2. Il Polo e l'Equatore
Lontani, come lo è il Polo dall'Equatore.
Lontani eppure sempre così uniti come su un mappamondo.
Uniti, ma non fisicamente, nemmeno per via telefonica, telepatica o epistolare.
Non si scambiavano nemmeno le e-mail.
Uniti, come lo sono il Polo e l'Equatore.
Eppure in principio erano lo erano stati sul serio, uniti; anzi, forse erano stati un po' come quella pangea primordiale, prima che i terremoti facessero il loro lavoro di separazione. Così erano perfettamente descrivibili, se si pensava alla teoria dell'origine della Terra.
Un volo da prendere per tornare, un amico da salutare nel viaggio che dura per sempre, e in cui forse ci si rivedrà prima o poi, in un al di là che non ha niente a che vedere con l'al di qua, in cui, per una volta, l'essere conta più dell'apparire.
Entrambi lontani e entrambi deragliati da altre parti rispetto al luogo originario dove tutto era iniziato, da quella pangea che ormai non esisteva più, scossa dal terremoto della vita, erano tutti e due su un aereo. Diverso, si intende, ma con destinazione comune. Impossibile non pensare a cosa avrebbero trovato, a chi avrebbero visto e forse neanche riconosciuto. Dieci anni, tanto era il tempo che era trascorso.
Dieci anni e non si erano mai più rivisti.
Tutto ebbe inizio in una calda giornata di agosto; due bambini di poco più di tre anni, vengono a conoscenza l'uno dell'altro, nel modo più banale possibile: uno, improvvisamente, diventò il vicino di casa dell'altra e questo avrebbe segnato per sempre le loro vite, anche se alla loro veneranda età ancora non potevano rendersene conto.
Mick era un biondino paffuto e irruento, mentre Nora era il ritratto della femminilità, già da bambina: capelli fini, biondi e con qualche ricciolo, sguardo sveglio e denti piccoli che avrebbero ben presto lasciato spazio a quelli che non avrebbe più cambiato per il resto della vita. Se ne stava per lo più da sola, non amava la compagnia di altri bambini; tutto questo, finché non vide Mick.
Mick in realtà si chiamava Michael era il terzo figlio conteso tra due genitori in via di divorzio, moro e con gli occhi profondi, un po' strano, che non gradiva affatto la compagnia di nessuno. Di nessuno, finché non vide Nora.
Ci sono cose nella vita che non si possono spiegare, relazioni che non hanno un principio o una fine razionale; semplicemente, le anime si scelgono e decidono di loro spontanea volontà di restare insieme per sempre, indipendentemente da quale sia il viaggio e da dove li porterà.
In fondo, il Polo non ha mai scelto l'Equatore.
Mick si avvicinò a Nora come se vedesse per la prima volta una bambina in vita sua e le lasciò guardare il suo Spiderman di plastica. Lei dal canto suo, gli preparò una tazzina finta di tè e gli offrì un biscotto di pongo, come caloroso benvenuto nel suo mondo. Da quel giorno, non passavano un pomeriggio separati. Si erano scelti, proprio in nome di quelle affinità elettive su cui la letteratura aveva scritto interi romanzi.
A scuola, la stessa ovviamente, sedevano al banco insieme e Nora, sveglia e intelligente già dalle elementari, seguiva e aiutava un Mick molto meno volenteroso di imparare le noiose regole grammaticali o la tabellina del sette. A lui piacevano i numeri, ma non gli piaceva vederli nell'ottica delle operazioni. Invece, ciò che preferiva di più erano le recite, in cui iniziava a mettere a frutto quel talento che lo avrebbe fatto divenire ciò che era adesso. Nora, al contrario, non ne voleva sapere di dar spettacolo davanti a tutti, era una bambina troppo timida e riservata per poter pensare di avere centinaia di occhi addosso e persino quando la maestra la obbligava a salire sul palco per cantare una canzone nel coro della scuola, lei arrossiva e non riusciva a tirar fuori una sola nota dalla bocca.
«Non devi essere timida, è divertente!» la spronava Mick, ma non c'era verso, lei non ci riusciva. D'altronde lui la capiva, lui non riusciva per niente al mondo a fare quelle difficili operazioni e persino con le lettere, adesso, aveva delle difficoltà. Le conosceva certo, solo che certe volte si capovolgevano nella sua mente e non riusciva a scriverle, né a pronunciarle. Sua madre si era accorta di quel problema ma ci volle un po' prima che riuscissero a dargli un nome. Così, per imparare a memoria le parti delle recite, si limitava a farsi leggere e rileggere da Nora le cose che doveva dire, finché per sfinimento non imparava le battute. Era una tecnica che funzionava però, perché aveva sempre tanti applausi.
«Non devi preoccuparti, ti leggerò sempre tutto quello di cui hai bisogno.» lo rasserenava Nora, quando vedeva che il suo amico era triste per quelle lettere dispettose.
L'infanzia trascorse quindi piuttosto serena, fra feste di compleanno a cui partecipavano senza voglia, solo perché le mamme volevano che i loro figli si integrassero; corse in bicicletta fino al parco la domenica mattina, quando papà di Nora li lasciava andare da soli per imparare a diventare grandi e responsabili e letti condivisi perché a quell'età non c'era bisogno di divisioni e lo spazio era uno e uguale per entrambi.
L'adolescenza arrivò quasi per caso, quando una mattina, mentre dormiva accanto a Nora come al solito, Mick si accorse che qualcosa di strano svettava alla fine del suo ventre. Era eccitato. E lo era perché Nora dormiva addosso a lui, con quel profumo buonissimo e quella canottiera così scollata! Da quando le erano cresciute le tette? Ce le aveva anche il giorno prima? Perché proprio non gli pareva che fossero così evidenti mentre facevano chimica.
Si vergognò per quei pensieri e per quell'erezione così evidente che non sarebbe passata in due minuti e Nora, che era arguta e intelligente, l'avrebbe sicuramente notata. Successe così e lei incredula sorrise:
«Hai l'alzabandiera a causa mia?» chiese, assolutamente divertita.
A Nora una settimana prima erano arrivate le mestruazioni.
«Si, ecco io...credo di sì.»
Avevano quattordici anni e da lì tutto cambiò.
Quella mattina passò tra risate e giuramenti di non dirlo a nessuno ma qualcosa fra loro mutò in maniera irreversibile. Cambiò il loro modo di guardarsi, il pudore che adesso avevano nel chiudere a chiave la porta quando si cambiavano, persino il modo di scherzare, sicuramente più esplicito ma ovviamente meno fisico e smaliziato. Se uno dei due aveva da fare con gli amici del proprio sesso, l'altro si scusava e diceva che avrebbe chiamato più tardi. Ciononostante, rimasero sempre insieme, l'uno vicino all'altro, anche al liceo. Dividevano lo stesso banco, si scambiavano gli appunti e si schieravano dalla stessa parte quando c'era qualche lotta da sostenere.
Il tempo delle prime cotte però arrivò anche per loro: Nora guardava i ragazzi quasi estasiata da quel mondo tanto diverso dal suo, anche se in realtà nessuno gli pareva bello e interessante quanto Mick, che nel frattempo aveva dato un nome al suo problema con le lettere e una volta a settimana continuava ad andare dalla logopedista per cercare di risolverlo del tutto. Mick invece, da buon maschio cacciatore, aveva sperimentato già i primi approcci fisici con le ragazze, dando baci sempre meno casti o rubando carezze illecite a quelle più disponibili. La cosa strana però, era che in ogni suo sogno poco puro non c'era la biondina del terzo banco della lezione di chimica con cui aveva avuto un rapporto molto ravvicinato, né la rossa che ti faceva un lavoretto niente male se le davi venti dollari; tutti i suoi desideri più teneri e affettuosi avevano una sola protagonista: Nora, che non aveva mai neanche sfiorato, non dopo quell'imbarazzante risveglio in cui il suo pene aveva deciso di diventare adulto.
Eppure, tutti e due cominciavano a parlare sempre meno degli appuntamenti reciproci, delle cotte passeggere, per non offendere l'altro per non cadere nella rete della gelosia. Entrambi si dicevano che era meglio non sapere, ignorare per non soffrire. Il tempo che dividevano adesso comprendeva quel poco che avevano a disposizione tra gli allenamenti di pallavolo di Nora e le prove di recitazione di Mick; si vedevano per i compiti e si sentivano al telefono raccontandosi le loro giornate.
Il Polo e l'Equatore si stavano irrimediabilmente allontanando e la distanza sarebbe stata sempre maggiore.
Il ballo di fine anno, dell'ultimo anno di liceo li vide insieme; agli occhi di lui, lei era splendida in quel suo vestito turchese mentre lui sembrava quasi un modello con il suo smoking nero e il fiore all'occhiello, secondo Nora.
Ballarono tutti i lenti e quando lui la riaccompagnò a casa, sentì crescere una cosa dentro di sé. Si fece più vicino, le mise le mani sui fianchi e la attirò a sé:
«Ma che vuoi fare?» chiese Nora, fingendo di non aspettarsi che lui provasse a baciarla. In realtà, aveva sperato che lo facesse per tutta la sera e ora sentiva il cuore batterle come un tamburo e le gambe venir meno della loro forza.
«Io credo di amarti.» confessò senza mezzi termini Mick.
Non sapeva cos'era l'amore, non lo aveva mai provato ma era sicuro che se avesse dovuto definire quel sentimento con un nome, avrebbe scelto quello di Nora.
Lei ridusse del tutto le distanze e le loro bocche vennero a contatto; fu decisamente strano sentire le loro rispettive lingue, era come baciare un parente, eppure altrettanto eccitante. Le labbra morbide di Nora erano una delizia per Mick, che le morse delicatamente più volte, mentre il sapore della bocca di lui era quanto di più buono lei avesse mai assaggiato. Fu un bacio lungo, spinto, intervallato da carezze bramose.
«Facciamo l'amore.» propose Nora, convinta. Non lo aveva mai fatto prima e aveva paura ma non avrebbe voluto farlo con nessun altro la prima volta, se non con Mick, che la conosceva e le voleva bene e non l'avrebbe mai fatta soffrire.
«Qui?»
«Ma no, scemo! Siamo sulla porta di casa! Vieni di sopra, nel mio letto.»
Così, come due ladri che entrano furtivi nell'appartamento di qualcun altro, salirono silenziosamente le scale della casa di Nora, mentre i suoi genitori e suo fratello dormivano nelle loro stanze. La porta della camera di Nora si chiuse alle loro spalle e loro ripresero da dove avevano lasciato.
Mick la sollevò e mentre la baciava la fece adagiare sul letto, dove con una delicatezza inumana, la fece rilassare. Lasciò che la sua mano da ragazzo più esperto facesse scorrere la zip del suo vestito, per la prima volta si ritrovò in reggiseno e mutande davanti a lui dopo tanto tempo e a Mick parve incredibilmente bella, nella penombra della stanza.
Le loro bocche si cercarono e si trovarono ancora; la lingua di Mick scese sullo zigomo della ragazza, le fece inarcare la schiena mentre lui scendeva sul collo e accendeva il suo corpo di piacere. Le mani di Mick non avevano mai palpato dei seni più morbidi, nemmeno quelli di Fanny del corso di linguistica, che erano una portentosa quarta, erano così delicate. Nora slacciò la camicia di Mick e accarezzò i pettorali formati dallo sport che erano obbligati a fare a scuola, poi lui si sdraiò sopra di lei, riprendendo a baciarla e facendole scendere una bretella del reggiseno di pizzo celeste che portava. Conosceva a memoria quell'odore Mick, si era abituato a sentirlo da quando era solo un bambino e ora che leccava il capezzolo di Nora, pensava che non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Un sospiro della ragazza, emesso in un modo decisamente sensuale, fece svettare ancora di più la sua erezione, che ora iniziava ad essere troppo stretta nei pantaloni. Mick sapeva che Nora aveva poca esperienza, così le prese la mano e la guidò sulla patta dei pantaloni. Nora allargò leggermente gli occhi, non aveva mai sentito niente di così grande e duro, eppure le piaceva sapere che era lei la causa di tutto quello; Mick la desiderava e lei si stava accaldando sempre di più. Aveva paura ma cercava di non pensarci.
Tirò giù la zip dei pantaloni e toccò di nuovo il pene eretto di Mick, che gemette appena. Le piaceva quel contatto e sentiva il bisogno di eliminare anche quell'ultimo ostacolo rappresentato dai boxer. Si spogliarono completamente, con calma ma con la consapevolezza che non sarebbero mai più tornati indietro.
Nora aveva il cuore che le tamburava nel petto, era spaventata, non voleva sentire troppo dolore. Mick sembrò capire quel suo terrore,così nudo e con un'erezione evidente, le prese una mano e gliela poggiò sul petto, per fargli sentire il cuore:
«Senti come batte forte. Ho paura anche io, ma farò pianissimo. Non ti farò soffrire, non lo farei per niente al mondo.»
Nora si sentì rincuorata; non poteva affidare la sua verginità a nessun'altro. Lo aveva deciso non appena aveva avuto il risveglio ormonale per la prima volta: si sarebbe concessa solo a Mick perché sapeva che con lui avrebbe fatto l'amore.
Mick la baciò ancora, scese di nuovo sul collo, le baciò i seni, fermandosi a lottare coi capezzoli. Scese ancora e leccò la pancia, mentre Nora ormai era offuscata dal desiderio; Mick scese ancora e le aprì dolcemente le gambe e leccò tutto quel fuoco. Nora credeva di morire: Mick non era ancora entrato in lei e già credeva di poter aver provato tutto il piacere possibile. I respiri della ragazza divennero sempre più affannati e quando Mick ritenne che non poteva più trattenersi, la baciò di nuovo sulle labbra e divaricandole ancora un po' le gambe, lentamente si addentrò in lei, dopo essersi infilato il preservativo che aveva nella tasca dei pantaloni.
«Se senti dolore dimmelo, smettiamo subito.»
«No, voglio farlo.»
Allora Mick spinse ancora un po' e fu dentro. Nora sentì qualcosa di strano nel suo ventre, come un bruciore che le invase il bacino. Non era particolarmente doloroso e non era nemmeno una forte puntura come le avevano raccontato le sue amiche; solo uno strano calore leggermente fastidioso, come di qualcosa che si surriscalda perché forzata; Mick su muoveva piano, delicato, mentre il suo piacere aumentava, dato lo sfregamento con quelle pareti strette e mai valicate.
Guardava negli occhi Nora, perché voleva leggerci ogni suo umore, tutte le sue smorfie e le sue espressioni per capire se le stava facendo male. La ragazza però sorrideva e lui intensificò appena le spinte. Nora trattenne appena il respiro perché non era abituata e ora che Mick era leggermente più veloce, il bruciore era un poco più acuto ma non avrebbe interrotto quell'unione per niente al mondo. Le mani di Mick continuavano a palpare il seno di Nora e a lei piaceva vederlo perso in un piacere che dipendeva da lei. Anche lei era eccitata ma aveva sentito dire che era raro raggiungere l'orgasmo la prima volta. Eppure, il piacere che iniziava a sentire era tanto simile a un orgasmo.
«Sto venendo Nora, sto venendo.» sussurrò lui, strozzato.
Nora non disse niente, ma raggiunse l'apice del piacere proprio in quel momento, qualche istante prima di Mick. Non era vero; non era vero che non era possibile avere un orgasmo quando eri vergine. Mick venne poco dopo, come aveva annunciato e lei adorò sentirgli sussurrare nel suo orecchio che la amava e che era bellissima.
Mentre era ancora in lei, le diede un bacio sulle labbra, il più bello di tutti e poi cadde accanto a lei. Si addormentarono così, mentre sulle lenzuola, una piccola goccia rossa segnava per sempre il passaggio da ragazzina a donna di Nora.
Da lì era iniziato o finito tutto.
Seguì un periodo strano, quello delle vacanze estive. Nora e Mick passavano tutto il tempo possibile insieme, facendo l'amore, andando a prendere frullati completamente abbracciati e convinti che quella perfezione sarebbe durata per sempre. Ma settembre arrivò presto e le loro università li stavano aspettando per farli diventare i giovani brillanti e di successo che sarebbero diventati. Nora avrebbe studiato fisica nucleare ad Harvard, Mick era stato accettato all'accademia d'arte drammatica a Los Angeles.
Si salutarono dopo aver fatto l'amore per l'ultima volta, promettendosi di vedersi ogni volta che era possibile, di scriversi lettere, mandarsi e-mail.
Ma sono le promesse che ogni marinaio fa quando lascia, al porto, la ragazza di cui si è innamorato. Sono le promesse che si fanno ogni estati, quando è il momento di andar via e ci si giura di mantenersi in contatto anche d'estate.
Avevano un amico in comune, in quel periodo della scuola, col quale dividevano la passione per il cinema d'essay e che avevano preso a frequentare con assiduità. John era un tipo strano che parlava poco e andava facilmente in depressione. Prendeva persino delle pillole per quello ed era stato in analisi più volte, però con loro era sempre stato gentile e condivideva con Nora la passione per i numeri.
Lui era diventato una specie di punto di riferimento per entrambi, durante tutti gli anni del liceo.
Spettò a lui il compito di consolare Nora, quando Mick partì.
E ovviamente, spettò a lui prendere il posto di Mick nel letto di lei, quando nei mesi successivi le lacrime si mutarono in desiderio dell'altro tra le pesanti mura di Harvard.
John non aveva molto in comune con Nora, se non i numeri; era un ragazzo difficile, con gravi problemi di autostima e lunghi periodi di sconforto e depressione che peggioravano col tempo e ci voleva tanta pazienza per stargli vicino; eppure la relazione che Nora intrecciò con lui, divenne seria e se da un lato non era neanche lontanamente paragonabile all'amore totale che aveva provato per Mick, riuscì almeno a farla stare tranquilla e pensare di meno a Los Angeles e al successo che il suo migliore amico e il suo più grande amore stava ottenendo nella sua carriera. . Anche Mick aveva trovato consolazione una studentessa più grande con cui non provava solo i copioni ma scendeva più in profondità, in quelle del suo corpo, respirando un altro odore che però non era buono come quello di Nora, che non avrebbe mai più ritrovato. Non si legò a nessuna donna in particolare però, perché continuava ad essere quel bambino schivo a cui la compagnia altrui non piaceva affatto; tranne quella di Nora ovviamente, ma lei ormai era lontana.
Da quel momento, da quella fine dell'estate, fra Nora e Mick scese il silenzio. Un mutismo fatto di segreti inconfessabili, di cose non dette, di anni che passavano e vita che scorreva, carica di sensi di colpa.
Il Polo e l'Equatore si erano distanziati ora più che mai e quella distanza, quel silenzio e quella grandezza che era la distanza fra loro sarebbero diventati gli elementi che non avrebbero mai più permesso di poter stare insieme.
Il Big Bang era esploso, le terre si erano divise, prendendo forma di continenti e tutto era successo nel momento in cui si erano uniti corporalmente.
Mentre la Terra era esplosa, era iniziata la loro implosione.
Nora lasciò John durante l'ultimo anno di università. Le sue crisi erano diventate preoccupanti e al giovane fu consigliata una clinica specialistica dove poter mettere ordine in quel groviglio di fili che abitava la sua testa; John non poté nemmeno laurearsi, non era più in grado di vivere un'esistenza normale.
Così Nora dovette ricominciare da sola, per la prima volta. Passava le notti piangendo, perché per la prima volta, ora che non c'era più John, aveva realizzato quanto fosse grande quel vuoto lasciato da Mick. Quanto quell'Equatore fosse lontano dal Polo eppure quanto fosse indispensabile la sua presenza.
Ma il tempo passò ancora e mentre Mick riceveva l'oscar, lei riceveva premi accademici per le sue ricerche scientifiche. Erano due persone di successo, anche se ogni tanto Mick si inceppava ancora un po' con le lettere. Ma faceva finta di ignorarlo, perché non c'era più che leggeva per lui quando le lettere impazzivano.
La dislessia non sarebbe mai andata via del tutto, aveva detto la logopedista, e anche se in genere sparisce nell'età adulta, Mick faceva parte di quella percentuale che rappresenta l'eccezione.
Tuttavia, quel legame che li teneva segretamente uniti, non si era mai spezzato e i due avevano continuato ad osservare la vita dell'altro, a distanza e silenziosamente: Mick conservava tutti gli articoli accademici che riusciva a rimediare e che erano scritti da Nora, affermata e decisamente giovane docente di fisica nucleare a Princeton, e consulente della Nasa; Nora dal canto suo, aveva visto tutti i film di Mick, più e più volte al cinema e aveva tutti i dvd nella sua collezione, conservava tutte le interviste e non perdeva occasione per dire a tutti i suoi amici quanto gli piacevano le interpretazioni Michael Carter.
Si erano osservati ma non si erano mai più sentiti.
Ora erano nella stessa città, di nuovo e si sarebbero visti perché avevano un funerale comune a cui partecipare.
Nora arrivò col suo piccolo trolley dalla grande Washington; aveva un forte mal di testa, come sempre succedeva quando era costretta a viaggiare in aereo.
Mick, con una sacca poggiata sulla spalla e gli occhiali scuri per non farsi riconoscere, uscì dall'aeroporto dall'uscita secondaria, dove il suo staff gli aveva fatto trovare una macchina per evitare i paparazzi, che ovviamente non si lasciarono fregare e scattarono lo stesso.
Li guardò infastidito, possibile che non poteva nemmeno tornarsene a casa in santa pace? E poi, avrebbe partecipato ad un funerale, non potevano avere almeno un po' di tatto? Che gliene fregava alla gente di vedere le sue foto con la faccia stravolta dalla stanchezza del viaggio e delle poche ore di sonno?
Eppure, loro scattavano e lui non poteva far altro che subirli, quei flash.
Paradossalmente, da quando aveva iniziato a fare l'attore, si era chiuso sempre più in se stesso: partecipava a feste di post-produzione, aveva conosciuto tutto il mondo paillettato di Hollywood, era bravo e di talento e aveva lavorato con tutti i registi più famosi, tanto che aveva ricevuto un oscar, ma non aveva mai trovato in nessuno quello che cercava. Non si fidava di quel mondo di lustrini, non gli piaceva stare con la gente, a meno che...
Nora arrivò in città poco dopo; pagò il taxi e ringraziò l'uomo di colore che l'aveva accompagnata, poi si diresse in quella che una volta era stata casa sua e che ora ospitava solo sua madre e il suo vecchio cane. Il padre era morto anni prima, mentre suo fratello si era trasferito a New York dopo un'ottima offerta di lavoro presso uno studio legale.
Abbracciò la madre, chiese di potersi fare una doccia e poi si diede una sistemata per arrivare al funerale senza mostrare troppo i segni della stanchezza. Prese anche un antidolorifico per quel mal di testa psicosomatico che le prendeva sempre quando volava o quando doveva affrontare qualcosa che non era pronta a fronteggiare. Sapeva che al di là del funerale c'era dell'altro. Sapeva che seduto in fondo, su una panca delle ultime file, ci sarebbe stato Mick.
Una macchina scura si accostò al viale di quell'isolato che conosceva fin troppo bene, sin da quando aveva tre anni e sua madre decise di stabilirsi lì per iniziare una nuova vita, lontana da una padre traditore e nemmeno troppo genitore. Non vivevano più in quella casa nemmeno i suoi fratelli, perché da quando Mick aveva fatto successo, aveva comprato loro una villa a Bel Air per averli più vicini e ora quella casa era occupata da un'altra famiglia. Lui sarebbe stato solo di passaggio, quindi non aveva bisogno di un posto per dormire, ma aveva deciso di farsi lasciare lì, sarebbe andato a piedi alla piccola chiesa metodista in cui si svolgeva la celebrazione. E poi, proprio lì, attaccata alla sua villetta, c'era quella che era stata la casa di Nora e lui era tornato anche per quello: passeggiare nel passato lasciandosi travolgere dai ricordi.
Il portoncino della casa gialla di Nora si aprì proprio in quel momento, mentre lui la fissava. Nora ne uscì subito dopo e a Mick mancò il respiro; nonostante fosse abituato al corpo perfetto di attrici bellissime, con cui molto spesso divideva la camera da letto, era sicuro di non aver mai visto tanta beltà e tanta classe: Nora aveva il corpo perfettamente fasciato in un tubino nero, accollato e senza maniche; portava delle decolleté alte e dello stesso colore del vestito, mentre in testa aveva un grazioso cappellino con la retina che cadeva sugli occhi. Il rossetto rosso marcava le sue labbra, di cui Mick ancora ricordava la morbidezza. Era una donna elegante; nonostante la giovane età sembrava molto più matura ma era sempre stato così, la sua intelligenza le aveva sempre dato quei due o tre anni in più che l'avevano resa bellissima anche quando tutti, nella pre-adolescenza, passano il periodo da brutti anatroccoli.
Nora lo vide e quasi si sentì mancare. Quel fastidiosissimo mal di testa era deleterio, proprio ora che avrebbe dovuto sforzarsi di essere adulta e di aver dimenticato.
Mick era anche più bello di come appariva sullo schermo. Non era mai stato un brutto ragazzo, ma con la maturità aveva aggiunto quel senso di consapevolezza del proprio fascino che lo rendevano ancora più attraente.
«Il tempo non fa che aiutarti ad essere più bella.» Disse lui, quando la ebbe davanti.
«Oh smettila di dire sciocchezze. Sono solo particolarmente brava a truccarmi.»
Con un tacito accordo presero a camminare uno accanto all'altra, verso la chiesa. Tutti e due sapevano che erano lì per lo stesso motivo, pur senza averlo detto esplicitamente e d'altronde tra loro era sempre stato così.
Arrivarono sul sagrato e salutarono i genitori di John e la bambina vestita con un abitino nero di velluto e le scarpe di vernice, i pochi conoscenti che erano andati alla cerimonia e qualche vecchio amico del liceo e, vicini e muti, aspettarono che il feretro entrasse.
«Così alla fine l'ha fatto sul serio.» Commentò Mick, mesto.
John, il loro amico che aveva diviso con loro tutte le sere al drive-in per le rassegne del cinema d'essay, si era tolto la vita dopo anni e anni di lunghe sofferenze. Avevano provato in tutti i modi ad aiutarlo, sia con la medicina tradizionale che con quella sperimentale, ma la sua fragilità d'animo alla fine si era opposta persino alle cure e il senso di fallimento aveva preso il sopravvento. Così una sera, di ritorno da una giornata con la figlia, avuta da una relazione con una ex-tossicodipendente, torno a casa e gustando ancora una volta quel senso di fallimento di cui era convinto fosse impregnata la sua vita, andò in bagno, aprì l'armadietto del bagno e prese una lametta. Si recise le vene dei polsi talmente in profondità che la mattina successiva, quando sua madre lo trovò esanime sdraiato a terra, il pavimento era interamente ricoperto di sangue.
La telefonata era arrivata a Nora mentre era in una riunione sulle proto particelle e aveva portato via un po' di sé. Non era riuscita a non sentirsi in colpa per i successivi due giorni: lei lo aveva lasciato proprio perché credeva che con lui non avrebbe potuto avere futuro.
«Ti ricordi quante volte ne parlava, al liceo?» chiese ancora Mick, vedendo il silenzio prolungato di Nora.
La ragazza annuì debolmente, poi la bara entrò e le campane annunciarono tristi l'inizio della cerimonia.
Dopo che John fu sepolto, Mick sentì di non poter rimanere oltre: non avrebbe partecipato al ricevimento organizzato a casa di lui, non sarebbe andato avanti a parlare dei bei vecchi tempi andati insieme agli amici di una volta. Quelli neanche lo conoscevano John, lo avevano sempre considerato un outsider; in più - e si vergognava ad ammetterlo, soprattutto ora – non era riuscito a perdonare al suo amico suicida il fatto che le aveva portato via Nora, quindi era inutile continuare a star lì.
Si sfilò la giacca e se la poggiò sulla spalla.
«Te ne vai già?» La voce di Nora lo colpì alle spalle, facendolo immobilizzare all'istante. Lei era tutto quello di cui aveva bisogno nella sua vita, era sempre stato così, da quando per la prima volta gli mostrò il suo Spiderman di plastica e lei gli offrì un pasticcino di pongo.
Era lei, l'unica che riusciva a farlo star tranquillo, quando le sue lettere impazzivano.
«Non mi piacciono le celebrazioni. E poi io e John non siamo andati molto d'accordo negli ultimi tempi.»
«Per colpa mia?» In realtà, Nora non aveva mai parlato di John e della loro relazione a Mick ma sapeva che i due si erano sentiti e avevano anche litigato più volte per quello.
«Ti amavo Nora. Eri tutto il mio mondo.»
«Lo so. Anche tu.»
«E allora, perché?»
Nora si chiuse nelle spalle e le strinse; non lo sapeva perché, ci aveva pensato tante volte e non era riuscita a darsi una risposta. E proprio quell'assenza di spiegazioni, le aveva impedito di alzare il telefono e chiamarlo, o di mandargli una mail.
«E' cambiato tutto adesso.» Commentò quasi banale, Nora.
«Lo so.»
«Ho visto tutti i tuoi film.»
«Ho letto tutti i tuoi articoli. Anche se non ci ho capito niente.» Mick abbozzò un sorriso, mentre Nora rise di gusto. Era bella e non era cambiata affatto, nonostante il rossetto e l'aria da persona colta, con un ruolo importante.
Non se ne erano neanche resi conto, ma si erano messi a sedere su un muretto, appena fuori dal cimitero e Mick si era arrotolato le maniche della camicia bianca fino ai gomiti.
«E con le tue lettere disordinate come va?»
«I corsi di dizione e l'apprendimento di altre lingue mi hanno aiutato, ma ogni tanto impazziscono ancora.»
«Mi sei mancato.»
Nora guardò fisso negli occhi Mick; il suo Mick, quel ragazzino che la sfidava in bicicletta, che la faceva ridere imitando i professori, quel ragazzo dolce e delicato che aveva fatto l'amore con lei per la prima volta. Sarebbe rimasta legata a lui per sempre, come il Polo è involontariamente legato all'Equatore.
Ma c'è un tempo per tutto: per l'amore così come per l'amicizia e quando il tempo passa, per quanto profondo possa essere il legame, non sarà mai quello originale, del principio. Lo sapevano bene tutti e due; il loro tempo era passato tanti anni prima e se l'erano lasciato sfuggire senza pensare a quanto fossero importanti l'uno per l'altra. Non ci sarebbero mai più stati quei due ragazzi che amavano andarsene in giro abbracciati a bere frullati e a baciarsi sotto il sole; non ci sarebbero più state giornate spensierate, in cui l'unico pensiero era trovare un posto tranquillo per poter fare l'amore.
Era passato troppo, tanto tempo; loro erano cambiati, le loro vite erano cambiate.
«Anche tu. Ma credo sia per colpa del ricordo che abbiamo di quello che eravamo.»
«Credo che resterò per sempre innamorata di te.»
Mick le prese una mano, intrecciò le sue dita con quelle di Nora e ne baciò il dorso. Quel gesto, fece sì che le sinapsi di Mick si risvegliarono: il profumo, quello di Nora che in tutti quegli anni non aveva mai ritrovato in nessun'altra. Fu un pugno nel petto.
«Credo che non riuscirò mai ad amare nessuno, per colpa tua.» ammise Mick.
Rimasero così, in silenzio e con le mani allacciate per un tempo indefinito; aspettarono che il sole calasse, dicendosi tutto senza dirsi niente. Non c'era bisogno di parole, perché tutti e due stavano ripercorrendo gli stessi percorsi che li avevano visti felici e insieme.
Quando furono circa le sei del pomeriggio, Mick si alzò dal muretto:
«Si è fatto tardi. Ho l'aereo fra un'ora e mezza.»
«Torni a Los Angeles?»
«No, vado in Canada. Dobbiamo girare delle scene per un nuovo film e io studierò il copione in volo.»
Nora annuì, era triste; non le erano mai piaciuti gli addii, soprattutto quando sapevano di definitivo. Era già successo, aveva già vissuto quella scena, in un'altra vita ma con la stessa pesantezza sul cuore. Lasciar andare Mick non era mai una cosa semplice eppure, si ritrovava a farlo per la seconda volta, dopo dieci anni.
«Chiamami, se ti serve qualcuno che ti legge le lettere impazzite. Anche se ora che ci penso, avrai qualcuno a tua disposizione che lo fa al mio posto.»
«A dire il vero sì, qualcuno che mi aiuta c'è.»
Un sorriso amaro rigò la bocca perfetta di Nora; lo aveva perso, sotto ogni aspetto. O forse, non era mai stato suo.
«Ma ti svelo un segreto: nessuno legge i copioni come me li leggevi tu.»
Il sorriso di Nora cambiò di nuovo; Mick era ancora suo, lo sarebbe sempre stato, anche a distanza.
Lui sentì il bisogno di abbracciarla e stringerla forte, prima di salutarla per l'ennesima volta, col cuore infranto.
Lei trovò rifugio in quelle braccia che erano state una sicurezza per tanto tempo e si lasciò baciare, perché durante gli addii tutto è concesso. A Mick venne naturale piegarsi sulle sue labbra e metterle a contatto con le sue; bramava quella morbidezza e adorò il fatto che nel tempo, Nora non aveva cambiato il suo modo di baciare. Le schiuse leggermente le labbra e cercò la sua lingua. Erano nati per baciarsi, e prolungarono quella lotta perché non volevano separarsi.
L'aereo si alzò dalla pista in perfetto orario.
Nora era stanca e triste: per John e per la fine che aveva scelto di fare; per Mick, perché era partito due giorni prima e le aveva lasciato il suo sapore in bocca per tutto quel tempo; per se stessa, perché sapeva che la vita non si può riscrivere andando all'indietro ma solo guardando avanti e nel suo futuro non c'era Mick.
Sul set quel giorno sembrava non andar bene niente e le sue lettere non collaboravano; non era riuscito a studiare nulla in volo, troppo distratto dal ricordo di quel bacio e dal profumo di Nora che ancora aveva nelle narici. Era strano come tutto poteva essere visto come un déjà vu, e come a voler dare un senso di circolarità, era John che li aveva riuniti, proprio lui che li aveva separati.
John era stato per loro quel mappamondo che tiene uniti il Polo e l'Equatore.
Ma il Polo e l'Equatore, non sono fatti per stare vicini, nessuno li metterebbe accanto, disegnando una carta geografica.
Uniti ma lontani; distanti ma indispensabili l'uno all'altro.
Il Polo e l'Equatore, pur essendo uniti e inseparabili, sono destinati a star lontani, per essere al tempo stesso il punto di riferimento l'uno per l'altra.
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