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Capitolo 6

Si svegliò nervosa. Anche se 'svegliarsi' non era il termine giusto, dato che implicava l'aver dormito, cosa che le era capitata di rado, la notte precedente.

Si stiracchiò, anche se di intorpidito non aveva nulla. I muscoli erano ancora contratti.

In bagno trovò una Morgan saltellante e radiosa: «Ah! Finalmente la vita vera!»

Aveva un fuoco particolare negli occhi, il fuoco della determinazione.

Lilian la ammirava. Le sarebbe mancato dividere l'appartamento con lei, averla sempre intorno per un consulto o per passare un po' di tempo insieme.

Sospirò continuando l'avanzata verso la doccia.

«Cos'hai?» Morgan la conosceva bene. «Dovresti essere felice oggi!»

«Lo so, ma insomma... mi mancherà tutto questo.» E abbracciò con un gesto la stanza. Le ricordava tanto la scena di Mufasa con Simba, quando il padre mostrava al figlio il regno e gli diceva 'Tutto questo un giorno sarà tuo'. Peccato che lei stesse dicendo l'esatto contrario.

Dal giorno successivo tutto quello non le sarebbe più appartenuto, sarebbe stato soltanto un vivido ricordo.

«Lils! Ti prego! Non hai voglia di confrontarti con il mondo vero? Di vivere? Io non vedo l'ora che sia domani!» Facile per Morgan parlare così. Era competitiva, pronta a prendersi ciò che voleva.

E poi l'indomani sarebbe partita con gli amici di sempre per un giro in Sud-America, mentre Lilian aveva rifiutato, non sentendosi veramente parte del gruppo. Il piano era tornare a Manchester e progettare qualcosa di più tranquillo.

Una vacanza in una Spa o posti paradisiaci facevano più al caso suo.

«Ho paura» ammise a mezza voce. «E se non sopravvivo al mare di squali là fuori?»

«Mordi e combatti» le disse prima di addentare una fetta di pane con del bacon.

Terrorizzata ancor di più si fece una doccia, cercando di lavare via l'agitazione che si sentiva addosso. Tornò in camera con i capelli avvolti in un asciugamano per vedere il proprio telefono illuminarsi.

Lo sbloccò e un messaggio le si parò davanti agli occhi.

Theo:

Sta' tranquilla, ormai è fatta. Oggi è il tuo giorno, goditelo. Io sarò lì ad assistere al tuo successo

Si mise a sedere sul letto, le gambe tremanti.

Il cuore batteva, ma non più per l'agitazione. Voleva correre a prendere quel pezzo di carta. Non voleva più aspettare.

Accarezzò la divisa che avrebbe indossato l'ultima volta e si alzò con una nuova determinazione.

La cerimonia, al contrario di quello che si era aspettata, filò liscia.

Il discorso della preside emozionò tutti, specialmente il passaggio in cui paragonò l'attestato al primo mattone per il loro nuovo sentiero. Lì era finito un percorso, ma ne sarebbe iniziato subito un altro. Sarebbero dovuti ripartire da quel mattone.

Quando fu chiamata sul palco per ritirare l'attestato, i genitori si alzarono orgogliosi per applaudirla. Intorno a loro vide i parenti e qualche amico. In fondo al prato, invece, fece capolino il sorriso di Theodore, sempre pronto a infonderle coraggio.

Appena la celebrazione fu finita, gli studenti – che si liberarono delle cravatte e allentarono i colletti, assumendo un'aria meno perfetta e più umana – si riversarono sul prato alla ricerca delle famiglie e degli amici.

Dopo aver abbracciato Morgan e Bridget per il traguardo ottenuto, Lilian seguì l'esempio dei compagni, ma prima di incappare nei propri genitori trovò Theodore radioso e con le braccia aperte davanti a sé.

Si mise a correre e impresse le proprie labbra su quelle di lui, liete di accoglierla.

Qualcuno commentò la cosa con una battuta cattiva, solo dopo capì essere Cecil, ma Charlie, l'ex capitano della squadra di rugby, la mise al proprio posto, rispondendole con ironia riguardo all'assenza di un uomo nella sua vita e al fatto che lui si sarebbe offerto volentieri per colmare quella mancanza.

Il bacio fu interrotto da uno schiarirsi di voce maschile.

Lilian riconobbe subito il padre, così pose fine al contatto.

Ruth, la madre, la abbracciò, seguita a ruota dal marito, poi le rivolse la domanda che tutti i conoscenti avevano stampata in faccia.

«Dovremmo forse sapere qualcosa?» E indicò Theodore con un sorriso compiaciuto e curioso.

Prima che lei potesse dir qualcosa, quell'ultimo prese parola: «Buongiorno signori Whitley, sono Theodore, il ragazzo di Lily.»

Lei divenne paonazza. Aveva sempre sperato in quelle parole. Forse, in cuor suo, sapeva dove avevano portato quei giorni di conoscenza e tenerezze, ma sentirlo dire da lui, rendere reale così il loro rapporto, la fece sentire totalmente felice e appagata. Di colpo, la laurea le sembrava una cosa piccola, insignificante.

Se Ruth e i parenti esplosero in grida di gioia per la piccola di famiglia, Davies Whitley quasi svenne. La sua piccolina, la Lils che aveva fatto per anni cavalluccio sulle sue gambe, si era laureata e aveva pure un ragazzo. Cosa si era perso in quegli anni? E, soprattutto, quanto?

Decise di dare un'opportunità al ragazzo, in fondo aveva un'aria raccomandabile. Dopo che tutti si sperticarono in convenevoli gli allungò la mano e gli disse: «Theodore, andiamo a festeggiare la laurea di Lilian.»

Tre giorni passarono in fretta. Troppa, per i gusti di Theodore.

Aveva voglia di laurearsi, non aveva paura di quel momento, al contrario di Lilian. Aveva solo un piccolo problema: la cerimonia avrebbe riunito di nuovo la famiglia. Quella che aveva cercato di evitare il più possibile.

Dopo la consegna della laurea fu accolto dai parenti come se quelli fossero un plotone d'esecuzione, non persone riunite per complimentarsi con lui. Nonostante la gioia per il traguardo ottenuto, tra i presenti alleggiava tensione. Marie, la madre di Theodore, cercava di stemperare la situazione, insieme a Brant e qualche altro coraggioso.

L'arrivo di Lilian peggiorò solo la situazione.

Theo la accolse nel proprio abbraccio, cercando di darle protezione. Avevano parlato in quei giorni della sua presenza o meno all'evento, e lui aveva combattuto affinché lei fosse presente.

La laurea era la sua, non certo quella della famiglia intera, lui la voleva lì, contava soltanto la sua volontà.

Maximilian Lowell-Pending II, invece, era un uomo devoto alle tradizioni. Ancora di più al potere. Era il Dio su cui aveva fondato il proprio mondo.

Osservava Lilian con un misto tra disprezzo, sfida e curiosità.

Era la ragazza che aveva annientato i suoi sogni di gloria. Quelli che aveva riservato alla propria famiglia.

Quando l'intero gruppo si mosse per dirigersi alle auto che li avrebbero condotti al pranzo organizzato alla villa dei Lowell-Pending, Maximilian si voltò verso il figlio e la ragazza, guardandola con sprezzo. «Theo, oggi è una giornata che devi passare con i tuoi cari.»

Il figlio serrò le mascelle e prima di rispondere si morsicò la lingua per prendere tempo. «È una giornata che devo passare con le persone a me più care, ed è quello che sto facendo.»

Erano uscite con una calma innaturale quelle parole, tanto da suonare stridule. Inadatte.

Lilian prese in mano la situazione, rivolgendosi direttamente a lui: «Non ti preoccupare, ho altro da fare. Ci vediamo comunque stasera.»

Passò accanto al padre di Theo rivolgendogli un sorriso misurato e sicuro. «Non si rilassi, ci rivedremo presto.»

Salutò Marie, che si scusò con lei per il comportamento dei propri famigliari, poi si congedò con dignità.

Sentì Theo scagliarsi contro il padre senza però fare una scenata in pubblico. «Nemmeno la mia giornata riesco a godermi appieno. Riesci a rovinare tutto!»

Lo vide accelerare il passo, mentre Max gli rispondeva: «Tu hai rovinato il futuro che avevo in mente per te.»

Ormai era troppo lontana per sentire ciò che si stavano dicendo, sperò soltanto che il tutto non degenerasse.

Theo, in quel momento, avrebbe tanto voluto allontanarsi con lei.

Stava perdendo la pazienza e la felicità di aver preso la laurea stava velocemente svanendo.

Prese il padre per un braccio, facendolo arretrare fino ad averlo accanto a sé. «Appunto, il futuro che tu hai scelto. La vita è mia, faccio quello che più mi piace.»

Non voleva sentire altro, così continuò la propria avanzata. Raggiunse la madre, porgendole il braccio e baciandole la guancia quando lei accettò il gesto.

L'incontro con la famiglia di Theo, specialmente la parte Lowell-Pending, passò in secondo piano quando lui propose a Lilian di passare qualche giorno nella residenza estiva della nonna, poco distante da Glasgow.

Nonna Geraldine, conosciuta a tutti come nonna Gerry, era il vero osso duro della famiglia.

Aveva una veneranda età e, con essa, aveva maturato tutti i difetti del tempo, ma la cocciutaggine e l'allergia ai cambiamenti primeggiavano in cima alla lista.

Era lei a tenere le redini dei Lowell-Pending, tanto da avere in pugno il possente Maximilian, che davanti a lei diventava ancora Maxi, il suo piccolino.

Theodore sapeva bene che Gerry era quella più contraria alla fine del fidanzamento con la giovane Prescott.

Era una donna fiera e rude, ligia al passato e a ciò che portava con sé. Appena poteva indossava una fascia in tartan, fermata al petto dalla spilla che riportava lo stemma di famiglia.

Non concepiva come il nipote potesse voltare le spalle alla famiglia, lasciando da parte le tradizioni e il volere degli avi per il proprio egoismo, a discapito di un matrimonio vantaggioso e un fidanzamento già deciso per una ragazza che veniva da origini troppo moderne. Non era nobile, ma ricca e di famiglia famosa per la gloria in campo aziendale. Una cosa così progressista ai suoi occhi da essere considerata un'eresia.

Theodore però era stato irremovibile. La vita era la sua. Cognome o no, ne avrebbe fatto ciò che più gli aggradava. Le aveva detto che i tempi erano cambiati, non si aspettava certo che lei potesse capire, ma di sicuro lui non sarebbe sottostato a obsoleti giochi di potere che ormai non portavano più a nulla.

«Se tuo padre ostenta indifferenza verso di me, tua nonna non mi può proprio sopportare... mi spieghi cosa ci facciamo qui?» Lilian indicò l'immensa magione di roccia davanti ai suoi occhi. Nonostante la compagnia non fosse delle migliori, il posto meritava davvero la sua assenza di aggettivi superlativi per descriverlo.

«Dimostro alla mia famiglia che non mi interessa il loro parere e li obbligo ad accettarti, non potranno sfuggire per sempre alla tua presenza.» Le sorrise compiaciuto.

Lei, in risposta, alzò gli occhi al cielo. «Hai scelto la via peggiore per farlo, sappilo.» Poi si avvicinò a lui, circondandogli la vita con un braccio mentre avanzavano verso il portone. «Io ho deciso di stare con te, non con tutta la tua famiglia. Non mi interessa quello che pensano.»

«Ma importa a me, almeno un po'. E siccome non ti interessa di loro, non farti sopraffare da queste maledette teste di legno. È il modo migliore per non farsi rovinare il soggiorno.»

Lilian non sembrava sicura, non era riuscito a essere convincente come suo solito.

«Avanti» proseguì lui avvicinando le labbra al suo orecchio. «Fallo per me.»

Un brivido nacque nel momento in cui la bocca andò a posarsi sulla pelle dietro l'orecchio di lei. «Ok, lo faccio solo perché sei tu.»

Suonarono e la servitù li accolse al meglio, al contrario di Gerry e Maxi.

Marie mostrò loro le camere – vicine e comunicanti, come fece notare – e abbracciò il figlio a cui teneva così tanto. Avere Theodore e Llian nei paraggi avrebbe sicuramente alleggerito l'aria in quei giorni, evitandole di ingurgitare qualche bicchiere di scotch di troppo per sopportare l'asfissiante presenza della decrepita suocera.

Dopo aver sistemato i bagagli nelle camere ed essersi cambiati i vestiti, adeguandosi al tempo uggioso, umido e mite della Scozia, salutarono i presenti per poter fare un giro della proprietà.

«Dove mi porti?» chiese a Theodore.

«A vedere il parco. Voglio mostrarti il mio posto preferito.»

Intrecciò le dita alle sue e si fece guidare attraverso le distese verdi e rigogliose che circondavano quella dimora rocciosa.

Dopo aver percorso un ampio prato, attraversarono una parte di bosco, infine sbucarono in un altro parco, attraversato da un fiume.

La visione era meravigliosa.

«Ehi, Lily, ci sei?» le domandò divertito vedendo la sua espressione.

«Questo posto è stupendo. Io, non penso di aver mai visto una cosa simile.»

Le sorrise contento. «E non hai ancora visto tutto.»

La condusse sul ponte che valicava l'acqua che sembrava ferma, facendole ammirare il punto da dove erano venuti.

«Questo fiume è talmente grazioso da sembrare finto. L'avete costruito voi?»

«No, perché questo non è un fiume. È un piccolo lago, e questa è un'isola.» Indicò il suolo sotto di loro. «Una lingua di terra naturale e incontaminata. Ti ho portato qui perché questo da bambino era il mio posto preferito. Lo è tuttora. Venivo con Brant e i miei cugini a giocare ai cavalieri.»

Alzò le spalle con fare disinteressato, ma era visibile quanto tenesse a quel posto e al fatto che Lilian fosse lì a condividerlo con lui.

Dal canto suo, lei si sentì importante. Completa al suo fianco.

Sapeva di far parte di un pezzo del suo cuore in quel momento e non poteva esserne più grata.

Qualche lacrima di commozione e gioia le uscì senza essere vista, avrebbe voluto poter rendergli quella specie di favore in qualche modo.

«Sono felice di essere qui. E sono felice di essere con te. Non vorrei essere da nessun'altra parte.»

Si strinse a lui, cercandone l'odore, catturando ogni suo particolare, un regalo improvvisato per la propria memoria. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma il suo stomaco brontolò per la mancanza di cibo. E lo fece così rumorosamente da non poter essere ignorato.

Theodore rise mentre con una mano lo accarezzò. «Andiamo, è meglio provvedere.»

E la indirizzò nel folto della boscaglia.

«Ehi, ma la villa non è dell'altra parte? Dove andiamo? Non penso che delle bacche possano bastare per sfamarci.» In effetti l'idea di emulare dei naufraghi su un'isola deserta non l'allettava per nulla. Sognava primi e secondi sostanziosi e, perché no, un dolce caldo. Magari, una crema fumante atta a scaldarla.

Il baronetto rise di quella curiosità. Le rispose senza perdere l'allegria che la compagnia di lei sapeva donargli «Andiamo a pranzare, ma lontano da nonna Gerry, in modo che non ti avveleni le portate.»

Lilian non ci trovò nulla di divertente. Geraldine le sembrava così disposta a tutto per perpetrare i propri scopi che non avrebbe fatto fatica a immaginarsela mentre tentava ucciderla. Con il veleno nel cibo, con un coltello in piena notte e in altri modi molto poco carini.

Un brivido la percorse. Scacciò quell'orrenda sensazione per dedicarsi a Theo. E al cibo.

Di colpo, si ritrovò al riparo delle fronde di un salice piangente, sulla riva opposta del laghetto. La visuale era magnifica, incantevole. Sembrava uscita da un dipinto, da tanto era bella.

Theo le mostrò un cesto da pic-nic e una tovaglia a quadri bianchi e rossi, tanto spartana quanto perfetta.

Avrebbe voluto dire che per lei era troppo sdolcinato, e lo sarebbe stato sul serio se a organizzarlo non fosse stato il ragazzo che ormai le aveva rubato il cuore.

«Il pic-nic che dovevamo fare con Brant e Morgan e invece abbiamo annullato a causa del tempo... te ne sei ricordato!» lo fissava ammirata. Ogni volta riusciva a essere un uomo nuovo ai suoi occhi, stupendola con piccoli dettagli che per lei erano fondamentali.

«Difficile scordarsene, dato che hai tenuto il broncio per giorni e giravi per Leicester urlando al mancato pic-nic.» Non c'era un vero rimprovero in quelle parole, solo una velata canzonatura che la fece sorridere ancor di più.

«Sono una rompipalle, lo so» disse nell'accomodarsi sulla tovaglia.

«Ma sei la mia rompipalle» replicò accarezzandole la guancia.

«Sir Lowell-Pending, ora capisco come mai i tuoi parenti non vogliano che tu mi frequenti. Stai diventando volgare!» cercò di sdrammatizzare. In realtà sentire Theodore parlare in quel modo la divertiva davvero. Non era da lui. O meglio, era da lui, ma non gli succedeva spesso.

«Con te sono solo me stesso.» E per questo le sarebbe sempre stato grato. Stare con lei lo liberava di un peso inutile e gravoso che la famiglia gli affibbiava senza che lui realmente lo volesse.

Mangiarono tutto quello che di buono aveva preparato lo chef della casa, arrivando presto al dolce, la parte preferita di Lilian.

Una volta finito quello, si avvicinò a Theodore, appoggiato al tronco del salice. Si sedette davanti a lui, cercando di farsi spazio tra le sue gambe.

Il ragazzo notò la sua curiosità.

In effetti, avrebbe dovuto spiegargli perché stava richiedendo la sua attenzione a quel modo.

«Cosa c'è?» le chiese davvero curioso. Gli sembrava strana, come se il fatto di essere lì con lui e con la sua famiglia fosse per lei un grande onore e un enorme impiccio al contempo.

Sembrava combattuta su quale sentimento provare e far prevalere sull'altro.

Sospirò, conscia di non sapere da dove partire con quel discorso e poggiò poi il mento sul ginocchio di lui, proseguendo poi sulla sua coscia per accarezzare con l'indice la cucitura esterna dei jeans scuri che aveva deciso di indossare.

Gli regalò un sorriso, prima di rispondergli: «Ho capito una cosa ultimamente, sai?»

«Cosa? Sempre se si può sapere.»

Ridacchiò nervosa.

«Certo.» Dopo una breve pausa riuscì a dire: «L'amore è egoista. È il sentimento più egoista che ci sia.»

«Perché dici questo?»

«Perché quando ami una persona, ami lei, certo, ma ti senti gratificato da questo sentimento. Alla fine, è come se lo facessi per te stesso.»

Lui scosse la testa debolmente. «Non credo sia così. Certo, sei felice, ma in fondo è dell'altra persona di cui ti preoccupi. La anteponi anche a te stesso, non credi?»

Lilian rimase spiazzata da quella semplice domanda. Non aveva calcolato quell'eventualità.

Arrossendo fortemente soffiò appena: «È solo che da quando mi sono innamorata di te mi sento egoista a essere così felice. Ho paura di ferirti, che per te non sia la stessa cosa. Insomma, è un gran casino.»

Theodore sorrise.

Era la prima volta che Lilian esprimeva i suoi sentimenti in modo così aperto. Ed era la prima volta che parlavano di amore. Sentir sollevare l'argomento da lei, di solito così schiva, lo riempiva di gioia. In quel momento, anche lui si sentiva egoista per la felicità provata.

E le parole di lei dimostravano quanto giusta fosse la propria teoria, dato che si stava preoccupando di lui e di ciò che poteva provare.

«Stai dicendo che è un gran casino, tutto questo?»

Lei si schiarì la voce, più sicura che mai in quel momento. «Sto dicendo che ti amo, se non fosse chiaro.»

Il momento di un attimo, ma il coraggio, dopo quelle parole, era già fuggito. L'aveva sentito chiaramente fare le valigie e scappare alla chetichella verso non si sapeva dove.

Smise di accarezzargli la coscia e fissò lo sguardo sul ginocchio, dove fino a poco tempo prima era posato il suo mento.

Theo alzò solo un angolo della bocca vedendo quella timidezza dopo un'affermazione così sincera e importante.

Si staccò dal tronco per tirarla a sé, contro il proprio petto e le fece posare l'orecchio sopra il proprio cuore. Le fece ascoltare il battito cardiaco accelerato dall'emozione, l'unica cosa che guidava Theodore da venticinque anni a quella parte, mentre piano le accarezzava i capelli disordinati dal vento.

La tenne sulle spine pe poco, sapeva quanto per lei fosse importante avere rassicurazioni a riguardo. «Non era così chiaro, ma sono felice che tu sia riuscita a esprimerlo.»

Le baciò la fronte con tutta la dolcezza che possedeva. «Ti amo anche io. E, credimi, non c'è niente di egoista in questo.»

Le stava mentendo. Il suo sentimento era egoista, perché non avrebbe voluto dividerla con nessuno, la voleva solo per sé. Ma sapeva che non era possibile, il mondo non era una fantasia che si poteva rinchiudere in una bolla, avrebbe bussato alla porta con la realtà per chiedere poi gli interessi.

Lilian si lasciò cullare dal suo abbraccio, dal suo calore. Dal suo amore.

Avrebbe voluto star lì e invecchiare in quella posizione, ma la pioggia li interruppe brutalmente.

Prima di infradiciarsi e prendersi un malanno, corsero verso la villa, recuperando alla bell'e meglio tutto il necessario che avevano usato per il pic-nic.

Dalla finestra di un elegante studio foderato di legno e pelle, Maximilian Rudolph li osservava attraversare l'enorme prato verde e correre verso l'entrata sul retro.

Non era concentrato su Theodore, ma sulla ragazza.

Da quando l'aveva incontrata, non nutriva certo simpatia per lei, era l'emblema della propria sconfitta, la distruzione di tutti i sogni. Gli forzi di una vita andati in fumo.

Eppure, c'era una piccola parte di lui che l'ammirava.

Perché nonostante non fosse stata accolta bene, nonostante l'avessero tenuta al di fuori della famiglia, aveva avuto il coraggio di affrontarlo a testa alta e con una certa dignità.

Era stata solo una frase, ma di certo una ragazza senza spina dorsale e due spalle grandi per sopportare il peso di un simile affronto non avrebbe osato rivolgersi a lui a quel modo, durante il loro primo incontro.

Gli ricordava il fuoco nel camino: era pronta a passare su tutto e tutti, pur di avere ciò che voleva. Era determinata. Così tanto da affrontare lui e sfidare Gerry con la sua sola permanenza nella villa.

Non le stava simpatica, ma era certo che l'ammirasse.

Era riuscita a spronare Theodore, a scuoterlo dal suo torpore. E nonostante l'avesse fatto per i motivi sbagliati, aveva visto il figlio crescere, maturare e responsabilizzarsi.

Tuttavia, mai l'avrebbe ammesso con lui.

Non solo per rispetto nei confronti della madre, la quale non vedeva di buon occhio la ragazza, o perché mai e poi mai l'avrebbe data vinta a Theo, ma anche perché non avrebbe ammesso di aver commesso un errore di giudizio. Era Maximilian, non gli era permesso sbagliarsi.

Ma, in fin dei conti, sarebbe sempre stato grato a Lilian, anche solo per aver ridimensionato la faccenda dei matrimoni combinati. Se fosse stato per lui, il matrimonio sarebbe arrivato ben più tardi. Fortuna volle invece Marie sulla sua strada, una donna forte e dall'animo coraggioso, pronta ad atti di sopportazione titanici.

Li vide sparire al limitare del portone.

Non l'avrebbe accolta, probabilmente, ma ormai l'aveva già accettata.

L'importante era non darlo troppo a vedere.

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