Capitolo II
Capitolo II
Tony era di pessimo umore, ed era solo il secondo giorno dall'inizio dell'Internship e fu solo un nuovo motivo di demordere, per Peter. Gli stava rendendo la vita decisamente difficile da quando aveva iniziato quel percorso e, collaborare con lui, diventava ogni giorno più difficile e sfiancante. Non aveva mai visto un carattere più di merda di quello e, sinceramente, sebbene avesse sperato di trovare qualcuno a cui rivelare la sua identità, visto che si trovavano nel quartier generale degli Avengers – e solo Dio sapeva quanto sperava di entrare a farne parte nelle vesti di Spider-Man, Tony era di certo l'ultima persona a cui l'avrebbe rivelata: scostante, spocchioso, sempre altezzoso e superbo, con poca voglia di collaborare e tanta di comandare quando, in verità, si trovavano lì nelle vesti di ricercatori tecnologici, sullo stesso livello, ma invece di vederlo come un collega, lo aveva visto come un sottoposto, un servo, qualcuno da sfruttare e su cui sfogare la sua rabbia.
Un altro giorno così e l'avrebbe mandato a quel paese.
«Oggi abbiamo un mucchio di cose da fare. Cerca di rimanere concentrato», gli disse, senza nemmeno dargli il buongiorno, quando entrò nel loro laboratorio. Gentile e premuroso come una tarantola velenosa.
«Happy mi ha detto di darti questi», gli disse Peter, porgendogli dei fogli che Tony prese tra le mani senza nemmeno ringraziare.
Non che si aspettasse di sentir dire al signor baciate i miei piedi anche solo uno striminzito grazie , comunque.
«Altre scartoffie inutili...», borbottò il giovane, poi gracchiò, quando sentirono bussare alla porta. «Avanti!»
Peter si voltò non appena sentì una voce familiare alle sue spalle, quando l'ospite entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle e, se non avesse poggiato una mano alla sua scrivania, sarebbe caduto a terra per la sorpresa, come uno stoccafisso. Di fronte a lui, in un completo grigio topo e una cravatta annodata perfettamente al colletto, c'era Howard Stark. Dovette metterci tutto se stesso per non collassare, perché per lui significava realizzare un sogno che coltivava nel suo cuore da troppo. Per Peter, Howard Stark era la massima rappresentazione di un uomo che era riuscito a realizzare tutto, nella vita. Un uomo in grado di fare qualunque cosa, senza sbagliare un colpo.
«È permesso?», chiese il signor Stark e Peter trattenne il fiato.
È a due centimetri da me! Devo dire qualcosa! , pensò, prima di ammutolirsi di nuovo, quando Tony prese parola, sbrigativo.
«Che fai qui? Non è giorno di visite.»
«Buongiorno anche a te, Tony», replicò l'uomo, ironico, poi continuò: «C'è un reset da fare a questo hardware, entro stasera. Sono venuto a portartelo».
Tony sbuffò divertito, prendendo poi i documenti di Happy. «Da quando hai iniziato a fare tu, le consegne? Banner è malato? Sam Wilson ti ha detto di no?
Di nuovo, Howard Stark non parve sorpreso da tutta quell'arroganza, visibilmente abituato ai modi di fare di Tony. Così tanto che forse non ci faceva nemmeno più caso.
«Volevo approfittarne per fare visita ai nostri tirocinanti, dato che sono tornato stanotte dalla Corea.»
«Capito. Beh, lascialo pure lì, lo prenderò dopo», disse Tony, senza alzare la testa dai documenti che erano diventati stranamente molto interessanti, ora che il signor Stark era entrato nella stanza. Peter gli lanciò giusto un'occhiata, troppo emozionato all'idea di poter finalmente conoscere l'uomo, che difatti, dopo aver lanciato un'occhiata indefinibile a Tony, lo guardò.
Fu felice di vederlo sorridere per un secondo.
«Tu devi essere Peter. Mi hanno parlato molto bene di te e la tua graduatoria è stata impeccabile. Hai quasi totalizzato il massimo dei voti.»
Peter ebbe un tuffo al cuore e, precipitandosi a dargli la mano con un certo senso di sollievo ma anche di ansia addosso, disse: «Signor Stark, lei non sa che onore è per me conoscerla dal vivo! Ho sempre desiderato poter stringere la mano all'uomo che ha tirato su tutto questo e la stimo molto... mi creda, non sto cercando di fare colpo, sono molto emozionato e non sa che paura ho di fare qualche gaffe!», esclamò, tutto d'un fiato, come al solito incapace di darsi un freno quando era così emozionato.
«La stima è reciproca, Parker», disse l'uomo, dando l'impressione di non essere rimasto poi così colpito da quei complimenti. Sicuramente era abituato a riceverne anche di più pomposi, «Tony, ci sentiamo più tardi. Stasera vedi di non rimanere fino a tardi come è successo ieri».
«Certo, certo», rispose Tony, sospirando sgarbatamente, facendo intendere che non gradiva per nulla la presenza dell'uomo, poi alzò lo sguardo e arricciò le labbra: «Ora se non ti dispiace, qui c'è del lavoro da fare; non per me, non per Parker ma per te, siccome la baracca è la tua. Ci vediamo più tardi, non sentirai la mia mancanza, vedrai.»
Peter sussultò, stupito da tanta ostilità, specie nei confronti del loro - praticamente - datore di lavoro, ma lo stupì di più l'atteggiamento quasi abituato di Howard Stark che si limitò a sospirare leggermente.
«Vi lascio lavorare. E' stato un piacere, Parker», disse infatti l'uomo, stringendogli di nuovo la mano.
«Anche per me, signore!»
La porta tagliafuoco si chiuse di nuovo e la stanza tornò silenziosa, fatta eccezione per il rumore delle ventole di raffreddamento alla quale Peter si era già quasi abituato. Tornò lentamente alla sua postazione lanciando un occhio a Tony che, a prima vista, sembrava vittima di un enorme e fastidiosissimo mal di testa.
Avrebbe voluto chiedergli come poteva permettersi di rispondere a quel modo ad uno degli uomini più influenti del mondo; avrebbe voluto chiedergli se era in grado di trattenere, ogni tanto, quel fastidiosissimo modo di fare che lo rendeva solo antipatico a morte; avrebbe voluto chiedergli, anche, perché il signor Stark non lo aveva ancora cacciato via.
«Non guardarmi così, Parker.»
«Non ti sto guardando», rispose Peter, lapidario, mentendo solo perché un po' ci trovava gusto a contraddirlo. Gli veniva quasi naturale.
Tony parve ignorarlo stavolta e, alzando lo sguardo sul suo, continuò: «Lo trattate tutti come se fosse una specie di Dio, la verità è che Howard Stark è un pezzo di merda, okay? Il pezzo di merda più grosso che tu abbia mai visto in vita tua. Egoista, guerrafondaio, opportunista... ce li ha tutti, i requisiti per farsi detestare e voi... voi no! Sempre lì, a tessere le sue stupide lodi. Imparerai presto che l'apparenza inganna e qui dentro è raro trovare qualcuno che sia esattamente come appare!»
«Tipo te?», si lasciò sfuggire Peter, un po' infastidito dal fatto che, proprio lui, forse una delle persone più odiose che avesse mai conosciuto, si era appena permesso di insultare un uomo che aveva creato, col sudore della fronte, un vero e proprio impero per la salvezza mondiale.
«Esatto, Parker! Non credo di aver mai dato l'idea di essere una persona piacevole. Se mi si conosce bene, poi, si ha la conferma che difatti non lo sono. Non mi sopporti, ed è okay, ma almeno lo hai scoperto da subito. Howard Stark ti deluderà, invece. Non sai quanto», rispose Tony, puntandogli un dito accusatorio contro, sputando arroganza da ogni sillaba pronunciata da quella bocca velenosa.
Peter si esibì in una risata senza entusiasmo, trovando ridicole tutte quelle raccomandazioni: «Vorrei proprio sapere che cosa ti ha fatto per parlarne così male. Ti ha declassato? Ti ha sbattuto qui dentro come punizione a qualcosa che hai fatto?»
Tony serrò la mascella e sembrò voler dire una marea di cose, tra cui forse un numero indefinito di insulti ma non lo fece. Tornò semplicemente a lavorare sulle sue provette con un cipiglio pronunciato.
«Mi ha messo al mondo», disse, semplicemente.
«È tuo padre!?», chiese Peter, stupito.
«Howard Stark, mio padre, o il mercante di morte. Decidi tu quale appellativo ti piace di più, Parker», disse Tony, amaro e stringendosi gli occhi con pollice e indice, prima di tornare a chiudere la porta dei suoi sentimenti e regalargli un cipiglio odioso come poche cose: «Ora mettiti a lavoro! Ci sono tante di quelle cose da fare che ne avrai fino a stanotte, se non la smetti di distrarti dietro alle cazzate!»
Era evidente che Tony cercasse lo scontro, ed era evidente che lo cercasse per uno sfogo personale, ora era chiaro.
Peter aveva sentito parlare dei vari soprannomi affibbiati ad Howard Stark, e tutti questi non avevano nulla di cui andarne fieri ma nel corso degli anni aveva smesso di credere a quelle fandonie, stupide bugie create da chi non era riuscito a realizzare quello che l'uomo invece era riuscito a fare.
Ora tutto si stava rovesciando. Tony - Tony Stark, quindi? - sapeva la verità, perché Tony con il signor Stark ci abitava, presumibilmente. Ci era cresciuto insieme, conosceva l'uomo, il padre, l'imprenditore, l'inventore e, a quanto pareva, il mostro. Tony cercava lo scontro, ogni giorno con qualcuno, perché non era in grado di chiedere alle persone un briciolo di aiuto morale. Tony preferiva risultare antipatico, piuttosto che debole e deluso dalla persona con cui era costretto a confrontarsi ed essere confrontato ogni giorno.
Peter tornò a lavorare, e tacque. Sentì lo sguardo di Tony addosso, in attesa forse di cominciare uno scontro verbale che lo avrebbe salvato dalla frustrazione che lo stava logorando. Capì perché se ne andava in giro con un guanto di ferro a cercare di salvare le altre persone; capì che se lo faceva, era solo per sentirsi utile, forse per testare le proprie capacità e dimostrare almeno a se stesso che non era come suo padre, che l'ombra dell'uomo non per forza doveva schiacciarlo.
«Non fare casini», gli disse, in quello che Peter percepì come un Ti prego, rispondi. Litiga con me, non voglio sembrare debole.
«Okay», rispose invece, semplicemente. Non lo farò.
Poteva quasi capirlo. Non lo giustificava, certo, ma lo capiva.
Anche lui si comportava in modo sfuggevole, rispondeva sempre che stava bene con se stesso, quando invece su di lui gravava sempre un senso di insoddisfazione che proprio non riusciva a togliersi di dosso.
Tony doveva provare la stessa insofferenza e anche lui, come Peter, trovava conforto nell'aiutare le persone in difficoltà e a nascondersi dietro ad una facciata diversa. Impenetrabile.
«Senti Tony... una curiosità», esordì infine e l'altro alzò lo sguardo sul suo, con un sopracciglio alzato, già sull'attenti. Pronto a rispondere a modo. «come si costruisce un radar termico?».
«Cosa?», rispose, dopo un interminabile secondo di silenzio, il volto attraversato dalla confusione, ma senza più uno straccio di rabbia repressa.
Peter sorrise leggermente, nel vedere quel cambiamento, soddisfatto di aver spostato l'attenzione da tutt'altra parte.
Forse Tony non era nemmeno la persona antipatica che voleva sembrare. Magari Tony aveva solo bisogno di qualcuno che potesse capirlo e ammirare le sue capacità senza fare stupidi paragoni con suo padre.
Se gli bastava solo quello, allora forse non sarebbe stato così difficile alla fine riuscire ad andarci d'accordo e quel leggero sorriso che Tony non riuscì proprio a nascondere, gli diede la conferma che forse ci aveva preso.
Fine Capitolo II
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