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Capitolo 13 - Solo una cosa

(Credit: @/cuine.art su Instagram)

«Dove hai trovato casa, Fuyumi?» chiese Touya alla sorella dopo aver risposto sconvolto al messaggio di Mitsuha. Non la capiva, per lui era come cercare di fare un puzzle, ma senza l'immagine di riferimento. Prima si comportava da stronza acida, poi faceva la simpatica, ci provava con lui spudoratamente e lo baciava come una disperata, successivamente spariva senza neanche degnarlo di un messaggio neanche le avesse insultato la madre, dopo ricompariva all'improvviso e ripartiva con il flirt. Per non parlare dell'ultima frase che gli aveva detto al telefono: non erano state le parole in sé a turbarlo, ma il tono così triste e malinconico, come se provasse nostalgia di qualcosa che non era mai successo. Adesso cosa doveva aspettarsi? Una pugnalata al petto? Forse Keigo non aveva tutti i torti per chiamarla "la pazza".

«È vicina alla scuola che mi hanno preso, in periferia. La casa è un piccolo appartamento in affitto, il contratto vale due anni, ma volendo si può rinnovare. Peccato, e io che volevo trasferirmi vicino ai miei amati fratelli.».

Tutti e tre i fratelli Todoroki si lanciarono degli sguardi preoccupati. Volevano bene a loro sorella, ma a volte sapeva essere... pesante? Assillante? Una cozza? Forse tutte e tre le cose, ma all'ennesima potenza. Touya non viveva con la sua famiglia da quando aveva 14 anni, ma si ricordava di quanto potesse essere invadente sua sorella. Anche i primi tempi che viveva da solo vicino all'università di Fuyumi, lei piombava a casa sua all'improvviso, anche nei momenti meno opportuni. Gli portava chili e chili di dolci, che lui non sapeva neanche più dove mettere, per cui era totalmente impossibile da odiare, ma quando gli suonava il campanello alle 8 del suo unico giorno libero, perché "casa tua è un disastro, vediamo di sistemarla!", la voglia di strozzare sua sorella c'era. Una volta aveva fatto l'errore di darle le chiavi di casa sua per le emergenze senza definire cosa fosse effettivamente un'emergenza. Per due settimane non trovava più le sue cose nell'armadio, gli oggetti venivano spostati da dove li aveva lasciati e la sua collezione di tappi di birra era scomparsa.

Deglutì un pezzo di tofu che improvvisamente era diventato pesante come un macigno.

«Eh, già, peccato che abitiamo tutti e tre in centro.».

«E quindi? Guarda che distiamo solo tre quarti d'ora di mezzi, fratellone, non sarà così difficile venire a farti visita.».

Guardò Fuyumi terrorizzato, ci aveva impiegato due anni a riformare la sua collezione di tappi. Sentì Natsu ridacchiare vicino a sé e fu davvero tentato di bruciargli il culo.

«Be', Natsu, per venire da te mica ci vuole tanto, solo mezz'ora.» disse sua sorella.

Suo fratello smise subito di ridere. Anche lui sapeva fin troppo bene le conseguenze di una convivenza con Fuyumi. La loro sorella si accigliò, osservandoli sospettosa.

«Non mi volete per caso?».

La tavola piombò nel silenzio mentre Touya cercava di evitare lo sguardo della ragazza di fronte a sé. Lei capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco, quindi si rivolse a Shoto, il più sincero tra i tre.

«Non vuoi che vengo a farti visita, Sho?».

Il più piccolo di casa sembrava essersi totalmente estraniato dalla conversazione, concentrato com'era a finire i suoi udon. Sollevò la testa con gli spaghetti che gli ciondolavano dalla bocca e, dopo esserseli mangiati, rispose candidamente: «Per me non c'è alcun problema, ma dovresti chiedere il permesso ad Aizawa, mica a me.».

Piccolo bastardo... Fa tutto l'innocente, ma probabilmente è più stronzetto di quello che vuol far credere.

Shoto, dopo essersi lavato per bene le mani sulla questione, riportò la sua attenzione al piatto, non prima di essersi fatto scappare un sorrisino, soddisfatto di averla scampata un'altra volta. Il fatto che non parlasse molto mica voleva dire che fosse stupido, anzi era il più sveglio dei quattro. Touya mimò con le labbra al fratellino un "dopo me la paghi, stronzetto" carico di amore fraterno, a cui Shoto rispose con un finto sorriso innocente.

Dritta in faccia te lo becchi il pallone, piccoletto.

Sua madre li salvò dall'interrogatorio a cui Fuyumi stava per sottoporre lui e Natsu, facendoli sospirare dal sollievo. Lanciò un'occhiata fugace al telefono sul quale lampeggiava una nuova notifica.

Da Mitsuha:

Oh andiamo

Non fare il verginello con me

Non dopo l'altra sera 😉

Touya sentì le orecchie bruciargli dall'imbarazzo anche al solo pensiero di giovedì. Va bene, era stato solo un bacio, ma era certo che, se non avesse avuto quel conato di vomito, non si sarebbe fatto alcun problema ad andare oltre. Le mani gli bruciavano leggermente al solo pensiero di quel corpo stupendo, le orecchie si riempivano solo di schiocchi umidi e bagnati e dei sospiri di Mitsuha, sulla punta della lingua ancora persisteva il gusto amaro e forte del rum. Si affrettò a rispondere, prima di aiutare sua madre a sparecchiare la tavola in vista del dolce.

Da Zuccherino:

Non sto facendo il verginello

È che sai, ho letteralmente mio padre affianco

Se legge certe cose gli viene un infarto

Mitsuha lesse il messaggio proprio mentre stava chiudendo la porta di casa. Alla fine, stufa di poltrire sul divano aveva deciso di uscire e aveva anche una meta molto precisa. Non era stato così difficile trovare l'indirizzo di Endeavor, praticamente tutta la sua vita privata le era stata servita su un piatto d'argento. Chi erano i suoi genitori, che scuola aveva frequentato, la sua rivalità con All Might che persisteva sin dal liceo, il suo matrimonio con l'incantevole Rei Shimura, i quattro figli, tutto insomma. Tra un po' poteva anche sapere quanti peli del naso avesse.

La cosa che la sorprendeva era che per il figlio Touya non era lo stesso. Non si avevano articoli su di lui non prima della sua comparsa come Dabi, nuovo Prohero fresco fresco di diploma e futuro erede dell'agenzia del padre. Alcune malelingue avevano scritto articoli di gossip dove sibilavano che probabilmente l'azienda sarebbe passata direttamente alle mani del fratello più piccolo, Shoto, per il suo successo al festival e il modo coraggioso con cui si era battuto contro la League. A Mitsuha non poteva fregar di meno di questi pettegolezzi da quattro soldi, invece la incuriosiva era il fatto che, al contrario del padre, di Touya, oltre alla sua palese parentela col Numero Uno, non si sapeva assolutamente nulla. Almeno, dai pochi articoli che aveva letto le informazioni sembravano essere state selezionate per presentare il ragazzo come una sorta di uomo perfetto e imperscrutabile, il perfetto idolo delle masse. Bello, giovane, prestante, sempre gentile e cordiale, pacato e mai aggressivo.

Non che quella descrizione stonasse con quello che aveva visto, ma non c'era una sola macchia di disonore, alcun scheletro o piccolo scandolo. Non c'erano nemmeno articoli su una possibile relazione con Hawks, andiamo! Non poteva essere l'unica a sospettarlo, quei due erano sempre insieme, sempre appiccicati. Spulciò ancora qualche articolo, mentre scendeva le scale del suo condominio.

«Un bravo ragazzo... blah blah blah... un giovane pronto a sacrificarsi per il proprio paese... blah blah blah... un cittadino onesto... blah blah blah... cazzo, sembra uno spot pubblicitario!» disse tra sé e sé innervosita. Sperava di fare qualche ricerca in solitaria per scoprire di più su quei due imbecilli, ma aveva trovato solo poche informazioni scarne e ripetitive. Una volta giunta alla fine della tromba delle scale, chiuse Zoozle e rispose velocemente al ragazzo.

Da Mitsuha:

Ci si vede, Zuccherino ;-*

Touya guardò stranito il nuovo messaggio mentre si portava alla bocca il cucchiaio col gelato al cioccolato bianco e pezzi di fragola. Probabilmente era il modo strano di Mitsuha per salutarlo e indivcargli che aveva perso interesse in quella conversazione. Tanto meglio pensò scrollando le spalle.

Quasi si cacciò la posata in gola quando Natsu gli diede una gomitata particolarmente forte. Il suo caro fratellino, piccolo solo di età ormai, era più alto di lui di una spanna abbondante e largo almeno il doppio, con la conseguenza che ricevere una botta da lui, anche una innocente come quella, era come essere colpiti da un cannone.

«Ma che cazzo fai, Natsu?» sibilò massaggiandosi il costato.

L'altro borbottò delle scuse affrettate prima che sua madre lo rimproverasse, poi gli chiese sottovoce con aria un po' colpevole: «Ti va una partita a basket dopo?».

Lanciò un'occhiata all'orologio della cucina, un inquietante Ricky Rat che usava le braccia come lancette, vedendo che erano appena le 20. La mattina dopo si sarebbe dovuto svegliare alle 7 per il solito turno di ronda e lavoro d'ufficio all'agenzia di suo padre, nulla di troppo impegnativo per una volta.

«Ovvio, scemo. Partita di basket post cena è d'obbligo. Devo anche fartela pagare per prima.» rispose serafico. Gli poggiò una mano sulla spalla stringendo la presa e riscaldando il palmo per rimarcare le sue parole. Natsu gli rivolse uno sguardo preoccupato e deglutì, poi si scrollò di dosso la mano del fratello borbottando sul fatto che fosse un permaloso del cazzo.

«Sho, partita a basket dopo?» chiese anche al più piccolo di casa, che rispose annuendo per non sputacchiare ovunque il mochi che si stava mangiando.

«Tu, papà?».

Quando si girò verso il padre con quella domanda si impressionò nel vedere una somiglianza così netta con Shoto: in bocca si era cacciato almeno due mochi con in viso lo sguardo colpevole di un uomo che non riesce a resistere agli zuccheri. Negò vistosamente con la testa, come a dire "alla mia età mi manca solo di giocare a basket, ma per piacere!". A Touya scappò una risatina poi si concentrò sul suo gelato.

«E a me non lo chiedi?».

Sbuffò chiudendo gli occhi irritato. Quel giorno Fuyumi aveva deciso di torturarlo con le sue continue lamentele da unica figlia femmina.

«Yumiiiiii, ti prego no-».

«Mi escludete sempre voi tre! E solo perché sono una femmina, se fossi nata maschio avreste inviato pure me! Ah, gli uomini! Tutti maschilisti, presuntuosi-».

Si levò un coro disperato da parte dei tre ragazzi Todoroki, con le orecchie ormai sature di quei discorsi pseudo-femministi e di lamentele gratuite.

«Fuyumi, vuoi venire a fare una partita a basket?».

La ragazza con un sorriso in volto finì prima il suo gelato e poi rispose candidamente: «Sì, mi piacerebbe molto giocare con voi.».

Touya sbuffò borbottando tra sé e sé, mentre trangugiava gli ultimi rimasugli ormai sciolti del suo gelato.

«Ci voleva così tanto per dirlo?».

«Ti ho sentito, Touya».

Il ragazzo gli rivolse una virile pernacchia come risposta. Sua madre si schiarì la gola guardandolo minacciosa, come quando da piccolo lo beccava a tirare le codine della sorella per dispetto. Fuyumi era la sola figlia femmina della casa e crescere con tre fratelli maschi non doveva essere stato semplice, glielo riconosceva anche Touya. Aveva sempre dovuto fare la voce più grossa, perché altrimenti non la prendevano sul serio quando volevano giocare, per non parlare del fatto che a volte facevano combutta tutti e tre per farle qualche scherzo. Allo stesso tempo, però, non sarebbero mai riusciti a sopravvivere senza di lei che faceva da mediatore durante le loro litigate o che si impegnava sempre con qualche nuova ricetta per sollevare loro il morale.

E Touya lo sapeva, di contro loro avrebbero fatto di tutto per la loro unica sorella, perché poteva essere impicciona, appiccicosa e anche assillante, ma, se qualcuno si azzardava a ferirla o anche solo a guardarla dal collo in giù, aveva vita breve. Spesso negli anni era tornato dall'addestramento anche durante i periodi di pausa che non sempre coincidevano con le vacanze dei loro fratelli, quindi si era ritrovato catapultato nella loro vita quotidiana fatta di scuola, amici e uscite. Sempre, ogni singola volta che Fuyumi andava a una festa era lui ad accompagnarla e a venirla a riprendere, premurandosi anche di squadrare per bene ogni essere vivente gli capitasse a tiro. Gli era pure capitato di minacciare qualche ragazzo che si presentava di fronte alla porta di casa loro dicendo di avere un appuntamento con Fuyumi, alla quale ovviamente non piaceva questo atteggiamento geloso del fratello. Se ne lamentava sempre, ma poi era da lui che correva quando l'ennesimo pezzo di merda le spezzava il cuore.

Il rapporto con sua sorella era così, l'uno si prendeva cura dell'altra a modo proprio, anche se in realtà era così per tutti e quattro i fratelli. Tra loro, nonostante le continue assenze di Touya, non era cambiato molto da quando erano piccoli, anzi semmai la costante distanza a cui erano sottoposti li aveva rafforzati a godersi al massimo quei pochi momenti insieme concesso loro durante l'anno. Touya ne era certo, avrebbe sempre potuto contare su di loro.

Una volta che tutti ebbero finito di mangiare, sparecchiarono tutti insieme. Natsu e Rei si misero a lavare i piatti, mentre Touya e Shoto li rimettevano al loro posto dopo averli asciugati ed Enji e Fuyumi si occupavano di sistemare la sala pranzo.

«Allora? Come va alla U.A.? Hai fatto amicizia con qualcuno?» chiese il fratello maggiore al più piccolo, il quale gli rispose con voce pacata come suo solito.

«Mh-mh, non dico di essere amico con tutti quelli della classe, ma ho il mio gruppetto.».

A Touya scappò un sorriso. Nonostante suo fratello fosse espressivo come una statua di marmo, capiva bene che era contento di essere in quella classe. Non era mai stato molto espansivo, anzi era parecchio timido e introverso, quest'ultimo tratto era in comune col suo fratellone, il quale lo capiva perfettamente quanto fosse stancante fisicamente e mentalmente stare in mezzo a un gruppo di persone. Per ciò, durante gli anni precedenti non si era fatto molti amici, come diceva Keigo "non aveva trovato l'estroverso che lo adottasse".

«Ah, sì? Racconta, dai.».

«Mi piace chiacchierare molto con Midoriya, un ragazzo che ho conosciuto al festival sportivo, e anche con Bakugou, quando non urla. Iida è una compagnia piacevole, soprattutto quando non capisco qualcosa delle lezioni, mentre Kaminari e Mineta sono molto divertenti. Tra le ragazze, invece Jirou è quella con cui parlo di più, soprattutto di musica. Mina invece è molto invadente, ma sa il fatto suo. Sato e Hagakure fanno dei dolci spaziali! E poi... - a Touya non sfuggì il rossore sulle guance del fratello e sorrise sornione. - ehm, sì, insomma tutto qui.».

«Tutto qui? Ne sei sicuro?».

Shoto avvampò ancora di più, sfogando la sua frustrazione su un povero piatto.

«Sicurissimo!» confermò poco convinto.

A Touya bastò guardarlo scettico ancora per qualche secondo senza parlare per farlo crollare. Shoto gli passò il piatto in malo modo prima di emettere un verso imbarazzato e rispondergli.

«E va bene! Poi ci sono Sero e Yaoyorozu, che sono molto simpatici. Contento adesso?».

L'altro ridacchiò, mentre sistemava al suo posto il piatto.

«Molto contento, sì.».

Shoto sbuffò ancora e riprese il suo compito con le orecchie ancora rosse. Nonostante l'imbarazzo continuarono a parlottare tra loro, principalmente per avere dei consigli su come riuscire a maneggiare meglio il fuoco, con il quale il suo fratellino aveva un po' di difficoltà. Gli promise che appena avrebbe avuto un po' di tregua dal lavoro si sarebbero allenati insieme. Alla proposta Shoto annuì con foga e contentezza, quasi saltellando, e ne fu contento Touya, perché era riuscito a salvare un rapporto che aveva tutti i presupposti per affogare e finire nell'odio e nell'invidia.

Con il suo fratellino aveva una relazione più tenera rispetto che con Fuyumi e Natsu, con i quali sentiva di avere un forte connessione, ma non a livello di Shoto. Con altri due scherzava e litigava, con loro le cose erano rumorose e chiassose, invece il piccolo di casa gli ricordava più le passeggiate pigre in campagna, i pomeriggi stesi al sole a chiacchierare pigramente di qualsiasi cosa passasse loro per la testa. Shoto gli trasmetteva calma e tranquillità, era una virgola nella sua vita frenetica e incasinata. Con lui sentiva sempre di poter finalmente respirare e prendersi una pausa, magari di fronte a un tè.

Finirono tutti i loro compiti e corsero immediatamente in giardino, dove il canestro di basket li aspettava in trepidante attesa. Era una gara a chi arrivava prima ad afferrare il pallone abbandonato ai piedi del tabellone, in testa Shoto, che, seppur arrivato per primo, si fece scivolare dalle mani il pallone nella foga. Fu recuperato da Touya, appena dietro di lui, seguito da Natsu col fiatone e Fuyumi per ultima che camminava tranquillamente, fresca come una rosa.

«Facciamo a squadre o tutti contro tutti?» chiese l'ultima arrivata tirandosi le maniche della camicetta fino ai gomiti.

«Tutti contro tutti, mi sembra ovvio!» rispose Touya, con il pallone incastrato tra il fianco e il braccio.

«Da quando scegli tu? Siamo in una democrazia, quindi la maggioranza vince. Io voto due contro due.» rispose Natsu. Shoto e Fuyumi annuirono in segno di assenso ponendo fine alla dittatura del fratello maggiore.

«Va bene, va bene. Posso almeno scegliere il mio compagno di squadra?» chiese allora Touya spazientito. Quei tre si coalizzavano sempre contro di lui!

«Solo se l'altro è d'accordo a stare con te.» rispose Shoto senza battere ciglio.

L'altro alzò gli occhi al cielo per nulla colpito dalla schiettezza di suo fratello, che rasentava la spietatezza a volte.

«Natsu, vuoi essere in squadra con me? Così va bene?».

«Certo! Adesso vedi come spacchiamo loro il culo!» gli rispose l'altro carico sbattendogli una manata poderosa sulla schiena.

Touya posò il pallone a terra, al centro esatto del giardino e si disposero una coppia di fronte all'altra ai lati del tabellone. Le regole erano semplici: dovevano correre per prendere il pallone e poi tornare indietro con questo in mano per poter fare canestro, con la coppia rimasta a mani nude a difendere. Contarono insieme fino a tre, poi scattarono tutti e quattro verso la palla, incurante di quello che stava per succedere.

Touya afferrò la palla per primo e la lanciò subito a Natsu, prima che Shoto iniziasse a marcarlo. Il suo compagno si voltò verso il canestro tentando subito di centrarlo con un tiro da metà campo, ma fallì facendo rotolare la palla per terra. Fuyumi fu fulminea nell'acciuffarla per tentare di nuovo la stessa azione del fratello, anche lei fallendo. Nel frattempo Shoto era tornato indietro, seguito da Touya, e si gettarono insieme verso il pallone per recuperarlo, ma questa volta vinse il più piccolo che fece un canestro perfetto.

«Uno a zero per noi, perdenti!» rise Fuyumi battendo il cinque al suo compagno.

Touya recuperò la palla dirigendosi verso il centro campo, per continuare il gioco, meditando vendetta. Giocarono per quelle che sembrarono ore, ma che in realtà era poco più che una scarsa mezz'ora. Era da tempo che non si vedevano tutti insieme, per un motivo o per un altro, quindi volevano sfruttare ogni singolo secondo per recuperare il tempo perso. I problemi, l'ansia e lo stress parvero volare via dalla testa di Touya, come sbalzati via dal pallone con cui stavano giocando in quel momento.

Non sentiva la fatica accorciargli il fiato, le gambe stanche scricchiolare o il sudore impregnargli la maglietta, tutto riusciva a passare in secondo piano, perdeva d'importanza quando erano solo loro quattro nello stesso giardino nel quale spendevano interi pomeriggi da piccoli. Non diede peso alle spallate di Natsu, ai ceffoni volanti di Fuyumi o agli sgambetti subdoli di Shoto, anzi erano un motivo per ridere, per scherzare, per far sparire nell'aria tutta la pesantezza che in quelle settimane gli faceva marcire il cuore. Per una volta poteva tornare a dormire col sorriso in volto, contento del fiatone che gli riempiva i polmoni come un mantice e del sudore che gli ricopriva il corpo di una seconda pelle.

«Shoto! Il professor Aizawa è venuto a riprenderti!».

La voce di Rei li fece voltare verso la portafinestra che conduceva al salotto. Erano nel bel mezzo di un'azione, che avrebbe decretato i vincitori di quella partita. Erano due a due in parimerito, con Touya che aveva in mano il pallone, placcato sia da Shoto sia da Fuyumi, mentre Natsu si sbracciava per farsi passare la palla. Se faceva un passo a destra si ritrovava sua sorella di nuovo addosso, stessa cosa a sinistra con il fratello, mentre l'altro ancora sembrava la pallina impazzita di un flipper che continuava a spostarsi a caso di fronte a lui e tra il canestro e gli altri due che gli facevano da barriera.

A un certo punto, Touya si bloccò e pensò di fare una follia: prese la palla con entrambe le mani, caricò le gambe e salò più in alto che poté lanciando la palla verso il canestro, su cui rimbalzò e iniziò a girare attorno all'anello con una lentezza straziante. Rimasero tutti fermi a guardare la parabola perfetta che aveva creato la traiettoria del pallone e col fiato sospeso attesero che entrasse dentro il cestino o che cadesse fuori. Fu Natsu a lanciare un grido vittorioso quando fecero punto, battendo il pugno al suo fratello maggiore che se la rideva soddisfatto, mentre gli altri due misero su un broncio bambinesco.

«Non vale mi hai spinto prima, Natsu!».

«Se tu stai in mezzo ai piedi e sei lenta come una lumaca, quello potevo fare, Yumi!».

«Ma hai barato!».

«È impossibile barare in un gioco nel quale non ci sono regole.» si intromise Touya incrociando le braccia e respirando affannosamente.

Shoto nel frattempo aveva recuperato la palla e l'aveva lanciata a tradimento al più grande, che incespiscò con le mani essendo stato colto di sorpresa.

«Adesso giocherete senza di me, vero?» si lamentò, mentre si dirigeva verso casa per prendere le sue cose prima di tornare alla UA, ma fu raggiunto da Touya che gli avvolse un braccio attorno alle spalle stringendoselo addosso. Oh, che bello aveva beccato il lato freddo!

«No, tranquillo, devo andare anche io.».

«Cosa? Ma sono le 21:30.» sbuffò Natsu gonfiando le guance. Si comportava ancora da bambino, quando si trattava di separarsi.

«Già, casa mia è un disastro e domani mattina non ho tempo per sistemarla.».

Fuyumi fece un finto verso sorpreso portandosi drammaticamente una mano al petto.

«Metti in ordine casa tua? Sicuro di stare bene, Tou-chan? Hai la febbre?».

Il diretto interessato le rivolse una linguaccia, mentre entravano dentro il salotto. Ci fu un momento di confusione, nel frattempo che ognuno cercava le proprie cose, poi si ritrovarono tutti e sei fuori alla porta di casa per i saluti finali. Sua madre si prese con calma il suo tempo per ricoprire di baci a abbracci ogni figlio premurandosi anche di scoccargli i soliti avvertimenti da mamma premurosa. Suo padre era meno espansivo, limitandosi a una pacca sulla spalla e un sorriso tenero sulle labbra. A volte si chiedeva come due opposti come i suoi genitori potessero ancora stare insieme e amarsi così incondizionatamente, si stupiva a vedere che le differenze tra loro due non sembrava minimamente scalfire lo sguardo che suo padre rivolgeva a sua madre ogni giorno.

«Mi raccomando, Touya, non strafare come tuo solito!».

Fu il suo turno di beccarsi le frasi preoccupate di una madre che conosce fin troppo bene suo figlio. Le rivolse un sorriso tirato e la distrasse prima che potesse ribattere con un abbraccio, dondolandosi avanti e indietro per farla ridere.

«Va bene, mamma, stai tranquilla.».

Lei si svincolò dalla sua presa e gli rivolse uno sguardo serio, con gli occhi grigi che potevano congelare anche la lava stessa, ma poi si addolcirono subito alla vista del figlio rilassato e felice. Rei finalmente lasciò andare tutti e tre i suoi figli maschi, i quali si diressero verso il cancelletto parlottando tra loro.

«Ci vediamo alla prossima, Sho. Ti faccio sapere quando ho un po' di pace al lavoro.».

«Va bene, Touya. Se non riesci a liberarti non è un problema.».

Si fermarono vicino a una macchina nera al cui posto del guidatore c'era un paziente professor Aizawa, che li salutò con un semplice cenno del capo. Scompigliò i capelli di Shoto, ben sapendo quanto gli desse fastidio che il rosso e il bianco si mescolassero tra loro.

«Non preoccuparti. Tu vedi nel frattempo di seguire i miei consigli, hai capito?».

L'altro fece un verso di assenzo e salutò entrambi con un gesto della mano. Anche Shoto aveva decisamente ripreso dal loro padre quel lato di fredda riservatezza.

La macchina partì poco dopo lasciando Touya e Natsuo da soli. Quest'ultimo si dondolava sui talloni a disagio, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, mentre l'altro lo guardava circospetto, lo conosceva fin troppo bene e aveva capito benissimo che doveva dirgli qualcosa di importante. Natsu si massaggiò la nuca prima di parlare.

«Senti, Tou, per prima a cena... scusa, non volevo farti pesare il fatto che lavori tanto. So che ti sei impegnato tantissimo per diventare un Pro Hero e so che quanto ci tieni e quanto tu ami quello che fai. È che a volte mi manca mio fratello...».

Lo guardò sorpreso. Non si aspettava delle scuse, ormai dava la questione come chiusa. Forse ci era andato troppo pesante.

«Accetto le tue scuse, Natsu. Stai tranquillo, anche io a volte mi accorgo che faccio sommergere dalle cose. Cercherò di fare di più il fratellone fastidioso e meno l'eroe.».

Natsu si lasciò scappare una risatina, poi tornò serio mangiucchiandosi l'unghia del pollice, lo faceva sempre quando era nervoso.

«Eh, sì, insomma, poi ce l'avevo con te per... per avermi dato buca quella volta che avevo organizzato l'appuntamento a quattro con Aya!» sbottò rosso in viso.

Touya portò la testa all'indietro ridendo.

«Ma sei serio? È successo più di tre mesi fa!».

«Lo so, ma mi hai fatto fare la figura dell'idiota! Non ci credevano che fossi mio fratello.» brontolò l'altro, mentre Touya se la rideva.

«Okok, la prossima volta vedrò di venire, però tu non puoi chiedermi le cose da un giorno all'altro. Ho degli orari da rispettare e devo trovare un sostituto in caso io non dia la mia disponibilità per le emergenze.» gli disse tornando serio.

Suo fratello annuì alzando gli occhi al cielo, mentre iniziava a dirigersi verso il suo scooter.

«Adesso devo anche prendere appuntamento per vedere mio fratello!».

«Esatto!» gli urlò di risposta l'altro, mentre guardava Natsu infilarsi il casco e salire in moto. Questo gli rivolse una smorfia infastidita poi lo salutò avviando il motore.

Dopo che se ne fu andato, Touya rimase da solo rigenerato e col cuore leggero. Gli ci voleva proprio quella serata solo lui e la sua famiglia. Era felice, come non lo era da settimane, e carico per il giorno dopo. Decise che li avrebbe rivisti più spesso.

«Ok, ho appena avuto la conferma che il tuo è di gran lunga il sedere più bello tra quelli dei tuoi fratelli. Maggiorenni, ovvio. Sento i polsi freddi anche solo a pensare alla piccola peste.».

Touya credette che il suo cuore stesse per saltargli fuori dal petto e correre via terrorizzato per lo spavento. Si voltò verso la ragazza che aveva riconosciuto anche solo dalla voce divertita e strafottente. Mitsuha lo guardava con occhi innocenti e un sorriso da prendere a morsi- cioè a schiaffi sul viso. Pardon, si era sbagliato.

Era vestita con il suo inseparabile smanicato, un paio di pantaloncini jeans e le solite vans rosse sfondate, mentre i capelli indomabili erano lasciati sciolti, come a formare una criniera scura attorno al suo volto. Reggeva in mano anche due bottiglie di birra che sfoggiava come trofei.

«TU! Che cazzo ci fai qui? Come hai fatto a trovare l'indirizzo dei miei?» chiese ansioso. Nella sua testa erano già partiti scenari apocalittici che vedevano la casa in cui era cresciuto circondata da villain.

Mitsuha alzò candidamente le spalle, rispondendo come se stesse ordinando una pizza.

«Be', tuo padre è davvero destinato a essere l'eterno secondo, visto che persino una rivista di design ha classificato la casa di Endeavor subito dopo quella di All Might.».

Touya la guardò ancora sconvolto, in una tacita richiesta di spiegarsi meglio. Lei fece un verso spazientito.

«Sei lento a volte, lo sai? Hanno messo in un articolo una foto della casa, palesemente in stile giapponese, e in tutta Musufafu saranno tre i quartieri che hanno ancora abitazioni costruite così. Solo che non potevo girarmi mezza città, quindi sommiamo anche il fatto che tuo padre è solito allenarsi alla collina Sekoto, ho iniziato a cercare dal quartiere più vicina a questa. E avevo ragione, come sempre.».

Glielo aveva raccontato come se gli stesse narrando di come aveva trovato il pacco di biscotti nella corsia del supermercato. Touya aveva un miscuglio di emozioni contrastanti e opposte che gli turbinavano dal cervello al cuore: era spaventato che sapesse dove abitassero i suoi genitori, ansioso che potesse dirlo a qualcuno della League, intimorito e... felice di vederla? Ma era scemo?

Mistuha sembrò notare l'ondata di panico che avvolgeva il ragazzo, quindi per un attimo fece cadere la maschera di finta arroganza che indossava e si rivolse a lui seriamente per la prima volta. Fu anche sorpreso di questo e ancor di più delle parole che disse.

«Touya, stai tranquillo, non lo dirò a nessuno che questa è casa di tuo padre, te lo giuro.».

«E cosa mi garantisce che tu non stia mentendo?».

«Il fatto che io non infranga mai le mie promesse, Touya. Tra le poche cose che mi hanno insegnato, è che la lealtà è il più alto e sacro dei valori.».

Lo guardò seria negli occhi, per un attimo fu come risucchiato dalle iridi scure della ragazza, che erano simili a un buco nero profondo e infinito, verso il quale veniva trascinato senza la sua volontà. Era una sensazione spaventosa che non riusciva a controllare. Una sensazione meravigliosa e travolgente, ma che lo terrorizzava fin nelle ossa. Si morse il central labret facendo subito calamitare gli occhi della ragazza lì per una frazione di secondo, poi rivolse di nuovo lo sguardo ai suoi occhi.

«Va bene, mi fido. - incrociò le braccia al petto per fermare il tremore alle mani. - Cosa ci fai qui?».

Mitsuha gli diede un finto sorriso innocente, avvicinandosi a lui con passo baldanzoso, e agitò le birre che teneva ancora in mano.

«Sono qui per divertirmi.».

«Con me?».

«Già, Zuccherino. L'altra volta ci siamo divertiti così tanto, ricordi?».

Touya deglutì rumorosamente e nascose il rossore in volto per l'imbarazzo mostrandosi arrabbiato.

«Ci siamo divertiti nella parte in cui mi costringi a bere o in quella in cui mi abbandoni mentre vomito l'anima?».

Un po' gli bruciava che se ne fosse andata, lasciandolo solo come un idiota, ma tanto sapeva che sotto sotto era un modo per scaricare il peso della sua vergogna su di lei, perché il fatto che fosse stato male gli bruciava per due motivi. Il primo era aver fatto una figuraccia di fronte a quella che era a tutti gli effetti una bella ragazza. Touya aveva un cervello contorto, è vero, ma Mitsuha rimaneva comunque una delle donne più belle che avesse mai visto con la pelle ambrata, circondata da quei ricci scurissimi, ma mai scuri quanto quei occhi immensi che gli facevano attorcigliare lo stomaco.

Il secondo motivo è che, se non fosse stato per il conato, lui non aveva per nulla idea di quello che avrebbe fatto. Non solo per l'alcool in corpo, no. Sentiva l'attrazione strana e assurda che provava per quella ragazza anche in quel momento, perfettamente sobrio. Percepiva nell'aria una tensione che lo spingeva nella direzione di Mitsuha e ciò che lo spaventava era che non aveva idea di quanto a lungo avrebbe retto. Prima o poi l'elastico si sarebbe rotto e lui avrebbe fatto un disastro, lo sapeva. Gli rodeva il fegato la consapevolezza che c'era una forza tra loro due che avrebbe assecondato senza neanche pentirsene quella sera al Viper se non avesse vomitato e lei non fosse sparita.

«Oh, andiamo, lo sai benissimo, Zuccherino. Direi che nella parte in mezzo tu abbia apprezzato fin troppo.» gli disse melliflua, la sua voce era il canto di una sirena che lo stordiva e lo piegava alla sua volontà.

Si era avvicinata a lui tenendosi comunque un po' distante, ma il modo in cui lo guardava sembrava avercela solo a pochi centimetri dal naso e si ricordava fin troppo bene com'era averla a quella distanza. Si schiarì la gola distogliendo lo sguardo dalle labbra dell'altra. Per un secondo si era chiesto se avrebbero ancora avuto il sapore del rum o di qualche altro liquore.

«Mitsuha, non sono in vena dei tuoi giochetti.».

Cercò di passarle accanto per raggiungere la macchina, ma la ragazza gli si parò davanti con tutto il suo metro e ottanta arrogante.

«Dai, sono appena le 22, non vorrai mica andare a letto a quest'ora? Hai ottant'anni per caso?» lo prese in giro inclinando la testa. Lui cercò di non seguire la curva morbida dei suoi capelli che scendeva oltre le spalle per finire ad accarezzarle il petto, ma cercando di essere risoluto replicò stizzito.

«Io domani lavoro.».

Mitsuha alzò le spalle per nulla impressionata.

«Anche io e quindi? Non sei speciale, tesoro.».

Lui sospirò passandosi una mano sul viso.

«Ho la sveglia alle 7.».

«6:30».

Gli rivolse un sorriso serafico e per niente innocente.

«Visto? Dovresti andare a casa anche tu!».

Lei alzò gli occhi al cielo agitando le birre che aveva in mano e poggiando i polsi ai fianchi.

«Ma chi cazzo sei? Mio padre? Dai, solo un paio d'ore, poi giuro che faccio la brava e torno a casa.».

Lo guardò dritto negli occhi, con un piccolo broncio sulle labbra, che le faceva emergere in avanti. Touya si concesse qualche secondo per pensare, ma nella sua testa c'era il vuoto, riempito solo dalla vista di quelle labbra che ricordava così morbide e dolci. Una parte di sé si opponeva a quella forza innaturale e totalmente folle che lo attirava, ma l'altra parte continuava a chiedersi se, invece di stare sempre a fare quello che doveva o avrebbe dovuto fare, avesse fatto solo quello che voleva fare.

E ciò che adesso aveva voglia di fare con tutto sé stesso era solo una cosa.

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