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Capitolo 5

Si sentiva una stupida, eppure non poteva farci niente.

Era rintanata all'interno del maglione di Theodore, la guancia appoggiata sul petto all'altezza del cuore. Era davvero alto e, anche se lei non era bassa, era già tanto arrivarci, al torso.

Non voleva affrontare il "fuori".

Dalla trama del maglione filtrava la luce asettica e accecante dei neon, lì sotto invece c'era tutto quello di cui aveva bisogno.

Lì c'era il suo profumo e, soprattutto, il suo cuore. Lilian avrebbe potuto viverne e si stupì di quella semplice, ma importante, verità.

Mannaggia a lui che l'aveva ridotta così.

Fuori c'erano quelle luci orrende che le avrebbero conferito un aspetto peggiore di quel che già aveva. Non voleva vedere Theo avvicinarsi al desk del check-in, non voleva assistere al suo progressivo allontanarsi da lei. Preferiva di gran lunga rimanere lì sotto, al sicuro, in quel maglione abbastanza grande per entrambi.

Theodore la guidava: a ogni avanzamento della coda la stringeva e la assisteva per non farla inciampare. Per farlo, la abbracciava e le faceva seguire il proprio corpo.

O meglio, abbracciava il proprio maglione da cui sembrava essere stata inglobata.

All'ennesimo passo avanti ridacchiò: «Pensi di uscire di lì?»

La sentì scuotere la testa contro il proprio petto con una certa veemenza.

«Hai intenzione di rimanerci a vita?»

Lily annuì soltanto.

«Peccato.»

«Perché?» la voce acuta.

Era difficile parlare quando un groppo s'impossessava della gola come le truppe nemiche invadevano la Jacuzia a Risiko.

«Perché prima di partire vorrei vedere gli occhi della ragazza che mi ha stregato il cuore. Vorrei avere qualcosa a cui pensare in questi sette giorni.»

Mugolò mesta, poi uscì dal proprio rifugio controvoglia, le guance in fiamme.

Theo la circondò dolcemente con le proprie braccia per rassicurarla.

«Devi proprio partire?» pigolò appena, facendo quasi violenza sulle proprie corde vocali.

«Devi proprio restare qui?» Quella di Theodore era una semplice provocazione, atta a farle dimenticare per un momento la tristezza che l'aveva colta.

Lilian rispose dopo aver ripreso un po' della propria animosità. «Non iniziare, ne abbiamo già parlato. Tu vai per seguire tuo padre nei vostri affari alle Bahamas, io cosa c'entrerei in tutto questo? E poi tra dieci giorni c'è la cerimonia di laurea, ti ricordo» sospirò. «Ci sarai, vero?»

«Tu c'entreresti perché verresti a conoscere il tuo futuro suocero.» Sorrise furbo.

Dio, di quel passo Lilian non sarebbe arrivata ai venticinque anni. Sarebbe morta prima e lui ne sarebbe stato l'unico responsabile.

Aveva sempre odiato le smancerie, ma se dette da lui diventavano apprezzabili e carine. E per lei era strano pensare di vedere la propria vita stravolta in modo simile: non si era mai immaginata legata a qualcuno, non così presto, eppure con Theo aveva dovuto rivedere gran parte di quelle convinzioni. La serietà con cui lui faceva progetti importanti, e la facilità con cui lei li accettava, la spaventavano. Se gliel'avessero raccontato avrebbe trovato la situazione assurda, ma siccome era coinvolta la trovava una cosa sempre più reale. Ne era elettrizzata e terrorizzata allo stesso tempo.

Theodore poggiò la propria fronte su quella di Lilian e continuò il suo discorso: «E sì, ci sarò, non mi perderei la consegna per nulla al mondo. E poi, dopo poco, tocca a me.»

Entrambi si sarebbero laureati, anche se Theodore era più grande.

Aveva iniziato qualche anno dopo l'Abbey Cross, prima si era preso un paio di anni sabbatici in cui aveva girato il mondo e aiutato suo padre nel condurre l'impresa famigliare, che poi gli era valsa il titolo.

«E poi ricorda che starò via una settimana. E vado alle Bahamas, non farla sembrare Pearl Harbor.»

«L'importante è che tu mi prometti che ci sarai, qualunque cosa accada e... dato che è zona di uragani, fammi un favore... sta' attento.»

«Aaahhh» esclamò soddisfatto. «Ma allora ti importa di me?»

Sapeva quanto schiva fosse Lilian, l'aveva capito, il fatto che palesasse il suo interesse fu piacevole.

Lei alzò lo sguardo per incrociare quello di lui. «Certo, e lo sai. Non fare il finto tonto.»

Più si avvicinavano al desk, più si stringeva attorno alla sua vita. Come avrebbe fatto una settimana senza di lui?

Non era abituata.

Da quando avevano iniziato a frequentarsi era stato molto presente, e se non poteva esserci fisicamente arrivava virtualmente a lei.

«Mi mancherai da morire» ammise nel tentativo di regalargli un sorriso.

Lui la guardò soddisfatto. «Non sai quanto sia felice di sentirtelo dire, perché per me sarà lo stesso.»

«Documenti prego.» Li interruppe la hostess al banco, pronta per controllare le carte di Theodore, che fornì i propri dati e le coordinate della prenotazione, per poi caricare la propria valigia sul nastro trasportatore, pregando che la collocassero sul giusto aereo.

Si allontanarono dalla fila in silenzio e si diressero verso uno Starbucks per un caffè veloce. Non avevano molto tempo, dato che erano arrivati un po' in ritardo.

Il momento di separarsi sopraggiunse con troppa fretta per i loro gusti.

Theo le prese il viso tra le mani. «Mi mancherà poter far questo.» E, prima di aggiungere altro, la baciò.

Lilian si protese sulle punte pur di arrivare meglio a lui, lo cinse per la vita, stringendo il maglione tra le mani. Non voleva lasciarlo andare.

«Torna presto» disse con sguardo implorante.

«Non ti accorgerai nemmeno della mia assenza» la rincuorò.

Sorrise appoggiando le mani sul suo petto. «Sir Lowell-Pending, da una persona della sua educazione non mi aspettavo una simile bugia. Devo preoccuparmi?»

Scherzare le sembrava l'unico modo per scacciare la malinconia che era pronta a impossessarsi di lei da un momento all'altro.

«Non è una bugia, ma una constatazione. Sarai così impegnata e nervosa da non renderti nemmeno conto che un oceano ci separa.» Le accarezzò le guance con i pollici, nel gesto più affettuoso che potesse concedersi in pubblico.

«Lo sto già odiando, quell'oceano.» Gli si gettò al collo, prima che il volo venisse chiamato.

Erano passati cinque giorni dalla partenza di Theodore, erano riusciti a sentirsi poche volte però, occupati con i rispettivi impegni e ostacolati dal fuso orario.

«Grazie» mormorò lui gentile.

Lily sentì in modo distinto una voce femminile che gli rispondeva.

«Theo, chi era quella?» era preoccupata.

Era un bel ragazzo, mezzo nudo, al sole, perché sapeva benissimo che non avrebbe passato tutto il tempo a lavorare. Insomma, era alle Bahamas!

Con le ragazze ci sapeva fare, non era difficile immaginarlo circondato da donne pronte a soddisfare ogni sua esigenza.

«La cameriera. Mi ha portato un cocktail in una noce di cocco, con l'ombrellino!» rispose sorpreso, rimirando la bevanda tra le sue mani mentre giochicchiava con le decorazioni.

Lily, invece, era sulla buona strada per arrabbiarsi. «Guarda che non do seconde possibilità, ricordalo.»

«Tranquilla, non ne ho bisogno» rispose sereno. La sua calma era contagiosa, tanto che riuscì a tranquillizzarla. Si avvicinarono altre voci di uomini, segno che il loro momento insieme era giunto al termine. «Ora devo agganciare, stanno arrivando i soci di mio padre, immagino sia una riunione fuori programma» sospirò irritato. «Mi dispiace

«Mi manchi» gli disse appena.

«Sarò da te il prima possibile.» chiuse la conversazione mentre salutava le altre persone.

Guardò mesta lo schermo del proprio cellulare, dove c'era una foto sfocata di Theo. Gliel'aveva scattata a un concerto. Appena era salito sul volo, l'aveva salvata come sfondo.

Sarebbe stato il suo piccolo segreto.

Si diresse verso i bagni in fondo al corridoio, prima di seguire l'ultima lezione della giornata.

Dopo essersi rinfrescata la faccia era pronta per uscire quando incrociò sull'uscio Kate, l'amica di Cecil.

O meglio, quella che lei considerava la tirapiedi numero uno.

Quell'ultima le sorrise incerta e in imbarazzo, nel passarle accanto.

L'altra stava per uscire, quando Kate la chiamò: «Lilian?»

«Sì?» rispose riluttante. Non ricordava una sola volta in cui si fossero parlate, soprattutto senza Cecil a fare da ape regina allo stuolo di seguaci che si era creata.

«So che ti sembrerà strano che io ti dica certe cose ma... anche se Cici è mia amica, non trovo sempre giusti i suoi comportamenti.»

«Con questo cosa vorresti dire?» Trovò la sua affermazione interessante, se non addirittura strana. Perché dirlo proprio a lei?

«Hai ragione, scusa, mi sono persa nei miei pensieri. Voglio solo dirti di stare attenta, Cecil è veramente fuori di sé. Non ha gradito il trattamento poco "reale" che le è stato riservato. Però vedi di non farti mettere i piedi in testa, ecco. Ho provato a convincerla a lasciar perdere, ma è tutto inutile... è impazzita.»

«Ma di cosa stai parlando? Non capisco.» Lilian era veramente confusa dalle sue parole senza senso.

«Lo scoprirai presto, suppongo. Scusa. Devo andare.» E, senza darle tempo di rispondere, Kate uscì senza indugi.

«Beh, grazie» mormorò rivolta al nulla.

Lilian era sulla via del ritorno al dormitorio, Morgan la aspettava nel loro appartamento.

«Dove pensi di andare?» Cecil spuntò da dietro una colonna all'improvviso, facendola sobbalzare.

«Cici, mi hai spaventata!»

«Coscienza sporca, eh?» Era sprezzante e fredda. Nulla di diverso dal solito, ma trovò strano che fosse stata lì ad aspettarla. Avevano un atteggiamento comune, ed era la tacita regola di ignorarsi il più possibile.

«No, è solo che fai paura. Specialmente se sbuchi dal nulla a tradimento.» Cercò di mantenere la calma e di ricorrere al sarcasmo per irritarla, era conscia di quanto certi atteggiamenti la infastidissero. Difatti qualcosa nella maschera aristocratica e composta si incrinò.

«Come osi parlarmi in questo modo? Non ti basta avermi fatto passare per la disperata di turno e di avermi rovinato la vita?»

«Andiamo!» rispose Lilian, irritata. «Per delle battute acide che ci siamo scambiate in tre anni vuoi dire davvero che ti ho rovinato la vita? È ridicolo!»

Rise per l'assurdità di quel momento. Cici, la donna d'acciaio, le stava davvero rinfacciando una simile bambinata?

«Non lo sai, dunque...» Inaspettatamente riacquistò la sua solita spavalderia, quasi la risposta di Lilian avesse rimescolato le carte in tavola. Gli occhi erano vigili e sembrarono essersi rianimati di soddisfazione, una cosa che non piacque molto a Lily.

«Non so cosa? Avanti, parla.» Cercò di mantenere la calma, ma odiava la gente che non arrivava dritta al punto. A che scopo girarci tanto attorno?

«Il fidanzamento. Il matrimonio.» Lasciò passare qualche momento per darle modo di capire appieno l'ultima parola: «Theodore.»

In quel momento Lilian capì il discorso di Cecil. Dire che la notizia l'aveva lasciata senza parole era un eufemismo.

«Non ti bastava al college, no. Ora anche fuori hai dovuto rovinarmi la vita, stronza!» Cici la costrinse a indietreggiare fino a farla aderire contro un muro. Era in trappola.

Non le era mai piaciuta l'idea che la fantomatica ex di Theodore fosse in quel college, ma scoprire in Cecil quella persona, per giunta da lei, fu un duro colpo.

«Cici, non lo sapevo, come hai potuto notare tu stessa poco fa. Non era mia intenzione farti del male.» Anche se essere a conoscenza o meno di quel dettaglio non avrebbe cambiato l'esito dei fatti: Theo e Lily desideravano stare insieme, e lui non voleva sposare qualcuna per far contenti i suoi famigliari.

«Oh sì, certo. E io dovrei crederci! Perché non sei quella che per tre anni mi ha messo i bastoni tra le ruote.»

Lilian era vicina all'arrabbiarsi davvero. «Ehi! Sei tu che hai iniziato questa battaglia senza senso, io mi sono solo difesa!»

«E per difenderti hai dovuto portare via ciò che è mio?»

«Era.» Sottolineò soddisfatta e arrogante. Se Cecil non lo capiva con le buone, avrebbe usato la sua stessa medicina: la cattiveria.

«Il tuo ragazzo però non ti ha detto che ero io la sua fidanzata, vero?» Cercava di non perdere la il contegno regale che le era stato inculcato sin da piccola, ma ormai le era difficile mantenere la sua solita facciata composta ed elegante.

Difficile quando ormai era scoperta davanti a chi più temeva. Impossibile davanti a chi odiava e le stava portando via tutto alla luce del sole nel modo più corretto possibile, quando lei avevi fatto di tutto per nascondere la cosa.

«Cosa vorresti dire con questo?»

Cecil la spaventava. Era un'acuta osservatrice, di quello doveva dargliene atto. Era arrivata subito al punto. Quell'omissione da parte di Theo non solo non le era piaciuta, ma l'aveva ferita. Cercava di non darlo a vedere, ma sapeva che era inutile. Era un libro aperto nelle sue mani.

«Che forse non è sincero come credi. O che forse non lo conosci davvero.»

La affrontò, ironica. «Cici, parli tu? Tu che non nascondi mai nulla, hai taciuto su un fidanzamento di cui saresti potuta essere tanto orgogliosa? Evidentemente sapevi benissimo su quali esili fondamenta fosse basato. Il tuo non palesarlo può essere solo imputabile a questo. E, per inciso, è triste.»

La duchessa, in risposta, sfoderò un comportamento poco aristocratico, schiaffeggiandola.

Lilian la spintonò, stufa di contenersi quando la nemica di sempre sfoderava colpi tanto bassi. «Sentimi bene ora, perché non ho intenzione di ripetermi. Theo ha fatto le sue scelte, io ho fatto le mie. Lui non era e non è una tua proprietà. Può decidere quello che vuole fare, e così è stato. Io non ne sapevo nulla e il tuo prendertela con me dimostra quanto tu sia infantile. Non è un episodio di Gossip girl, ma la vita vera, diamine! Non mi interessa se era un fidanzamento vantaggioso, o se tu sei così viziata che se ti viene tolto il tuo giocattolino pesti i piedi e frigni, non mi riguarda. Theo ha scelto me, io lui, e questo è tutto quello che mi interessa. Quindi vedi di girare al largo e farti una vita, perché sono stufa di sopportare i tuoi stupidi piagnistei.»

Essere duchessa la metteva in alto nella gerarchia nobiliare, sopra di lei c'erano solo i reali, era ovvio che fosse interessata ai soldi della famiglia di Theo perché, da alcune voci che giravano al college, quella di Cici non se la stava passando tanto bene economicamente.

«Io ti rovino» rispose ringhiando, gli occhi fuori dalle orbite. «E poi me lo riprendo.»

«Ma quanto sei patetica? I giorni in questo college sono praticamente finiti, e questa ripicca pseudo-adolescenziale rimane tra queste mura, per me.» Le puntò un indice al petto per pungolarlo con forza in modo ripetitivo, voleva irritarla. «E tu non mi rovini. Io non te lo permetto. E ricorda che Theo è una persona, può decidere come meglio agire. Di certo non tornerà da una bambina, sceglierà una donna. Che sia io o meno.»

Detto ciò si allontanò scansandola di lato per aprirsi un varco e lasciarsela alle spalle.

Era stata fin troppo gentile, ma non sarebbe mai scesa al suo livello.

«Me la pagherai!» le urlò poco convinta.

Si era arresa, era chiaro dalla promessa dall'eco vano, che aveva il suono della disperazione più che quello della vendetta. Sapeva benissimo di non aver nulla tra le mani per farlo.

«Mi piacerebbe crederti Cee, ma so che è impossibile. Per me sei solo l'unico brutto ricordo di questo posto, nulla più. Addio.»

Lilian si allontanò ostentando tranquillità, ma il cuore sembrava volerle uscire dal petto.

Come poteva Theodore aver taciuto una simile cosa?

Conosceva i trascorsi tra lei e Cecil.

Venire a sapere da lei del loro fidanzamento non era stato per nulla bello.

Avrebbe dovuto dirglielo lui. Avrebbe voluto saperlo da lui.

Appena fu sicura di essere fuori dalla portata di Cecil estrasse il cellulare dalla borsa e digitò un messaggio in modo compulsivo:

Lily:

Hai detto di non aver bisogno di seconde opportunità? Bene, sappi che ti sei appena giocato la tua unica. È finita. Non chiamarmi più

Poco dopo arrivò la risposta:

Theo:

Lily, cos'è successo?

Replicò tra le lacrime, prendendosela con lo schermo del cellulare più del dovuto. Avrebbe voluto distruggerlo.

Lily:

Cecil, ecco cosa è successo! Perché non me l'hai detto? Ho dovuto saperlo da lei, che ora minaccia ripercussioni su di me, ovviamente. Lascia stare, tanto non ti riguarda più cosa mi succede

Theodore, dall'altra parte del mondo, era disperato, non sapeva come affrontare la cosa.

Theo:

Possiamo parlarne con calma quando torno?

Lilian piangeva. Le faceva male scrivere quei messaggi.

Aveva paura per le parole di Cecil. E se avesse avuto ragione riguardo Theo?

Se non fosse stato come sembrava? Se non l'avesse conosciuto abbastanza? Se avesse trovato il modo di rifarsi su di lei?

Perché non gliel'aveva detto? Contava così poco?

Lily:

Te lo ripeto, non voglio più vederti. Torna dai tuoi aristocratici ipocriti. Stai bene con loro

Inviò e spense il cellulare.

Poco dopo arrivò a casa, dove Morgan l'accolse e si fece raccontare tutta la storia.

I restanti due giorni passarono con innaturale rapidità agli occhi di Lilian. Theodore doveva essere tornato. Ogni pensiero era rivolto a lui.

La convinzione con cui gli aveva scritto era svanita, molte volte si era ritrovata sul punto di chiamarlo per chiedergli scusa, anche se non avrebbe saputo dire per cosa, ma l'orgoglio e la testardaggine avevano sempre avuto la meglio.

Mancavano poche ore alla consegna della laurea, meno di un giorno, ma aveva la testa da un'altra parte. Il cuore non sapeva dove fosse finito.

«Ti rendi conto? Domani a quest'ora saremo laureate!» Morgan saltellava dalla felicità. «Certo che, potresti almeno fingere di essere elettrizzata. Mi fai sentire scema.»

Era diretta con l'amica verso il loro appartamento, con l'umore sotto le scarpe.

Lilian la guardò di traverso. «Oh sì, sono proprio felice di vedere la mamma di Theodore che mi consegnerà l'attestato. Non so se scavarmi una fossa o sferrarle un pugno in pieno viso per l'agitazione.»

L'altra le servì la soluzione migliore: «E se invece ti limitassi a prendere la pergamena e a stringerle la mano? Scommetto non sarebbe poi così male.» Alzò le spalle nel tentativo di allontanare il problema.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma in prossimità della porta di casa vide una figura familiare. Theodore era intento a rimirarsi le punta delle scarpe. Morgan diede di gomito a Lily, che si pietrificò all'istante, iniziando poi una lenta e silenziosa marcia di ritirata, ma l'altra fu più veloce. E più furba.

Morgan scacciò una vespa invisibile, lanciando un urlo che richiamò l'attenzione dei presenti. Tutti.

Lilian la guardò male e lei si giustificò: «Scusa, ho avuto paura.»

«Ma se gli insetti non ti spaventano nemmeno un po'?!» disse a denti stretti.

L'altra le sorrise ingenua. «Ma questa vespa mi ha preso alla sprovvista, mi sono spaventata.»

Theo intanto si era avvicinato, le aveva salutate per poi fermarsi davanti a loro.

«Possiamo parlare?» le chiese senza tante cerimonie.

«Non abbiamo nulla da dirci» rispose lei facendo la sostenuta.

La verità era che le era mancato, averlo davanti le faceva sentire le gambe molli. Avrebbe voluto abbracciarlo, perdonarlo, ma quel silenzio riguardo a Cecil l'aveva ferita. Forse, messa in guardia. Non era perfetto come credeva.

«Questo solo perché lo hai deciso tu» replicò duro.

Morgan rivolse uno sguardo all'amica, cercando di captare qualsiasi segnale. «Io entro, ok?» disse nell'infilare le chiavi nella toppa.

Lilian annuì e lei tirò un sospiro di sollievo, lasciandoli lì fuori. Almeno si sarebbero parlati.

Theodore la condusse fino al parco davanti alla palazzina, per essere sicuro di non avere nessun tipo di interruzione.

«Avanti, non ho intenzione di stare qui fuori in eterno per starti ad ascoltare.» Lo provocò una volta dopo esserselo lasciato alle spalle.

«Encomiabile da parte tua. Pretendi rispetto e sincerità quando tu sei la prima a mancare in questo. Sai, è una cosa che dovrebbe essere reciproca» le ricordò, un po' troppo scontroso.

Si voltò per fissarlo, sconvolta da quel tono. Normale però che fosse arrabbiato, non aveva avuto nemmeno il tempo di giustificare le proprie scelte. Ma non era stato il tono in sé a stupirla, quanto quel suo poco autocontrollo. Di solito era impeccabile, ligio al galateo.

«Non hai pensato che saperlo da Cecil in persona sarebbe stato peggio per me?» Glielo chiese con inaspettata arrendevolezza, per una che sembrava aver chiuso i ponti con lui. «Insomma, è come se avessi scoperto di non conoscerti affatto. Cosa mi nascondi? Quanto mi nascondi? Fino a che punto sei sincero?»

Aveva stretto i pugni fino a far sbiancare le nocche. Tremava e non se n'era nemmeno accorta.

Theo si avvicinò piano. «Devo chiederti scusa, lo ammetto. Ho pensato che se avessi evitato di dirtelo, non l'avresti mai saputo. Non che volessi nascondertelo, ma non ritenevo importante il fatto che Cecil fosse implicata nella situazione. Contavo sulla vostra ostilità, pensavo sarebbe bastata a non farti arrivare la notizia. Mi sono dimenticato con chi avevo a che fare.»

Sospirò, cercando di dare un ordine alle proprie idee, poi continuò: «Ci sono molte cose che non sai di me, come io non so un mucchio di cose di te. Eppure questo non è un ostacolo, ma uno stimolo a stare con te, proprio perché voglio scoprirti.»

Poteva essere tanto contenta e triste allo stesso tempo?

«Non si tratta di non sapere le cose, ma di tenermele nascoste. È diverso...» piagnucolò con voce flebile.

«Hai ragione. Ma te l'ho taciuto proprio per questo motivo. Lilian» la richiamò sicuro, facendole così alzare lo sguardo. «Se te l'avessi detto ci avrebbe allontanati. Ho preferito non dirtelo. E, come vedi, la mia previsione era corretta.»

«Bene, perfetto, ora mi prendo anche della stupida!» Si stava alterando di nuovo.

«Nessuno qui ti ha dato della stupida.» Serrò le mascelle per non dare in escandescenze. «Vedi che avevo ragione io? Vuoi capire solo quello che ti va bene!»

«No, se devo stare qui solo per farmi insultare non ha senso che io rimanga» urlò nel tornare verso il dormitorio, ma Theo la prese per il braccio, facendole male.

L'aveva scoperto a causa del ringhio di protesta di lei.

Lily si voltò per la forza della presa.

Continuò imperterrito: «Sai che c'è? C'è che tu hai paura. Sì, paura. Hai capito che questa relazione sta diventando seria. È cambiato qualcosa e te ne sei accorta, e ora stai prendendo la prima scusa plausibile per battere in ritirata.»

Quelle parole erano state peggio di uno schiaffo in pieno volto.

Una silenziosa verità che urlava per uscire.

«Non è vero» rispose senza esserne troppo convinta, ma nascondendolo bene.

«Hai paura» le disse di nuovo lasciandole il braccio, vedendola allontanarsi sempre di più.

Lilian iniziava a sentirsi la coscienza sporca, come se le parole di lui le si fossero annidate nel petto. Nella testa. Come se assorbisse la verità di ciò che era appena stato detto.

«Codarda.»

Tornò indietro come una furia e gli diede uno schiaffo.

Voleva fargli sentire quanto quelle parole potessero bruciare.

Lui attese impassibile una sua reazione.

Per tutta risposta, Lilian si accasciò sul suo petto e si mise a piangere.

«Sssshhhh, non piangere.» La cullò piano. Non sapeva spiegarsi come, ma aveva capito che il peggio era passato.

«Sono stata una stupida.»

«No, hai solo dato retta a Cici, assecondando il suo gioco. Le hai permesso di mettersi tra di noi. Ma ora è tutto a posto. Gliel'avresti data vinta così?»

Lilian fece un gran respiro prima di parlargli, voleva smettere di singhiozzare. «Non è Cecil il problema. Sono io. Sono stata stupida. Ho avuto davvero paura. Io non voglio buttare all'aria quello che c'è tra noi. Io non ti voglio perdere. Sei diventato importante per me.»

Le era costato dirgli quelle parole, eppure al contempo avrebbe voluto aprirsi di più.

Non sarebbe stato opportuno. Sapeva che probabilmente Theo avrebbe imputato la cosa all'emozione del momento, non di certo a un sentimento cresciuto e maturato nel tempo.

Sapeva di avere tempo con lui, se lo sentiva. Era una nuova certezza. Capiva di averne soltanto perso tenendogli il muso, erano momenti che avrebbero potuto passare insieme.

Perdonarlo era stata la cosa migliore da fare, si stava solo pentendo di non averlo fatto prima.

«Sono contento di sentirtelo dire.»

«Te lo dirò più spesso, allora.» E si strinse a lui.

Theo era felice di quel passo avanti verso di sé. Avrebbe voluto dirle che l'amava, che amava anche quel suo lato un po' adolescenziale. Che amava tutto, di lei. Ma l'avrebbe spaventata, non voleva correre.

Se c'era una cosa che aveva capito, era che Lilian aveva i propri tempi e andavano rispettati.

Ci sarebbe stato tempo anche per le dichiarazioni. Con la dovuta calma.

«Ci sarai domani?»

Una domanda che vibrava di aspettative.

Theodore rise, realmente divertito. «Potrei mai mancare?»

Dopo giorni interminabili vide quello che più stava attendendo: il sorriso disteso e sincero di lei, anche se circondato dalle lacrime che le avevano rigato il viso. Poteva considerarsi soddisfatto e felice per quel risvolto.

«Su, ora è meglio che tu vada a riposare. Domani è un gran giorno, non vorrai sfoggiare occhiaie e borse, come farai se no con le foto?» Tentò di sdrammatizzare. Doveva alleggerire la tensione per il giorno dopo e quella appena accumulata.

Funzionò.

Lilian si asciugò gli occhi e si diresse verso il proprio appartamento.

«Ti accompagno» disse Theo accomodandosi di fianco a lei.

Si prendeva cura di lei, sempre e comunque. Era una sensazione meravigliosa, mai provata prima.

Persi nel loro silenzio ristoratore, arrivarono troppo presto davanti alla porta.

«Io speravo che tu, ecco... tipo...» Perché doveva passare lei per l'adolescente con gli ormoni in libera uscita?

«Tipo, cosa?» La prese in giro, senza sapere cosa aspettarsi.

«Pensavo volessi rimanere con me. O uscire. Insomma, passare del tempo insieme» ammise imbarazzata.

Sorrise, rincuorato.

«Lily, attenterai alla mia vita, prima o poi!» Le accarezzò una guancia, infine le rispose: «Mi piacerebbe, dico davvero. Ma tu hai bisogno di rilassarti. Avremo tempo per stare insieme. E poi ho alcune cose da fare. Anche io devo conseguire una laurea!»

E si indicò.

«Vai allora. Che ci fai ancora qui? Ti immagini se non ti danno la laurea e tua mamma revoca la mia? Sciò! Vai a fare ciò che devi!» Lo spinse a forza verso le scale.

«Sì, sì, ok! Capisco lo zelo, ma ho una cosa più importante da fare!» Il fatto che Lilian avesse ritrovato il suo melodramma lo fece rilassare, tutto era tornato al proprio posto.

«Cosa?» Si interruppe lei.

Senza rispondere a parole le diede un bacio, mettendola a tacere con quel gesto che avrebbe ripetuto ancora e ancora. Per sempre.

«Sarò tra il pubblico» aggiunse, allontanandosi a malincuore. «A domani.»

Una promessa.

Proprio da lui, che manteneva sempre la parola data.

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