrs. Pennington, raggruppando i documenti e tamburellandoli sulla scrivania per allinearli. «Inoltre dovresti esserne lieto. L'arrivo di quei poveri bambini ha decretato la fine dei miei progetti per vendere la magione. Rimarremo qui, con tutto ciò che ne comporta.»
Il marmocchio tentennò, cercando di mitigare la propria soddisfazione a quella scoperta. Ma se la sua grande paura era stata eliminata, un'altra stava iniziando a far capolino nella sua mente. Scosse il capo. «E che mi dite dei nostri genitori? Non credo saranno contenti di sapere che studiamo in compagnia di una bambina. Non è appropriato!»
Mrs. Pennington sospirò, massaggiandosi le tempie. Un boccolo biondo le sfuggì dallo chignon e con un gesto distratto lo infilò dietro l'orecchio. Lanciò un ultimo sguardo sbrigativo a Jasper. «Non preoccuparti di questo. Li informerò personalmente della situazione. Ora torna dagli altri. Mi aspetto che tu faccia loro da buon esempio, Jasper, come sempre. Sai che si fidano di te ed essendo il più grande la tua opinione è essenziale. Ti supplico quindi di trattare i nuovi arrivati con cortesia e pazienza. Ne hanno davvero bisogno...» La voce della donna si spense in una nota angosciata. Arricciò le labbra e scosse lievemente il capo. «Cerca di farli ambientare e di inserirli nel gruppo, per favore.»
Un'esclamazione saccente fuoriuscì dalle labbra del ragazzino mentre si dirigeva verso la porta. «Dopo quello che è successo nell'androne dovrebbe pregare loro, non me.»
Mrs Pennington gli rivolse un triste sorriso, ma il marmoccio era già arrivato sull'uscio. Quando aprì la porta, Alex si stiracchiò, seguendolo docile prima che quel ricordo svanisse. Osò dare un'ultima occhiata alla donna, concentrandosi poi sul giornale sciupato abbandonato in un angolo della scrivania, quasi nascosto dalle cartelle. Nonostante la data impressa fosse di diversi giorni fa, non l'aveva ancora buttato.
DELITTO A CASA REYNOR
Tragico omicidio-suicidio compiuto dal signor Reynor ieri sera verso le 23 nell'abitazione di famiglia ai danni della moglie. Ancora incerti i motivi di tale gesto.
A seguire gli ultimi risvolti delle indagini.
Sotto la testata del giornale e i titoli, la foto di Dahlia spiccava in un'angosciante testimonianza. Seppur in bianco e nero, il sangue che aveva sulle mani e i vestiti era fin troppo vivido.
Una volta uscita dallo studio, Alex si tenne a debita distanza dalla proiezione di Jasper.
I suoi passi echeggiavano nei corridoi vuoti della magione, dando ritmo alle sue riflessioni. Non si domandò dove fossero finiti i marmocchi -quelli morti- , né provò a richiamarli per una consulenza, ben consapevole del fatto che non l'avrebbero degnata di alcuna risposta. Non sapeva se li avesse offesi al punto da indurli ad abbandonarla nella sua ricerca o semplicemente non se la sentivano di rivivere quei momenti; e non gliene importava alcunché a dire il vero.
Era rimasta sola.
E finalmente aveva un momento di pace per rifinire le proprie supposizioni.
Si soffermò accanto a una finestra che dava sul giardino, appoggiando la guancia al vetro mentre il suo sguardo scivolava verso i confini della tenuta. Quello che Jasper aveva detto alla donna non era del tutto sbagliato. I marmocchi si erano comportati egregiamente, sfidando ogni sua previsione. E bisognava dargliene atto: non si erano lasciati intimidire dalla tetra apparenza dei gemelli. Superato il primo momento d'incertezza e disagio, avevano incominciato a elencare i loro nomi e a tempestare di domande i nuovi arrivati, soprattutto George, il quale aveva dimostrato una particolare curiosità verso l'orsacchiotto che Dahlia stringeva tra le braccia.
A quel pensiero, un lieve sorriso le curvò le labbra. Per quanti decenni fossero trascorsi, la bruttezza di quel pupazzo era rimasta immutata.
Eppure... i gemelli non avevano accennato al benché minimo coinvolgimento.
Erano rimasti in silenzio, mano nella mano, osservando passivi i bambini davanti a loro. Non si erano presentati, né avevano provato a instaurare un contatto: si erano lasciati guidare per la dimora senza dimostrare alcuna emozione, finché Mrs. Pennington non li aveva accompagnati nella camera che aveva fatto allestire appositamente per loro. I marmocchi erano rimasti straniti da quel comportamento, quasi delusi, ma non sembravano averla presa sul personale. Almeno per il momento.
Tutto stava procedendo come previsto.
Alex passò una mano lungo il vetro con un gesto deciso, eliminando il sottile strato di condensa che nel frattempo vi si era formato. Non si stupì d'incrociare lo sguardo oscuro di Dahlia, in piedi nel giardino sottostante, il collo inclinato nella sua direzione. Alex non sussultò, né indietreggiò; continuò a sostenere l'occhiata indagatrice della piccola finché non ne ebbe abbastanza. Si voltò, dirigendosi verso il piano inferiore, pronta per il prossimo ricordo.
Aveva fornito una risposta al "perché?" che le ronzava nella mente. Ora doveva trovare quella del "come?".
La presenza nascosta alle sue spalle la scrutò nell'ombra finché non raggiunse le scale.
Dopo un attimo di smarrimento, in cui Alex non volle prendere in considerazione l'idea di essersi persa, ritrovò l'allegra combriccola nel salotto. Salotto che non era poi così diverso dal suo tempo, se non si contavano le aggiunte di pessimo gusto fatte da Ren e compagnia. Nel suo aspetto ordinario, la sala aveva un tocco caldo e rassicurante; il divano e le poltroncine straripavano di cuscini ricamati, il fuoco scoppiettava allegro nel caminetto e sul tavolino era disposto un vassoio d'argento carico di tazze colme di latte fumante accompagnate da biscotti alla cannella.
Alex provò a prenderne uno, invano.
Mrs. Pennington era accomodata sulla poltrona accanto al focolare, lo sguardo concentrato sui gemelli che si erano disposti attorno a esso. Appariva malinconica, come se avesse finito le idee per coinvolgere i due bambini nelle attività di gruppo, ma non per questo sconfitta. Posò la tazza di tè che teneva in grembo sul vassoio accanto a lei, richiamando i ragazzi con un semplice battito di mani.
«Forza, direi che ormai avete digerito la cena da un pezzo» sentenziò allegra, per poi rivolgersi ai gemelli con un gran sorriso mentre gli altri marmocchi si sedevano sul tappeto. «Dovete sapere che qui abbiamo una strana abitudine prima di andare a dormire: ogni giorno della settimana ha il suo gioco prediletto, eccetto il mercoledì e il sabato che su gran richiesta dei bambini sono dediti a nascondino» spiegò affabile, allungando una mano verso gli scaffali colmi di libri situati dall'altra parte della stanza. «Oggi, per esempio, tocca alla lettura di gruppo. Vi andrebbe di scegliere voi la storia da leggere questa sera?»
«In realtà era arrivato il mio turno» intervenne Christopher imbronciato, lo sguardo fisso sull'imponente volume che già reggeva faticosamente tra le braccia mentre si avvicinava a lei.
Mrs. Pennington parve presa in contropiede, ma non demorse. Risolve al giovane un sorriso di scuse, prendendosi un istante per raddrizzargli gli occhiali sul naso. Gli diede un buffetto affettuoso. «Ti prometto che sarà per la prossima volta. Va bene?»
Christopher non sembrò affatto convinto. Il suo sguardo scivolò su Jasper, stravaccato sul divano con la bocca piena di biscotti e l'aria stizzita, proseguendo sui gemelli prima di ritornare sulla donna. Strinse le labbra, ma poi annuì, allontanandosi per rimettere a posto il volume con grande sollievo di Raymond e Arthur. Anche Mrs. Pennington parve sollevata, tornando a scrutare i gemelli in attesa di un loro riscontro.
Dapprima rimasero immobili, lo sguardo perso verso chissà quali pensieri, ma poi, contro ogni pronostico, Dorian annuì. Fu Dahlia a lasciare la mano del gemello e a dirigersi con passo incerto verso la selezione di volumi, facendo crescere nella donna la speranza di vederli uscire pian piano dal loro guscio. Quando Dahlia ritornò porgendole il candidato da lei scelto, Mrs. Pennington dovette sforzarsi di non apparire sorpresa.
«La Tempesta di Shakespeare» citò. «Una scelta curiosa, grazie Dahlia.» Ma la bambina non le rispose, tornando immediatamente a sedersi accanto alla sua metà e ignorando le lamentele degli altri ragazzi.
«Avanti, non fate così» li spronò lei, allungandosi per scompigliare i capelli al piccolo George, disgustosamente ricoperto di briciole. «Che ne dite se ci dividiamo le parti? Oppure dovrò essere io, come sempre, a fare le imitazioni» terminò in tono melodrammatico.
Quella dichiarazione sembrò infastidire i marmocchi ancora di più. Alex non poté evitare di sogghignare, chiedendosi se la donna fosse davvero così pessima da costringerli ad assecondarla. Tuttavia, quando riportò lo sguardo su di lei, la trovò ancora intenta a osservare i gemelli. O meglio, le fiamme. Stranita, fece un passo nella sua direzione non appena si chinò sempre più verso il camino, seguendo l'esempio dei due bambini. Dorian allungò una mano verso il fuoco e lei fece altrettanto.
In quel momento un ceppo scoppiettò, riscuotendo la donna che si guardò attorno confusa. Non si accorse di Alex, protesa verso di lei con una certa urgenza, e tornò a occuparsi dei suoi bambini, intenti a litigare su chi dovesse interpretare Ferdinando, dato che le era stata affibbiata la parte di Miranda senza alcuna possibilità di appello.
Alex si tranquillizzò, ma non smise di studiare i gemelli, ignorando la scena che a poco a poco mutava, trasformandosi in una memoria differente.
Si ritrovò nuovamente all'esterno. Doveva essere trascorso diverso tempo dal loro arrivo a Pennington Mansion, eppure le dinamiche di gruppo non sembravano affatto mutate. Mentre i ragazzi giocavano a pallone nelle vicinanze, Dahlia e Dorian se ne stavano seduti sotto al melo, l'orsacchiotto tra di loro, intenti a condividere lo stesso libro. A dire la verità, Alex doveva ammettere che grazie alle cure di Mrs. Pennington apparivano più rilassati e in forze. Non che la loro aria lugubre fosse svanita, sia chiaro, ma nel vederli in quello stato nessuno avrebbe potuto scambiarli per dei sociopatici in erba. Avevano persino ripreso colore sulle guance.
Fece per avvicinarsi, ma fu battuta sul tempo da Ellery, che reggeva la palla sottobraccio. Ignorò Dahlia, rivolgendosi soltanto a Dorian.
«Abbiamo bisogno di un altro giocatore. Vuoi unirti a noi?»
A giudicare dal tono monocorde con cui lo domandò, non doveva essere la prima volta che i ragazzi provavano a instaurare un contatto con lui, forse su insistenza della stessa Mrs. Pennington. Malgrado ciò, Ellery rimase impassibile quando il giovane si voltò verso la sorella invece di rispondergli spontaneamente, come se attendesse il suo consenso. Dopo una lieve esitazione, infatti, Dahlia annuì, lasciando che Dorian si allontanasse da lei per seguire il marmocchio.
A quel punto la bambina chiuse il libro, forse per continuarlo con il gemello in un secondo momento, e cominciò a strappare alcuni steli d'erba. Ebbe solo un tentennamento. Non appena riportò lo sguardo in direzione dei ragazzi, in quel momento intenti a spiegare a Dorian le regole del gioco e le squadre, socchiuse appena le labbra. Incominciò a intrecciare il suo raccolto. Quasi con ostinazione, a giudicare dai suoi gesti bruschi.
Alex inclinò il capo, assorta.
Non seppe perché, ma nel vederla in quello stato provò una sorta di pena nei suoi confronti. La distanza tra lei e gli altri bambini era innegabile, ma l'assenza Dorian rendeva la solitudine che la circondava più evidente che mai. Nessun bambino avrebbe mai dovuto provare un tale abbandono...
Non appena si rese conto di quei pensieri, rabbrividì.
Scosse la testa, tornando a scrutare la scena con rinnovata freddezza. Era una semplice osservatrice. Inquinare quelle prove con la più piccola opinione o favoritismo era il peggior errore che potesse commettere. Doveva rimanere neutrale, osservare i fatti e lasciare da parte gli inutili sentimentalismi che più si addicevano ai suoi sfortunati compagni di sventure.
Nessuno era più adatto di lei per quel compito. Se non si contava tutta la questione della proiezione astrale... ovvio.
Così presa dai suoi pensieri, Alex si accorse solo all'ultimo di due dettagli: il dolce mormorio prodotto da Dahlia e l'arrivo di Mrs. Pennington sulla scena. La donna doveva essere sopraggiunta dal suo ufficio, dato che in mano reggeva una lettera aperta che prontamente infilò in una delle tasche del grembiule.
«È davvero un bel motivo. Ricorda quasi una nenia. Come si chiama?» le domandò cordiale. Ebbe l'impulso di sedersi accanto a lei, ma si bloccò, forse per non mettere a disagio la piccola. Cosa che, in effetti, fece quella domanda.
Dahlia si portò le ginocchia al petto, facendo dondolare tra le dita il braccialetto che aveva appena creato.
«Ti chiedo scusa» esclamò subito Mrs. Pennington, vedendola in difficoltà. «Ero semplicemente curiosa. Sai, non è la prima volta che ti sento intonarlo, per cui...»
«La mamma lo cantava spesso.»
Udire la voce di Dahlia dopo tutto quel tempo fu come ricevere una scarica elettrica: inaspettata e irradiante.
«Però non conosco le parole. Solo la melodia» continuò la bambina in un sussurro, come se si vergognasse.
«Un vero peccato» decretò meditabonda Mrs. Pennington, sollevando gli occhi verso il cielo terso. Finché non batté un pugno sulla mano come se avesse avuto un lampo di genio.
«Ho avuto un'idea! Sai per caso suonare il piano, piccolina?»
Dahlia osservò la donna con un misto di dubbio e interesse. Scosse il capo.
«Perfetto, vieni con me» la incoraggiò Mrs. Pennington. Si chinò verso di lei, offrendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
La bambina guardò incerta quel gesto di pace, spostando poi lo sguardo verso gli altri ragazzi alla ricerca del gemello. Intuendo che cosa le stava passando per la testa, Mrs. Pennington le rivolse un gran sorriso rassicurante.
«Non preoccuparti, l'aula di musica è proprio qui vicino, vedi?» le indicò con precisione il punto esatto dove era situata la stanza. «Si affaccia pure sul giardino, per cui potrai tenere d'occhio tuo fratello per tutto il tempo. Che ne dici? Sarà molto meglio che startene seduta qui da sola tutto il pomeriggio e poi c'è davvero bisogno di spolverare quei poveri strumenti. Purtroppo nessuno dei ragazzi eccelle in musica e continuando di questo passo l'aula finirà presto sommersa dalle ragnatele.»
La bocca di Dahlia ebbe un leggero spasmo nell'udire il tono melodrammatico che la donna era solita usare quando voleva spronare i suoi alunni a fare qualcosa, ma ottenne il risultato sperato. Dopo un ultimo tentennamento, la piccola posò la mano su quella della donna e si alzò. Raccolse il libro e l'orsacchiotto, seguendola docile verso la dimora. Alex fece altrettanto.
«Mia madre era solita farmi esercitare ogni pomeriggio, ma ammetto di non aver mai soddisfatto le sue aspettative» stava raccontando Mrs. Pennington. «Tuttavia, sono certa di poterti insegnare le nozioni basilari, così potremmo arrangiare la canzone della tua mamma, che ne dici? Sarà un bel modo per ricordarla.»
Dahlia abbassò il capo, ma nonostante tutto Alex riuscì a sentire la sua risposta. «Sì, lo credo anch'io.»
In quel momento il ricordo sfumò, protraendosi nel tempo. Alex rimase in piedi davanti alla finestra dell'aula di musica, osservando come, giorno dopo giorno, Mrs. Pennington istruiva la piccola sui rudimenti del pianoforte durante le pause gioco. Le ci vollero un paio di giorni per riuscire a eseguire le scale musicali senza troppi intoppi. Il timbro era ancora incerto e la parafrasi poco chiara, soprattutto quando provò successivamente a esercitarsi con dei piccoli componimenti, ma la sua insegnante rimase paziente e concentrata per tutto il tempo. Poco alla volta, anche i ragazzi iniziarono a interrompere le loro partite per curiosare su ciò che le due stavano combinando alle loro spalle. Inizialmente liquidarono quasi subito il loro interesse, dato che Dahlia ripeteva gli stessi semplici esercizi innumerevoli volte, ma man mano che la sua confidenza con lo strumento aumentava, il loro coinvolgimento crebbe di conseguenza. Persino Alex incominciò a muovere appena le dita, gli occhi chiusi, seguendo il suo ritmo. E fu proprio in quell'aula che, dopo settimane di silenzi e solitudine, Dahlia sorrise per la prima volta.
Senza accorgersene, Alex si ritrovò a sorriderle di rimando.
Una volta che Mrs. Pennington la decretò pronta, organizzò un piccolo concerto per tutti gli abitanti della magione. Dahlia non eseguì la melodia trascritta dalla ninnananna della madre, dato che aveva da poco iniziato a lavorarci, ma si esibì in una discreta riproduzione di Für Elise. Mrs. Pennington, la governante e gli inservienti ne furono entusiasti, mentre i ragazzi applaudirono poco convinti. Non che Alex avesse qualche dubbio riguardo la loro conoscenza musicale, ma rimase stranita quando la piccola trattenne la donna per rimanere qualche momento da sola con lei.
Mentre gli altri si dirigevano verso la sala da pranzo, Dahlia portò le mani al collo per sfilarsi il pendente che fino a quel momento aveva nascosto sotto i vestiti. Era un semplice monile di rame dalla forma ovale, per nulla di valore se non si considerava quello affettivo. Mrs. Pennington la scrutò, incerta se accettare o meno quel pegno così importante per la piccola, ma alla fine capitolò vista la sua insistenza. Si abbassò, in modo che Dahlia potesse metterglielo al collo, non riuscendo a nascondere la sua commozione. D'istinto l'abbracciò, incurante del fatto che Dorian le stesse osservando di nascosto dall'uscio.
Da quel momento in poi, i gemelli iniziarono a essere più coinvolti nelle attività della tenuta, partecipando con interesse alle lezioni e ai giochi ideati dalla loro tutrice. Riuscirono persino a battere il record di Samuel a nascondino, trovando tutti gli altri ragazzi in un lasso di tempo incredibilmente breve. Ciononostante, vi erano ancora delle problematiche non indifferenti da risolvere. Dorian non veniva più scelto per ultimo o ignorato e sembrava aver legato con Samuel e Ellery, ma ciò non si poteva dire lo stesso di Dahlia. Era ancora la paria.
E la gelosia di Jasper non aiutava a mitigare tale indifferenza.
Perché era assodato: gli adulti sono incapaci di mentire riguardo le loro intenzioni di fronte agli occhi innocenti di un bambino. E Mrs. Pennington non faceva alcuna eccezione. All'inizio erano piccole cose: il permesso di rispondere per primi alle domande rivolte alla classe; uno sguardo, una carezza in più. Finché non iniziò a trattenersi nella loro stanza durante il giro della buonanotte, a permettere loro la scelta delle attività comuni e a ignorare le richieste basilari degli altri bambini per favorirli.
Fu allora che il seme del dubbio germogliò nell'albero dell'insofferenza.
Tuttavia, nemmeno Mrs. Pennington poteva fare molto per calmare le acque. Aveva i suoi problemi personali di cui occuparsi.
Alex vedeva, giorno dopo giorno, la sua luce spegnersi. Sempre più pallida, stanca, nervosa. Ogni suo tentativo di apparire naturale con i piccoli si infrangeva nel momento in cui il postino le consegnava la missiva del giorno. E poi un'altra. Un'altra ancora. La sua scrivania era diventata un campo di battaglia, invasa da buste vuote, fogli appallottolati con rabbia e risposte scritte alla rinfusa. Così come lo era divenuta sua mente, colma di pensieri e preoccupazioni, di responsabilità e insicurezze.
Si dimostrò forte. Per un po'.
Alex si ritrovò appollaiata su un banco vuoto, lo sguardo concentrato sulla donna. Attorno a lei, i bambini erano impegnati a scrivere un tema sul presidente Thomas Jefferson. Il suono del pennino delle stilografiche che solcava la carta aveva un che di rassicurante, ma sembrava infastidire Mrs. Pennington a giudicare da come si massaggiava le tempie, la sua attenzione calamitata dalla posta arrivata quella mattina e abbandonata sulla cattedra. Ogni tanto i marmocchi le rivolgevano occhiate incuriosite, sbirciandola da sopra i fogli.
«Mrs. Pennington?» la voce timida di George spezzò la quiete che si era formata. Il piccolo si era avvicinato alla cattedra, il compito in mano. «Mrs. Pennington?»
La donna parve non sentirlo.
«Mrs Pennington? Posso andare in bagno? Mrs. Pennington? Mrs. Pennington!»
«Vuoi chiudere quella dannata bocca?»
La classe piombò nel silenzio più teso. Alex non seppe se fosse stato il tono truce con cui la donna pronunciò quella frase o il pugno che diede alla scrivania per evidenziare il concetto a causare quella rottura, ma il risultato fu il medesimo: i marmocchi si paralizzarono, lo sguardo sgranato da un incomprensibile senso di tradimento.
George rispose nel modo che meglio gli riusciva: scoppiò in lacrime.
«Grace...» mormorò Jasper, senza essere in grado di aggiungere altro.
Ci fu solo un istante di stallo, dopodiché Mrs. Pennington impallidì, rendendosi conto di quello che aveva appena fatto. Si protesse subito verso George, la cui faccia era ormai diventata un grumo di muco e lacrime, recuperando dal grembiule un fazzoletto di stoffa per limitare i danni. «Mi dispiace. Mi dispiace piccolo. Non intendevo urlarti contro» gemette, pulendogli dolcemente il viso. «Devi credermi, non sono arrabbiata con te. Perdonami.»
Nonostante stesse continuando a frignare, George annuì con poca convinzione, facendo rilassare appena le spalle della donna. Le sue mani però continuarono a tremare.
«Non vi preoccupate, ci pensiamo noi ad accompagnarlo alla toilette.» Accanto a loro comparvero i fratelli Hemsworth, pronti a correre in aiuto della donna sebbene le loro espressioni truci. Diedero un buffetto sulle guance del piccolo, spronandolo a muoversi e lasciando la donna inginocchiata sul pavimento, quasi senza fiato.
A quel punto Jasper si alzò. «Venga l'accompagno nelle sue stanze. Ha indubbiamente bisogno di stendersi...»
«No.»
Fu la volta di Jasper a raggelare, ma prima che potesse riprendere la parola, Mrs. Pennington lo interruppe. «Sarà Dorian ad accompagnarmi. Tu rimani qui con gli altri bambini. Dopotutto avete ancora un compito da portare a termine, giusto?» Sorrise stancamente, raddrizzandosi con qualche difficoltà. «Una volta finito, vai a cercare Miss Meier. Chiedile di contattare il dottor Barnes. Lascio a te le redini, va bene?»
Jasper annuì, quasi mortificato da quella scelta. Alex capì il motivo per cui la donna avesse preferito lasciarlo con i più piccoli, ma avvertiva comunque qualcosa di strano. Il suo sguardo corse verso Dahlia, intenta a scrivere con una dedizione sconcertante. Scrollò le spalle, pronta per un po' di sano gossip non richiesto.
Se quei marmocchi avevano un pregio, era proprio il fatto di non sapere che cosa fosse il concetto di privacy. Un po' come i giovani del suo tempo, se considerava le tendenze di Ren ed Emily. Erano la perfetta coppia di stalker.
E infatti, dopo pochi istanti, si ritrovò a sbirciare all'interno della stanza di Mrs. Pennington in compagnia di Jasper e Ellery attraverso lo spiraglio lasciato dal medico. Purtroppo per i rimanenti, il compito di dover dirigere la classe era passato a Christopher.
Una volta terminati gli esami di routine, il dottore Barnes ripose lo stetoscopio nella sua borsa di cuoio e si accomodò sulla sedia accanto al letto dove era adagiata la sua paziente. Le tamburellò dolcemente una mano sulle sue, intrecciate in grembo.
«Fisicamente non avete nulla che non vada, Grace» sentenziò, estraendo dalla tasca della giacca il suo taccuino. «Mostrate segni di affaticamento e la vostra pressione è bassa, ma non è nulla che del sano riposo non possa guarire. Tuttavia è meglio trovare le cause esterne della vostra condizione e porvi repentinamente rimedio. Da quello che ho capito, in questo periodo faticate a dormire, non è così?»
Mrs. Pennington annuì con un sospiro. «Esatto. Purtroppo le incalzanti pressioni dei parenti del defunto marito e i debiti sempre più opprimenti non sono certo la corrispondenza che una donna desidera intrattenere oggigiorno.»
Il dottor Barnes ghignò divertito. «Mi fa piacere che non abbiate perso il vostro senso dell'umorismo. Ma sono risentito nell'udire ciò. Sarò ben disposto ad aiutarvi se possibile. Come il resto della comunità, s'intende. Siete stata una benefattrice instancabile e siamo in debito con voi.»
A quel punto al donna sbuffò, liquidandolo con un gesto. «Non ho fatto nulla per un mio tornaconto personale. Ciò che mi preme al momento è garantire il benessere dei bambini, anche se...» la sua voce si affievolì fino a spegnersi.
«Non avete nulla di cui accusarvi» sentenziò rassicurante il dottor Barnes, stringendole una mano con dolcezza. «Siamo essere umani, dopotutto. Può capitare di avere un momento di debolezza. Motivo per cui vi prescriverò dei sonniferi, in modo da permettervi di recuperare le forze in quattro e quattr'otto per badare a quei diavoletti dei vostri ragazzi.»
Fu il turno di Mrs. Pennington a ridacchiare. «Oh, non dite così. Sono dei tesori e li considero in tutto e per tutto come dei figli. E poi è grazie alla loro vivacità se questa è casa viva.»
«Non ne dubito» esclamò il dottor Barnes, incominciando a scrivere la ricetta su una pagina bianca del suo taccuino. Tuttavia, a poco a poco, la sua espressione perse il divertimento che fino a quel momento l'aveva contraddistinta, divenendo ombrosa. La mano che reggeva la stilografica ebbe un'esitazione.
«A proposito, come stanno i piccoli Reynor?»
«Molto meglio» replicò Mrs. Pennington senza alcuna esitazione, nonostante sembrasse sulla difensiva. Raddrizzò la schiena contro i cuscini. «Ero molto inquieta all'inizio, soprattutto per come avrebbero reagito i ragazzi, ma grazie al cielo sono riusciti a integrarsi... bene. Sono ancora preoccupata per Dahlia. Essendo l'unica bambina del gruppo viene spesso lasciata in disparte. Tuttavia sono convinta che la situazione non possa far altro che migliorare.»
Il dottor Barnes terminò la sua prescrizione e porse il foglio alla donna. «Non possiamo dargliene una colpa. In fondo la piccola dovrebbe stare con altre bambine della sua età.»
Gli occhi di Mrs. Pennington si scurirono dalla rabbia mal celata. «Ve l'ho già detto quando avete esaminato i piccoli: non la separerò dal gemello per certi futili motivi. Hanno subito un gravissimo trauma e ora come ora hanno bisogno l'uno dell'altra per superare al meglio il loro lutto.»
L'uomo la osservò per un lungo momento prima di alzarsi. Afferrò la valigetta e si diresse verso la porta, fermandosi giusto in tempo per permettere ai ragazzi di darsela a gambe dal loro nascondiglio. Alex rimase immobile, i pugni serrati lungo i fianchi.
«Non posso che rispettare la vostra decisione. Siete voi la loro tutrice adesso» replicò il dottor Barnes temporeggiando sulla soglia. «Tuttavia vi prego di fare attenzione. Iniziano a circolare diverse voci riguardo a quei due, quindi...» esitò, come se cercasse di esprimersi senza ferire i sentimenti della sua paziente. «Se notate qualcosa di strano avvisatemi subito. D'accordo?»
Mrs. Pennington gli lanciò un'occhiata colma di scetticismo. «Non siamo più dei bambini, Timothy» lo redarguì. In risposta il dottor Barnes le fece un piccolo inchino col capo, spalancando poi la porta.
«Riceverai presto la mia parcella, Grace» canticchiò, cercando di alleggerire l'atmosfera che si era creata tra loro, ma la donna lo richiamò.
«Aspettate! Quando ritornerete in paese potreste chiedere al vecchio Jack di venire a dare una controllata alla casa? Ultimamente sento dei rumori bizzarri la notte, come dei piccoli scalpitii nei muri. Non vorrei che ci fosse un'infestazione.»
«Ai vostri comandi, Mrs. Pennington» si congedò il medico con un lieve inchino.
Alex osservò l'uomo procedere a passo spedito verso l'uscita, chiedendosi se le voci di cui parlava non fossero riferite all'ennesima caccia alle streghe. Avrebbe pagato il suo peso in oro per la possibilità di leggere i referti che il medico aveva stilato quando aveva esaminato i gemelli, considerando l'idea che forse la donna aveva con sé una copia di quei documenti. Essendo la loro tutrice avrebbe dovuto ricevere legalmente una copia della documentazione inerente ai due, per cui...
Sollevò lo sguardo. Nella casa era calato il buio.
Censurò l'esclamazione colorita che prese forma nella sua mente. Era certa che i marmocchi fossero nei paraggi.
Si aggirò con passo felpato nei pressi del dormitorio, controllando la situazione. Il silenzio era così opprimente che sentì le orecchie fischiare. Non vagliò nemmeno la possibilità che fossero tutti persi nel mondo dei sogni, soprattutto dopo l'ammissione di Mrs. Pennington riguardo una possibile infestazione. Doveva solo capire dove fossero finiti...
Dei rumori ovattati catturarono la sua attenzione, esattamente alle sue spalle.
Alex si voltò di scatto, correndo nella direzione da cui era arrivata. Una volta girato l'angolo, si accorse senza troppa sorpresa che i ragazzi più grandi si stavano dirigendo come dei piccoli ladri in direzione degli appartamenti di Mrs. Pennington, ma a giudicare dai loro sguardi tesi e concentrati, quel viaggio notturno non aveva nulla a che fare con una marachella.
C'era solo una domanda che necessitava una risposta in quel frangente. E forse nemmeno troppo complicata.
Ritornò sui suoi passi, tallonando il gruppetto in pigiama fino alla camera di Mrs. Pennington. Solo che qualcun altro li aveva preceduti.
I gemelli erano di fronte alla porta dando loro le spalle, mano nella mano. La scena in sé poteva essere già inquietante così, contando che era notte fonda, la casa era permeata da un silenzio tombale e loro non spiccavano certo per la personalità solare che li contraddistingueva. Ma nel considerare che Dahlia stava tracciando qualcosa con la mano libera lungo la superficie del legno ed entrambi muovevano silenziosamente le labbra, le loro intenzioni potevano essere facilmente fraintese. Almeno, Alex lasciò loro il beneficio del dubbio, finché Dahlia non abbassò il braccio immobilizzandosi.
I gemelli si voltarono di scatto, lo sguardo puntato in direzione dei loro osservatori.
Ellery incespicò.
Accadde tutto precipitosamente, in un caotico turbinio di arti ed esclamazioni. I ragazzi se la diedero a gambe, correndo a perdifiato nei corridoi senza preoccuparsi di mantenere un certo riserbo. I loro passi echeggiarono ovunque, i loro respiri si fecero sempre più frenetici man mano che l'adrenalina invadeva i loro corpi e la paura artigliava le loro menti. Alex li rincorse, cercando di seguirli in quel labirinto di stanze e varchi, ma poi li perse di vista. Di nuovo.
Emise un verso stizzito, pronta a convalidare la sua teoria. Si guardò con attenzione attorno, riportando alla mente la piantina della casa. Una volta trovata una corrispondenza, posò l'orecchio contro il muro che doveva congiungersi con quello delle camere dei bambini. Attese qualche istante, rallentando il proprio respiro per evitare dell'inquinamento acustico non richiesto. E poi lo udì.
Un fruscio.
Seguito sa una soffocata imprecazione e una lamentela.
Alex scosse il capo. Quei piccoli furbacchioni erano pieni di sorprese, sebbene non fossero per nulla scaltri. Tuttavia l'idea di spostarsi tra gli spazi vuoti dei muri avrebbe potuto rivelarsi vincente per loro.
Poi si ricordò che erano morti comunque.
Si allontanò, solo per ritrovarsi a faccia a faccia con Dahlia. Alex rimase immobile, conscia del fatto che la piccola non potesse vederla, benché meno nuocerle in alcun modo. Eppure lì, al buio, sembrava fin troppo cosciente della sua presenza. I loro occhi sembrarono incrociarsi per un istante e se quelli di Alex apparivano come una distesa ghiacciata, quelli di Dahlia erano un abisso senza fondo che sembravano accarezzarla.
«So che siete qui.»
Alex si riscosse, indietreggiando di qualche passo senza perdere di vista la bambina, che in quel momento osservava il vuoto. Poi si girò verso il muro adiacente.
«Vi sento respirare.»
Se ne andò. E Alex ebbe la certezza di aver udito un tonfo soffocato, ma non ebbe cuore di identificare chi se la fosse fatta nei pantaloni del pigiama. Scrollò le spalle, per poi scattare nuovamente all'erta. Il suo sguardo si focalizzò sul corridoio che si apriva davanti a lei, vuoto. Era stato solo una lieve percezione all'esterno del suo campo visivo, eppure aveva avuto l'impressione che ci fosse qualcosa alla fine di quell'andito.
La notte lasciò posto al giorno, ma la luce servì solo a moltiplicare i problemi. Nei giorni a seguire non fu solo Mrs. Pennington ad apparire stanca: Jasper, Ellery e Christopher ebbero difficoltà a nascondere il loro malessere, consci del fatto che non avevano alcuna prova a loro favore. Non sembravano intenzionati a rivelare alla donna ciò che avevano scoperto, ma informarono i loro compagni, pregandoli comunque di comportarsi come al solito. Isolare Dorian non avrebbe fatto altro che insospettirla e al momento era lo scenario peggiore, dato il suo evidente favoritismo.
«Non possiamo continuare così. Se sono loro a causare la debolezza di Mrs. Pennington dobbiamo fermarli» esclamò Raymond durante una sezione di gioco pomeridiana. Erano raggruppati in giardino, usando George e Samuel come distrazione per poter parlare tra loro senza la presenza di Dorian. Dahlia, invece, si trovava come di consueto nell'aula di musica in compagnia di Mrs. Pennington.
«E come? Non possiamo semplicemente puntare il dito e spifferare tutto. Non ci crederà mai» Ellery calciò un sasso con nervosismo.
«Io ci provo comunque.»
I marmocchi si voltarono verso Christopher, il quale si raddrizzò gli occhiali con aria decisa. «Ha il diritto di sapere che quei due se ne vanno in giro di notte combinando chissà cosa. Le prove possiamo sempre mostrargliele in un secondo momento.»
Jasper abbassò lo sguardo, facendosi pensoso. Alex poté udire lo stridulo cigolio degli ingranaggi nel suo cervello mentre valutava le varie alternative. Alla fine scosse il capo. «Approfittiamo di questa sera. Mentre giocheremo a nascondino, voi due dovrete creare una distrazione per separare i gemelli» iniziò rivolto a Arthur e a suo fratello, che annuirono prontamente. «Poi io e Ellery affronteremo Dahlia. Dei due è senza dubbio la più pericolosa e di certo quella che ci ha messo lo zampino in questa storia. Voi altri bloccherete Dorian. Non credo che vuoteranno il sacco facilmente, ma almeno sentiremo cos'hanno da dire in loro difesa. Se il piano non andrà come previsto, domani Christopher potrà sempre parlare con Mrs. Pennington.» Risolve a tutti un'occhiata d'intesa. «Allora, è deciso?»
Uno dopo l'altro i marmocchi annuirono, persino Christopher, nonostante il suo evidente scetticismo. Alex era troppo presa a osservare Dorian per deliberare un parere su quel piano, che aveva ascoltato per metà. Il fatto che nessuno prendesse mai in considerazione più di un paio di alternative la irritava nel profondo.
I gemelli al momento rappresentavano il problema principale, ma non era di certo l'unico.
Non sarebbe finita bene.
Buon Samhain piccoli bradipi.
Come nei patti, ecco il nuovo aggiornamento perso nell'etere. So che molti di voi non ci speravano più, ma sciagura a me se non pubblicassi proprio oggi u.u Certo, l'idea era quella di concludere questa parte della storia, ma considerando che nessuno leggerebbe volentieri un capitolo di 10000 parole, ho preferito tagliuzzarlo un po'. Capitemi.
L'ultima parte dovrebbe uscire a breve, non disperate u.u
Alla prossima :3
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