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Obito aveva deciso di starsene un po' per in fatti suoi quel giorno senza dover recitare la parte dello stolto e senza avere quella schiera di pazzi intorno.
Almeno la domenica!
Si era imbacuccato nel suo solito travestimento prima di azzardarsi ad uscire dalla sua stanza, era piuttosto presto per cui era convinto che non avrebbe ancora trovato in giro nessuno, persino Pain e Nagato si facevano i fatti loro la domenica. Gli scappò da ridere al ricordo di quello che aveva visto nella registrazione di Zetsu il giorno precedente.
Eh, già, saranno seppelliti nel bunker di sicuro!
Non vedeva neanche Zetsu in quel momento, a lui le sue mimetizzazioni non sfuggivano ma ora non era da nessuna parte, gli venne ancora da ridere immaginandolo intento a registrare filmini spiando qualcuno o a seminare i suoi figli chissà dove.
Giunto in salotto si dovette ricredere sul fatto di non trovare nessuno in giro. Hidan era seduto sul divano con una faccia che metteva paura, pallido e con le occhiaie che arrivavano in terra, posata davanti sul tavolo aveva una tazzina di caffè, la Wii era ancora accesa e in pausa, Obito capì al volo che era stato lì tutta la notte. Kisame stava già ai fornelli, lo vedeva muoversi di spalle, quando toccava a lui il turno di cucinare iniziava presto e preparava una valanga di roba, almeno si sarebbero rifatti della brodaglia di Kakuzu del giorno precedente.
Certo che lo vedo, uno così enorme sarebbe visibile anche al buio più totale.
Si sentiva un gradevole profumo di frutti di mare, Obito quasi quasi, aveva già fame nonostante fosse presto. Un grosso cavolo verde era appoggiato sul bancone della cucina, Obito si chiese cosa diavolo c'entrasse con il sugo a base di pesce che stava preparando Kisame.
C'era tensione nell'aria, quei due mandavano scintille anche senza parlarsi, Obito se ne accorse all'istante ma ora era di nuovo nei panni di Tobi per cui avrebbe dovuto sorvolare.
Non perchè io mi diverta a farmi gli affari degli altri, ma magari è successo qualcosa di serio, poi dovrò capire cosa.
Lì salutò velocemente dal momento che aveva intenzione di uscire subito, Hidan non lo guardò nemmeno, a dire la verità non aveva mai sollevato gli occhi dal caffè che aveva davanti senza decidersi a berlo, Kisame gli rispose con un grugnito infastidito.
Sempre il solito!
Hidan si era finalmente deciso a bersi il caffè, iniziò a scuotere la bustina dello zucchero distrattamente tanto che finì per urtare la tazza rovesciandola, il liquido nero si sparse sul tavolo di legno. Sentendo il frastuono Kisame si era voltato di scatto, la faccia arrabbiata, brandendo minacciosamente un mestolo, un grembiule da cucina legato in vita, era rosso con su due grossi coltelli disegnati, due frasi erano scritte sotto ognuno di essi : Non sopporto chi mi sta tra i piedi mentre cucino e chi critica ciò che cucino.
Chissà, magari era un messaggio subliminale per Kakuzu. A Obito scappò di nuovo da ridere a vedere quella scena.
"Accidenti, vedi di fare attenzione!" gridò Kisame a Hidan: "Nemmeno una bustina di zucchero sai aprire, ora capisco perchè devi ricorrere a certi atteggiamenti abominevoli per avere l'attenzione delle persone, è assolutamente inutile che ora fai quella faccia, sai? Vieni subito qua a prendere una spugna e pulisci immediatamente!"
Atteggiamenti abominevoli?
Hidan si alzò all'istante, non era consigliabile di certo contraddire lo squalo in quel momento.
Obito decise che era meglio uscire prima di iniziare a ridere di brutto, la maschera poteva nascondere l'espressione ma non i suoni. Si fermò un attimo in cima alla scalinata guardando la striscia azzurra del mare brillare in lontananza, si domandò se la sua idea di bruciare il pontile avrebbe sortito l'effetto desiderato. Se tutti avessero iniziato a sospettare di Itachi la cosa prima o poi sarebbe arrivava all'orecchio di Pain e, visto che, aveva fatto in modo che passasse come una ripicca di gelosia nei confronti di Sasori, forse non avrebbe tollerato un atteggiamento tanto immaturo licenziandolo finalmente. Già, Itachi iniziava a diventare pericoloso, si era accorto che lo teneva d'occhio da diverso tempo, anche troppo, meglio cercare di levarselo di torno il prima possibile.
Forse questa mossa non è stata il massimo, ma lì su due piedi non mi è venuto in mente altro.
Obito sospirò, se la cosa del molo non avesse funzionato avrebbe dovuto inventarsi altro, con molta più cautela, la prossima volta, magari. Iniziando a scendere le scale si accorse di qualcosa che scricchiolava sotto le sue scarpe, abbassò lo sguardo rimanendo letteralmente di stucco nel vederle cosparse di frammenti di vetro che erano rotolati fin quasi alla loro metà, fece caso anche alla bottiglia di prosecco ancora intera ma vuota. Pensò che quella sarebbe stata la volta buona per capire se Pain possedeva dei muscoli facciali e dei toni di voce superiori oppure no, la giornata si stava delineando decisamente molto interessante! Gli venne ancora da ridere ma stavolta non si trattene, d'altronde non c'era nessuno nei paraggi. Scese ancora qualche gradino con calma, aveva intenzione di addentrarsi a camminare un po' nel bosco per poi raggiungere la spiaggia per farsi una lunga passeggiata senza nessuno intorno a rompere le scatole.
Ho sbagliato mestiere, avrei dovuto fare l'attore!
Con la coda dell'occhio scoperto gli parve di scorgere un debole riflesso in lontananza, molto più in basso di dove si trovava lui in quel momento, era sembrato lo specchietto di una macchina in movimento. Forse qualcuno aveva scoperto il loro covo? Anche se fosse una macchina non avrebbe mai potuto addentrarsi fin lì, il bosco era troppo fitto, aveva un colore un po' strano però quel riflesso. In ogni caso la porta era protetta da un sigillo che impediva agli estranei anche di essere scorta, dall'esterno sembrava che la scalinata finisse nel nulla. Decise di addentarsi nella foresta dando la colpa a un riflesso del mare o semplicemente alla sua immaginazione.
Beh, abbiamo avuto le prove che è fervida di sicuro!
Rise di nuovo trovandosi irresistibilmente divertente.
Gli alberi di alto fusto avevano sempre avuto il potere di infondergli una calma immensa, il vento sembrava quasi sospirare passando lento tra i loro rami. Anche lui ebbe l'impressione di respirare molto più ossigeno, si fermò un attimo a guardare la luce che filtrava tra le fronde.
E se loro guardano me?
Gli tornarono inevitabilmente in mente tutte le spiegazioni di Zetsu del giorno prima, le piante potevano avere occhi e orecchie da tutte le parti a quanto pare. Si guardò istintivamente intorno per vedere se il suo amico vegetale fosse nascosto da qualche parte. Ovvio che no, il Rinnegan era la sola cosa che gli faceva paura.
Se non riesci a mimetizzarti e a spiare non sei contento, eh, Zetsu?
Ma che importava ora, d'altronde anche lui era uno che spiava eccome. Le sue labbra si tesero di nuovo dietro alla maschera in un sorriso, certo che lui lo faceva per una causa più che giusta! Un gigantesco fiore azzurro attirò la sua attenzione, sembrava spuntare direttamente dal terreno, Obito si era sempre meravigliato del fatto che certe erbe selvatiche potevano dare dei fiori molto più belli che spendendo fior di quattrini dal fioraio. Sorprese se stesso a domandarsi se quel fiore fosse maschio o femmina.
Grazie, Zetsu, per avermi sconvolto anche i piaceri più umili.
Stavolta non faceva ridere per niente per cui decise di proseguire in direzione della spiaggia, senza tuttavia rientrare nella scalinata. La sua vita non era amai stata facile per cui aveva dovuto imparare a gioire anche delle minime cose. Era quasi sbucato sulla riva, un grosso soffione gli sfiorò i piedi. Il tarassaco comune, lo conosceva bene, da piccolo ne aveva fatti volare un'infinità soffiandoci sopra e semplicemente tendoli alti nel vento facendo fare a quest'ultimo tutto il lavoro. Rimaneva incantato a guardare i semini che volavano notando che avevano la forma di minuscoli paracadute, li seguiva con lo sguardo finchè non li perdeva di vista completamente, adorava il loro contrasto con il blu del cielo. Sono semi di conseguenza i figli di qualcuno, chissà quanti genitori doveva aver fatto infuriare.
Grazie, Zetsu!
Proseguì facendosi strada in una fitta barriera di ginepri coccoloni, le loro foglie appuntite non avrebbero potuto bucarlo infagottato come era. Quando era piccolo ne aveva utilizzato uno per farne un albero di Natale, una volta. Lo aveva trovato molto più bello dell'abete comune con le sue foglie argentee, sembrava quasi una brina naturale, ma mentre appendeva le decorazioni le foglie gli avevano forato la pelle così tanto da fargli uscire il sangue. Il loro profumo intenso gli arrivava attraverso la maschera. Polline, cellule fecondanti.
Grazie, Zetsu!
Un cespuglio di marasche, gli sembrò un po' strano che potesse crescere a così poca distanza dall'acqua salata, ma era bello rigoglioso e pieno di frutti, molto più aspre e piccole delle ciliegie domestiche, ma lui non aveva mai apprezzato la frutta troppo dolce e doveva ammettere che queste gli piacevano molto di più. Era tanto che non faceva una passeggiata così in solitaria e ogni tanto ne valeva davvero la pena. Allungò le dita guantate verso le sferette lucide e rosse che crescevano sempre e rigorosamente in coppia, passando la mano sotto la maschera se le infilò in bocca, succose e deliziose. Mi sto nutrendo di uteri.
Grazie, Zetsu!
La brezza del mare lo investì, sentì il suo odore riempirgli le narici, lo scintillio del sole sulle increspature gli riempì l'unico occhio scoperto di stelle, allungò il piede destro, tra un istante lo avrebbe sentito posarsi sulla sabbia morbida ma che, ingannevole, rendeva più difficile la camminata.
Hidan rovesciò il caffè scuotendo la bustina di zucchero.
Obito era lì in piedi a guardare la macchia scura allargarsi sul tavolo, Kisame lo rimproverò brandendo il mestolo e intimandogli di andare a prendere una spugna per pulire, indossava un ridicolo grembiule da cucina rosso. Stavolta non faceva ridere, Obito sentì il cuore che gli si fermava nel petto. Era stato tutto solo un sogno a occhi aperti, la scalinata, la passeggiata nel bosco, le sensazioni del vento e i rumori, il gusto delle marasche, la rabbia verso Zetsu. Tutto falso, eppure aveva l'impressione di aver già visto quella scena, tutto identico stesse parole, stesse immagini, solo che adesso invece che trovarlo divertente tremava di paura.
Forse sto impazzendo, d'altronde la mia vita è tutt'altro che normale.
Deglutì fissando la porta d'ingresso, si riprese non poteva farsi sconvolgere da una stupidaggine del genere, era solo un dèjà vu, gli era successo decine di altre volte nella vita, anche se doveva ammettere che quello era stato piuttosto strano. Di solito cadendo in un dèjà vu si ha l'impressione di aver già visto un posto nonostante sia la prima volta che lo si visita, lui invece aveva rivisto la stessa scena ripetuta a distanza di poco tempo, le stesse parole, la medesima situazione, come un film riavvolto e fatto ripartire da capo.
Forse è solo un sogno, sto ancora dormendo.
Uscì all'esterno, la bella mattinata e la luce brillante del sole riuscirono a farlo riprendere e a fargli tonare la voglia della passeggiata che credeva di aver fatto. Iniziò a scendere le scale, le sue scarpe scricchiolarono. Si fermò di scatto come pietrificato senza avere il coraggio di abbassare lo sguardo, poi si decise a farlo.
Vetri, fino a metà della scalinata. Una bottiglia di prosecco vuota.
Un incubo. Sì, non poteva essere altrimenti, si consolò pensando che se anche stava dormendo tra non molto si sarebbe svegliato e allora sarebbe finito tutto. Era tutto così reale e tangibile, difficile che un sogno fosse così, come minimo i colori sarebbero stati tenui e ci sarebbe stata una difficoltà estrema a ragionare e a seguire un filo logico. Decise di cambiare leggermente direzione rispetto a quello che si ricordava della volta precedente, girò alla sinistra della scalina ma sempre dentro il bosco e in direzione della spiaggia. Cominciava di nuovo a rilassarsi ascoltando il vento sussurrare tra i rami, attraversò un fitto prato di erba fresca dalle foglie scure e tondeggianti e dai fitti ma piccoli fiorellini viola.
Maschi o femmine?
Accidenti a Zetsu e alle sue lezioncine, era colpa sua se ora stava domandandosi quanti occhi e orecchie potevano esserci nascosti intorno a lui, aveva detto che le piante non sono senza cervello come pensano le persone, magari i sussurri che stava udendo e che attribuiva al vento erano in realtà gli alberi che stavano parlando, chissà quante ne stavano dicendo alle sue spalle. Crescevano diversi cespugli di cisto e di rose selvatiche in quel lato del bosco, non avevano niente da invidiare a quelle domestiche, pensò Obito sfiorandole con le mani, non poteva sentire la consistenza dei petali per causa dei guanti ma avvertiva il loro profumo.
Cellule fecondanti.
Scosse la testa, non riusciva a togliersi le parole di Zetsu dalla mente, era una cosa febbrile ormai, aveva l'impressione che le sue onde cerebrali fossero disturbate da qualcosa come una crisi di epilessia imminente. Si passò le mani tra i corti capelli neri, urtò inconsapevolmente la maschera facendola storcere, respirò profondamente diverse volte cercando di riprendersi. Guardando in basso notò delle fragoline selvatiche, più aspre e più piccole di quelle domestiche, lui non amava la frutta troppo dolce. Si piegò per prenderne due, era uno dei sapori più deliziosi che avesse mai assaggiato e se ne trovavano raramente in giro, passando le dita sotto la maschera se le infilò in bocca pensando che avrebbe dovuto fare più spesso delle passeggiate da solo nel bosco.
Mi nutro di uteri.
Le parole di Zetsu gli rotolavano nella testa come delle pietre, gli sembrava di sentire il loro rimbombo come se fosse un tremendo temporale. Forse era meglio uscire dal bosco, qualunque aspetto delle piante ormai era diventato un collegamento diretto con Zetsu a cui non poteva sottrarsi. Era vicino alla spiaggia, sentiva la brezza profumare di iodio, il mare sarebbe stato libero da quelle ossessioni, vedeva il suo scintillio. Superò le ultime fronde che lo separavano dalla riva, allungò un piede per posarlo sulla sabbia dorata, avrebbe sentito i granelli entrargli nei sandali e passargli tra le dita dei piedi, l'unica parte del corpo che teneva scoperta.
Hidan rovesciò il caffè.
Obito si sentì girare forte la testa credendo di essere sul punto di svenire. Kisame si girò con il mestolo in mano e il grembiule rosso urlando a Hidan di pulire. Obito ansimava rumorosamente tremando, vedendo che gli altri due lo fissavano uscì di corsa all'esterno. Si fermò sul primo gradino appoggiandosi le mani sulle ginocchia, lo stomaco gli si ribaltava, la faccia sudata dietro la maschera.
Non è possibile!
Non connetteva più, prese a correre dritto giù per le scale, emise un gemito qualcosa gli aveva tagliato l'alluce destro.
È pieno di vetri!
Si fermò un attimo ansimando, la sua mente non era del tutto persa, si rese conto in quel momento che l'unica cosa che non si era mai ripetuta era stata quel riflesso che inizialmente aveva creduto essere lo specchietto di una macchina. Lo aveva visto solo la prima volta quando era stato più o meno in quel punto, salvo proseguire per la sua passeggiata non dandoci più importanza. E invece era stato proprio quello la chiave di tutto.
Un'illusione.
D'accordo, non si riteneva uno stupido, si ricompose scendendo con calma la scalinata ignorando il piede che sanguinava. Procedeva dritto e con la testa alta, l'artefice di tutto questo si sarebbe fatto vivo. Non pensava a niente questa volta, non si faceva distrarre da ciò che aveva intorno, scendeva imperterrito stando di proposito allo scoperto per dimostrare che non temeva nessuno anche se doveva ammettere che la preoccupazione si stava insinuando nelle più piccole crepe della sua anima. Era giunto alla fine della scalinata, si arrestò sull'ultimo gradino, un altro passo e avrebbe posato il piede sulla sabbia, esitò chiedendosi se dopo avrebbe visto di nuovo Hidan che rovesciava il caffè e Kisame che lo sgridava con il mestolo in mano. Doveva trovare il filo di Arianna che lo avrebbe condotto fuori da quella spirale, doveva pur esserci, tutte le illusioni ne hanno uno.
Accidenti, devi darmela una possibilità!
Frugava nella sua mente senza il trovare il coraggio di scendere dall'ultimo gradino, il timore di vedere di nuovo Hidan rovesciare il caffè lo paralizzava, cercava dentro la sua testa chi lo stava costringendo a questo per capire cosa volesse. Un'improvvisa folata di vento fece frusciare forte le fronde degli alberi, Obito avvertì un brivido di freddo e udì una voce fusa con il rumore.
"Obito..."
Si girò di scatto non vedendo nessuno, guardò in tutte le direzioni ma niente. La persona che aveva parlato era impalpabile ma allo stesso tempo dovunque, fusa con i rumori del mare e del vento, dentro il canto degli uccelli, parlava attraverso tutto questo di conseguenza Obito non riusciva nemmeno a riconoscere la sua voce, non sarebbe riuscito a distinguere nemmeno se si fosse trattato di un uomo o di una donna.
"Chi sei?" la voce di Obito ora appariva profonda, non più con quell'accento strano che metteva per impersonare Tobi. Ostentava sicurezza ma sotto il mantello nero le sue gambe tremavano.
"Qualcuno che non sei riuscito a ingannare con i tuoi travestimenti"
Lui la sicurezza ce l'aveva ed era reale, lo sentiva in stereo, era tutt'uno con il rumore del mare, Obito continuava a guardarsi intorno girando su se stesso pur sapendo che era tutto inutile.
"Devi darmela una possibilità, io non riseco a capire che accidenti vuoi da me, non riesco nemmeno a capire chi sei"
"Diciamo che sono uno che ti ha fatto un grosso favore anni fa"
Le sue parole sembravano il sospiro della terra stessa, Obito deglutì, non riusciva a capire, sperava di non capire.
"Ma tu sei un campione di ingratitudine, Obito, devo ammettere che non sono affatto sorpreso, me lo aspettavo da uno come te"
Capiva eccome, una notte di luna piena gli tornò alla mente. Ecco perchè non bisognava mai accettare l'aiuto degli altri e perchè non bisognava fare le mosse di impulso alla prima occasione.
"La tua riprovevole manovra, oltre a non avere avuto affatto successo, ha anche cancellato i ricordi più belli della vita di due persone. Per questo lunedì mattina la prima cosa che farai sarà andare nell'ufficio di Pain per dirgli che hai intenzione di abbandonare l'Akatsuki, per poi sparire per sempre dalla vista di tutti"
Obito non si muoveva, era stato tutta la vita un sognatore e questo lo aveva condotto di continuo a delle amare delusioni, ma per quanto riguardava il suo sogno più grande aveva sempre creduto di aver calcolato tutto alla perfezione.
"A quanto pare no"
Sembrava leggergli nella mente.
"Stavolta i tuoi sogni hanno interferito con quelli degli altri, se procedi distruggerai delle vite e io non lo posso permettere"
Obito si chiese il perchè questa persona si preoccupasse tanto di salvare chi gli stava intorno rimanendo nell'ombra, nessuno avrebbe mai saputo di questo "dialogo", nemmeno le stesse persone che quell'aiuto lo avrebbero ricevuto. Non riusciva a muovere un muscolo, solo i suoi pensieri sembravano una cascata risucchiata da un buio crepaccio.
"Obito, le buone azioni non si fanno per vantarsene davanti alla gente"
L'Uchiha cadde il ginocchio sulla sabbia, non gli dava via di scampo, stavolta non vide Hidan rovesciare per l'ennesima volta il caffè ma sentiva le lacrime scorrergli sul viso dietro alla maschera, qualcosa gli si era rotto dentro e l'altro se ne accorse.
"Il tuo corpo si trova nel bosco davanti al cespuglio di marasche che hai visto la prima volta, sei ridotto a una statua vivente e, se rimarrai lì, morirai di stenti in massimo due giorni, nessuno ti troverà, non sanno dove sei andato. Cerca dentro di te, quando comprenderai finirà tutto all'istante."
Obito si alzò in piedi cercando di ricomporsi, era vero, nessuno sapeva le sue intenzioni di quel giorno, era vero anche che lui aveva usato un sacco di persone per fare i suoi comodi e che avrebbe continuato a farlo. Addrizzò le spalle con dignità, giusto, era un ingrato e anche un egoista, non era quello il modo per cercare l'amore. Non era il modo di avere qualcuno da stringere e coccolare, non era il modo di avere due occhi che guardano solo te e non casualmente attraverso un seme infilato in una parete.
Il figlio di qualcuno...
Nascondere il suo corpo e i suoi pensieri non era il sistema, non era questo che faceva arrivare una persona capace di incastrasi bene con te e a sentire il profumo dei suoi capelli. Se voleva che qualcuno si sentisse avvolto nel suo calore, forse aveva sbagliato.
Io ho sbagliato sempre tutto!
Lo sapeva ciò che voleva, da sempre, e ora sarebbe andato a prenderselo, non importava quanto ci sarebbe voluto, le cose belle richiedono tempo. Era buio, lui stava in piedi davanti alla pianta di marasche, sentiva il rumore del mare calmo e placido, vedeva la luna scintillare sull'acqua. Un chiarore si faceva strada nel cielo, il sole stava sorgendo: lunedì mattina. Obito alzò la mano destra, afferrò la sua maschera arancione, se la sfilò, le sue labbra per metà rovinate si tesero in un sorriso, se lui per primo accettava se stesso avrebbe automaticamente permesso a qualcun latro di fare altrettanto. Gettò la maschera a terra.
Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi, mi sento libero ora!
Iniziò ad incamminarsi nel bosco per raggiungere le scale, si sfilò il mantello gettandolo in un cespuglio di rovi.
Non è colpa di nessuno se sono sfigurato, è stato un incidente. Nel mondo non esiste una sola persona, l'amore può avere anche aspetti, visi e nomi diversi e io gli ho negato sempre ogni possibilità di tornare da me.
Saliva la scalinata sorridendo, si tolse i guanti gettandoli sui gradini dove capitava, l'anello viola che portava al pollice sinistro rotolò tintinnando sugli scalini fino a perdersi, il sole brillava nel cielo e, finalmente, anche dentro di lui. Sollevò il viso senza timore di nessuno, si sarebbe liberato il suo posto come partner di Deidara forse di nuovo a favore di Sasori.
Il loro è amore.
Era diretto nell'ufficio di Pain.
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