[9] Na na na
Ryan
Trascinare me stesso e Nadia in quel condominio non era di certo la cosa più facile da fare, ma Lance era parte di uno schema preciso e, se il suo contributo fosse venuto a mancare alla fine del mese, saremmo stati noi quattro a risentirne.
«Dobbiamo proprio andare?» domanda quasi sotto voce la ragazza dai capelli neri, aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Come se non bastasse, mi stai facendo fare tre piani di scale solo perché hai paura degli ascensori».
Mi volto verso di lei solo un istante, scoccandole un'occhiataccia. «Biasimami».
Quando eravamo in comunità educativa, da piccoli, una delle poche uscite che abbiamo mai fatto è stata nel museo della città. Per farla breve, la sala dei faraoni era al secondo piano e io non avevo voglia di fare le scale.
Sono rimasto chiuso in quell'ascensore per tre ore e mezzo, credendo di essere stato maledetto da una mummia vendicativa.
La ragazza fa schioccare la lingua contro il palato, nella sua particolare espressione di una risata contenuta, prima di raggelarsi ed afferrarmi la manica del giaccone.
Siamo ormai arrivati al piano dell'appartamento di Lance, per cui non capisco cosa ci sia che non va.
«Che succede?» chiedo infatti, abbassando la voce.
Nadia, che sta alla mia sinistra, mi fa segno con la testa di guardare meglio e ciò che vedo mi confonde su troppi aspetti, facendomi provare troppe emozioni allo stesso momento.
Un ragazzo dai capelli corvini è fermo sulla porta davanti al nostro amico, tenendolo stretto per la maglietta e salutandolo con un bacio abbastanza lungo da farmi sentire in imbarazzo.
Che alcuni clienti si sarebbero effettivamente invaghiti di Lance ce lo aspettavamo tutti, ma questo in particolare sembra non aver alcuna intenzione di staccarsi da lui.
Tuttavia, il modo di fare e l'aspetto mi ricordano terribilmente qualcuno...
Così, quando il ragazzo si gira, il mio cuore perde un battito.
Keith Kogane, lo stesso ragazzino con cui abbiamo condiviso ogni cosa alla comunità educativa, ora si presenta decisamente più grande e decisamente più imbarazzato proprio a pochi metri da me, anche se sembra non riuscire a vedermi.
Arretro di un passo, come se fossi stordito, e cerco disperatamente appoggio in Nadia, anche se so che non ne troverò.
Tra noi quattro, battendo anche James, è lei quella più pessimista e con meno speranza nel prossimo, così la vedo decisamente delusa ma non particolarmente turbata.
Come può non essere turbata da questo? Vedere il nostro amico d'infanzia dopo secoli e scoprirlo mentre va letteralmente a puttane?
Quando le porte dell'ascensore si richiudono emettendo il solito ding, la ragazza tira su con il naso e sfila la mano dalla tasca destra dei pantaloni, dove è infilato il coltello da caccia.
«Parlo io, tu ti faresti prendere dall'emozione» dichiara, senza lasciarmi alcuna possibilità di scelta. «E sì, chiederò di Keith. Meritiamo di sapere, James merita di sapere».
Così dicendo sale anche l'ultimo gradino e si piazza al centro del corridoio, in modo da essere vista da Lance prima che chiuda la porta di casa.
James e Keith all'epoca avevano una relazione più che complicata, più che altro perché il primo aveva una terribile cotta per l'altro e questo non se ne accorgeva minimamente, ma con il passare del tempo l'interesse di James si è affievolito considerevolmente e sono diventati i più improbabili degli amici.
Io, Nadia e Ina meritiamo sicuramente delle spiegazioni, ma James ancora di più.
«Oh, Nads. Ryan» ci saluta il cubano, come se avesse appena visto i suoi vicini di casa. «Siete qui, finalmente. Volete qualcosa da bere?»
«Siamo di fretta Lance, ma grazie comunque. Vogliamo solo il pagamento e un paio di informazioni» risponde subito la ragazza dai capelli neri, acquisendo il suo abituale sorriso raggiante.
La seguo mentre si fa strada lungo il corridoio, superando un paio di altre porte, ed osservo il viso confuso del nostro amico.
C'è qualcosa di insolito in lui, a partire dai capelli non piastrati e dal modo in cui gli brillano gli occhi, come se nonostante tutto la sua vita non facesse così schifo come qualche tempo fa.
«Beh, okay» dice quando ci fermiamo sulla soglia di casa sua, senza dare l'impressione di voler entrare. «Allora prendo i soldi».
Scompare per qualche secondo all'interno dell'appartamento e ne esce stringendo tra le mani una busta beige, piena ma non fino al massimo della sua capienza.
Nadia la prende, con delicatezza, per poi porgermela in modo che la metta nello zaino con le altre.
«Non controllate?» domanda, sempre più confuso.
«Come ho già detto, abbiamo fretta, e poi ci fidiamo di te» mente l'altra, senza sforzarsi di nasconderlo. «Vogliamo solo sapere una cosa: che ci faceva Keith Kogane qui?»
Lance pare sinceramente sorpreso dalla domanda. «Come?»
«Dicci che non è diventato un tuo cliente» quasi supplico, venendo fermato da un gesto della mano di Nadia.
Il ragazzo sembra arrossire (arrossire? Lance?) e si nasconde dietro al sorriso malizioso che mi rivolge apertamente.
«Che ci sarebbe di strano, Ryan?» mi chiede. «Dopotutto, lo sai che sono bravo».
A questo punto tocca a me avvampare di colpo, mentre la ragazza si tappa teatralmente le orecchie con le mani.
«È successo una volta» mi difendo, con scarso entusiasmo.
«Tre volte, hermoso» mi corregge senza battere ciglio.
Nadia emette un lamento scocciato che mi salva in extremis, dato che sono talmente imbarazzato da star per morire.
«Non siamo venuti a parlare delle vostre scappatelle che, in difesa di Ryan, risalgono a quasi due anni fa» interviene, mentre io la ringrazio a parole mute. «Keith Kogane è un tuo cliente, sì o no?»
Lance pare soppesare molto più di quello che dovrebbe la questione, come se ci fosse chissà quale mistero dietro.
«No» si decide a rispondere, infine. «Stiamo uscendo insieme».
Entrambi rimaniamo sorpresi nel sentire queste parole, e non necessariamente in senso positivo. Certo, siamo più che felici che il nostro vecchio amico d'infanzia non stia abusando del nostro amico più recente, ma rimane il fatto che questa situazione deve essere un casino per tutti e due.
«E lui... Sa?» chiedo, con cautela.
Il cubano mi rivolge un sorriso, ma è uno di quei suoi sorrisi tristi che nascondono troppe cose.
«Lo odia, certo, ma sa» dice, appoggiandosi con stanchezza allo stipite della porta. «Gli ho detto quanto meno possibile, però meritava di sapere».
Non proferisco una parola in più ed infilo la busta nel mio zaino, mentre Nadia cerca di trovare il modo giusto di esprimere la sua opinione.
«Okay, bello, molto carino. Stai attento, però» lo avverte. «Lo sai che basta poco a metterlo in pericolo».
Al castano scappa una risata amara, la quale ci conferma che sì, ne è più che consapevole.
La ragazza lo guarda ancora per qualche istante, soppesandolo in un misto di desideri e apprensioni, per poi voltarsi e farmi cenno di andare.
La voce di Lance però ci ferma, prima che noi ci allontaniamo da lui più che di un passo. «Come fate a conoscere Keith Kogane? E perché vi interessa?»
Nadia esita un momento di troppo e mi costringo a prendere il comando della situazione, girandomi nella direzione del ragazzo abbastanza perché possa vedere il mio sorriso.
«Siamo noi quelli armati che fanno domande, Lance» replico, con naturalezza. «Buonanotte».
E, con il cuore un po' più pesante, ci dirigiamo verso le scale mentre lui ricambia l'augurio, con aria più che sospettosa.
Keith
Keith odia le centrali di polizia, da sempre.
Era da secoli, a eccezione di quando aveva accompagnato Lance alla ricerca della gemella, che non veniva trattenuto ed aveva cominciato a considerarla una vittoria personale.
Quando era ragazzino, fino a poco prima che gli Shirogane si trasferissero in Giappone, dava spesso problemi per il suo temperamento impossibile da gestire, finendo in risse o scappando di casa per andare a ubriacarsi e mettersi in pericolo in qualche modo altrettanto creativo.
Forse lui e Rachel erano più simili di quanto avesse inizialmente immaginato.
Il fatto è che ora, come dire, la sua vita dipende dall'arrivare in tempo alla Garrison, dove la sua migliore amica sta per esporre la sua tesina e conquistare il tanto agognato master. E non può arrivare in tempo se lo tengono davanti a quella scrivania, in attesa che il suo proprietario faccia ritorno.
Keith stringe i pugni, irritato oltre ogni misura. Non solo farà tardi ed Allura ce l'avrà a morte con lui, ma è capitato pure alla scrivania del poliziotto con cui aveva meno voglia di avere a che fare.
Il cognome Evans è inciso su una targhetta metallica appesa alla lampada da tavolo ed il corvino non riesce a smettere di fissarla, con un misto di emozioni confuse.
Quando poi chi porta personalmente quel cognome gli scivola davanti con rapidità per sedersi alla sua poltroncina girevole, il ragazzo quasi trattiene il fiato.
«Che hai combinato, Samurai?» gli chiede, rivolgendogli il suo sincero sorriso allegro.
Keith arrossisce ed alza gli occhi al cielo, stringendo i denti.
Tra lui e Curtis non saranno tutte rose e fiori, ma di certo i suoi amici lo adorano. Basti pensare che, anche se è stato lui a coniare il soprannome Samurai, l'ha donato a Lance come se fosse qualcosa da passare a un erede, o almeno questo era quello che si percepiva dall'espressione del cubano.
«Niente» borbotta, d'istinto.
Si morde forte la lingua perché, Dio, è un idiota.
Questo è il tipo di risposta che avrebbe dato da ragazzino, quando palesemente qualcosa che non andava era stato fatto.
Curtis infatti inarca un sopracciglio e lo squadra, senza abbandonare il suo sorriso.
«Keith, sei stato fermato per non aver rispettato i limiti di velocità, non hai saputo fornire patente o documenti vari ed hai insultato un agente» elenca rapidamente, facendo capire che la sua era solo una domanda di cortesia. «Non volevi evitare di finire nei guai?»
«Non che sia un problema tuo, in realtà» replica piccato il corvino.
Il sorriso dell'uomo sembra vacillare per un istante, ma quello prende un sospiro e mantiene il controllo.
Keith odia il modo in cui riesca a mantenere costantemente il controllo in ogni situazione, lo fa sentire... Ugh.
«Non lo è, ma direi che è decisamente un problema tuo» risponde, allungandogli un modulo con le dita. «Quindi perché non collabori e non ti liberi di questa seccatura?»
Il corvino non riesce nemmeno a pensare prima che il suo pugno sbatta contro la scrivania con forza, facendo sobbalzare il portamatite e traballare la lampada.
Non sopporta tutto questo, non lo sopporta proprio.
«Finiamola con le cazzate, smettila di trattarmi come se fossi un ragazzino!» sbotta, a tanto così da alzarsi dalla sedia ed afferrare Curtis per il colletto. «Questo tuo fare socievole, questa facciata di accondiscendenza che hai, beh, che vadano a farsi fottere! Lo so che sei arrabbiato con me tanto quanto è arrabbiato Shiro, quindi è inutile che-»
«ORA BASTA» quasi ringhia il detective, con una prepotenza e un impeto che fa ammutolire il ragazzo, suo malgrado.
Keith stringe di nuovo i denti come se si trattenesse dal rispondergli per le rime, ma la verità è che non ha nulla da dire.
Curtis, dal canto suo, lo osserva con le sopracciglia corrugate a incorniciare le iridi azzurre che ora ricordano tanto il colore di una fiammella di gas.
Il suo volto si è visibilmente incupito e, non appena se ne rende conto, cerca di calmarsi il prima possibile mentre il ragazzo constata che, anche nella sconfitta, si è tolto una piccola soddisfazione.
Quell'uomo ha finalmente perso il controllo, anche se per poco, e questa è una sua amara vittoria.
«Se non vuoi essere trattato come un ragazzino, Keith, allora smettila di comportarti come tale» quasi lo sgrida, facendolo sentire in imbarazzo e facendolo montare ancora più di collera. «Questi tuoi eccessi di rabbia sono semplicemente stupidi e infantili, senza contare che non sei nemmeno in grado di separare i tuoi problemi personali da quelli che devi affrontare in situazioni come queste».
Keith sta per replicare in propria difesa, ma l'occhiata di Curtis lo zittisce.
«Non mi sarei mai sognato di parlare dei problemi che abbiamo a casa in un momento simile perché una persona adulta sa quando è il momento di mettere certe cose da parte, ma visto che insisti parliamone» aggiunge, aggrottando persino di più le sopracciglia. «Non sono arrabbiato con te, dannazione, perché non ho il diritto di esserlo. Non importa che io tenga a te o alla tua opinione, perché se tu non hai intenzione di collaborare non ho intenzione di obbligarti a farlo. Non siamo costretti ad instaurare alcun tipo di legame e se è quello che vuoi, allora così sia».
Le sue parole non feriscono Keith, ma gli pizzicano la pelle e gli restano impresse in essa, come un tatuaggio.
«Quello che invece importa è che Takashi tiene a te e alla tua opinione, senza la possibilità di ignorarti. Ha bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di lui, però, da ragazzini quali siete preferite voltarvi le spalle in attesa che uno dei due ceda» aggiunge, sorprendendo il corvino. «Quindi non sono arrabbiato con te, Keith, sono arrabbiato con tutti e due, cazzo. Perché non siete in grado di parlarvi apertamente e preferite fare star male gli altri, come ad esempio me».
L'uomo unisce le dita davanti al volto e prende un respiro profondo, calmandosi e distendendo le sopracciglia.
Prima ancora che Keith possa pensare di prendere parola, Curtis si stende nella sua direzione sovrastando la scrivania, con un'espressione che gli fa quasi gelare il sangue nelle vene.
«Per cui, riassumendo: non ti obbligherei mai a diventare il mio migliore amico o simili, e non mi interessa se ti sta bene o no chi decido di sposare. Tuttavia, chi voglio sposare è tuo fratello e lui ha bisogno della tua approvazione, perché ti vuole bene» scandisce, con estrema attenzione. «Questo significa che voi due farete la pace, Samurai, perché non ti permetterò di rovinare il mio matrimonio a causa dei vostri conti in sospeso e del tuo essere infantile. Sii felice della sua felicità o fingi di esserlo, non mi importa, ma Takashi merita il tuo supporto. Ed io esigo che vi comportiate da fratelli e vi diate a vicenda questo maledetto supporto».
Keith è bravo a rispondere male alle figure autoritarie, in passato era la sua più grande abilità, ma c'è qualcosa, stavolta, che lo frena.
Non che Curtis gli faccia paura, per carità, e non che tutto questo parlare di Shiro lo abbia fatto sentire in colpa.
Solo che, in realtà, ora capisce perché suo fratello ha scelto lui.
«Verrò al matrimonio come Shiro mi ha chiesto di fare» risponde, piano, con estrema cautela. «Ma non fingerò di essere felice di questa cosa. Non quando so che potresti fargli passare di nuovo ciò che ha passato a luglio».
E quando la sicurezza di Curtis si infrange, come una sottile lastra di vetro colpita con troppa forza, il ragazzo sa di avere vinto.
Perché non importa quanto sembrasse nel giusto durante il suo discorso, se quell'uomo ha anche il più piccolo dubbio riguardo all'essere la persona giusta per rendere suo fratello felice... Beh, allora capisce perché lui detesta quello che sua succedendo.
Keith ha visto Adam soffrire per un lungo anno dell'assenza ingiustificata di Shiro ed ora ha visto il fratello ricevere lo stesso trattamento per un solo mese, che però sembrava averlo quasi distrutto.
Non ha intenzione di stare fermo a guardare due persone di cui gli importa legarsi in un vincolo che le renderà infelici.
«Comunque, spero tu sappia che stasera sarai da solo a casa, andiamo via per il weekend a festeggiare il master di Allura» lo informa con voce piatta, rinunciando alla possibilità di fare sentire il poliziotto ulteriormente colpevole.
Allunga la mano verso la penna ed il foglio, ingoiando tutto ciò che vorrebbe riversare addosso all'uomo con rabbia.
Allura è più importante di questo, pensa, mentre firma il modulo.
Lance
Vedere Romelle era un evento che aspettavamo tutti con ansia da un anno, forse più del master di Allura, nonostante fosse praticamente la migliore amica di Lotor.
C'è da dire che forse parte della nostra ostilità nei confronti di Lotor, senza contare che suo padre era un bastardo manipolatore senza scrupoli, era dovuta al fatto che per noi nessuno sarebbe mai stato all'altezza della nostra principessa.
La sua stretta amicizia con Romelle, quindi, ce l'aveva resa inizialmente un po' difficile da accettare, solo per poi scoprire quanto più in comune avesse con noi di quanto ci aspettassimo.
Per cui, mentre osservavamo il piccolo trio formato da Lotor, Romelle e Allura, che si strinsero gli uni agli altri non appena la ragazza dai finti capelli bianchi uscì dalla stanza in cui l'avevamo lasciata un'ora prima, ci sentimmo quasi degli estranei.
Emanavano letteralmente un bagliore aristocratico, al che Pidge si schermò teatralmente gli occhi nonostante avesse gli occhiali da sole.
«Troppo luminosi, è accecante» commentò, beccandosi un buffetto sul braccio da parte di Shiro.
Keith fece ritorno da noi dopo essersi allontanato per rispondere alla chiamata di Coran, sbadigliando e stringendosi nella sua giacca di pelle. «Coran dice che gli dispiace essere dovuto correre via, ma si augura che ci prendiamo cura di Allura».
Hunk sospirò nell'udire la frase, incrociando le braccia al petto.
«Come se fossimo in grado di fare diversamente» osservò.
Shiro e Pidge si lasciarono andare in una risatina amara e l'avrei fatto anche io, se non avessi sentito una presenza fisica letteralmente appiccicata a me che richiedeva la mia attenzione.
Voltai il capo e vidi che Keith si era appoggiato al mio braccio con il suo, tirando timidamente la manica del mio maglione blu.
«Lance» mi chiamò, piano, ma non abbastanza da non essere sentito dai tre al nostro fianco. «Potresti venire con me un secondo?»
Con la sua carnagione chiara non era difficile vedere il rossore sulle sue gote e quando mi scivolò lo sguardo sul suo labbro inferiore che veniva torturato dai denti, sentii il sangue affluirmi alla punta delle orecchie.
Non dovetti nemmeno voltarmi per immaginare il sorriso intenerito di Hunk o la smorfia disgustata sul viso di Pidge, né tantomeno per figurarmi gli occhi orgogliosi di Shiro.
«Certo» risposi, lasciandomi poi portare via dal ragazzo.
Svoltammo l'angolo per il corridoio che dava sulle aule di laboratorio e ci fermammo a metà di questo, al che rimasi in attesa, quasi trattenendo il fiato.
Non è che Keith fosse così tanto più basso di me, ma quei cinque centimetri in meno lo rendevano sempre più propenso ad abbassare lo sguardo sui propri piedi, impedendomi di leggergli negli occhi le sue intenzioni.
Strinse un po' di più la presa sulla mia manica e mi rivolse le iridi screziate di viola, che erano molto più aggressive di quanto mi aspettassi.
Ha intenzione di sbranarmi?, mi chiesi, spaventato e attratto dalla possibilità allo stesso tempo.
«Quando ti ho visto ho avuto un terribile bisogno di baciarti, ecco, ma non sapevo se potevo farlo» confessa, aggrottando le sopracciglia come se fosse arrabbiato con se stesso per quel pensiero imperdonabile. «Posso farlo?»
Non potei trattenermi dallo scoppiare a ridere, al che dovetti premermi una mano sulla bocca per non attirare l'attenzione dei nostri amici.
Keith, il quale mi aspettavo si irritasse per quella che sembrava una presa in giro, distese le sopracciglia ed inclinò il capo, osservandomi con la stessa curiosità di un gatto.
«Perché ridi, ora?» domandò, spaesato.
Scostai la mano dalla mia bocca e gliela appoggiai sulla guancia, mentre l'altra faceva la stessa cosa su quella opposta.
«Sei qualcosa di stupendo, Kitty Keith, ecco perché» gli dissi, senza riuscire a togliermi il sorriso dalla faccia. «Puoi baciarmi ogni volta che vuoi, non devi chiederlo».
Nel parlargli gli schiacciai piano le guance e lui arrossì vistosamente, aggrappandosi con le dita ai miei polsi.
«Non chiamarmi Kitty Keith» fu tutto quello che riuscì a replicare.
«Impediscimelo, hermoso» lo sfidai, avvicinando il mio volto al suo abbastanza da sfiorare la punta del suo naso.
Io e la mia famiglia abbiamo visto abbastanza soap opere spagnole, sapevo che in una di quelle Keith avrebbe fatto tacere le mie labbra con le sue.
Invece fece scorrere le dita lungo le mie braccia fino ad aggrapparsi alle mie spalle.
«Te lo impedirò, sigillandoti la bocca con una spillatrice» mi promise, arrossendo di nuovo. «Quindi? Posso baciarti?»
A quel punto fui io a premere le mie labbra contro le sue, trattenendo un largo sorriso e sentendo le sue guance calde sotto le mie mani fredde.
La forza con cui il corvino si aggrappava a me venne raddoppiata, come se avesse paura che gli scivolassi via, mentre il movimento della sua bocca fu incredibilmente gentile.
Ma diciamo pure che ho abbastanza esperienza in materia per riconoscere il significato di un bacio, per cui sapevo che qualcosa decisamente non andava.
Non feci in tempo per separarmi e chiederglielo, perché fece scivolare la sua lingua sopra la mia ed inclinò la testa nel tentativo di approfondire il contatto.
Quasi persi l'equilibrio nel rispondere al gesto, dovendo fare un passo indietro e finendo con la schiena contro il muro.
Avrei voluto continuare a baciarlo per sempre, senza dovermi fermare per riprendere fiato, ma non appena sfiorai la parete tutto il mio corpo si irrigidì.
Keith se ne accorse e si staccò delicatamente, lasciando cadere le mani lungo i fianchi e guardandomi con occhi mortificati.
«Mi dispiace, io...» si scusò, mordendosi imbarazzato il labbro inferiore.
Trassi un respiro profondo e tolsi le mani dalle sue guance, solo per avvolgerlo tra le mie braccia e stringerlo a me.
Percepii la sua sopresa iniziale, ma quando mi piegai per affondare la faccia nel suo collo si sciolse contro di me, abbracciandomi di rimando.
«È a me che dispiace, è solo che... Il muro» replicai, sapendo che per quanto quella spiegazione fosse vaga lui non avrebbe fatto domande a riguardo. «Vuoi dirmi cosa c'è che non va?»
«Non posso dividere la stanza con Lotor, non voglio che sia lì mentre mi sveglio di soprassalto perché ho fatto un brutto sogno» sussurrò, piano, come se fosse un indicibile segreto.
Respirai il profumo della sua pelle e risi piano, giusto per alleggerire l'atmosfera.
«Mi stai chiedendo di dormire con me?» domandai, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
Lo sentii brontolare qualcosa a mezza voce e scuotere la testa, facendomi capire che non era esattamente quello ciò a cui pensava.
Mi scostai appena da lui e gli accarezzai il mento, facendogli alzare gli occhi sui miei. «Mi stai dicendo che vuoi fare pace con Shiro?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore.
Se non avesse smesso presto con quella cattiva abitudine sarei impazzito.
«Oggi ho parlato con Curtis» mi disse, accarezzando i miei fianchi con le mani, con l'aria di uno che nemmeno se ne accorgeva. «Ed ovviamente continuo ad avere ragione io, ma quello che ha detto... Mi ha fatto pensare. Non è giusto che Shiro non sappia perché non sono d'accordo».
Annuii, nonostante non necessitasse del mio incoraggiamento o della mia approvazione.
Posai le mie mani sulle sue e gliele strinsi, interponendole tra noi due.
«Se non riuscirai a fare pace con il tuo fratellone prima della fine della giornata, sappi che da me ed Hunk ci sarà sempre uno spazietto per te» lo rassicurai, con un sorriso.
Keith mi osservò con stupore, come se avessi fatto qualcosa di inaspettato o qualcosa che non capiva.
Trasse un sospiro tremante e portò le mani vicino alle sue labbra, coprendole prima di parlare.
«Posso baciarti ancora?»
Sapevo che non era il momento, dovevamo riunirci agli altri prima che Rachel e Matt tornassero dalla cucina della Garrison dove, esibendo il distintivo del giovane Holt, erano andati a recuperare del cibo.
E poi c'era il muro, la fredda parete premuta contro la mia schiena.
«Per favore?» aggiunse, guardandomi come se fosse il suo ultimo e più grande desiderio.
Così mi lasciai andare in avanti e gli permisi di appropriarsi delle mie labbra, remissivamente.
Non c'era nulla che sarei stato in grado di negargli, non quando mi chiedeva per favore in quel modo.
E poi, mentre mi tirava a sé e le mie dita facevano presa tra i suoi capelli, l'essere messo con le spalle al muro faceva un po' meno paura.
Pidge
Quelle furono probabilmente le tre ore in cui si sentì più distante dai suoi amici, nonostante condividessero l'auto e nonostante continuassero a fare confusione come al solito.
Hunk, per volere della maggioranza del gruppo, si era seduto nel posto centrale separando la giovane coppia, per evitare sia che cominciassero a litigare durante il tragitto che si mettessero a pomiciare senza ritegno.
Shiro guidava rispondendo ad ogni domanda che i tre ragazzi gli rivolgevano e Pidge gli sedeva a fianco, con gli occhi nascosti dagli occhiali da sole puntati fuori dal finestrino.
Era la prima volta da quando aveva cominciato le sue ricerche che sentiva di avere abbastanza informazioni ed ora aveva l'occasione di interpellare sia suo fratello che l'insegnante di Astrofisica riguardo all'anno in cui entrambi erano scomparsi.
L'unica persona che conosceva gli sviluppi delle sue ricerche era la dottoressa Skye, la quale era stata tenuta informata dalla ragazza sin dal principio. Era stata lei ad appoggiarla quando le aveva detto che intendeva indagare da sola, cosa che aveva sorpreso inizialmente Pidge, ed era stata lei ad assicurarle che non ne avrebbe fatto parola con nessuno.
Aveva un weekend intero, due notti per fare vuotare il sacco a Shiro e Matt, in modo che tutto ciò che aveva appreso avesse finalmente un senso compiuto.
E se ciò che aveva scoperto era vero, se Zarkon usava la Garla Enterprise come facciata dei suoi traffici illegali, allora avrebbe avvertito immediatamente Allura.
Le era parso sospetto che Lotor, il figlio di Zarkon, fosse apparso nella vita della ragazza proprio quando la salute di questa era diventata palesemente un problema, poiché non era mai stato un segreto che Zarkon bramasse le Altea Industries.
Pidge si aggiustò gli occhiali con stizza.
Se quel pezzo di merda di Lotor si era approfittato di Allura per tutto il tempo...
«Oh, andiamo, nessuno vuole ascoltare la tua robaccia emo!» esclamò Lance, attirando l'attenzione della castana.
La voce di Keith giunse quasi istantaneamente in propria difesa.
«I Panic! At The Disco non sono emo» fece.
Pidge non dovette nemmeno guardare lo specchietto retrovisore per sapere che i due si stavano arrampicando su Hunk per mettersi le mani addosso.
«Emperor's new clothes lo è» ribatté il cubano.
«Oh, non comportarti come se non sapessi che tu e Rachel ascoltate le stesse cose» ringhiò il corvino in risposta.
«Shiro, io devo andare in bagno» intervenne Hunk, con voce incrinata.
La ragazza lanciò uno sguardo a Shiro e vide che lo Space Dad, come recitava il distintivo attaccato alla manica della giacca, ne aveva già abbastanza di essere un padre single.
«Ci siamo fermati solamente mezz'ora fa, non potevi farla?» gli disse di rimando, cercando di rimanere calmo.
Lo stress causato dai ragazzi dietro e dal traffico in cui erano stati imbottigliati poco prima lo stava esaurendo, questo era evidente.
«Ma prima non mi scappava» osservò con incredibile innocenza il ragazzo dalla pelle che ricordava il cioccolato al latte.
Pidge sospirò ed estrasse Rover, una delle sue migliori creazioni, e ricominciò a ignorare i suoi compagni di viaggio.
La macchina di Shiro era una di quelle che non aveva nemmeno la radio con il bluetooth, una barbarie secondo la ragazza, ma Rover era abbastanza potente da hackerare qualsiasi sistema, per quanto fosse obsoleto.
Una volta che fu connessa agli stereo dell'auto, digitò rapidamente il titolo della loro canzone.
Dopotutto, era l'unica che li mettesse tutti e cinque perfettamente d'accordo.
The future is bulletproof
The aftermath is secondary
It's time to do it now and do it loud
Killjoys
«Make some noise» urlarono tutti e cinque all'unisono, con estremo sollievo di Pidge.
Non sarebbe mai riuscita a pensare decentemente se quei quattro non avessero smesso di litigare tra di loro.
Vide con la coda dell'occhio che i tre seduti vicini facevano rapidamente del loro meglio per trovare qualcosa che assomigliasse a un microfono e sorrise, quasi d'istinto.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
Na, na, na, na, na
«Drugs, gimme drugs, gimme drugs, I don't need it» cominciò Lance, con tutta l'energia che possedesse. «But I'll sell what you got, take the cash and I'll keep it
Eight legs to the wall, hit the gas, kill them all».
Ovviamente Hunk e Shiro si premurarono subito di fargli da coro, senza che nessuno avesse detto loro di fare così. «And we crawl, and we crawl, and we crawl you be my detonator».
«Love, gimme love, gimme love, I don't need it
But I'll take what I want from your heart and I'll keep it» la voce di Keith era più chiara e fluida di quella di Lance, ma non per questo la castana la preferiva. «In a bag, in a box, put an X on the floor».
«Gimme more, gimme more, gimme more, shut up and sing it with me» aggiunsero Hunk e Shiro.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(From mall security)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(To every enemy)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(We're on your property)
Standing in V formation
La verità era che Pidge si sentiva estremamente egoista. Non le importava parecchio delle persone in generale, non percepiva il bisogno di relazionarsi con loro per la loro felicità.
O almeno, così era prima che conoscesse i suoi amici.
Prima che Lance e Hunk entrassero nella sua vita come delle tempeste senza che nessuno gliel'avesse permesso, prima che al loro seguito si unissero Keith ed Allura, prima che approfondisse la conoscenza con Shiro, il migliore amico di suo fratello.
Prima che Lotor gli facesse temere di poter perdere chi amava e prima che Romelle le facesse capire che non avrebbe mai smesso di incontrare persone che valevano.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Let's blow an artery)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Get plastic surgery)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Keep your apology)
Give us more detonation
More, gimme more, gimme more
Sentì Shiro prendere il comando e fare da voce solista, mentre picchiettava sul volante.
Oh, let me tell you about the sad man
Shut up and let me see your jazz hands
Remember when you were a madman
Thought you was Batman and hit the party with a gas can
Kiss me, you animal
Non c'era nulla che non andasse in quell'auto, era tutto perfetto.
Keith e Lance non stavano litigando, Keith e Shiro non erano alle strette, Hunk non veniva lasciato da parte e lei...
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(You run the company)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Fuck like a Kennedy)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(I think we'd rather be)
Burning your information
Lei era felice.
Lei li amava, li amava, li amava.
Amava loro, la sua famiglia, Allura.
Le importava di Rachel, di Romelle e persino di Lotor, anche se non in una maniera positiva.
Si chiedeva spesso anche come se la cavasse Aaron, l'amico di Lance che le aveva regalato gli occhiali che ora indossava.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Let's blow an artery)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Get plastic surgery)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Keep your apology)
Give us more detonation
«Dai Pidge, è il tuo momento» la chiamarono, mentre Shiro le dava una gomitata per attirare la sua attenzione. «Non abbandonarci così».
La ragazza prese un respiro profondo ed alzò gli occhi al cielo.
Nessuno di loro aveva un particolare talento canoro che andasse segnalato alle grandi case discografiche, ma fortunatamente nessuno era stonato come una campana (a parte Lance, quando voleva infastidire Keith).
«And right here, right now
All the way in Battery City
The little children raise their open, filthy palms
Like tiny daggers up to heaven» intonò, mentre i tre dietro alzavano religiosamente le mani al cielo. «And all the Juvie halls and the Ritalin rats
Ask angels made from neon
And fucking garbage scream out what will save us
And the sky opened up».
Il suono della voce solista di Hunk la fece ridere, quando lui attaccò subito dopo di lei. Era bello sentirlo cantare forte, come se volesse farsi sentire, come se per una volta preferisse non mettersi in secondo piano.
Everybody wants to change the world
Everybody wants to change the world
But no one, no one
Wants to die
Wanna try, wanna try, wanna try
Wanna try, wanna try, now, I'll be your detonator
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
La verità era che quel weekend avrebbe potuto essere determinante per la scoperta di ciò che Zarkon tramava, della ragione per cui lei e sua madre si sono viste portare via per un anno i propri cari.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Make no apology)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(It's death or victory)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(On my authority)
Crash and burn, young and loaded
E questa possibilità faceva quasi fremere la ragazza, come se fosse qualcosa che aveva bramato da tutta la vita e non solo per pochi mesi.
Ma poi rivolse distrattamente uno sguardo a Shiro che, sentendo la foga dei tre ragazzi dietro di lui, rideva genuinamente.
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Drop like a bullet shell)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(Just like a sleeper cell)
Na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na, na
(I'd rather go to hell)
Than be in a purgatory
Oppure no. Oppure il piano avrebbe potuto fallire e lei sarebbe rimasta all'oscuro fino all'occasione seguente di fare chiarezza.
Però avrebbe visto i suoi amici sinceramente felici almeno per un paio di giorni.
Cut my hair, gag and bore me
Pull this pin, let this world explode
Forse le sarebbe andata bene in entrambi i casi.
Allison
Quando chiudo gli ultimi documenti nel cassetto mi lascio andare in uno sbadiglio, distrutta.
Oggi uno dei pazienti più instabili ha perso il controllo e non sono riuscita a calmarlo prima che lo facesse la sicurezza.
Stringo i pugni con stizza e rammarico. Significa che me lo porteranno via, che lo assegneranno a specialisti di qualche istituto psichiatrico.
Significa che non rivedrà mai più la sua famiglia come gli avevo promesso.
Spengo la lampada sulla scrivania e mi dirigo verso il piccolo frigorifero dove sono stipate le mie scorte di succo alla pesca.
Non appena ne afferrò uno, però, un brivido mi percorre la schiena, un brivido che è tutto tranne che di freddo.
Con uno scatto rapido estraggo la pistola dall'interno della giacca la punto contro la figura imponente alle mie spalle, che non riesco a vedere in volto visto che è controluce.
«Signorina Skye, pensavo di averle detto di non gradire le armi puntate addosso» scandisce una voce familiare.
Non appena realizzo che a parlare è Zarkon Galra la mia mano ha un fremito e mi costringo ad abbassare la pistola.
«Mi scusi signore, è solo che non l'avevo riconosciuta» faccio, chiudendo lo sportello del frigorifero.
L'uomo liquida le mie scuse con un gesto rapido della mano, per poi sedersi sul divano in ecopelle bianca e lasciare che la lampada al fianco di esso gli illumini il volto dallo sguardo severo.
«Sono venuto per degli aggiornamenti di persona, visto che non sono stato informato del piccolo ritiro a cui parteciperà mio figlio questo weekend» scandisce con estrema serietà, fissandomi con i suoi occhi glaciali. «Mi pareva di averle dato un compito, signorina Skye».
Deglutisco a fatica, perché quando si tratta di lui non riesco a mantenere la mia impassibilità.
«Non sapevo che avrebbe partecipato anche suo figlio, signore, è stata Katherine Holt ad organizzarlo» mi scusai, raddrizzando le spalle quasi per abitudine. «Dati i loro dissapori, pensavo non l'avrebbe invitato».
L'uomo mi squadra da capo a piedi con fare pensoso, come se meditasse approfonditamente sull'utilità del tenermi in vita.
«Spreco il mio tempo e il suo a tenere d'occhio dei ragazzini, signorina Skye, perché uno di loro lavora per me ed ha già tentato di sfuggirmi, mentre due sono parenti di persone che avevano scoperto troppo e che per un periodo ho dovuto far sparire» mi ricorda, osservandosi le mani distrattamente. «Senza contare che sono molto vicini all'unica erede non per molto in vita delle Altea Industries, che guarda caso è anche la ragazza di mio figlio. Capisce che necessito di sapere ogni cosa, vero?»
Annuisco ed abbasso il capo, mordendomi il labbro.
Mi sento come se fossi di nuovo una ragazzina ed avessi fallito in una delle sue prime richieste.
«Per cui, giusto per essere sicuri, c'è altro che ha appreso negli ultimi giorni?» mi chiede.
Stringo i pugni di nuovo e mi preparo a rispondere, perché non posso fare altrimenti.
Tutto quello che sono, lo sono grazie a lui. Mi ha insegnato come usare una pistola, mi ha insegnato a rimanere fredda in ogni circostanza, mi ha insegnato la minuziosa arte della manipolazione, mi ha costruita in modo che, una volta adulta, fossi indistruttibile per qualsiasi essere umano. A eccezione di lui, ovviamente.
«Matthew Holt, a detta della sorella, ha un interesse spiccato per Rachel McClain, la gemella di Lance McClain» dico, rapidamente. «Mentre Veronica McClain, la loro sorella maggiore, esce con Acxa».
Oh, Acxa.
Mi chiedo che progetti abbia per lei da quando l'ha adottata, ma non sono mai riuscita a capirlo.
Zarkon aggrotta le sopracciglia per elaborare le informazioni e sinceramente la sua memoria è sempre stata qualcosa che ammiravo.
«In oltre, Keith Kogane e Lance McClain si frequentano ufficialmente» aggiungo. «E Takashi Shirogane sposerà Curtis Evans a gennaio».
L'uomo si massaggia le tempie per qualche istante e poi mi guarda, con aria pratica.
«Quindi, per spingere al silenzio Lance McClain basta fare leva su Keith Kogane e Rachel McClain, in modo da avere in pugno anche Matthew Holt e Takashi Shirogane» osserva, alzandosi dal divano e sistemandosi la giacca costosa. «Ho chi si occuperà del giovane Kogane, ma conto su di lei per la signorina McClain».
Annuisco con un che di troppo remissivo per i miei gusti, mentre lui mi si avvicina e si china verso il mio orecchio.
Sentire il suo respiro mi fa irrigidire e trattenere il mio, mentre ascolto le sue parole gelate.
«Mi auguro che farai un lavoro accurato come per i coniugi Altea e Adam White» mi sussurra, accarezzandomi una guancia, prima di raddrizzarsi e dirigersi verso l'uscita. «Ti ho creato io, Allison, vedi di non deludermi».
E rimango immobile anche dopo che ha lasciato la stanza.
[fine Atto I]
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