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Capitolo 7


Novembre

Lilian posò in modo delicato la valigia sul pavimento intonso per guardarsi attorno con meraviglia crescente. Dalla porta che dava sulla terrazza si vedeva il mare limpido e cristallino, così come dal pavimento trasparente applicato in un angolo di quella stanza lussuosa ma accogliente.

«Dio, è incredibile!» Si girò verso di lui. «Lo sai, vero?»

«Oh sì, lo so. Ci ho messo così tanto a convincerti!»

Mentre armeggiava con il contenuto del bagaglio, Lilian rispose fintamente imbronciata. «Non stavo parlando di questo!»

Prese il pezzo superiore del costume e lo indossò rivolgendo la schiena a Theodore. Nonostante l'avesse vista nuda più e più volte, si vergognava sempre un po' a mostrarsi senza vestiti.

Una volta indossato il reggiseno, prese a slacciarsi i jeans, ma si fermò. Si era attardata a guardare la stanza nel dettaglio, soffermandosi sul letto con le lenzuola azzurre e bianche, dello stesso color del mare. Erano bellissime perché semplici e cangianti.

La stanchezza del viaggio e del jet-lag iniziava a farsi sentire.

Al posto di cambiarsi del tutto, si gettò di traverso sul letto, ammirando i riflessi del sole che battevano sui cristalli di qualche decorazione della camera e si riflettevano poi sul soffitto.

Sospirò. «È magnifico. Ti ringrazio per avermi portato qui. Soprattutto per aver insistito.»

Theodore, che aveva seguito il suo esempio e si era tolto la maglietta, camminò piano nella sua direzione.

Con delicatezza le si stese sopra. «Te l'avevo detto, la Polinesia è magnifica. E anche molto romantica.»

La baciò come se volesse sottolineare quelle parole.

«Anche un tugurio potrebbe essere romantico, se tu fossi con me.» Concluse Lilian cingendogli i fianchi con le proprie gambe, incrociando le caviglie per aver maggiore presa.

Theo, incoraggiato da quel gesto, scese piano verso il collo, oltrepassandolo, spingendosi poi nella depressione tra i seni. Si fermò lì, quasi a respirarne l'odore di donna, poggiando le labbra sulla pelle. Non osava andare oltre per non perdere il controllo.

Aveva i pensieri rivolti al contenuto della valigia, non poteva farci nulla.

Il peso era regolare, rientrava ampiamente nei venti chili concessi dalla compagnia aerea, eppure per lui c'era un qualcosa che la rendeva pesante. Non gravosa, ma importante.

Un piccolo tesoro si nascondeva al suo interno, e una domanda ancor più solenne nel cuore di Theodore.

La fortuna, non tanto grande, era rinchiusa in un piccolo scrigno di velluto blu. L'aveva riposta in una tasca della valigia quando Lilian era distratta a guardare non sapeva cosa.

Non era tanto la domanda a preoccuparlo, quanto la risposta.

Stava per aprir bocca, dopo aver trovato il giusto coraggio nel battito accelerato di lei, quando entrambi udirono uno sbuffo infastidito.

«Potete farle in camera vostra certe cose?» domandò Brant, scocciato.

Theodore si alzò per assumere una posizione più consona, mentre Lilian si sistemava al meglio i pochi indumenti che aveva addosso, infine si sedette sul letto.

«Questa è camera nostra.» Gli fece notare scocciato. «Anzi, è il nostro appartamento privato, un po' lontano dal tuo...»

«Beh, potevate chiudere la porta se non volevate essere disturbati» replicò sempre più seccato. «Ok, vi do il tempo di mettervi i costumi, poi andiamo in spiaggia. Vi avviso, aspetterò fuori dalla porta, in modo che non possiate riprendere il discorso appena interrotto» concluse indicando il letto sgualcito. «Non ho proprio voglia di rimanere da solo.»

Ed era stato questo il suo più grande problema.

«Già, hai pensato bene che fare il moccolo sia meglio, vero?!» rispose il lontano parente un po' seccato.

«Theo!» lo rimproverò Lilian.

Brant lo guardò male, ma non disse nulla mentre si dirigeva fuori, accanto alla porta d'ingresso.

La ragazza continuò a parlargli a bassa voce. «Da quando Morgan l'ha lasciato non si è più ripreso. Non sta passando un bel periodo, dovresti aiutarlo un po'.»

Toccare l'argomento non faceva piacere nemmeno a lei. Morgan aveva trovato lavoro come ambasciatrice alle Nazione Unite e si era lasciata tutta la propria vita alle spalle, compresi Brant e l'amica.

Al contrario dell'ex ragazzo la sentiva, ma uno scambio epistolare, fatto da e-mail inviate alle ore più disparate del giorno e della notte a causa del jet-lag, e sempre più spicce, dato che avevano sempre meno cose da spartire. Non le bastavano più.

«Lo aiuterei se non mi complicasse la vita.»

«Su, si tratta solo di tempo. Poi troverà un'altra ragazza e gli tornerà il buonumore» disse Lily pescando dalla valigia anche lo slip del costume per potersi cambiare.

Si diresse in bagno, mentre Theodore decise di cambiarsi nella cabina armadio, abbastanza grande da potersi muovere all'interno con agio.

«Allora, avete finito?» urlò Brant da fuori con tono spazientito.

«Sì, ci manca poco» gridò Lilian di rimando, uscendo dal bagno. «Amore, sei pronto?»

Quando lo apostrofava in quel modo era perché si sentiva orgogliosa di lui. Sapeva quanto gli costasse aiutare Brant, averlo lì con loro con quel pessimo umore. La rendeva fiera stare con una persona tanto altruista, pronta ad aiutare gli amici nel momento del bisogno.

Amava tutto di lui, ma soprattutto questo lato così umano.

Si chiedeva come potesse meritare tanto. Forse, per una volta, era stata terribilmente fortunata.

«Sì, arrivo.» E si chiuse la porta dell'armadio alle spalle.

Lilian si avviò verso l'uscita e si rivolse a Brant nel tentativo di coinvolgerlo. «Ehi, hai visto quant'era carina la receptionist? Stasera potresti invitarla a bere qualcosa. Ho visto come ti guardava, non rifiuterebbe mai!»

«Davvero?» chiese sorpreso. Sentirsi oggetto di attenzioni era per lui una cosa nuova, ormai.

Theodore li guardò avviarsi verso la spiaggia, attraversando il piccolo pontile di legno che collegava la palafitta all'isola. Prima di uscire, gettò un ultimo sguardo arreso alla valigia e sospirò.

Tempo, aveva solo bisogno di un po' di tempo da solo con lei.

E, forse, anche di un po' di coraggio.

Anzi, soprattutto di quello.

Febbraio

Theodore estrasse la chiave dell'appartamento di Lilian dalla tasca.

Vivevano entrambi a Manchester, ma in case diverse. Decisione presa da Maximilian e Gerry, che non avrebbero mai permesso al piccolo di casa di allontanarsi da loro per spingerlo nelle grinfie di quella ragazza figlia dell'industria.

Era appena tornato da un viaggio a Londra, l'unica cosa che voleva fare era riabbracciare Lilian. Nonostante non fosse stato via a lungo, giusto un paio di giorni, ma ne aveva sentito la mancanza, specialmente in un momento così delicato.

«Ehi, Lils, sono tornato!» annunciò appena la serratura scattò. Depose il bagaglio lì vicino all'entrata.

Lei si alzò di scatto dal divano, piombandogli in braccio. Lo circondò con le braccia e con le gambe, facendolo barcollare appena.

Quando Theodore riuscì a capirci qualcosa, notò i singhiozzi della sua fidanzata.

Le alzò il viso, rigato dal trucco nero, e le asciugò le lacrime, allargando un po' la chiazza scura sotto i suoi occhi.

Le baciò le guance bagnate. «Che succede?»

In risposta Lilian cinse il suo collo con le braccia ancora più forte, soffocando i gemiti del pianto nell'incavo vicino alla spalla.

Quando riuscì a calmarsi a sufficienza gli spiegò la situazione.

Gli sventolò sotto il naso un foglio, o meglio, una lettera scritta a mano, tutta spiegazzata. Segno che ormai era stata riletta più volte.

«Cara amica mia» si mise a leggere come se fosse un comunicato freddo ed estraneo. «Vorrei poter essere lì con te quel giorno, ma nello stesso periodo, purtroppo, ci saranno le promozioni. Sai quanto tengo a questo posto, non posso proprio allontanarmi una settimana e perdere l'occasione della mia vita, oltre che il lavoro di quasi un anno.»

La lettera continuava, ma il passaggio fondamentale, quello che l'aveva ferita a morte, gliel'aveva appena letto.

Rimise i piedi a terra, continuando a singhiozzare.

Theodore aveva iniziato ad accarezzarle i capelli nel tentativo di calmarla. «Mi dispiace. So quanto ci tenevi. Ma ormai la vita di Morgan non è più qua. Certo non è giusto il trattamento che ti ha riservato, ma è ora che tu te ne faccia una ragione.»

«Io pensavo fosse mia amica, la mia migliore amica» pigolò in risposta poco convinta.

«Alcune persone entrano nella nostra vita solo per un periodo. Altre, invece, sono destinate a rimanerci e a condividere con noi un percorso.» La guidò in cucina, dove prese a preparare il the.

«Tu fai parte delle seconde, vero?» gli chiese spaventata.

«Assolutamente.» Le sorrise prima di baciarla.

«Sono convinta che l'abbia fatta scrivere alla sua segretaria, visto il tono» ammise arrabbiata.

Theodore diede un'occhiata al foglio. «No, riconosco la sua calligrafia. L'ho vista tante volte negli appunti che ti prestava.»

«Allora si è fatta dettare quello che doveva scrivere dalla segretaria. Perché nonostante lavori per l'ONU, sono convinta che di umanità gliene sia rimasta ben poca.»

«Morgan è sempre stata diligente e formale, la riconosco in quelle parole. Ciò non toglie che sia stata... poco carina, diciamo.» Bevve un sorso di the. «Pensa positivo. Almeno, Brant non si rabbuierà. Sarà un'altra persona felice quel giorno.»

Finalmente sul viso di Lilian si dipinse l'ombra di un sorriso.

Si alzò, appoggiandosi al petto del ragazzo per circondargli in modo dolce il collo con le braccia. Quando Theo si staccò per ammirare quella virgola felice sulla sua bocca, lei catturò le sue labbra.

«Sono felice che tu sia tornato.»

Marzo

«Ma non ti rendi conto?» chiese fuori di sé dalla rabbia. «È pericolosissimo. Perché? Perché devi rischiare per una cosa così stupida?»

«Andiamo Lily, non è così pericoloso!» si difese lui.

«No, certo. Però quanti morti ci son stati sulle strade per la velocità? E quanti motociclisti sono sopravvissuti?» L'ansia si percepiva benissimo nella sua voce.

«Oddio! Stai scherzando, vero?» Era alterato. «Non posso saperlo e non mi interessa. Non viaggio con statistiche alla mano, spiacente. E non c'entra con il fatto che voglio comprare una moto!» Sbatté un pugno sul tavolo per mostrare la propria frustrazione.

«Invece sì, perché non voglio aspettarti a casa ogni volta con l'angoscia che possa esserti successo qualcosa, non ce la faccio.» Lilian provò a trattenere le lacrime, ma non ce la fece.

L'idea di ricevere una chiamata e trovarlo lì, sull'asfalto, privo di vita la terrorizzava più di quanto desse a vedere.

Al posto di impietosirsi, Theodore si arrabbiò ancora di più. «Sono nato in una famiglia in cui mi hanno sempre detto quello che dovevo fare, ora che posso scegliere non impedirmelo tu!»

Essere accomunata alla famiglia di lui riaccese la sua rabbia. «Non paragonarmi a loro! Non sono così, sai che non lo merito!» Il tono di voce era salito fino a diventare un grido.

C'erano stati litigi in quei mesi trascorsi insieme, ma mai così profondi. Le parole volavano come se fossero bolle di sapone. Ma i significati contenuti erano macigni. Difficile tornare indietro, dopo simili uscite.

Theo era sempre più nervoso. «Con te non si riesce a parlare!»

Con le guance bagnate dal pianto Lilian mise una mano sul tavolo mentre si piegava verso di lui, portando così i visi alla stessa altezza. «È così? Bene. Fuori da casa mia. Ora.» E con la mano libera indicò la porta d'uscita.

Lui si alzò come se fosse appena stato punto. «No. Non sei tu a cacciarmi, sono io che me ne vado» disse prendendo la giacca e dirigendosi verso l'uscio.

Lilian lo inseguì con il bicchiere ormai vuoto in mano. «E non farti più vedere!» Spinse la porta con tanta forza da far tremare la parete.

Non soddisfatta, lanciò il bicchiere contro di essa.

Infine, si afflosciò a terra e diede inizio a un pianto disperato. Il cuore ridotto in briciole più piccole dei pezzi di vetro che erano cosparsi sul pavimento. Talmente piccoli che ormai non c'era più niente da fare. Per entrambi.

14 aprile 2018, Manchester

La stanza era bellissima, tutta sui toni dell'avorio, candido e brillante. Non c'era uno spillo fuoriposto. Nonostante fosse fresca di doccia, linda e profumata, rispetto al chiarore pulito ed immacolato che la circondava, si sentiva sporca. Non all'altezza di stare lì, da sola, al centro – o quasi – di quella camera, seduta davanti alla toeletta.

Avevano tutte i nervi a fior di pelle, così per non rovinare l'umore a nessuna, le ragazze avevano deciso di ritagliarsi i propri spazi e prepararsi separatamente.

Peccato che ora lei avesse bisogno di loro. Affrontare da sola quella stanza e le sensazioni che le dava era troppo per lei.

Nonostante Morgan non facesse più parte della sua vita, Lilian era andata avanti, stringendo nuove amicizie e consolidandone altre più durature.

Bridget si era dimostrata preziosa nel momento peggiore, quello in cui Morgan aveva lasciato un vuoto difficile da colmare.

Vuoto che, tra l'altro, Kate stava riempiendo con costanza.

L'aveva rivista a Manchester sul posto di lavoro, qualche mese dopo la laurea. Evidentemente, il college aveva dato i nominativi dei laureati alle aziende del paese.

Lilian aveva provato qualche riserva nei suoi confronti, ma più era andata avanti, più aveva scoperto una bella persona, lontana anni luce dalla Kate che seguiva come un cagnolino Cecil.

In quel momento di bisogno, Lilian uscì dalla stanza per cercare conforto in lei.

La trovò vicina alle scale, vestita di tutto punto, mentre si baciava con il suo ragazzo, impeccabile nel completo scuro atto a far risaltare gli occhi azzurri.

«Kate! Ti sembra il momento?» la riprese, un po' severa. In realtà era divertita dal loro atteggiamento adolescenziale. E poi era felice per entrambi. Si meritavano un po' di gioia. Finalmente Brant aveva ritrovato il buonumore. Ed era merito di Kate.

Non l'aveva mai visto così contento nemmeno con Morgan.

Si separarono, imbarazzati da quel richiamo.

«Hai bisogno?» le chiese la ragazza, rossa in viso per l'imbarazzo.

«Sì, di te. Sto impazzendo la dentro da sola.» E con il pollice indicò la porta in fondo, alle proprie spalle.

Kate stava per raggiungerla, ma prima di andare Brant le impresse un altro bacio sulle labbra e le sistemò il vestito, rendendola non solo presentabile, ma impeccabile.

Il gesto colpì molto Lilian. Con Morgan non era mai stato così. Piuttosto, faceva il piacione. Invece con Kate era attento e premuroso. Vederlo così felice e innamorato le scaldò il cuore. Gli voleva bene, non era più soltanto un amico di Theodore.

Quando Brant si accorse di aver davanti Lilian truccata e acconciata alla perfezione ma avvolta soltanto da una vestaglia di seta avorio, divenne paonazzo. «S... sei stupenda, ma svestita. Quindi ora vado da Theo, ho bisogno di stare tranquillo.»

Tra tutti, proprio lui diceva certe cose?

Lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava e quando sparì alla sua vista, tirò un sospiro di sollievo per rilassarsi. Sarebbe andato tutto bene. Nessuno sarebbe impazzito quel giorno, nessuno avrebbe creato problemi, Theo non sarebbe scappato.

L'importante era crederci.

Kate richiamò la sua attenzione posandole la mano calda sulla spalla. «Pronta per sposarti?»

Lilian le sorrise di rimando, quasi tranquilla. «No. Non ho ancora indossato il vestito e mancano le mie amiche con me.»

«Vado a prendere Bridget e veniamo ad aiutarti, non preoccuparti.» Le mandò un baciò per non rovinarle il trucco e bussò alla porta dell'amica mentre la futura sposa rientrava nella propria camera.

La aiutarono a mettere il vestito, la accomodarono al meglio, assistite poi anche dalla madre di Lily.

Il momento di presentarsi in chiesa arrivò con una certa velocità, tra chiacchere e lacrime, ma non quelle della futura sposa, che attendeva il momento con ansia e voglia di presentarsi per prendere come marito quell'uomo che l'aveva fatta innamorare come non mai. Era sicura di ciò che faceva, non riusciva ad avere dubbi a riguardo, ne a versare qualche lacrima di incertezza.

Scese dalla Aston Martin d'epoca lentamente, non voleva rovinare il vestito.

Stava per comprare un Vera Wang, poi aveva visto quello. Aveva capito subito che era quello giusto.

Era bianco, ma non accecante. Senza spalline, dal taglio semplice, aderente ma non a sirena, che seguiva la figura del corpo ma le permetteva di camminare senza impedimenti. Uno strascico non troppo lungo. A renderlo unico ci pensava un corpetto in pizzo con le maniche, adagiato sopra il vestito, impreziosito una piccola striscia avorio e brillante attorno alla vita.

Era diverso da come si era sempre immaginata il proprio vestito da sposa, ma lo trovava perfetto per il matrimonio che voleva avere, perfetto per la sposa che voleva essere.

Elegante, sobria, ma non così seria e spigolosa.

Geraldine e Maximilian avevano insistito per farle indossare il vestito della nonna stessa, ma Lilian si era rifiutata in modo categorico. Loro non potevano decidere per lei, nemmeno riguardo all'abito. Le piaceva, a dire il vero, ma l'aveva presa come una questione di principio. Non avrebbe mai permesso loro di metter piede nella propria vita, né in quella di Theodore. Non più.

Si erano offesi, ma non era un problema suo. Quello era il matrimonio suo e di Theo, non certo il loro. Potevano risentirsi quanto volevano. Potevano benissimo evitare di presentarsi, se c'erano cose che davano loro fastidio.

Marie aveva affrontato la questione con un sorriso stampato in faccia, concordava su tutta la linea con Lilian. Aveva adorato il modo in cui era riuscita a far irritare Gerry e come le teneva testa. In silenzio, la invidiava. Avrebbe voluto avere lo stesso carattere ai tempi, anche solo per non farla spadroneggiare nella privacy della sua vita coniugale.

Il padre le tese un braccio, facendola ridestare dai propri pensieri, mentre la madre le allungava il bouquet.

Sorrise a quella vista. Era proprio a causa di un bouquet che si trovava lì, in procinto di attraversare la navata di una chiesa allestita per lei e l'uomo che la stava aspettando all'altare.

La marcia nuziale iniziò mentre il padre la conduceva piano sul tappeto blu che divideva le due parti della chiesa. Diede un'occhiata fugace alla folla, individuando tra l'altro Cecil con Charlie. Aveva uno sguardo diverso, la duchessa. Era innamorata. Non la fissò con rancore, solo con ammirazione.

Ma, in quel momento, gli invitati erano passati in secondo piano.

Più camminava, più sentiva il cuore esplodere nel petto. Ogni passo la stava portando verso Theodore. Il suo futuro. Il suo eterno presente.

Vedere lo sguardo felice e appagato di lui, che l'aspettava davanti a tutte quelle persone, era la cosa più bella del mondo. Le spezzò qualcosa quella vista. Come se troppa felicità potesse nuocere.

Davies la portò a destinazione, infine posò la mano destra della figlia in quella del fidanzato.

Quando il padre si allontanò, Theodore le baciò la guancia dopo aver scostato il velo. Lilian ne approfittò per sussurrargli qualcosa. «Mi piace vederti felice.»

«Lo sarò ancor di più quando sarai mia moglie.»

Al momento delle promesse nuziali entrambi avevano la voce talmente incrinata dall'emozione che dovettero ripetere la frase d'assenso una seconda volta, scatenando le risate sommesse degli invitati.

Quando si scambiarono gli anelli la mano di Lilian tremava in modo vistoso, faticava a tenerla ferma sul palmo di Theodore, che infilò la fede d'oro bianco all'anulare con qualche difficoltà. Prima di posare la mano, le baciò il dito e l'anello, facendola arrossire.

La cerimonia si concluse senza intoppi e senza il pianto della sposa, solo quello di entrambe le madri, emozionate dalla vista dei loro figli ormai accasati.

Soltanto fuori dalla chiesa, in cima agli scalini e inondati da petali e bolle di sapone, tra l'ilarità generale, Lilian si fermò a contemplare il viso di Theodore e la conseguente espressione, iniziando a piangere copiosamente.

Quando il marito lo notò si avvicinò all'orecchio di lei, rivolgendole prima un'occhiata preoccupata «Non ti starai già pentendo, vero?»

Non stava scherzando.

Lilian gli sorrise radiosa, asciugando una lacrima. «Assolutamente no! Cosa dici? È la scelta migliore che potessi fare. Solo, ti ripeto, mi piace vederti felice.» Perché così felice non l'aveva mai visto.

Theodore le restituì il sorriso, raggiante. «Ed è solo merito tuo.»

Prima di condurla verso le scale e l'auto, le impresse un bacio lì, sul sagrato, a suggellare davanti a tutti la propria gioia.

Era ebbra, ma non per colpa del vino. Aveva Theodore ed era suo marito, di meglio non poteva chiedere.

Avevano aperto le danze, brindato, ringraziato gli ospiti e tagliato la torta. Il ricevimento si era rivelato magnifico, e alcune piccole cose l'avevano riportata a un anno prima, circa, quando si erano conosciuti.

«Non te l'ho ancora detto oggi, ma lasci senza parole da quanto sei splendida» le disse sfiorandole il lobo con il labbro e provocandole un brivido.

Lilian rimase pietrificata da quel contatto, sentendo un tremito percorrerle il corpo e scaldarlo in modo innaturale, cosa che le scatenò un desiderio potente.

Theodore approfittò del suo smarrimento per tirarla verso un gazebo in legno adornato di fiori freschi. In mano aveva il bouquet, ma lei non se ne era nemmeno accorta.

«Dove mi porti?» gli domandò, trasognata.

Fece dondolare il bouquet sotto i suoi occhi. «È giunto il momento del lancio. Non vorrai precludere questa piccola favola alle tue amiche?» Era divertito.

Piccola le sembrava un eufemismo. La sua era stata tutto, tranne che piccola.

Non disse nulla, appoggiò soltanto la mano su quella di lui che teneva il mazzo di fiori. Ammirò entrambe le fedi come se potessero scomparire da un momento all'altro. Aveva soltanto paura che tutta quella gioia potesse sfuggirle da un momento all'altro, scoprire che non era altro che un sogno.

Theo sembrava averle letto nel pensiero. La conosceva bene, sapeva decifrarne ogni espressione e ogni gesto.

Le prese il viso tra le mani, facendo incontrare i loro sguardi. «Ce l'abbiamo fatta. È tutto vero. Dopo un anno siamo qui a festeggiare il nostro matrimonio. Ti avevo fatto una promessa. Te l'avevo detto che avrei mantenuto la parola data.»

«Mi sono sempre fidata di te, anche quando non lo davo a vedere. Ti ho amato da subito, solo, ci ho messo un po' per capirlo. Nessuno potrà mai cambiarlo, né ora, né in futuro.»

Prese il bouquet e lo strinse prima di lanciarlo.

Era vero, Theodore aveva mantenuto la promessa.

Aveva vinto la scommessa.

Ma a vincere erano stati entrambi.

* * * * * * * * * *

Eccoci alla fine di questa seconda storia. Vi ringrazio per averla seguita con interesse!

Ne approfitto per presentarvi la storia successiva. Se vi piacciono le rockstar, se vi intriga l'idea che abbiano a  che fare con una fan, se apprezzate le storie intense, complicate e con colpi di scena, le storie che riescono a essere sia divertenti che profonde... beh, MATCHED È QUELLA CHE FA PER VOI!

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